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DECRIPTAZIONE BIBBIA...

 
COSA NASCONDE IL RACCONTO DI NOÈ E DEL DILUVIO?

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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ANTEFATTI AL DILUVIO - CORRUZIONE DELL'UMANITÀ
Dato tutto ciò per acquisito, entro nel vivo del racconto del Diluvio.
Il diluvio è descritto nei Capitoli 6, 7e 8 del Genesi e lo introducono otto versetti, considerati "passo difficile" di conclamata tradizione Iahvista.
Riporto i primi quattro versetti: "Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Allora il Signore disse: Il mio spirito non resterà sempre nell'uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni. C'erano sulla terra i giganti a quei tempi - e anche dopo - quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell'antichità, uomini famosi." (Gen. 6,1-4)
L’immaginario collettivo ha molto lavorato su queste parole; c’è, infatti, chi ritiene che riportino l’opinione di leggende popolari d’unioni tra angeli decaduti e donne, "le figlie degli uomini", da cui sarebbero nati i giganti.
Altri ritengono che "i figli di Dio", di cui lì è detto, siano gli uomini della discendenza di Set e le figlie degli uomini, della discendenza di Caino.
Si è pure pensato che sia una semplicistica spiegazione degli antichi sui ritrovamenti - che vi saranno pur stati anche a quei tempi - di grandi ossa d’animali, reperti d’epoche geologiche, quali i dinosauri, di cui non sapevano darsi spiegazione e così non citati nella descrizione della creazione del Genesi.

In questi versetti, in ebraico, i figli di Dio sono i bené - ‘Elohim e le figlie degli uomini - le benot ‘adam .
Entrambi questi termini sono ripetuti due volte, il che in genere è un avviso.
Su "figlie degli uomini" non c’è possibilità di errore di identificazione, né valutazione di demerito; l’uomo di cui sono figlie è Adamo, creato dal Signore Dio, cui ha comandato "siate fecondi e moltiplicatevi".
Il problema d’identificazione è nei "figli di Dio".
Sull’idea degli angeli decaduti c’è una domanda ironica, entrata nell’immaginario collettivo, visto che si dovrebbe trattare del loro sesso: ma gli angeli sono maschi?
Faccio osservare che il termine , che in ebraico si traduce Dio, leggendone i segni, è un termine relativo = "il primo dei potenti ", e molti nell’antichità si sono definiti dei e/o lo sono stati considerati da altri e questi, nella sfera biblica sono ritenuti figli del demonio e del serpente antico, "la più astuta di tutte le bestie selvatiche".
Potrebbero perciò essere "figli degli dei" i figli dei primi potenti che si fanno chiamare "dio" e che sono considerati "dei" sulla terra.
Nell’area degli scritti biblici i figli dei faraoni erano a tutti gli effetti figli di dei.
Tra l’altro, racconta la Torah, che la morte dei primogeniti potenti d’Egitto e del faraone fu la decima piaga che Dio provocò per piegarne la volontà e per dimostrare che la propria potenza era superiore a quella magica dei suoi sacerdoti e degli dei di quella cosmogonia.
Tra l’altro il faraone, nemico per antonomasia del popolo ebraico, tramite la prima dinastia dei Teniti, era figlio del serpente antico, che personalizza l’Egitto idealizzato nel Nilo ed immaginato con il corpo sinuoso come un dragone con sette teste, quante allora erano le foci di sbocco del suo delta nel Mediterraneo.
Nel testo di quei quattro versetti, poi, fra le due citazioni dei "figli di dio" è inserita una considerazione da parte del vero Dio, a modo di soliloquio, nel quale si dissocia da quei fatti - come a dire non sono io il padre di quei figli - e dall’autore del Genesi si fa definire non Elohim = , ma il Signore = "Allora il Signore disse: Il mio spirito non resterà sempre nell'uomo ... "
La dimostrazione che questa razza dei figli del serpente c’è, sta nel Genesi stesso, quando Dio maledice il serpente ed evidenzia l’esistenza di due stirpi: "Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe".
Nel libro dei Numeri (33,3) c’è una prova che i potenti egiziani sono gli Elohim: "Partirono da Ramses il primo mese, il quindici del primo mese. Il giorno dopo la Pasqua, gli Israeliti uscirono a mano alzata, alla vista di tutti gli Egiziani, mentre gli egiziani seppellivano quelli che il Signore aveva colpiti tra di loro, cioè tutti i primogeniti, quando il Signore aveva fatto giustizia anche dei loro dei." e qui per "dei" usa ed era morto, come si è detto, anche il primogenito del Faraone che era sicuramente uno dei (La resurrezione dei primogeniti di Decriptare la Bibbia).
Nella descrizione della situazione esistente prima del diluvio c’è un accento ironico con: C'erano sulla terra i giganti a quei tempi - e anche dopo - ... e tradotto con giganti è il termine , ma usando la lettura dei segni si può arguire "emissari/inviati della bocca del Faraone erano i viventi " e/o, potrebbe anche essere "aborti in mare ".
Ciò fa considerare i peccati di quei tempi, i figli degli Ebrei che dovevano essere gettati nel Nilo, i corpi degli egiziani affogati nel Mar Rosso, fatti tutti bene in mente dell’autore del Genesi, che lo sottintende con quell’anche dopo.
Nel punto in cui quei versetti dicono "quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli", la parola che usa la Bibbia per quelli che nascevano non è esattamente figli, bensì gibborim, ossia "potenti valorosi, violenti"; in altre parole partorivano dei violenti.
In egiziano GB è il dio della terra, R è linguaggio, il che porta parlano il "linguaggio della terra", cioè uomini che dimenticano di venire dal cielo.
In trasparenza si è così delineata la lotta acerrima di due culture.

Ho così proceduto con il mio metodo a decriptare a tappeto quei quattro versetti, rispettando sempre i criteri ed i significati previsti nel citato metodo "Parlano le lettere" ed ho ottenuto un testo logico e conseguente che fa comprendere il perché della decisione d’intervento da parte di Dio.
Per chi fosse la prima volta che s’imbatte in questo tipo di decriptazione, onde possa avere un cenno più chiaro di come uso il metodo, do la dimostrazione della decriptazione, ma solo del primo versetto.

Gen. 6,1 - "Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie"


E fu nel mondo la forza della rettitudine che c'era ad uscire ammalata nell'uomo per il serpente che nei corpi da padrone il soffio ad inviare fu . Entrò nell'uomo la perversità () ad abitare ; con l'energia portò a segnare chi partorisce . E la potenza uscì dai viventi .

Riporto di seguito il testo decriptato dei versetti Gen. 6,1-4.

Gen. 6,1
E fu nel mondo la forza della rettitudine che c'era ad uscire ammalata nell'uomo per il serpente che nei corpi da padrone il soffio ad inviare fu.
Entrò nell'uomo la perversità ad abitare; con l'energia portò a segnare chi partorisce.
E la potenza uscì dai viventi.

Gen. 6,2
E fu nei corpi lo spirito dei morti dell'angelo (ribelle), essendo uscita la divinità che entrata era nei viventi.
Vennero figli portati segnati nel mondo, uomini (da cui) la rettitudine era nei cuori dentro finita per l'entrata energia della perversità.
Furono rovesciati nella prigione, portati dal serpente nel mondo.
Nei viventi l'angelo pose una piaga.
Il serpente delle donne i corpi che abitava ad accendere portava.

Gen. 6,3
Furono ad iniziare esseri ribelli ad esistere nel mondo portati ad uscire dai potenti in cui la calamità portavano dell'angelo (ribelle) nei corpi.
Si portò a vivere dentro l'uomo il serpente per agire, perché dentro sviando i viventi fuori li portava dall'Unico.
Dentro gli bruciava di saziarsi l'essere portandosi a vivere nei giorni, dall'Unico uscì.
Ma per agire da principe in un mare di fuoco l'angelo entrerà!

Gen. 6,4
Nel mondo caduto, fu con i viventi ad entrarvi, fu a portarsi dentro la terra ad abitare nei giorni a vivere.
Entrato nel mondo dalle matrici portò a scorrere la vita.
Iniziò ad ardere la forza della rettitudine.
L'angelo accendendo contesa con l'Unico portò dentro (altri) angeli che furono con il maledetto a stare.
La divinità che dentro abitava finì d'uscire dall'uomo essendovi (ormai) una potenza impura.
Il serpente entrato a vivere nel mondo, dai viventi, entrando, uscì la superbia nei corpi a stare.
Nei viventi iniziò a bruciare il verme perverso.
Nei viventi iniziò l'oblio del Nome.

Sembra che con queste considerazioni, e dopo la decriptazione, quel passo difficile si sia lasciato aprire mettendo in luce una situazione d’oppressione dalla quale l’uomo da solo non può uscire.
L’umanità ha subito un’invasione da parte d’un nemico, di cui il faraone è solo una delle espressioni delle possibili manifestazioni demoniache, che si è innestato come un parassita, come un verme in un frutto, ed ha fatto marcire lo splendore originario.
Questo stato dei fatti non può essere superato che con un altro atto in grado di ridare all’uomo la dignità perduta, ma occorre un’azione iniziale.
Puntuale, il testo esterno indica che siamo sul pensiero dell’autore, infatti, gli altri quattro versetti dell’introduzione proseguono così: "Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: 'Sterminerò dalla terra l'uomo che ho creato; con l'uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d'averli fatti'. Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore." (Gen. 6,5-8)

Rilevo alcune particolarità del testo:
  • È nominato per quattro volte il Signore per porre l’accento che il momento particolare comporta la Sua decisione, ma è anche un segnale al lettore di stare attento e di andare in profondità.
  • Fa rivolgere l’attenzione sul pentirsi di Dio che è indicato due volte, con un e un dal radicale = NHM; ciò però esalta un contrasto con l’idea di Dio, in quanto la Torah nel libro dei Numeri (33,19a) dice: "Dio non è uomo da potersi smentire, non è un figlio d’uomo da potersi pentire" e dopo aver letto il decriptato quel verbo piuttosto che il pentirsi fa venire in mente un "sentire compassione" che è pure nel campo delle traduzioni possibili del radicale NHM. In genere, poi, quando una parola è ripetuta due volte è da vedere cosa vogliano dire quelle consonanti in egiziano, e NHM indica anche "prender via, raggiungere da distante, salvare, liberazione, salvezza".
  • Nel testo ebraico c’è per due volte "male" con un ed un ; il primo si può tradurre = il male finirà, ed il secondo con Egitto, la terra di Ra. Il "disegno del loro cuore" , è messo in contrasto con "se ne addolorò in cuor suo" da parte di Dio .
  • Il tutto poi porta alla conclusione nella parola sterminerò , al centro dei due pentimenti, ma questa, con l’’idea di aver compassione poco a che a vedere; perciò anche questa è da guardarvi più a fondo.
Mettendo in fila questi avvisi si ricava un discorso congruente:
  • essendoci quattro volte il Signore vuole affermare che c’è precisa volontà, vale a dire "Il Signore decreta";
  • = "il male finirà";
  • il "disegno" si può dividere in " un sabato percuoterà";
  • = "l’Egitto";
  • = "e sarà a salvare (da NHM Egiziano)";
  • = "e con forza indica di voler agire e venir giù alle case dei primogeniti , del Faraone potente la casa bastonerà ";
  • = il popolo () dalla prigione uscirà .
Mettendo tutto in fila il pensiero che se ne ricava è:

Il Signore decreta: il male finirà.
Un sabato percuoterà l’Egitto e sarà a salvare
e con forza indica di voler agire e venir giù alle case dei primogeniti,
del Faraone potente la casa bastonerà,
il popolo dalla prigione uscirà.


Si rafforza il pensiero che vi sia mitizzazione di un evento storico e che l’idea motrice è la storia d’Israele, la prima Pasqua, l’uscita dell’angelo sterminatore, la morte dei primogeniti degli Egiziani, la salvezza delle case ebree, l’uscita dall’Egitto e l’apertura del mar Rosso.

Questo sviluppo convince che nel modo dell’autore di avvicinare l’argomento è insito l’invito ad entrare nell’intimità con Dio, di superare le apparenze per penetrare nei suoi precordi di misericordia, certo che i Suoi pensieri sono costruttivi per il fedele e per il suo popolo.
Il racconto indica anche il prototipo comportamentale dell’uomo giusto, perché insegna che la vera giustizia sta essenzialmente nel pentirsi sinceramente , e che ciò Dio lo trasforma poi in salvezza.

È interessante vedere come si sviluppa l’idea.
Il pentirsi si trasforma in parabola, si fa carne in un uomo che impersona l’atto che il Signore si attende dall’umanità, il rivolgersi pentita al Signore che è sicura salvezza; infatti, le lettere di quel sono pentito da parte di Dio, che si trova nel racconto, sono divisibili in "Noè un uomo è ".

È così da notare che appena Dio pronuncia una parola crea, e puntuali a quest’idea le lettere di quella parola si trasformano, ed inizia: "Questa è la storia di Noè. Noè era un uomo giusto..." (Gen. 6,9)
Quei quattro versetti si concludono con:

Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore
È da notare perciò come il racconto si sviluppa con formicolio delle stesse lettere, che si uniscono a formare parole nuove che portano al racconto per accrescimenti midrashici; cioè l’autore crea con le stesse lettere i concetti sviluppando l’idea.
Partendo da ne sposta una lettera ed esce Noè e poi invertendo le lettere Noè arriverà la parola grazia , ma andiamo per gradi.
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