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I CHERUBINI ALLA PORTA DELL'EDEN
di Alessandro Conti Puorger

I Cherubini come tracce per ritrovare il Paradiso. è praticamente il prosieguo di "Il Giardino dell’Eden".

LA PARABOLA DEL PARADISO TERRESTRE
A sostegno della tesi che l’autore del Genesi pensava il giardino dell’Eden, del Capitolo 2 del Genesi, localizzato nella valle del Giordano, nella depressione dov’è il Mar Morto fino al Mar Rosso, propongo di seguire nell’A.T. alcuni dei segni dei Cherubini che sempre si trovano vicino ad acque e/o a fiumi che uscivano dal giardino (Vedi "Il Giardino dell’Eden").
Ora, in quel Capitolo del Genesi è detto "Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino dell'Eden perché lo coltivasse e lo custodisse" (Gen. 2,15); quindi lo crea e gli dà un ruolo non per necessità ma per atto d’amore.
Secondo l'autore del Genesi è nella volontà di Dio trattenersi, nascondersi, per lasciare l’uomo libero.
È simile ad un principe che viaggia senza sfarzo e senza segni dì potere pur se i modi fanno trasparire i tratti d’un re per trovare una fanciulla che non l’ami per interesse e trovatala l’educherà e la farà regina.
Il giardino terrestre è così splendido che anche con gli occhi della ragione si vede che Lui qui è presente con i doni della vita e della sapienza, da Colui che è, prorompe infatti l'albero della vita e della conoscenza.
Fuori da quel giardino dell’Eden la vita vegetale ed animale non è ancora esplosa, anche se la Terra ha già la capacità intrinseca per lasciare spazio all'iniziativa dell'uomo; ciò nasconde la Sua pedagogia.
La situazione è quella d’un artigiano che per far subentrare il figlio nel lavoro l’istruisce e per non scoraggiare l’apprendista fa vedere opere semplici per passare poi ad opere più complesse e lo lascia da solo sempre più a lungo per non soffocarlo; ma il figlio, avuti i primi rudimenti pur vivendo con questo padre discreto, diviene insofferente. Disegno del padre è portarlo alle vette dell’arte, ma lui s’accontenta di quello che è venuto a conoscere imitando il padre nei primi lavori.
Per tornare al parallelo del giardino, Dio pone a disposizione dell'uomo piante ed animali e gli da un’aiuto a lui complementare, la donna; il disegno di Dio è che arrivi ad essere come Lui, e da essere vivente, recipiente che deve essere riempito di vita, divenga capace di dare la vita, ma interviene la cacciata per una trasgressione, frutto cattivo della libera scelta dell'uomo che segue la propria volontà mossa dal maligno.
L'uomo e la donna, infatti, montatisi la testa scelgono d’essere autonomi palesando l'orgoglio ed il volere essere primo, non accettando il ruolo di creatura.
Daltronde il padre non voleva un automa ed allora doveva pur lasciare la possibilità di scegliere il contrario, cioè la non esistenza.
Per tornare all'esempio del padre artigiano, è come se il padre dicesse al figlio: "allora apri bottega per tuo conto e fai con le tue mani"; ed attorno a questo giardino c'è tanta terra incolta da coltivare e così "Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto" (Gen. 3,23).
È la storia dei figli orgogliosi che rimpiangono dopo quanto non hanno saputo apprezzare e cominciano i dolori e sofferenze, tutto era facile con il padre; infatti: "Con il sudore del tuo volto mangerai il pane" (Gen. 3,19).
Fuori del giardino è tutto difficile e l'uomo riconoscerà prima o poi che tutto andava bene non per il proprio merito, era il padre che provvedeva all’acqua, infatti: "nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra l'acqua dei canali per irrigare tutto il suolo" (Gen. 2,5b.6a).
Il padre in cuor suo si diceva: "vedrai che torna!". Come la parabola del "figliol prodigo" nel vangelo di Luca, ove il padre attende che in cuor suo il figlio si dica: "Padre ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio, trattami come uno dei tuoi garzoni" (Lc. 15,18b.19) perché sa che dopo "Partì e si incamminò verso suo padre" (Lc 15,20).
Intanto, nel parallelo con la bottega, il padre in mancanza del figlio vi pone i garzoni in attesa che il figlio ritorni; infatti, Dio: "pose ad oriente del giardino di Eden i Cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via dell'albero della vita" (Gen. 3,24).
Per contro, questi Cherubini sono una traccia d’aiuto lasciata da Dio per ritrovare "il sacro", la via all'albero della vita, segno visibile per chi Lo cerca, che annuncia la presenza di Dio e degli ultimi tempi.
Di certo questa via all'albero della vita non riguarda la vita fisica, perché nonostante che la via all'albero della vita fosse custodita, il primo versetto del Capitolo 4 del Genesi, successivo a quello ricordato precisa che: "Adamo si uni a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: ho acquistato un uomo dal Signore. Poi partorì ancora suo fratello Abele" (Gen. 4,12a).
Come si può constatare il padre non ha negato il dono di dare la vita fisica, come l’hanno avuto gli animali, ma Adamo conosceva ancora solo questo livello.
Questi Cherubini, potenze che servono il Signore, custodiscono così la via alla vita in pienezza, quella eterna, l'accesso al Paradiso, sono la porta del cielo.
In definitiva, sono stati posti in favore dell'uomo, non contro l'uomo.

I CUSTODI DEL GIARDINO ED I PATRIARCHI
L'uomo comprende Dio solo nella misura in cui Lui si porta al suo livello e, nella categorie degli angeli, i Cherubini umanizzati sono proprio l’espressioni massima della potenza di Dio che l’uomo è riuscito a descrivere.
Peraltro, l'uomo per parlare di Dio non può che fare confronti ed istaurare paralleli con concetti che possono essere recepiti nella propria sfera e gli angeli, nel caso specifico, hanno scopi e funzioni analoghe a quelle che possono avere le guardie a custodia della reggia e le guardie del corpo che annunciano la presenza del re.
A tale proposito l’autore biblico, figlio del proprio tempo, attinse a piene mani dall’iconografia assiro-babilonese ed egiziana.
Tali potenze, che vengono poste al confine del giardino e Dio se ne serve per custodire l'albero della vita, sono prossime perciò alle acque che l’alimentano e che nell’immaginario dell’autore provengono dal cielo e, se la valle del Giordano è l’idea dell’antico Eden, si troveranno ai suoi guadi, vicino ai suoi affluenti, ai pozzi alimentati dalle sue falde; insomma attorno a quel fiume fino all’estremità dello spartiacque, fiume che, com’è visibile, fu interrotto orograficamente dalla depressione del Mar Morto, attribuita all’ira di Dio per il peccato degli uomini.
In base ai racconti e alle generalogie bibiche dei patriarchi, la Genesi segnala i primi incontri con angeli solo dopo la chiamata (Capitolo 15 del Genesi).
In tale occasione promette (Gen. 15,18-11) "alla tua discendenza io dò questo paese dal fiume Egitto al grande fiume il fiume Eufrate", cioè tutta la terra della descrizione dell'isola felice bagnata dall'acqua del fiume della terra dell'Eden (Vedi Gen. 2,8-14).
La prima volta che appare un angelo nei racconti del Genesi è ad Agar, serva di Sara moglie di Abramo, dalla quale, su suggerimento della stessa Sara vecchia e sterile, Abramo avrà il figlio Ismaele e questo incontro avviene ad una sorgente, Locai-Roi (Gen. 16,7).
Quattro anni dopo si verifica il noto incontro di Abramo con i tre uomini misteriosi alle querce di Mamre (Capitolo 18 del Genesi) che gli annunciano la nascita del figlio di Isacco.
Uno era il Signore stesso, che discute con Abramo come con un amico e gli altri due, come chiarisce il Gen. 19, sono angeli che andranno poi a salvare Lot ed a distruggere nella valle Sodoma e Gomorra.
Sono questi da collegare ai Cherubini che "pose ad oriente del giardino di Eden i Cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via dell'albero della vita" (Gen. 3,24); il che confema l’idea per l’autore del Genesi (Vedi "Il Giardino dell’Eden") di dov’era il paradiso terrestre.
Si ricorda, infatti, che in precedenza Abramo e suo cugino Lot si erano separati e Lot per risiedere aveva scelto la valle del Giordano "che era un luogo irrigato da ogni parte; prima che il Signore distrugesse Sodoma e Gomorra era come il giardino del Signore" (Gen. 13,10).
Ne viene in chiaro l’idea che la cacciata dal giardino terrestre non è fisica, perché di fatto l'uomo (come gli abitanti di quelle città della valle) può anche risiederci, ma anche se tutto è come prima dello sprofondamento del Mar Morto, l'uomo non è lo stesso in quanto è ormai nell'inferno, perché è nel peccato, cioè non nota più la presenza di Dio, cioè è uscito dal paradiso e l’autore sottolinea: "Ora gli uomini di Sodoma erano perversi e peccavano molto contro il Signore" (Gen. 13,13).
Abramo e Lot, invece, hanno ritrovato il Signore e sono in paradiso, solo Lot, infatti, che seguiva la giustizia vide che quella terra era come quella del giardino dell'Eden; l'insegnamento che se ne trae è che non basta un paradiso esteriore, occorre avere un paradiso interiore.
Se ne ricava che il paradiso terrestre come luogo fisico non ha più senso, in quanto può anche essere distrutto e così avviene con Sodoma e Gomorra.
Abramo così dopo l'alleanza con Dio torna al paradiso interno e parla con Lui faccia a faccia come un uomo con un altro uomo (Gen. 18).
Gli Angeli stanno ora custodendo non il giardino fisico, che è una metafora d’una realtà spirituale, in quanto lì ci si può rientrare, ma l'accesso alla via all'albero della vita eterna e ne segnalano la presenza a chi s’avvicina al Signore per il ristabilimento del paradiso interiore.
La Bibbia con ciò cancella una visione solo terrena del disegno d’amore di Dio per l'uomo ed introduce la ricerca d’una terra promessa d’altro livello ed in questo senso il libro del Genesi è un "midrasch" (da "daresch" in ebraico "ricercare") cioè una "ricerca spirituale".
Abramo, pastore e vecchio, aveva due desideri, avere una terra ed una discendenza, ma Dio con la storia gli fece capire che la terra che prometteva era altro.
È la pedagogia dell'iniziazione, la stessa che adotterà per l’idolatrare del tanto desiderato figlio Isacco, tanto che Dio lo chiede ad Abramo in sacrificio sulla rupe del monte Moria (Gerusalemme già sotto il Santo dei Santi del Tempio, ora sotto la Moschea di Omar).
Abramo dopo un grande dramma interiore obbedisce, ma appare "l'angelo del Signore" gli ferma la mano e fa la promessa solenne: "ti benedirò di ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare. Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra" (Gen. 23,17s).
Abramo così impara che i suoi desideri sono imperfetti e limitati e diviene padre nelle fede di Ebrei, Cristiani e Mussulmani, come da promessa, d’una impensabile moltitudine, certezza così anche d’una futura residenza impensabile.
Le tracce per arrivare alla via all'albero della vita continuano però anche per le attuali generazioni a passare fisicamente per quell’antica terra benedetta, santa per il monoteismo, residenza d’uomini santi, come allora Abramo e Lot che, quali angeli con la spada fiammeggiante dello Spirito, ammoniscono il peccato degli uomini, causa oggi di tanta violenza e morte proprio per quei luoghi santi.
Isacco, il figlio promesso dal Signore ad Abramo, visse come pastore nomade, sempre alla ricerca di fonti d'acqua, nel Negheb e non nella valle del Giordano.
Il figlio benedetto da Isacco, Giacobbe, quando parte da Bersabea per andare a nord a cercare moglie, a Carran in Siria come voleva il padre, appena entra per la prima volta sul limitare a sinistra della valle del Giordano, la valle dell’Eden, fa sosta sulle colline e fa un sogno.
Giacobbe era a 15 Km a nord da dove Abramo aveva incontrato il Signore (Mamre-Ebron), 45 Km a nord rispetto al punto in cui il padre Isacco stava per essere sacrificato (Moria-Gerusalemme) e sognò: "Una scala poggiava sulla terra mentre la sua cima raggiungeva il cielo: ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa" (Gen. 28,12).
Tale sogno evidenzia come gli ebrei considerano sacra questa terra come loro paradiso terrestre; infatti, Giacobbe al risveglio disse: "Certo il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo. Ebbe timore e disse: quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo" (Gen. 28,16.17), cioè la porta del paradiso.
C'è qui il collegamento tra cielo e terra, dove le acque dell’energia del Dio del cielo, danno la vita alle acque terrene e Giacobbe lo chiamò Betel, "Casa di Dio".
In Siria Giacobbe si sposò, fece fortuna e dopo 14 anni tornò fuggendo via da Labano, suo suocero, con figli, mogli e averi, servi e serve.
Al guado dello Iabbok, affluente di sinistra del Giordano, sulla sponda dell giardino dell’Eden originario (che occupava tutta la vasta depressione del Mar Morto) non molto lontano da Adamah, Giacobbe fa passare tutta la sua carovana e s’attarda da solo; puntuale appare un inviato del Signore che "lottò con lui fino allo spuntare dell'alba" poi questi "gli domandò come ti chiami? Rispose Giacobbe. Riprese non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto" e lo benedisse (Gen. 22,26-29).
Giacobbe non era il primogenito, aveva estorto con astuzia la primogenitura al fratello Esaù e poi l'aveva carpita con l'inganno al padre, con l'aiuto della madre, e ora l'ottiene con la benedizione da Dio stesso.
Dopo varie vicende Giacobbe proprio a Betel, nel posto ove aveva sognato gli angeli che salivano e scendevano la scala, Dio in persona gli parlò di nuovo con la promessa dagli stessi contenuti di quella fatta ad Abramo e ad Isacco:
- un popolo e una assemblea di popoli;
- il paese.
Bene! Giacobbe ebbe 12 figli, non ebbe il paese.
La promessa è spirituale, il popolo è il popolo di Dio, i popoli le nazioni da evangelizzare, il paese non è ora più la valle del Giordano, ma dirà Gesù: "andate in tutto il mondo e predicate il vangelo" (Mc. 16,25).

I CHERUBINI ED UN POPOLO
Passano le generazioni, dopo oltre quattro secoli i discendenti di Israele, un popolo, è schiavo in Egitto e Dio suscita il liberatore Mosè; la storia è nota, un popolo esce dalla schiavitù in una notte di Pasqua.
Dio ormai parla a Mosè faccia a faccia.
Il nostro tema, ricordo, era ricercare gli indicatori della traccia, i Cherubini che erano stati messi a custodire la via all'albero della vita.
Bene! Ecco che riappaiono e li vede tutto il popolo e questi sono proprio il motore del racconto del Genesi scritto ultimo del Pentauteuco.
Dio infatti consiglia a Mosè di porre bene in vista per il popolo il segno dei Cherubini quando nel libro dell’Esodo dà le prescrizioni per la costruzione dell'Arca dell’alleanza: "Nell'arca collocherai la testimonianza che io ti darò. Farai il coperchio, o propiziatorio, d'oro puro. Farai due Cherubini d'oro; li farai lavorati a martello sulle due estremità del coperchio. I Cherubini avranno due ali stese disopra proteggendo con le ali il coperchio, saranno rivolti l'uno verso l'altro e le facce dei Cherubini saranno rivolte verso il coperchio ... Io ti darò convegno appunto in quel luogo: parlerò con te da sopra il propiziatorio, in mezzo ai due Cherubini che saranno sall'arca della testimonianza..." (Es. 25,16-22).
L'arca con i Cherubini dalle ali incrociate, ad intimare attenzione, è nomade durante il pellegrinare di secoli nel deserto e nella terra di Canaan fino alla completa conquista della Palestina, da Mosè a Giosuè; poi con i giudici ed i re Saul e David, non ha stabile dimora, è sulle stanghe portate dai Leviti in vista del popolo ed i Cherubini con lo sguardo rivolto al coperchio in pratica dicono: il sacro é qui!
Qui c’è la testimonianza, c’è il decalogo scritto su tavole di pietra, questa legge, ora è la via all'albero della vita, la via alla santità.
Questa legge è l'essenza di Dio, è la promessa che Lui trasformerà chi appartiene al suo popolo e così hanno creduto e credono gli Ebrei; infatti, nel Levitico (19,1), prima di dare il decalogo dice a Mosè: "Parla a tutta la comunità degli Israeliti e ordina loro: siate santi, perché io il Signore, Dio vostro, sono santo".
Tutta la legge è un commento alla santità di Dio che Dio promette al popolo: "Io vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne". (Ez. 36,26); cioè questa legge su tavole di pietra che sta nell'arca (1Re 8,9) sarà viva ed assicurerà la vita nei cuori di chi la segue.
Mosè nel Deuteronomio (32,46), dopo che tutta la Torah, fu pronunziata al popolo d'Israele, dice: "Porrete nella vostra mente tutte le parole che io oggi uso come testimonianza contro di voi. Le prescriverete ai vostri figli, perché cerchino di eseguire tutte le parole di questa legge. Essa infatti non è una parola senza valore per voi; anzi è la vostra vita; per questa parola passerete lunghi giorni sulla terra di cui state per prendere il possesso, passando il Giordano."
Questi libri che costituiscono di fatto il commento al decalogo che sta nell'arca, Mosè ordinò che venissero posti accanto all'Arca: "Prendete questo libro della legge e mettetelo a fianco dell'arca dell'alleanza del Signore vostro Dio; vi rimanga come testimonio contro di te; perché io conosco la tua ribellione la durezza della tua cervice" (Deut. 31,26.27).
È evidente allora la funzione di questi Cherubini, indicare e proteggere, difendere e conservare, essere traccia visibile come si legge nel profeta Ezechiele: "Eri come un cherubino ad ali spiegate a difesa, io ti posi sul monte santo di Dio e camminavi in mezzo a pietre di fuoco" (Ez. 28,14).
Anche sul velo nella tenda per la separazione tra il santo ed il "santo dei santi", saranno disegnati dei Cherubini: "Farai il velo di porpora viola, di porpora rossa, di scarlatto e di bisso ritorto. Lo si farà con figure di Cherubini, lavoro di disegnatore" (Es. 26.41).
Il disegno di questi Cherubini per la separazione dal Santo dei Santi sarà poi una costante per tutte le sedi stabili successive; cioè per il tempio di Salomone (959-952 a.C.), per il secondo tempio (520-515 a.C.) e poi per il tempio di Erode (19-9 a.C.).
C'era un divieto: "Non farti immagine alcuna; non ti prostrare dinnanzi ad essa" (Es. 20,4 Deut. 5,8) "Non elevate immagini scolpite per prostrarvi" (Deut. 7,25) "Maledetto l'uomo che fa una immagine scolpita" (Deut. 27,15), eppure queste immagini dei Cherubini sull'arca e sul velo furono volute dallo stesso Dio, perché segno che li è presente il santo, la via all'albero della vita.

ALLA CONQUISTA CON GIOSUÈ
Il popolo che Iahvèh fece uscire dall'Egitto, come faceva il padre della parabola già narrata, doveva essere introdotto nella terra fisica che gli era stata promessa per venire educato in modo solido alla spiritualità dell'ebraismo, sul cui ceppo innestare, la Santità per tutti gli uomini.
Mosè però non entra nella valle del Giordano, ma gli viene fatta vedere dall'alto dello spartiacque, dal Monte Nebo, sulla sinistra del fiume al suo sbocco nel Mar Morto, davanti a Gerico; non entra in questa terra fisica, ma entra in quella che Dio gli ha preparato.
Gesù, infatti, nella visione della "trasfigurazione" parlerà con Mosè e con Elia (Matteo 17,1-8 Marco 9,2-8 Luca 9,28-36).
Dio, per fare entrare il popolo, si servirà d’un altro condottiero, dell'inserviente che Mosè s’era allevato, di Giosuè (variante del nome di Gesù, e di questi profezia), uno degli esploratori della terra promessa che 40 anni prima non aveva dubitato che Dio li avrebbe potuti far entrare nel paese vincendone i residenti.
Il popolo, schierato secondo tribù, con in testa l'Arca ed i leviti, s’accampò alle falde del Monte Nebo ad Abel-Settim e da lì, con l'Arca in testa con sopra i Cherubini, si mosse per l'invasione attraversando il Giordano nelle steppe di Moab a 5-6 Km dallo sbocco del fiume nel Mar Morto, a Sud-Est di Gerico (a non più di 8 Km).
Seguendo l’Arca, cioè i Cherubini che v’erano sopra, rientrano nel territorio promesso; l'ordine era infatti: "Quando vedrete l'Arca dell'alleanza del Signore Dio vostro e i sacerdoti leviti che la portano, voi vi muoverete dal vostro posto e la seguirete, ma tra voi ad essa vi sarà la distanza di circa duemila cubiti (1000 m): non avvicinatevi. Così potrete conoscere la strada dove andare, perché prima d'oggi non siete passati per questa strada" (Gios. 3,3-4).
Cioè di fatto Dio stesso li guidava in mezzo ai Cherubini dell'Arca; i Cherubini indicano la strada.
Le acque del Giordano di fronte a Dio s’arretrano in Adamà, città a nord lungo il fiume distante circa 30 Km, ed i leviti che trasportavano l'arca con i suoi Cherubini si fermarono a piedi asciutti nel letto del fiume mentre tutto il popolo passava anch'esso all'asciutto come all'apertura del Mar Rosso ed il giorno dopo era Pasqua.
Da quel giorno smise di cadere la manna come segno che erano nella terra che si collegava al cielo e che i frutti di quella terra erano frutti benedetti da Dio.
Nella valle del Giordano, davanti a Gerico, Giosuè si incontrò con un uomo misterioso "che aveva in mano una spada sguainata" (Gios. 5,13) come i Cherubini e la fiamma della spada sfolgorante per custodire la via all'albero della vita di Gen. 3,24b e questi parlò :"Io sono il capo dell'esercito del Signore ... Disse a Giosuè: Togliti i sandali dai tuoi piedi, perché il luogo sul quale tu stai é santo" (Gios. 5,15).
Con l'aiuto di Dio che interviene con miracoli e grandi segni, Giosuè conquista il territorio per Israele e vince sette nazioni grandi e potenti, Hittiti, Gergesei, Amorrei, Periziti, Evei, Cananei, Gebusei, e tale liberazione è figura dell'uomo dalla schiavitù del peccato e dai sette vizi; ed anche quella volta la via all'albero della vita è stata custodita e guidata dai Cherubini.

GLI ANGELI ED ELIA
Nell'869 a.C. su Israele regnava Acab che lasciò che la moglie Gezabele, figlia di un re fenicio, introducesse nel paese il culto di Baal e di Astarte ed insediasse 450 profeti dall'uno e 400 sacerdoti dall'altra al servizio della casa reale con funzioni ufficiali e molti Israeliti passarono al culto pagano.
Dio suscitò il profeta Elia, il precursore del precursore, una Giovanni Battista ante litteram, rude e rigoroso, cresciuto ai limiti del deserto, austero, solitario, vestito rozzamente di crini e di cuoio.
La sua parola fu sferza per quel re e per sua moglie.
La storia d’Elia (in 1° e 2° Re) c’interessa per evidenziare alcuni aspetti legati agli angeli, al Giordano ed alle sacre acque dell’Eden.
Elia, dopo che nel famoso sacrificio sul Carmelo aveva dimostrato che solo Iahvèh è Dio e non lo è Baal ed aveva fatto uccidere i 450 profeti di questo idolo, fu costretto a fuggire per evitare la ritorsione d’Acab e di Gezabele e, demoralizzato, si rifugiò nel deserto.
A Bersabea di Giuda nel Negheb a 35 Km, ad Ovest del Mar Morto, ormai sfinito, si lasciò cadere sotto un ginepro ed un angelo dell limitare del giardino gli offrì pane acqua e gli disse: "Su mangia, perché è troppo lungo per te il cammino" (Re. 19,7) e gli indicò la via per la vita.
Con questo poco cibo, segno d’un pane spirituale, Elia si porta fino all'Oreb dove Dio gli si manifesta, lo rinfranca e gli dà istruzioni per la missione e lo fa tornare con vigore sui suoi passi.
Vicino a Gerico, praticamente allo sbocco nel Mar Morto, nel solito posto del Giordano dove ci fu il passaggio di Giosuè, Elia seguito da Eliseo l’attraversa a piedi asciutti colpendo le acque con il mantello arrotolato, poi viene rapito al Cielo ed al ritorno anche Eliseo, ripetendo il gesto col mantello di Elia, riesce a passare il Giordano all'asciutto; il mantello indicava l'investitura del profeta da parte dello Spirito Santo.
Quel punto del Giordano è un punto particolare tutta la Bibbia è tesa a quel guado, come vedremo ancora.
L'attesa, la tensione è rivolta li ove c'è per l’autore del Genesi la "porta del cielo"; li ci sono gli angeli, i Cherubini, li Dio si manifesta, li bisogna andare per trovare le tracce per la vita.

VISIONE DEL CARRO DI FUOCO
Nel 573 a.C. presso il canale Chebar che scorreva nel cuore della Bassa Messopotamia, da Babilonia fino a Uruch per circa 160 Km e questi era un canale d’irrigazione che tagliava un'ansa del Tigri, vicino a Ur cittè d’Abramo all’estremo confine della terra promessagli da Dio ricomincia una chiamata.
Attorno a questa città, infatti, Abramo, oltre 1.200 anni prima conduceva la vita da nomade sentì il Signore dirgli: "Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò" (Gen. 12,12).
In questa terra nel 582-581 a.C., circa 600 anni dopo la conquista della terra promessa di Giosuè, vi furono deportati i Giudei quando ci fu l'esilio Babilonese, evento in cui i profeti hanno visto l'opera di Dio per purificare il suo popolo e portarlo ad un ulteriore salto nel cammino della fede.
È il tempo d’una grande tensione, iniziano le profezie della liberazione, dell'attesa escatologica del Messia ed un resto ritrova la saldezza nella religione.
Per non venire assimilati dai Babilonesi osservarono scrupolosamente la festa del sabato e fanno circoncidere i figli per distinguersi dai vicini.
Intensa fu l'attività letteraria e le antiche tradizioni vennero rielaborate e preservate, in pratica nasce il giudeismo e grande fu la fioritura profetica.
Appunto nel 573 a.C. il profeta Ezechiele lungo tale canale Chebar ebbe la nota visione della "Merkabah", il carro di fuoco di Iahvèh che ha acceso tante fantasie:
"Io guardavo ed ecco un uragano avanzare dal settentrione, una grande nube e un turbinio di fuoco, che splendeva tutto intorno e in mezzo si scorgeva come un balenare di elettro incandescente. Al centro apparve la figura di quattro esseri animati, dei quali questo era l'aspetto: avevano sembianze umane e avevano ciascuno quattro facce e quattro ali ... Sotto le ali, ai quattro lati, avevano mani d'uomo; tutte e quattro avevano le medesime sembianze ... Mentre avanzavano, non si volgevano indietro, ma ciscuno andava diritto avanti a sé. Quanto alle loro fattezze, ognuno dei quattro aveva fattezze d'uomo; poi fattezze di leone a destra, fattezze di toro a sinistra e ognuno dei quattro, fattezze d'aquila ... Ciascuno si muoveva d'avanti a sé; andavano là dove lo spirito li dirigeva e, muovendosi, non si voltavano indietro. Tra questi esseri si vedevano come carboni ardenti simili a torce che si muovevano in mezzo a loro. Il fuoco risplendeva e dal fuoco si sprigionavano bagliori ... Al di sopra delle teste degli esseri viventi vi era una specie di firmamento, simile ad un cristallo splendente, disteso sopra le loro teste, e sotto il firmamento vi erano le loro ali distese... Quando essi si muovevano, io udivo il rombo delle ali, simile al rumore di grandi acque, come il tuono dell'Onnipotente, come il fragore della tempesta, come il tumulto d'un accampamento ... Sopra il firmamento che era sulle loro teste apparve come una pietra di zaffiro in forma di trono e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane. Da ciò che sembrava essere dai fianchi in su, mi apparve splendido come l'elettro e da ciò che sembrava dai fianchi in giù, mi apparve come di fuoco. Era circondato da uno splendore il cui aspetto era simile a quello dell'arcobaleno nelle nubi in un giorno di pioggia. Tale mi apparve l'aspetto della gloria del Signore" (Ez. 1,4-17.22-24.26-28a).
(Vedi "Il Carro di fuoco di Ezechiele: Ufo o macchina del tempo?" che si inquadra nella tematica affrontata in relazione a quanto detto in "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche".)
È la splendida descrizione della Scekinà, la Gloria del Signore, che è la visione di realtà spirituale filtrata all'uomo attraverso elementi sensibili.
Tra la realtà e ciò che si capta, che si riesce a ricordare, che si riesce a scrivere e che l'altro riesce a ricevere ci possono essere salti enormi; tuttavia il risultato di questa descrizione e veramente sensibile.
Ora nel carro di fuoco della visione ci sono questi quattro esseri con le fattezze d’animale e d’uomo che ricordano i "Karibu" babilonesi, geni della forma mezzo umana e mezzo animale che custodivano templi e palazzi ed erano alle loro porte; secondo l'iconografia orientale erano sfingi alate, esseri dalla testa umana, corpo di leone, zampe di toro e ali d'aquila che rappresentano le qualità dei custodiva: uomini, forti, saggi ed agili.
I Cherubini che si trovavano sull'Arca divengono animati e divengono i portatori della Merkabah, presenza di Iahvèh in quanto Iahvéh "siede sui Cherubini", "cavalca i Cherubini" (1Sam. 4,4; 2Sam. 6,2; 2Sam. 22,1; 2Re. 99,15; Sal. 18,11-80,2-99,1) ed Ezechiele stesso in un altro passo dice: "Erano i medesimi esseri che io avevo visto sotto il Dio d'Israele lungo il canale Chebar e riconobbi che erano Cherubini" (Ez. 10,20).
Sull'Arca sono due, qui quattro, ma l'Arca è modello monodirezionale, in quanto portato dal Leviti per il popolo che la deve seguire, ed è la razionalizzazione semplice d’una visione piu' complessa, infatti qui il carro è un modello ad un livello più raffinato, poichè può andare nelle quattro direzioni dove sono stati dispersi gli Israeliti, ed è realizzato in modo che in ogni direzione si possano vedere due Cherubini e Dio in mezzo come per l’Arca.
Peraltro, nella descrizione delle successive visioni di Ezechiele relative al tempio futuro (Ez. 40-44) non c'è indicazione della presenza dell'Arca (evidentemente andata distrutta con il primo Tempio), ma quando il Tempio viene riempito della Gloria del Signore descrive: "Ecco che la gloria del Dio d'Israele giungeva dalla via orientale ed il suo rumore era come il rumore delle grandi acque e la terra riplendeva della sua gloria. La visione che io vidi era simile a quella che avevo vista ... presso il canale Chebar. Io caddi con la faccia a terra. La gloria del Signore entrò nel tempo per la porta che guarda a oriente" (Ez. 43,1-4).
Il segno è evidente, il Signore, Dio stesso viene fino a lì, a Babilonia a prendere gli esuli, si metterà lui stesso alla testa e si ricostituirà la carovana come per l'uscita dall'Egitto, come il percorso nel deserto, come per l'ingresso nella terra promessa con Giosuè.
Lui stesso con i suoi Cherubini indicherà la traccia e soprattutto darà la forza necessaria.

IL BATTESIMO, RITORNO A CASA
Il battesimo è il primo momento della vita di Gesù descritto da tutti e quattro gli evangelisti.
Ora Giovanni, detto il Battista, s’era ritirato nel deserto della Giudea, presso le steppe di Moab sulla sponda sinistra del Giordano, nella Perea e lì viveva da eremita, anzi da nazireo, cioè da separato e consacrato.
Con lui c'erano dei discepoli (Gv. 1,35), predicava "Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino" (Mt. 3,1) e battezzava quanti, confessando i propri peccati, accorrevano a lui da Gerusalemme, dalla Giudea e dalle zona adiacenti al Giordano.
Il vangelo di Giovanni precisa che la località era Betania, ma la "Betania, aldilà del Giordano" (Gv. 1,28b) per non confonderla con il villaggio dove abitavano Lazzaro e le sorelle Marta e Maria, alle pendici orientali del Monte degli Ulivi, vicino a Gerusalemme.
Quest'altra Betania, aldilà del Giordano è identificabile con l'antica Bet-Bara ("Casa del passaggio"), dalla parte opposta di Gerico rispetto al fiume, dove c'è un guado importante e le carovane passavano da li (Vedi Giudici 7,24), il guado di Hajlah che è un po' a nord, ma non di molto rispetto al punto che la tradizione indica per il miracoloso passaggio all'asciutto dell'arca con Giosuè ed in questo luogo venne anche Gesù per essere battezzato.
Dove c'è quel guado per le carovane il deserto per chi arriva si trasforma imprevedibilmente in una terra fertile e rigogliosa, un'oasi in contrapposizione sorprendente con la pietraia riarsa limitrofo.
Si è già accennato ("Il Giardino dell’Eden") come, per capire la predicazione del Battista, non si possa fare astrazione dalla geografia dei luoghi e come il "Preparate la via del Signore" da lui gridato, ripetendo la profezia di Isaia, diventava fisicamente evidente in quanto, colmando burroni e vallate ed abbattendo le colline verso sud, quel verde avrebbe riguadagnato tutto il deserto come era prima del peccato, quando il Giordano avrebbe potuto riprendere il suo corso fino al Mar Rosso.
Qui viene Gesù per l'inizio della sua missione a riprendere le tracce della via all'albero della vita, per fare un segno comprensibile agli ebrei del suo tempo, portandosi praticamente nel punto dov’era ritenuto palese l’effetto dal peccato, poco più a nord da dove il Giordano che, nato dall’Ermon si riteneva portasse l'acqua del cielo, aveva smesso di scorrere fino al Mar Rosso, per la depressione del Mar Morto.
Per gli abitanti di quell’area, infatti, l’unico nevaio che si potesse trovare in un raggio di oltre 1000 Km era su quel monte, bianco come il Vegliardo, l’Ermon visto come punto speciale di comunione con il cielo, consacrato a portare l’energia di Dio, tramite il Giordano che da lui nasce.
Giovanni Battista, di Gesù dice: "Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua, perché egli fosse fatto conoscere ad Israele" (Gv. 1,31).
Gesù viene, quindi, in forma ufficiale, perché sia noto a tutto Israele che ora c'è una nuova traccia da seguire; che Lui, di fatto, è il nuovo Giordano, è Lui che porta la vita.
Sacerdoti e leviti, mandati dai farisei, in pratica chiedevano a Giovanni con quale autorità compisse l’atto, infatti: "Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta? (cioè il Messia)" (Gv. 1,25) e da queste domande si può intuire come ci fosse un'attesa d’essere battezzati, cioè sommersi da un'acqua che viene da Dio, il compimento d’una attesa escatologica della riconquista di una comunione perduta; e risponderà lui battezza con acqua soltanto "ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: l'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo" (Gv. 1,34b).
Il vangelo di Matteo (3,11c) precisa "Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco"; cioè l'acqua è solo segno fisico esteriore di un’acqua che scendere dal cielo.
Sintetica ed essenziale è la descrizione del Vangelo di Marco, scritto per i Romani, gente pratica: "uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì una voce del cielo: Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto" (Mc. 1,10.11).
Ogni atto qui descritto s’inquadra nella tesi che si sta sviluppando e quel vide aprirsi i cieli è segno del momento atteso dagli uomini di tutti i tempi, la prova del trascendente,; è l’informazione evangelica che s’è riaperto una varco fra cielo e la terra, tra Dio e l'uomo e scende lo Spirito Santo, l'amore che Dio ha per l'uomo in forma di colomba e Dio stesso parla, dopo tanto tempo in modo inequivocabile: Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto.
Gesù è così per gli evangelisti il ponte tra il Padre e l'uomo, il nuovo Giordano spirituale che collega al Padre, è la traccia per la Vita Eterna, Lui è la Via.
È Lui il nuovo tempio, in quanto dal suo costato uscirà l’acqua profetizzata da Ezechiele che risanerà dal Mar Morto (47,8-10) figura del peccato.
Gesù, infatti, con la passione in croce profetizza poi fisicamente la comunione tra le acque di Dio, rappresentate dal Giordano, tramite le acque del suo costato che gli usciranno dalla croce con il sangue per ridonare il paradiso e la salvezza a tutti gli uomini.
L’immagine dei quattro esseri viventi, i Cherubini del giardino che si vedono da ogni direzione del carro di fuoco di Ezechiele, verranno poi ripresi nel libro dell’Apocalisse (4,7-8) e l'iconografia cristiana v’ha visto gli evangelisti.
Quel carro è figura dell’evangelizzazione che va ai quattro angoli del mondo, chiama e riporta i figli di Dio; Gesù, infatti, inviò i suoi discepoli come i Cherubini dell'Arca "... a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi" (Lc. 10,13) "...e dite loro: s’è avvicinato a voi il Regno di Dio" (Lc. 10,9).
Il parallelo con i Cherubini che distrussero Sodoma e Gomorra diviene esplicito: "E se non li accoglieranno io vi dico che quel giorno Sodoma sarà trattata meno duramente di quella città" (Lc. 10,12).
I Cherubini, che indicano la via all'albero della vita, sono ora i discepoli di Gesù di Nazaret; "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro" (Mt. 18,20) come fossero i Cherubini sull’Arca e Lui è il paradiso.
I cristiani che rimmergono nelle acque del battesimo nel Suo Nome entrano nella comunione delle acque di vita.

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