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IL CANDELABRO A SETTE BRACCIA E L'ATTESA DEL MESSIA
di Alessandro Conti Puorger

Prosegue la ricerca delle tracce dell'idea del Messia nella Torah seguendo temi paralleli con i criteri di cui è detto in "Il vino nella Bibbia: causa d'incesti e segno del Messia".
Il tutto si sviluppa secondo l'idea di "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche".
Un tema che nella Torah porta certamente al Messia è il candelabro a 7 braccia, la menorah ( e o ), simbolo ebraico per eccellenza, nelle cui lucerne s'accende olio d'oliva che mescolato con aromi è l'immagine materiale di ciò che ungerà il Messia.
Su come si perviene ai risultati delle decriptazione di vari versetti, ricordo metodo e regole che ho inserito in "Parlano le lettere".

PREMESSE STORICHE ED ECHI ATTUALI
Prima d'entrare nel vivo del tema ricordo succintamente quanto risulta sulla menorah descritta nel libro dell'Esodo, sugli sviluppi della tradizione e sull'eco di queste nel cristianesimo.
Il primo candelabro a 7 braccia fu forgiato in oro da Bezaleel (Es. 31,1-11) per la Tenda del Convegno; la tradizione dice nel XIII sec. a.C..
Conservato gelosamente, fu fatto collocato nel Tempio di Gerusalemme (IX sec a.C.) da Salomone assieme all'Arca dell'Alleanza ed a tutte le relative suppellettili (2 Cr. 5,5).
Pur se non è citato specificatamente tra gli oggetti asportati, tutto fa presumere che quando il Tempio fu distrutto - 586 a.C. - il candelabro fu portato a Babilonia con gli altri oggetti d'oro.
È detto, infatti, in modo generico, che Nabucodonosor fece portare a Babilonia "gli oggetti più preziosi del Tempio". (2Cr. 36,10)
Il candelabro in modo specifico nemmeno è citato tra gli oggetti che Ciro, re di Persia, fece riportare a Gerusalemme (Esdra 1,8-11), ma è detto soltanto che "Ciro fece trarre fuori gli arredi del tempio..." (Esdra 1,7).
Nell'editto di Ciro e così ripetuto: "...gli arredi del Tempio fatti d'oro e d'argento, che Nabucodonosor ha portato via dal Tempio di Gerusalemme e trasferito a Babilonia, siano restituiti e rimessi al loro posto..." (Esdra 6,5), cioè nel Tempio che fu ricostruito nel 515 a.C..
Dopo la conquista di Gerusalemme e la distruzione del Tempio da parte dei Romani nel 70 d.C. tutto fa ritenere che il candelabro fu portato da Tito a Roma; infatti, è raffigurato in rilievo sull'arco di trionfo visibile nei pressi del Colosseo.
Daniel Sperber, professore d'arti giudaiche e di scienza talmudica all'università Bar-Ilan di Tel Aviv, nel 1994 ipotizzò che la menorah raffigurata su quell'arco non fosse l'originaria, perché il candelabro del bassorilievo dell'arco di Tito ha due piattaforme esagonali non descritte nella Torah con immagini non giudaiche di dragoni, e suggerì che fosse un candelabro pagano prelevato da Didima, presso Mileto, in Anatolia, in sostituzione dell'originale che i sommi sacerdoti avrebbero nascosto in qualche rifugio sotterraneo, sotto la spianata del Tempio.
Quello portato via da Tito comunque fu rapito dai Vandali (455 d.C.) e trasportato in Africa, portato poi da Belisario (534 d.C.) a Costantinopoli, dove se ne sono perse le tracce; secondo alcuni successivamente riportato a Gerusalemme dai crociati nel 1024.
Lo Stato d'Israele nel 1949 ha adottato la menorah quale simbolo ufficiale e ne riporta l'effige su francobolli, monete e documenti ufficiali.
Per l'originale della menorah, in definitiva, su dove possa trovarsi sussistono varie ipotesi:
  • a Roma nel Vaticano (Il ministro israeliano, Shimon Shitrit, nel 1996 ne chiese informazioni al Papa);
  • nascosto in una grotta a Gerusalemme sotto la spianata del Tempio;
  • nel Tevere ove furono fatte anche ricerche vicino all'isola Tiberina;
  • a Costantinopoli.
Tra l'altro nell'antico Santuario non c'era solo uno, bensì diversi candelabri a 7 braccia; si legge, infatti, in 2 Cr 4,7 che Salomone "fece dieci candelabri d'oro, secondo la forma prescritta e li pose nella navata: cinque a destra e cinque a sinistra", come conferma il parallelo in 1 Re 7,49, "e furono costruiti con tutti gli altri arredi del I Tempio da Chiram esperto artigiano fonditore di Tiro" (1 Re 7,13s) chiamato da Salomone.

Uno sviluppo dell'idea del Candelabro si ha con i candelabri a 8 e 9 braccia, detti channukkah e channukiah.
Nella Bibbia, Antico Testamento (A.T.), in 1 e 2 Maccabei, libri in lingua greca non accolti dal canone ebraico, è raccontato l'origine della festa ebraica di Channukkah, "festa della consacrazione" o della "dedicazione ", anche detta festa delle luci.
Altra fonte, posteriore, è il Magillot Antiokhos scritto nel I-II Sec. d.C..
Per gli ebrei la fonte base è Il Talmud (Shabbat, 21b).
Giuseppe Flavio (Antichità ebraiche XII,7,7) ricorda questa festa delle luci.
La festa è ricordata nel Vangelo di Giovanni: "Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d'inverno. Gesù passeggiava nel Tempio, sotto il portico di Salomone.." (Gv. 10, 22-23).

La festa inizia il 25 di Kasleu, corrispondente alla nostra metà di dicembre, e commemora la vittoria da parte del piccolo esercito dei Maccabei su quello seleucida avvenuta nel 165 a.C..
Regnava Antioco IV Epifane, che aveva profanato il Tempio ed opprimeva volendo grecizzare forzatamente la cultura ebraica.
Il Tempio di Gerusalemme fu saccheggiato, molti ebrei furono massacrati e il giudaismo dichiarato fuori legge, e nel 167 a.C. Antioco vi fece erigere un altare a Zeus.
Mattatia, sacerdote ebreo, con i suoi cinque figli Giovanni, Simone, Eleazar, Jonathan e Giuda guidarono una ribellione contro Antioco.
Giuda divenne noto come Giuda Maccabeo (Giuda Martello) e chiamò attorno a sé i più prodi d'Israele fino alla vittoria.
La festa di Hanukkah fu istituita da Giuda Maccabeo e dai suoi fratelli per celebrare l'evento: "Si radunarono il mattino deI 25 del nono mese che si chiama mese di Kasleu, nell'anno 148 (165 a.C.), ed offrirono il sacrificio secondo la legge sull'altare degli olocausti che avevano rinnovato. Nella stessa stagione e nello stesso giorno in cui l'avevano profanato i pagani, fu riconsacrato tra canti e suoni di cetre e arpe e cembali... Celebrarono la dedicazione dell'altare per otto giorni... Giuda e i suoi fratelli e tutta la comunità d'Israele stabilirono che si celebrassero i giorni della dedicazione dell'altare nella loro ricorrenza, ogni anno, per otto giorni, cominciando dal 25 di Kasleu, con gioia e letizia." (1 Mac. 4,52-59)
La prima sera di Chanukkah comincia dopo il tramonto del 24° giorno del mese di Kaslev e la festa è celebrata per otto giorni.
Fu così riconsacrato l'altare del Tempio e riacceso il candelabro con un vasetto d'olio ritualmente puro trovato conservato (col sigillo del Sommo Sacerdote dicono le tradizioni ebraiche), quantità utile per una giornata.
Questo poco olio bruciò miracolosamente per otto giorni dando il tempo di preparare altro olio puro.
Come tutte le altre feste più importanti ebraiche c'è un fondamento agricolo legato alla festa; Pasqua è la celebrazione del raccolto dell'orzo, Shavuot del grano, Sukkot dei fichi, dei datteri, del melograno e dell'uva, e Chanukkah dell'olio fatto con le olive raccolte in Novembre, ma l'olio è pronto per Hanukkah in dicembre.

Questa festa si celebra fra canti e danze ed è rallegrata da luminarie per le case e le strade: "Ti esalterò Signore perché mi hai liberato", è il canto di questa festa ed esprime la gioia del popolo (Salmo 30).
Le famiglie ebree per ricordare il miracolo accendono uno specifico candelabro, chiamato appunto channukkah e channukiah.
Ha 8 braccia per ricevere le luci di ciascuna di quegli otto giorni, ma c'è un'altra lampada la 9a che alcune volte è posta avanti, altre volte è posta in mezzo su un braccio centrale ed è più alta delle altre.
Questa è chiamata Shamash o "servo " dal radicale = servire perché è usata per accendere le altre luci.
È evidente il parallelo col sole che si scrive con le stesse lettere .
Si aggiunge l'accensione d'una luce ogni sera.
Questo candelabro è tenuto acceso vicino ad una finestra, per rendere pubblico il miracolo; o dentro casa nella parte destra della porta.
I mistici considerano le luci di tale lampada una manifestazione della luce nascosta del Messia.
Insito in quelle lettere c'è "luce che salva ()".
Si rifà presente così l'idea dell'ottavo giorno, il giorno del Signore, la desiderata domenica eterna.

In questi giorni di festa vi sono dolci speciali e giochi, di cui il più popolare è quello della trottola, detta Dreidel in Yiddish ed in ebraico Sevivon.
Pare che il motivo sia storico, perché nella dominazione greca e poi romana per dissimulare lo studio della Torah, che era proibito, gli studenti fingevano di giocare con la trottola.
La trottola ha quattro facce e riporta 4 lettere che sono un acronimo di Ness Gadol Haya Sham, "un grande prodigio ci fu la" con le seguenti lettere Nun - si vince la puntata, Ghimel - si perde la puntata, He - si perde la metà della posta e Shin - non si prende e non si perde.
A Gerusalemme ove ci fu quel prodigio la frase è Ness Gadol Haya Po, "un grande prodigio ci fu qui" e la lettera Pe sostituisce la lettera Shin e tutto funziona come detto.
Alcune famiglie cristiane, specialmente in Palestina ed in Germania, accendono chanukkah e ne osservano il rito collegando il miracolo della luce, avvenuto nel Tempio, alla nascita di Gesù, nuovo Tempio "Luce del mondo". Danno così fondamento biblico al 25 di Dicembre con la festa Chanukkah alla tradizionale data di nascita di Gesù, data che nel mondo occidentale si considera abbia avuto origine dall'antica festa pagana Dies Natalis Solis Invicti (giorno della nascita del Sole invincibile.

Il 4.12.1963 si concluse la III sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) e Paolo VI (1963-1978) promulgò la Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium che comportò, tra l'altro, la riforma dei riti e dei libri liturgici della Chiesa cattolica e confermò il passaggio alla celebrazioni liturgica nelle varie lingue locali superando il latino che il Concilio Tridentino aveva mantenuto, ritenendo allora prematuro abbandonarlo.
Chi ha più di 50 anni può ricordare che prima di quel Concilio, tra l'altro, l'altare principale delle Chiese cattoliche era collocato in modo tale che il celebrante dava le spalle ai fedeli.
La mensa era poggiata su un fondale con motivi decorativi più o meno di stile barocco, in quanto tale posizione per l'altare ebbe grande diffusione nel periodo dopo il Concilio Tridentino (1542-1563).
In genere era sormontato da un Cristo crocifisso e, più in alto, c'era l'immagine che ricorda la dedicazione della chiesa.
Su tale alzata trova in genere posto il tabernacolo, spesso coperto con un drappo che copre le antine a ricordo del velo che stava davanti alla Testimonianza.
Attualmente pur se la mensa è stata spostata verso il centro dell'abside per portarla verso i fedeli onde il sacerdoti celebri davanti a loro, le alzate in genere sono rimaste dietro in quella posizione e vengono addobbate con drappi, lampade, candelabri e ceri e fiori.
Una classica e ripetitiva disposizione è con tre candelabri d'ottone o dorati con lunghi sottili ceri candidi a destra e tre uguali a sinistra mentre in mezzo trionfa il crocefisso o il tabernacolo e fa presente ai cristiani la concretezza dell'avvenuto patto della venuta del Messia ricordando l'antica alleanza della menorah ebraica.
Nel libro dell'Esodo al capitolo 27 è detto: "Tu ordinerai agli Israeliti che ti procurino olio puro di olive schiacciate per il candelabro, per tener sempre accesa una lampada. Nella tenda del convegno, al di fuori del velo che sta davanti alla Testimonianza, Aronne e i suoi figli lo prepareranno, perché dalla sera alla mattina essa sia davanti al Signore: rito perenne presso gli Israeliti di generazione in generazione" (Es. 27,20.21); è la "ner tamid" o lampada eterna che era tenuta accesa per rendere concreta l'idea che Dio è sempre presente nel mondo.
Nelle chiese cattoliche consacrate questa lampada perenne è presente, tenuta sempre accesa accanto al Tabernacolo.

Le basiliche e le chiese cattoliche interpretano l'archetipo celeste del nuovo Tempio, prendendo idea dalla Gerusalemme celeste presentata dal libro dell'Apocalisse (21) in maniera analoga a quella d'Ezechiele in base alle dimensioni calcolate da un angelo architetto con una canna d'oro e dal pensiero di Cristo, che ha affermato che il Suo Corpo è un tempio: "Rispose loro Gesù: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". Gli dissero allora i Giudei: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in te giorni lo farai risorgere? Ma egli parlava del tempio del suo corpo." (Gv. 2,19-21).
Così la Chiesa ha una testa, l'abside col presbiterio, un corpo, le navate, con le braccia, quelle trasversali, ed un cuore pulsante, il tabernacolo, con i cristiani sono le membra viventi.

LA GIOIA E LA LUCE, SEGNI DEL MESSIA
Pensiero comune è che le 7 luci della menorah siano segno della creazione dell'universo in 7 giorni, e che la luce centrale rappresenti il sabato.
La perfezione del n° 8, è rappresentabile col n° 7 se Dio è presente, come si evince dal fatto che 7 sono gli occhi di Dio che scrutano il mondo.
C'è, infatti, una profezia con una visione al Cap. 4 del libro del profeta Zaccaria: "L'angelo che mi parlava venne a destarmi, come si desta uno dal sonno, e mi disse: Che cosa vedi?. Risposi: Vedo un candelabro tutto d'oro; in cima ha un recipiente con 7 lucerne e 7 beccucci per le lucerne. Le 7 lucerne rappresentano gli occhi del Signore che scrutano tutta la terra". (Zac. 1.2.10b)
La menorah, perciò, com'elemento sacro nel Tempio è proprio segno della presenza di Dio con quei 7 occhi.
Nell'Apocalisse, Giovanni vede l'Agnello immolato segno dell'uomo-Dio Gesù Cristo con 7 corna, simbolo di potenza, e con i 7 occhi della conoscenza, che il Cristo possiede in pienezza appunto essendo Dio, e con Cristo presente s'arriva così alla pienezza del n° 8.
Gli spiriti di Dio mandati sulla terra sono anche loro in numero di 7 (Ap. 5,6).
Si conclude pure che le 7 luci sono ad indicare i 7 cieli pieni della luce di Dio e la menorah vista in tali termini è anche simbolo astrale.
È fatta di una sola materia pura, l'oro, come il cielo pensato formato d'una sola sostanza: l'etere, la quintessenza.
Indica così anche il sistema planetario, il sole al centro e pianeti ai lati.
I pianeti, come le lampade del candelabro ricevono la luce del sole, la luce celeste, che è eterna come quella che illumina il Tempio, la stessa luce che illumina la Torah, la Legge nel Tempio che così è eterna ed esisterà tanto a lungo quanto il sole, i pianeti e l'universo.
L'immaginario ebraico ha lavorato anche molto con l'idea delle lettere, che hanno una loro implicita espressività grafica atta a tratteggiare sinteticamente la realtà.
Il verbo ebraico per dire "rallegrarsi, giubilare", ad esempio ha il radicale = e dando un poco d'attenzione ai disegni delle lettere del carattere rabbino quadrato, forma liturgica usata nella Torah, senza vocalizzazioni, con lettere separate, come anticamente era fatto, si può, con un minimo di fantasia, pensare il candelabro in questo modo:


I milioni d'ebrei succedutisi da quando - 34 secoli or sono secondo la tradizione - fu costruito il primo candelabro su diretta indicazione di Iahwèh a Mosè, come dice il libro dell'Esodo, nel guardare nei loro riti quel candelabro a 7 braccia qualche associazione a tali lettere l'hanno pur fatta, in quanto quelle in sé lo ricordano stilizzandone efficacemente la forma.
Sette appunto sono le fiamme, tre da una parte e tre dall'altra.
La gioia, infatti, è la caratteristica con cui gli ebrei pii accompagnano la maggior parte delle loro riunioni, che spesso si concludono con danze.
Il movimento chassidico - fondato a metà del XVIII secolo in Polonia, da Israel Baal Shem Tov e Dov Baer di Mezhirech - peraltro, non ha caso propose l'incontro con Dio nella gioia, nel canto e nella danza, si che alcuni facevano capriole durante la recita delle preghiere in sinagoga e la musica era un mezzo per risvegliare l'adesione a Dio nella gioia, la devekut.
La norma del pregare incessantemente con la mente e col cuore in qualsiasi attività era del pari in essere con la meditazione continua delle lettere che formano il nome innominabile del tetragramma sacro del Signore, lettere che appunto, come vedremo, hanno un ruolo importante nel simbolismo del candelabro.
La forma di questo è Infatti d'albero e così, intenzionalmente è stato voluto nella costruzione: "Farai un candelabro d'oro puro fatto tutto di un pezzo: il piedistallo e il fusto, e i suoi calici, i suoi boccioli e i suoi fiori formeranno un solo corpo con esso. Sei rami usciranno dai suoi lati, tre da una parte e tre dall'altra. Su ogni ramo vi saranno tre calici a figura di fiore di mandorlo con il suo bocciolo e un fiore ..." (Esodo 25,31-33).
La menorah cosi evoca un giardino - dell'Eden, cioè di delizie, dirà il libro del Genesi - in cui l'uomo era in comunione col Signore che vi passeggiava.
Questo candelabro con le sue luci accompagnava le feste, alcune veramente splendide nel periodo del Tempio, tra cui una particolare, detta della "gioia della casa dell'attingimento d'acqua", la "simchat bet ha-shoevah".
Durava per tutta la seconda notte di Sukkot, festa associata all'inizio della stagione più piovosa, grandi candelabri d'oro erano accesi per illuminare tutti i cortili del Tempio, si raccoglieva acqua dalla piscina di Siloe.
L'acqua della piscina, era alimentata dalla sorgente Ghicon - nome d'un fiume del paradiso terrestre (Gen. 2,13) - era portata al Tempio mentre i Leviti cantavano salmi, suonavano trombe e flauti e rabbini danzavano in estasi, facevano da giocolieri con torce e attingevano "lo Spirito Santo".
Si affermava che "colui che non ha visto la festa dell'attingimento dell'acqua non ha mai visto la vera gioia". (da tradizioni ebraiche da A.Untermann)
È a questa festa che si riferisce il Vangelo di Giovanni (7,37-41a) quando così si esprime: "Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, levatosi in piedi esclamò ad alta voce: Chi a sete venga a me e beva chi crede; come dice la Scrittura: fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno. Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui; infatti non c'era ancora la Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato. All'udire queste parole, alcuni tra la gente dicevano: Questi è davvero il profeta. Altri dicevano Questi è il Cristo!"
I significati delle lettere che formano il simbolo del candelabro, la che si legge sh e la wau e/o la yod sono:
  • Per : luce, fuoco, sole, sorgere, risorgere, bruciare, ardere ... A proposito di quella grande festa che partiva dalla piscina di Siloe, faccio notare come in Egiziano la che si legge sh ha come geroglifico di partenza una piscina la cui acqua specchia i raggi del sole!
    Si noti che le due lettere S'in e Shin sono, in effetti, una sola come dice il numerale che resta lo stesso, pari a trecento, in cui riappare il numero tre.
    Per Gabriele Mendel: rappresenta il fuoco.
    Per Sèfer Yetzirà questa lettera rappresenta il fuoco che trasforma l'essere umano. Nei sacrifici del Santuario l'animale, che rappresenta gli istinti inferiori, veniva bruciato per la trasformazione anemica di chi offriva.
    Daniela Saghi Abravanel su questo pensiero osserva che in ogni uomo c'è un sacerdote, un animale ed il fuoco, che sono le prove della vita, strumento della Provvidenza con cui è aiutato il sacerdote a sacrificare l'animale che è dentro di noi.
  • Per : bastone, asta, portare, condurre, servo, parola (dall'egiziano).
    C'è, il senso di un uncino, di qualcosa che unisce, che collega (in senso letterale è una congiunzione), d'un bastone che porta, che sostiene, che serve, di un uccello che si sposta da posto a posto.
    Per Fabre d'Olivet: "...essa è il legame di tutte le cose, il segno congiuntivo..."
    Per Gabriel Mandel: "Una linea verticale - costituita da una yod proseguente in linea retta allude al collegamento tra la terra e il Cielo; in pari tempo è simbolo dell'uomo, che ha i piedi poggiati sulla terra e la testa nel cielo. Rappresenta anche la colonna vertebrale."
  • Per , il significato è immediato, è la prima lettera di Iahwèh , indica essere, il Signore stesso, una forza essendo un pugno chiuso.
    Il simbolismo delle lettere perciò comporta luce, risurrezione, il Signore, il Servo, la Parola e ce n'è abbastanza da coinvolgere tutta la spiritualità ebraico-cristiana.
Le letture di quei simboli e sono molteplici:
  • = gioire, rallegrarsi;
  • luce Parola che illumina - luce del Signore che illumina ;
  • luce che la parola illumina - luce che l'esistenza illumina ;
  • illumina il Servo di Iahwèh / con la sua luce ;
  • luce che reca risurrezione - luce del Signore risorto ;
  • i simili () risorgerà - dono di risurrezione ;
  • alla luce porterà le pecore ().
Tutto ciò, e molto di più, suscita la menorah ebraica, il candelabro a sette braccia.
Da qui a pensare Gesù una menorah vivente, in cui c'e lo Spirito di Dio che arde, il passo è breve.
Le otto estremità superiori delle lettere che lo formano calzano benissimo con le luci del candelabro; Lui: "È la luce che ci porta a vedere ."


È Lui "Il sole che sorge dall'alto", di cui parla il "Benedictus" di Zaccaria, padre di Giovanni Battista nel Vangelo di Luca (1,78).
Gesù risorto al suo ritorno nella gloria alla fine dei tempi porterà l'atteso giorno senza tramonto, in cui il sole non sorgerà da oriente come negli altri giorni, ma verrà appunto dall'alto, perché non vi sarà ombra: "Dio è luce e in lui non ci sono tenebre". ( Gv. 1,5)
È la "luce del mondo; chi segue me", dice Gesù, "non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" (Gv. 8, 12) e "Mentre avete la luce credete nella luce, per diventare figli della luce." (Gv. 12,36) La luce fisica sarà superata: "Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli." (Ap. 22,5)

LA LUCE CENTRALE DELLA MENORAH
Nel Pentateuco della Bibbia, detto Torah, in altre parole nei primi cinque libri dell'A.T. - Genesi, Esodo, Numeri, Levitico, Deuteronomio - la prima volta che si parla del candelabro è al capitolo 25 del libro nell'Esodo, quando il Signore dette disposizioni a Mosè per la tenda del convegno, l'arca, la tavola, le offerte, il candelabro stesso e per gli altri arredi.
Nella traduzione CEI e nelle Chiave Biblica delle concordanze della Sacra Scrittura (Ed. Claudiana Torino 1978) il primo versetto in cui sembra trovarsi la parola "candelabro " è in Es. 25,6: "Olio per il candelabro, balsami per unguenti e per l'incenso aromatico" ma il testo ebraico è:




Certamente l'olio servirà per il candelabro, ma la parola candelabro non c'è, è solo sottintesa e c'è il termine è "per la luce ( = )".
Questo versetto però di per sé, è speciale in quanto si trovano parole dense di significato e precisamente:
  • per due volte "olio " , le cui lettere evocano anche il numero otto;
  • balsami che senza vocalizzazione è "nei/dentro ai cieli ";
  • Messia = Unto = Cristo .
C'è così nascosta una sintesi sul Messia; infatti, dal decriptato, col mio metodo si ottiene:
"Li risorgerà in vita . L'energia il serpente della maledizione () dentro brucerà nei viventi . Saranno a rivivere potenti . Nell'8° (giorno) dal mondo il Messia ad entrare li porterà nel Potente . Li verserà dal cuore il corpo del Crocifisso , da cui uscì dal foro d'acqua un mare ."

È parallelo a ciò che evoca Gesù nel Vangelo di Giovanni: "Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno." (Gv. 7,37.38)

Ho così proceduto col mio metodo alla decriptazione del brano Esodo 25,1-9, di cui riporto di seguito il testo CEI e poi la decriptazione fatta lettera per lettera per facilitarne la lettura.

Es. 25,1 - Il Signore disse a Mosè:

Es. 25,2 - Ordina agli Israeliti che raccolgano per me un'offerta. La raccoglierete da chiunque sia generoso di cuore.

Es. 25,3 - Ed ecco che cosa raccoglierete da loro come contributo: oro argento e rame,

Es. 25,4 - tessuti di porpora viola e rossa, di scarlatto, di bisso e di pelo di capra

Es. 25,5 - pelle di montone tinta di rosso, pelle di tasso e legno di acacia,

Es. 25,6 - olio per il candelabro, balsami per unguenti e per l'incenso aromatico,

Es. 25,7 - pietre di onice e pietre da incastonare nell'efod e nel pettorale.

Es. 25,8 - Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro.

Es. 25,9 - Eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò, secondo il modello della Dimora e il modello di tutti i suoi arredi.

Esodo 25,1-9 (Decriptazione):

Es. 25,1 - Si porterà a stare per aiutare dentro un corpo il Signore. La divinità in un vivente accenderà nel mondo per il rifiuto all'essere ribelle.

Es. 25,2 - La Parola, di Dio il Figlio, sarà in Israele a portarsi. Obbediente, di nascosto si porterà. La potenza sarà in una prescelta nel corpo a portare. In vita uscirà dalla madre da primogenito. La perfezione dell'uomo da donna nel corpo sarà. Alla porta della casa un angelo si porterà. Del Potente alla casa recherà il segno. Le verserà l'annunciò che l'Unico l'avrà scelta. Le indicherà che nel corpo si porterà da uomo a stare.

Es. 25,3 - Portata a questa dall'Unico il segno ad entrare nel corpo, vi si porterà a vivere. Entrerà l'Unigenito principe nella prescelta cui avrà versato l'annuncio. A vivere da primogenito in modo puro da questa entrerà. Dentro vi recherà la rettitudine in pienezza. Il Verbo porterà l'energia nascosta della risurrezione per tutti ...

Es. 25,4 - ... e l'oppressione del serpente finirà riportandoli all'origine. Nei corpi scorrerà la vita angelica e la fine porterà del serpente col tempo. Rinnovati saranno portati dalla risurrezione. A bruciare porterà agendo questi che sta nei viventi.

Es. 25,5 - Porterà il nemico alla fine che all'origine fu da serpente nei viventi a vivere. Da uomo sarà a vivere per portarsi dal nemico per finirlo. Ai tutti nelle tombe posti porterà l'azione per rialzarsi. Sarà la risurrezione nel cuore a stare nei viventi.

Es. 25,6 - Li risorgerà in vita. L'energia il serpente della maledizione dentro brucerà nei viventi. Saranno a rivivere potenti. Nell'8° (giorno) dal mondo il Messia ad entrare li porterà nel Potente. Li verserà dal cuore il corpo del Crocifisso, da cui uscì dal foro d'acqua un mare.

Es. 25,7 - Dell'Unico il figlio sarà a risorgere nel mondo i viventi. Li porterà dell'Unico figli ad essere nella pienezza. Sarà i viventi dal serpente a liberare. Ne porterà il vigore a rinnovare.

Es. 25,8 - Porterà l'azione simili per potenza ad essere i viventi al Santo. Avendo portato con la risurrezione la rettitudine, l'angelo (ribelle) in tutti sarà stato dentro finito, riportandosi retti i viventi.

Es. 25,9 - Così la rettitudine il rifiuto avrà acceso nei corpi che a scontrarsi sarà con l'essere ribelle. Per l'Unigenito d'uscire il desiderio per l'oppressione gli verrà. Tutta dentro l'energia sarà a finirgli. Ne usciranno salvati. Così rifiutato da tutti finirà. Figli risaranno per la perfezione che a tutti sarà stata riportata e per la rettitudine agli angeli alla fine si vedranno simili.

Discorso chiaro che esplica in modo sintetico ed efficace la necessità del Messia quale salvatore dell'uomo.

La prima vera volta in cui nel libro dell'Esodo effettivamente si trova la parola usata in ebraico per candelabro è nello stesso capitolo 25 nei versetti 31-40:

Es. 25,31 - Farai anche un candelabro d'oro puro. Il candelabro sarà lavorato a martello, il suo fusto e i suoi bracci; i suoi calici, i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutti di un pezzo.

Es. 25,32 - Sei bracci usciranno dai suoi lati: tre bracci del candelabro da un lato e tre bracci del candelabro dall'altro lato.

Es. 25,33 - Vi saranno su di un braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla e così anche sull'altro braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla. Così sarà per i sei bracci che usciranno dal candelabro .

Es. 25,34 - Il fusto (del candelabro) avrà quattro calici in forma di fiore di mandorlo, con i loro bulbi e le loro corolle:

Es. 25,35 - un bulbo sotto i due bracci che si dipartano da esso e un bulbo sotto gli altri due bracci e un bulbo sotto i due altri bracci che si dipartano da esso; così per tutti i sei bracci che escono dal candelabro .

Es. 25,36 - I bulbi e i relativi bracci saranno tutti di un pezzo: il tutto sarà formato da una sola massa d'oro puro lavorata a martello.

Es. 25,37 - Farai le sue sette lampade : vi si collocheranno sopra in modo da illuminare lo spazio davanti ad esso.

Es. 25,38 - I suoi smoccolatoi e i suoi portacenere saranno d'oro puro.

Es. 25,39 - Lo si farà con un talento di oro puro, esso con tutti i suoi accessori.

Es. 25,40 - Guarda ed eseguisci secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte.

Un talento d'oro = Kikkar zahab = 34,272 kg.

Di questi versetti in apposito paragrafo darò l'intera decriptazione.
La parola candelabro che sembra ripetuta 7 volte, in effetti è usata per 6 volte, perché nel versetto 34 nel testo ebraico è sottinteso (mentre la CEI lo riporta), però c'è "7 lampade" che pareggia il conto col numero sette.
La prima volta per candelabro il testo usa , la seconda e le altre quattro volte ed infine per sette lampade .

Nel versetto:

Es. 25,37 - "Farai le sue sette lampade: vi si collocheranno sopra in modo da illuminare lo spazio davanti ad esso"

nel testo ebraico:




c'è evidente volontà d'inserire il tetragramma sacro, Iahwèh, unendo le lettere di due parole vicine.
È Lui che circola tra quei fuochi, è Lui che brucia in questo roveto ardente e solo con Lui, così, s'arriva alla pienezza desiderata del numero 8 che, ruotato di 90°, è il simbolo matematico d'infinito.
La lampada è l'oggetto che porta le luci, tra le quali indubbiamente importante è la luce centrale cui le altre fanno corona.
La simbologia delle 7 luci fu evidentemente ripresa dal Genesi al Capitolo 1 con i giorni della creazione, anche loro in numero di 7 e c'è Dio che sta operando e da senso e completezza a quel numero.
E nel primo giorno: "Dio disse: Sia la luce! E la luce fu ... primo giorno." (Gen. 1,2.5) e luce lì è e di luci riparla nel 4° giorno (Gen. 1,14-19): "Dio disse: Ci siano luci nel firmamento del cielo per distinguere il giorno dalla notte ..." con le stelle per regolare il tempo, le stagioni, gli anni.
Il sole e la luna però non sono nominati con il loro nome, ma come le due luce grandi, la maggiore e la minore.
Questa è la luce importante che viene dal Signore che si rivela all'uomo "l'Unico gli si porta nella mente/testa ", ma anche profezia d'incarnazione, "l'Unigenito si porterà in un corpo ."
Nasce il sospetto che il firmamento o cielo che creò nel 2° giorno in cui separò le acque di sopra dalle acque di sotto non sia fisico, ma l'interfaccia tra Dio e l'uomo per la rivelazione.
L'uomo è come un mondo con una sua spiritualità, le acque di sotto.
In queste acque di sotto c'è tutto ciò che l'uomo può conoscere su Dio.
Dio è la madre - l'acqua, la vita di sopra e l'uomo è il bimbo - l'acqua la vita di sotto, ma c'è comunicazione attraverso il firmamento; questa è l'idea.
Dio gli s'è rivelato, ma poiché per consentirgli d'essere libero l'uomo deve essere in un certo senso separato, il creatore si contrae stando all'esterno delle suo cielo, ma è in questo seno che è da rientrare per rinascere (episodio di Nicodemo in Gv. 3,1-21).
Tutto ciò che l'uomo non conosce di Lui sta oltre il contatto tra il noto e l'ignoto, ma Dio dal proprio cielo soffia, attraverso idonei intermediari da Lui preposti, lo Spirito per far crescere la dimensione spirituale dell'uomo tanto quanto ciascuno accetta; ed è implicito che tutto quello che è sotto il firmamento spirituale è recepibile dall'uomo.
Questi luminari sono posti all'interfaccia, appunto il firmamento per essere recepiti dall'uomo e ricevono direttamente energia dallo Spirito di Dio.
In termini tecnologici i luminari di cui dice il 4° giorno con le stelle sono terminali attraverso cui l'uomo si può porre in comunicazione con lo Spirito di Dio che può invadere lo spirito dell'uomo: "metterò dentro di voi il mio Spirito." (Ez. 36,27)
Questi terminali sono necessari finché l'uomo non è portato nella sua crescita spirituale a livelli (il classico 7° cielo) che l'interfaccia è eliminabile e Dio può parlargli senza intermediari, faccia a faccia: "Poiché di lui stirpe noi siamo" (Att. 17,28b) "E i suoi servi l'adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte." (Ap. 22,3b-4)
È ora facile individuare chi sono queste luci. In linea profetica per i cristiani il sole è la presa di coscienza del Cristo incarnato in quanto: "Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita." (Gv. 8,12)
Questi è appunto ricordato al centro (4° giorno) dei giorni della creazione, per rendere appunto visibile la luce della fede nel Dio Unico, fondamento dell'uomo nuovo, che l'ha iniziato ad accendere la creazione cominciando a dar significato al tutto a partire dal 1° giorno.
La luna in questo parallelo è la Madre, l'Assemblea dei fratelli, che guida e aiuta di notte quando non si vede la luce grande perché gli occhi sono velati dalle tenebre e lo scrittore ispirato del Gen.1 aveva il suo sole, Mosè, la sua luna, l'Assemblea. E le stelle? I profeti, i sacerdoti. Per i cristiani i santi, i Vescovi, i presbiteri, i catechisti, in definitiva chi parla in nome di Dio.
Nel paragone della nascita d'un uomo nuovo possiamo interpretare che nel 3° giorno era terminata la creazione della "terra" separata dalle acque del parto dalla madre; è creato cioè l'uomo terrestre, l'uomo asciutto, vale a dire l'hardware, la materia base dell'uomo nuovo.
Quest'uomo potenzialmente ha tutto, ma dopo, quel che sarà dipende da ciò che gli si dà per coltivarlo, dall'educazione in senso lato.

Queste sono le parole del Genesi del 4° giorno (Gen. 1,14.15): "Dio disse: Ci siano luci nel firmamento del cielo per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra. E così avvenne. Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare (far luce) la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: quarto giorno." Più avanti spezzerò per decriptazione i sei versetti del racconto della creazione del 4° giorno: Gen. 1,14-9.
Il firmamento del "cielo " è nominato tre volte e tre volte l'anno, nelle feste rituali, l'ebreo deve celebrare il Nome, che è celato nella parola cielo (Pasqua, Pentecoste, Capanne).
Nella parabola della creazione del mondo che cela lo sviluppo ordinato d'un essere umano che crede in Dio "il firmamento del cielo " porta a "volta dei nomi " ( come un plurale di nome ).
Questa "volta" è dove sono scritti i nomi, cioè la memoria del fanciullo, ove si segnano in modo indelebile i ricordi e questo momento educativo è essenziale se ci sono i riferimenti che funzionano, cioè luci nel firmamento del cielo.
Il simbolismo porta a pensare che l'autore voglia indicare che i veri astri - sole, luna e stelle - dell'Ebreo sono la luce di Dio che promana del Suo candelabro a sette braccia o menorah; cioè l'assemblea dei fratelli.
Questo è il giorno della luce che è citata sette volte come ho evidenziato in neretto, sei volte in effetti, ma una di quelle volte è unita al numero due,perciò sette luci come quelle della menorah.

I nomi evidenziati si possono vedere come appellativi per le luci del candelabro:

- posizioni estreme              1 e 7     ;

- penultime posizioni            2 e 6     ;

- quelle vicine alla centrale    3 e 5    ;

- della posizione centrale      4          .

Il punto focale della creazione, è appunto il 4° giorno che è il mediano dei sette giorni e corrisponde alla luce centrale della menorah immagine della luce creata da Dio nel 1° giorno, che è la fede nel Dio unico; perché il Cristo è "autore e perfezionatore della fede". (Ebr. 12,2)


Il sole e la luna non sono però nominati, pur se è entrato nell'immaginario che siano stati creati in questo giorno.
Adamo poi assegnerà il nome agli animali, ma non agli astri; perciò da parte di Dio questo del 4° giorno sarebbe stato il momento per chiamarli col loro nome di sole e luna, ma non avviene; perché?
Perché è una parabola, non la creazione fisica di quegli astri.
Queste luci di cui si parla nel 4° giorno servono:

- per illuminare la terra - nel nostro parallelo, Adamo;
- per regolare giorno e notte, cioè per le ore di preghiera;
- per le stagioni, per i giorni e per gli anni, ossia per le feste e per i giubilei;
- per distinguere ciò che è secondo Dio da ciò che è contrario, le tenebre.

Gli unici astri nominati con il loro nome nel 4° giorno sono solo kokabim, le stelle, e spezzando la parola segno per segno viene fuori come si pensi che le stelle rappresentino i giusti: "arde () un retto dentro che vi sta a vivere ", attraverso loro si vede un bagliore della rettitudine di Dio in quanto "arde () la rettitudine dentro ".
Nessuna parola nel Genesi è scritta a caso e cercando quando la parola "stelle" è di nuovo nominata e ciò avviene assieme questa volta con le parole sole e la luna in Gen. 37,9.10 quando Giuseppe, figlio di Giacobbe, racconta: "Ho fatto ancora un sogno, sentite: il sole, la luna e undici stelle si prostravano davanti a me. Lo narrò quindi al padre e ai fratelli e il padre lo rimproverò e gli disse: Che sogno è questo che hai fatto! Dovremo forse venire io e tua madre e i tuoi fratelli a prostrarci fino a terra davanti a te?"
È chiaro, allora, che il sole è il padre, la luna la madre e le stelle sono i fratelli di sangue (e/o della comunità) come avevo anticipato.
Per chi appartiene al popolo di Dio queste luci di riferimento sono:
  • Cristo, il sole, in quanto: "La città (la nuova Gerusalemme) non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello." (Ap. 21,23);
  • l'Assemblea, la Chiesa, la luna, illuminata da Cristo-sole: "Una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi ..." (Ap. 12,1b);
  • i Santi, le stelle "...e sul suo capo una corona di dodici stelle" (Ap. 12,1b), cioè i 12 apostoli.
Il tutto è calzante col taglio che si va delineando per questa particolare creazione.
Questo discorso della creazione prima o poi lo riprenderemo completo.

Riporto qui di seguito la decriptazione dei versetti Genesi 1,14-19, relativi alla creazione del 4° giorno ed ecco che appare un racconto che metto con i tempi in parte come avvenuto pensando ai fatti raccontati dai Vangeli.

Gen. 1,14 - "E fu a dire Dio al mondo che sarebbe stato un vivente, che sarebbe stato nel mondo a stare con la forza tutta dentro un corpo versata. Fu per agire ad uscire dal cielo; dal serpente entrò in casa per sbarrarne la forza che i cuori opprime.
Un giorno si portò in una famiglia che era d'angeli, vi entrò di notte.
Alla perversità fu (così) a recare il rifiuto totale.
Indicò del portarsi il perché.
E l'Eterno fu con una parola nei giorni per strappar via l'angelo che sta nei viventi."

Gen. 1,15 - Ed al mondo fu a portarsi il Potente dalla Madre. L'Unigenito si portò in un corpo finalmente. Una folgore fu vista uscire dal cielo. Per il serpente uscivano guai in un corpo. Dall'alto entrava in terra e fu al mondo a stare la rettitudine angelica.

Gen. 1,16 - A portarsi fu al sentire le richieste nel mondo che c'erano dai viventi; venne per bruciare l'angelo che stava nel mondo. La maledizione completa (al serpente) uscì in cammino. Povera era la Madre ove veniva a vivere l'Unigenito; Le si portava nel corpo per uscire (divenire) grande. Dal serpente i viventi salverà con potenza alla fine del mondo. Un giorno si portò; venne tra i viventi desiderando in un corpo entrare per versare nei cuori l'energia, perché salverà dal serpente tutti. Uscì di notte nel mondo e venne una stella dov'era la Madre.

Gen. 1,17 - E fu con un segno d'angeli a venire tra i viventi Dio. Nel mondo la Madre da dentro il corpo lo versò. Fu alla vista ad uscire dal cielo, guizzò nel mondo l'Unigenito; si lanciò dall'alto per entrare in terra.

Gen. 1,18 - E per il serpente dominare a casa fu a portarsi dentro di notte. Al mondo si portò dal serpente, entrò solo con la forza nel cuore. Fu l'energia nel mondo per la prima volta a recata in un corpo, la portò in una casa dov'erano angeli. Usci nel chiuso in una capanna e fu nel corpo d'un primogenito. Dio entrò a starvi a vivere; la rettitudine fu nel cuore a portare dentro.

Gen. 1,19 - E il Signore fu visto in un corpo in una casa e fu nel mondo a star dentro. All'incontro si portarono viventi numerosi; furono a vedere (che cosa) era!

LA PROFEZIA DI ZACCARIA - LA VENUTA DEL GERMOGLIO
Ho accennato agli inizi di questa ricerca alla profezia ed alla visione riportata al Capitolo 4 del libro del profeta Zaccaria sul candelabro ed i due olivi.
Ne riporto ora integralmente il testo nella traduzione CEI.

Zac. 1 - L'angelo che mi parlava venne a destarmi, come si desta uno dal sonno,

Zac. 2 - e mi disse: "Che cosa vedi?". Risposi: "Vedo un candelabro tutto d'oro; in cima ha un recipiente con 7 lucerne e 7 beccucci per le lucerne.

Zac. 3 - Due olivi gli stanno vicino, uno a destra e uno a sinistra.

Zac. 4 - Allora domandai all'angelo che mi parlava: "Che cosa significano, signor mio, queste cose?

Zac. 5 - Mi rispose: Non comprendi dunque il loro significato? E io: No, signor mio.

Zac. 6 - Egli mi rispose: Questa è la parola del Signore a Zorobabele: Non con la potenza né con la forza, ma con il mio spirito, dice il Signore degli eserciti!

Zac. 7 - Chi sei tu, o grande monte? Davanti a Zorobabele diventa pianura! Egli estrarrà la pietra, quella del vertice, fra le acclamazioni: Quanto è bella!

Zac. 8 - Mi fu rivolta questa parola del Signore.

Zac. 9 - Le mani di Zorobabele hanno fondato questa casa: le sue mani la compiranno e voi saprete che il Signore degli eserciti mi ha inviato a voi.

Zac. 10 - Chi oserà disprezzare il giorno di così modesti inizi? Si gioirà vedendo il filo a piombo in mano a Zorobabele. Le 7 lucerne rappresentano gli occhi del Signore che scrutano tutta la terra.

Zac. 11 - Quindi gli domandai: Che significano quei due olivi a destra e a sinistra del candelabro?

Zac. 12 - E quelle due ciocche d'olivo che stillano oro dentro i due canaletti d'oro?

Zac. 13 - Mi rispose: "Non comprendi dunque il significato di queste cose? E io: No, signor mio.

Zac. 14 - Questi, soggiunse, sono i due consacrati che assistono il dominatore di tutta la terra.

Il fatto che si parli di visione indica che c'è un qualche discorso enigmatico che l'autore vuole trasmettere, e n'avvisa così il lettore iniziato a cercare per decriptazione nel testo.
La Bibbia ha molteplici brani in cui si parla di sogni e visioni premonitori d'avvenimenti; ricordo ad esempio i sogni sia di Giuseppe dell'A.T., sia di Giuseppe del N.T, nonché di quelli di Daniele.
In definitiva una visione implica una lettura doppia.
Ho avuto più volte il modo di soffermarmi sul significato dell'avviso e rimando alla lettura di "I geroglifici ebraici del libro di Daniele", "Profezie che ci sono e non ci sono" in "Il Cristianesimo di fronte ad una Bibbia segreta" e in "Chi legge doppio è brillo" di "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche".
Già la parola sogno, in ebraico, spezzata e letta con i significati delle lettere e con i criteri del metodo di decriptazione che ho esposto in quella rubrica si ha una spiegazione in quanto "il sogno" dice di se stesso: "chiuso/nascosto/racchiude il perché ()".
Interessante è che gli ultimi tre versetti del Capitolo 3 che precedono il riportato Capitolo 4 del libro di Zaccaria che parla del candelabro ha per soggetto il Germoglio profezia certa del Messia ed allusione indiretta alle forme floreali inserite nel candelabro stesso.

Questo è il testo CEI di quei tre versetti (Zac. 3,8-10):

Zac. 3,8 - Ascolta dunque, Giosuè sommo sacerdote, tu e i tuoi compagni che siedono davanti a te, poiché essi servono da presagio: ecco, io manderò il mio servo Germoglio.

Zac. 3,9 - Ecco la pietra che io pongo davanti a Giosuè: sette occhi sono su quest'unica pietra; io stesso inciderò la sua iscrizione - oracolo del Signore degli eserciti - e rimuoverò in un sol giorno l'iniquità da questo paese.

Zac. 3,10 - In quel giorno - oracolo del Signore degli eserciti - ogni uomo inviterà il suo vicino sotto la sua vite e sotto il suo fico.

Ci sono così tutti i requisiti per cercarvi il testo nascosto, e così ho fatto e riporto il risultato:

Zac. 3,8 - La luce i viventi vedono inviata dall'Unico con Gesù uscire.
Così esce da inviato al mondo, la gloria dell'Unico indica, fuori porta dal male ad essere retti.
Usciti sono dalla prigionia i viventi del serpente che soffiava con energia l'esistenza della rettitudine, così è che l'Unigenito riinvia dell'Essere la luce ai viventi, riporta il soffio completo che riapre alla vita il mondo.
Cosi sono usciti per l'energia inviati, sono a vivere alla casa che è dell'Unigenito. Inizia completamente dalla nube un aiuto ad essere sceso ai viventi alle strette.

Zac. 3,9 - Così è uscito promanato al mondo, emesso dal Padre da inviato, l'Unignito Principe. Inviato il segno dei segni è.
La potente Parola inviata è Gesù, dall'alto, dell'Unico il Figlio, ai fratelli indica che la luce da casa in azione al mondo è stata inviata dall'Essere Vivente, esce con energia inviata la forte chiave per liberare il mondo.
Con energia inizia i viventi il Signore delle schiere a portare al banchetto (il banchetto escatologico in cui il Messia con i salvati mangerà il Leviatano ed il Behamot), inizia il segno che l'iniquità uscirà dalla terra, uscito al mondo è dal Padre il giorno /Uno (l'8° giorno la Domenica eterna).

Zac. 3,10 - In quel giorno uscirà, Egli l'inviato dall'Unico, ai viventi, il Signore farà scendere dentro "il Segno" completo, lo verserà alla vista, porterà l'Unigenito un forte fuoco alle potenze del male del mondo, porterà il primo serpente sotto, scorrerà dalla bocca l'energia e del primo serpente finirà la paura, finiranno i lamenti.

Non riporto invece la decriptazione del Capitolo 4 di Zaccaria in quanto non è essenziale per il tema che stiamo trattando perché di fatto ne escono idee e questioni simili a quelle che si ricavano dalla decriptazione del testo del Candelabro del Capitolo 25 dell'Esodo e che ho riportato nel paragrafo sul Simbolismo del n° 7.
Si rimanda alla lettura dell'articolo "Profezie nei vangeli: il protovangelo di Zaccaria" ove ho riportato l'intera decriptazione dei capitoli 9-14 di Zaccaria, testo che è una vera fonte d'episodi raccontati nei Vangeli.
Pare così evidente il risultato che il candelabro manifesta un segno concreto dell'attesa dell'intervento di Dio nel mondo attraverso il Messia.

LA MENORAH, ALBERO SEFIROTICO
Nel libro dell'Esodo è raccontato che Mosè fece preparare per gli Israeliti la Tenda dell'Alleanza o Tabernacolo, l'arca, il candelabro e tutti gli arredi da Bezaleel e dal suo compagno Ooliab, artisti-artigiani particolarmente versati in lavori d'intagliatore, di disegnatore, di ricamatore, di tessitore.
"Vedete, il Signore ha chiamato per nome Bezaleel ... della tribù di Giuda. L'ha riempito dello Spirito di Dio, perché egli abbia saggezza, intelligenza e scienza in ogni genere di lavoro per concepire progetti ... per scolpire il legno e compiere ogni sorta di lavoro ingegnoso. Gli ha anche messo nel cuore il dono d'insegnare e così ha fatto anche con Ooliab, figlio di Achisamach, della tribù di Dan." (Es. 35,30-34 che praticamente ripete sinteticamente quanto già detto al capitolo 31,1-10)
Bezaleel poi è citato in Esodo 35, 36, 37, 38, in 1 Cr. 2,20 e 2 Cr. 1,5.
Sono tutti nomi strani che portano in una stessa direzione:
  • Bezala'el = be + sala + 'el si può tradurre, all'ombra Dio.
  • Ooliab = Oehaljab = Oehal + j + ab cioè, nella tenda starà del padre, oppure splendore è del padre;
  • Achisamach = Ach + j + samak ossia, mio fratello aiuto.
Il mishkan = Tabernacolo, con i suoi arredi, di fatto risulta la prima creazione artistica del popolo ebraico, ma nello stesso tempo ne è l'apice, in quanto perfetto in sé, non potendo essere in alcun modo fatto meglio.
Pare così inconcepibile che sia stato eseguito nel deserto.
A ciò intende rispondere il testo che appunto precisa che il risultato è stato ottenuto grazie a Bezaleel, che procedeva secondo misure fornite dall'alto direttamente all'ombra, cioè sotto la diretta protezione e supervigilanza di Dio, che lo riempiva di Spirito Santo.
Dio così, tramite un uomo che aveva prescelto, "chiamato per nome", Bezaleel, fece una vera e propria creazione, e in questa allegoria il deserto rappresenta concretamente il nulla, in cui c'è vita solo grazie a Dio.
Si apre così un'altra lettura per il nome Bezaleel, "dentro l'ombra di Dio ", così Bezaleel , è ombra del Creatore.
Tra l'altro il nome Bezaleel si trova 7 volte nel libro dell'Esodo: Cap. 31 v. 2 - Cap. 35 v. 30 - Cap. 36 vv. 1,2,8 - Cap. 37 v. 1 - Cap. 38 v. 22 e perviene alla pienezza del numero 8 unito allo Spirito che lo muove.
Il padre di Bezaleel si chiama Uri (Es. 31,2), in ebraico , cioè "luce mia" con evidente richiamo alla luce del 1° giorno (Gen. 1,3) della creazione.
La menorah, il candelabro, era un pezzo unico, senza saldature, d'oro puro, come il vitello d'oro in evidente contrapposizione.
Il libro dell'Esodo, infatti, espone così i fatti:
  • Dio da disposizioni sul Tabernacolo e consegna a Mosè le tavole della legge nei capitoli 25-31;
  • c'è poi in 32-33 il racconto del vitello d'oro, l'idolo da cui i popoli pagani credono d'ottenere la vita, tentazione continua anche per il popolo di Dio, contro cui s'oppone però la tensione verso l'idea perfetta del Santuario;
  • nel 34 c'è la consegna al popolo del decalogo e dell'alleanza;
  • il racconto dell'erezione del Santuario 35-40.
La luce è simbolo dell'anima e la menorah un parallelo al corpo dell'uomo, ma i due sono inseparabili, infatti, la menorah senza la fiamma è morta e la fiamma senza il corpo è invisibile e ricorda la fiamma del roveto ardente che bruciando non si consuma in cui Dio si manifesta a Mosè e di cui è detto nello stesso libro dell'Esodo (3,1-6).
Nella descrizione del candelabro s'insiste sul particolare: "Vi saranno su di un braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla e così anche sull'altro braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla. Così sarà per i sei bracci che usciranno dal candelabro. Il fusto del candelabro avrà quattro calici in forma di fiore di mandorlo, con i loro bulbi e le loro corolle. (Es. 25,33s)
È stato osservato che questa menorah è simbolo dell'albero della vita con tutti quei voluti paralleli che ho evidenziato in grassetto.
L'albero a sette rami risale a radici mitologiche della Mesopotamia, riprodotto diffusamente in sigilli e rilievi.
Simboleggia la fertilità e la vita che si rinnova e nel giardino dell'Eden sta ad indicare la potenza fecondatrice inesauribile di Dio.
Ancor oggi è diffusa la rappresentazione d'un albero del genere sui tappeti orientali, spesso rappresentato da un fico meraviglioso; infatti il Genesi, al momento della cacciata di Adamo ed Eva lo ricorda:"...intrecciarono foglie di fico e ne fecero cinture." (Gen. 3,7b)
Arrivando nella Terra Promessa i patriarchi recarono con sé il mito dell'albero cosmico della vita, i cui rami toccano il cielo e portano frutti che danno l'immortalità.
Nel Sefèr Yetzirà, o Libro della Forma, base della Qabbalah, si parla appunto dell'Albero Sefirotico o della Vita formato da 10 Sefirot o Sfere quali forze, categorie operanti nell'universo, portatrici di flussi di qualità divine immesse nel creato, assieme alle 22 lettere, causa prima di tutto ciò che esiste.
Il candelabro, così come descritto, calza bene con tutte le sefirot e rappresenta bene l'albero sefirotico; infatti quei 10 calici fanno pensare alle ampolle o sfere con cui sono immaginate tali emanazioni.
Ai mistici ebrei parve giusto definire la I Sefirot col nome di Corona=Keter "In quel giorno sarà il Signore degli eserciti una corona di gloria, un splendido diadema per il resto del suo popolo. Ispiratore di giustizia" (Is. 28, 5s)
La Causa Suprema Keter A costruisce un canale, largo come il mare chiamato intelletto, intelligenza (Binah) B e riempie il conoscere della propria sostanza essenziale (Saggezza, Chokmah ) C.
Il mare è diviso in sette canali:
  • compassione o grandezza, Chesed D;
  • giustizia forza, Geburah E;
  • bellezza o amore, Tiphereth F;
  • vittoria, Nezach G;
  • gloria, Hud H;
  • fondamento, Yesod I;
  • regalità, Malkuth L.


Nel Corano nella Sura 24 An-Nùr = La luce, che prende nome dal versetto 35 è detto "Allah è la luce dei cieli e della terra. La Sua luce è come quella di una nicchia in cui si trova una lampada, la lampada è in un cristallo, il cristallo è come un astro brillante; il suo combustibile viene da un albero benedetto, un olivo né orientale né occidentale, il cui olio sembra illuminare senza neppure essere toccato dal fuoco. Luce su luce. Allah guida verso la Sua luce chi vuole Lui e propone agli uomini metafore. Allah è onnisciente." (S. XXIV.35) mette in evidenza tutta la tensione che c'è per un olio speciale che viene dall'alto.
Di questi ulivi abbiamo visto parla il profeta Zaccaria e sono richiamati nell'Apocalisse (Ap 11,4).

Sull'importanza nella ricerca mistica delle lettere rimando al mio articolo "Profezie nei vangeli: il protovangelo di Zaccaria" La Bibbia segreta cercata dalla cabbalà ebraica " in "Tensione dell'ebraismo ad una Bibbia segreta".
Dio per la Cabbalà non è l'universo lo comprende e lo trascende e tutto è creato dallo Spirito di Dio; "Dalla parola del Signore sono stati fatti i cieli, e dal soffio della sua bocca tutti i loro eserciti." (Salmi 33,6).

Tale asserzione viene sostenuta dalla seguente osservazione fatta sul libro.

L'ultima delle Sefirot è la base del candelabro che si unisce alla prima che ne è la fiamma e come le Sefirot sono alla base della prima produzione della forma, così le 22 lettere sono la causa prima della materia. Tutto ciò che esiste si sarebbe sviluppato con i poteri delle lettere combinata con la forma investita dalle 10 Sefirot.
L'uomo infine è copia dell'universo e lo Zohar suggerisce che le parti dell'uomo carne, pelle, ossa e vene rappresentano aspetti dell'universo.
La pelle i cieli, la carnel'aspetto fangoso dell'universo, le ossa e le vene, il carro (Merkabàh) divino in cui passa la vita, i poteri interiori dell'uomo che sono mossi da Dio e l'Uomo Celeste è come quello terrestre in quanto Dio creò l'uomo a propria immagine.
Sono pennellate di fantascienza; Dio infinito avrebbe fatto prendere alla creazione la forma d'un uomo e i mondi e le galassie sarebbero i nucleoli di materia separati da distanze enormi alla stregua di quanto si potrebbe vedere con un microscopio atomico a scansione delle molecole, atomi e i corpuscoli atomici nell'interno d'un corpo dell'uomo.
L'uomo, cioè, conterrebbe in sé l'immagine speculare del cosmo; è perciò un microcosmo del macrocosmo, così che entrando in meditazione in sé stesso può arrivare ad avere cognizioni dell'universo, il che non pare lontano dalla verità.

Disse San Paolo agli ateniesi: "Per essi (gli uomini) ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché, cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (At. 17,26b-28a) discorso che dopo quanto detto pare assume anche altre sfaccettature.
I primi mistici di cui si sa l'esistenza, sono gli Hassidim antichi e gli uomini pii dell'epoca dei Maccabei e da questi derivarono gli Esseni di cui parlano Giuseppe Flavio, il Talmud babilonese e palestinese, Filone di Alessandria.
Usavano come guida le leggi non dettate da mente umana, ma dall'illuminazione dello Spirito Santo, erano tesi alla conoscenza dell'essenza di Dio, amanti dell'interpretazione allegorica ai limiti di un'estasi entusiasmo nel fare il bene coltivavano soprattutto le regole interiori del codice biblico piuttosto che le regole esteriori.
Successivo, il gruppo Merkabà (carro) di studiosi mistici ispiratisi alla dottrina all'immagine d'Ezechiele del Figlio dell'Uomo unione della trascendenza di Dio sulla Terra e dell'ascesa dell'uomo al cielo.
Filone d'Alessandria (1100-1200 d.C.) dette impulso con elementi neoplatonici, stoici e rabbinici e avanzò l'idea di angeli mediatori per conciliare l'idea d'un Dio, quindi, puro con un mondo impuro.
Dio per la Cabbalà è in contatto con l'universo con gli angeli, parte del Suo essere e emanazioni della sua sostanza e lo Zohar ed il Talmud chiariscono che l'A.T. dimostra che i giusti sono più grandi degli angeli.
Nel X-XI sec .d.C. c'è la divulgazione del libro Yetziràh, che la tradizione pone come scritto nel III sec. d.C. con origini misteriose, il più importante per del misticismo ebraico moderno.
Questo libro è basato su suoni, forme, posizioni e valori numerici delle lettere dell'alfabeto ebraico.
I rabbini, dissero che il valore di questa teoria, base della cabbalà, era da attribuire a Bezaleel l'architetto del Tabernacolo nel deserto, che di fatto lo costruì mettendo insieme le lettere per mezzo delle quali il cielo e la terra furono creati, perché egli era pieno dello Spirito di Dio in sapienza ed ingegno. (Esodo 31,3)
L'idea che lo Spirito di Dio si porta anche nell'espressione più bassa della creazione come detto, nell'aspetto fangoso dell'universo venire a mente che nel nome di Bezaleel c'è anche l'idea del fango, perché si può pure spezzare così "nel fango la potenza della divinità ".

Il versetto Es. 31,2: "Vedi, ho chiamato per nome Bezaleel, figlio di Uri, figlio di Cur, della tribù di Giuda" assume così un altro aspetto.




"In un corpo l'Unigenito nel mondo si rovescerà alla vista . Scelse di stare ad abitare il Nome nel fango . Il potente di Dio figlio , l'Unico porterà alla contesa con l'angelo che a nascondersi si portò nei corpi . La potenza nella madre nell'utero entrerà . Il Signore () per aiutare vi entrerà ."

"In un corpo l'Unigenito nel mondo si rovescerà alla vista.
Scelse di stare ad abitare il Nome nel fango.
Il potente di Dio figlio, l'Unico porterà alla contesa con l'angelo che a nascondersi si portò nei corpi.
La potenza nella madre nell'utero entrerà.
Il Signore per aiutare vi entrerà."

SIMBOLISMO DEL NUMERO 7
L'Antico e Nuovo Testamento sono densi di riferimenti ad eventi legati dal n° 7 che non starò a ricordare.
Sintetizzo solo alcuni fatti:
  • 7 sono le virtù, 4 cardinali (Catechismo 1805-9) fortezza, sapienza, giustizia, temperanza e 3 teologali (Catechismo 1813) fede, speranza e carità.
  • 7 sono le note musicali.
  • 7 i colori dell'arcobaleno (rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco e violetto.
  • 7 fori ha il corpo umano: 2 narici, 2 orecchie, 1 bocca, 1 ano, 1 sesso.
Per il libro dell'Apocalisse la fine del mondo sarà annunciata da:
  • 7 sigilli (Ap. 5,1 s),
  • 7 trombe suonate da 7 angeli (Ap. 8,1 s),
  • 7 segni (Ap. 12,1 s),
  • 7 coppe dell'ira di Dio che saranno versate (Ap. 16,1).
Per andare al sodo, passo alla radice delle lettere ebraiche che formano quel numero sette (7).
Attorno a quelle lettere circolano vari concetti tutti riconducibili ad un'unità.

Vecchio = .
Condurre in esilio = .
Schiavitù, prigione = .
Sabato, cessare riposarsi = .

La chiave di volta è il radicale "condurre in esilio" che in ebraico è .
La schiavitù in Egitto e poi l'esilio a Babilonia sono l'archetipo e l'imperativo da superare.
Il profeta Baruk cogliendo il collegamento dell'invecchiare con l'essere esiliati: "Noi ti lodiamo ora nell'esilio... Ecco, siamo ancor oggi esiliati e dispersi... Perché Israele ti trovi in terra nemica e invecchi in terra straniera?" (Baruk 3,7b, 8, 10)
Questo dell'esilio indipendentemente da questioni oggettive può essere anche connesso ad una nostalgia d'uno stato di pienezza a modello di vita che abbiamo un poco tutti come desiderio impresso nel cuore e chi la sente più forte gli d'essere in un certo senso ebreo, nell'accessione più ampia del termine , cioè di appartenente a "regione posta al di là".
Per cristiani come per gli ebrei la propria patria è in un altro posto, che è al di là, come appunto è nel radicale dell'essere ebreo.
La lettera a Diogneto di un anonimo del II sec. a.C. fa comprendere come quest'idea era ben congenita nei cristiani all'origine:

"V. 1. I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. 2. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. 3. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. 4. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. 5. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. 6. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. 7. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. 8. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. 9. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. 10. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. 11. Amano tutti, e ..."

La lettera agli Ebrei, attribuita a S. Paolo, dopo aver evidenziato la fede di Abele, Enoch, Noè, Abramo, Isacco e Giacobbe viene detto: "Nella fede morirono tutti costoro, pur avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. Chi dice così dimostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una migliore, cioè quella celeste. Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato per loro infatti una città." (Ebr. 11,13 -16)
Questa città è la nuova Gerusalemme della Apocalisse.

Il numero 7 ha in se una incompletezza una tensione, c'è insita appunto la nostalgia dell'esiliato che attende la pienezza della propria dignità.
Tutto ciò ce lo dicono le stesse lettere costitutive del numero sette in ebraico, in quanto con l'uso dei significati delle lettere, = + () = condurre in esilio = sentirsi/vedersi .
Per chi "condursi in esilio si sente o si vede" c'è la tensione allo shabbat al sabato , al riposo al cessare e, come dicono le stesse lettere, = a che "l'essere condotti in esilio () finisca ."

Si attende il sabato come giorno di liberazione e ricorda l'esodo dall'Egitto e la libertà della schiavitù come ci ricorda il decalogo inserito nel libro del Deuteronomio 5,12-15: "Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato."
Il sabato come ricordo d'un esilio superato e come promessa di fine dell'esilio dalla visione di Dio tanto che nella tradizione il momento più importante è la fine del sabato stesso in cui si attende l'arrivo della "Signora del Sabato" ed in cui il giorno che verrà celebrato in pienezza sarà alla venuta finale del Messia che ci porterà appunto alla pienezza dell'8° giorno.
Il candelabro perciò con i suoi 7 bracci ricorda questa tensione che ha senso perché tra i suoi fuochi circola il Signore che porta a completezza quel segno.
Quando gli ebrei erano esiliati, racconta il secondo libro delle Cronache "Allora il re (dei Caldei) deportò in Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all'avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore, predetta per bocca di Geremia: Finché il paese non abbia scontato i suoi sabati, esso riposerà per tutto il tempo della nella desolazione fino al compiersi di settanta anni" (2Cr. 36,20s) ove è posto ancora in evidenza il collegamento stretto del sette, settanta, il riposare, e i sabati con l'esilio.

La profezia dei settanta anni e poi delle settanta settimane di anni del profeta Daniele (Vedi "I geroglifici ebraici del libro di Daniele") può trovare in ciò la sua radice.
Riporto la decriptazione del testo del candelabro (Esodo 25,31-40) delle prime disposizioni di Dio sul candelabro che anticipai che avrei eseguito:

Es. 25,31 - Porterà in azione la risurrezione a stare in tutti i viventi.
L'energia nei corpi finirà, colpendo chi entrò dentro i cuori con perversità.
Il verme rovescerà col fuoco che uscirà da tutti spazzato per la risurrezione che entrerà.
Uscirà dai viventi l'angelo, che portandosi nei corpi nel mondo fu a fiaccarli.
Ne porterà a rovesciare l'energia fuori, scorrerà da dentro la forza della rovina che entrò deprimendo di tutti i corpi.
Sarà ad uscire dalla vita dei viventi l'angelo che per esistere fu a portarvisi.

Es. 25,32 - Si portò nel sesto (giorno) nel mondo.
Rovesciò l'angelo nei giorni di sozzura un mare.
Nei viventi scenderà a sbarrarlo.
Sarà nel mondo con la risurrezione.
Per la potenza bruciato uscirà.
Rovesciato che sarà l'angelo che sta nei viventi, l'energia nei corpi rientrerà.
Dalla contesa battuto uscirà.
Uscirà per l'Unigenito dal nascosto l'essere impuro.
Nel terzo (giorno) del mondo, rovesciato l'angelo, alla destra con il corpo dal mondo i viventi innalzerà.
Per l'aiuto usciranno dal mondo, tra i luminosi angeli staranno.

Es. 25,33 - Per la risurrezione il serpente bruciato uscirà scappando da dentro.
Si vedranno i viventi salvati ad oriente abitare versati tra gli angeli, usciti dal mondo.
Nell'Uno tra i retti al volto tutti col corpo porterà il Verbo col corpo dalle tombe.
Li condurrà risorti, potenti, luminosi.
Entreranno in alto a vederlo, saranno i viventi eredi per l'aiuto che ci sarà stato, vivranno nella casa, da possessori vi entreranno. In un fratello per aiutare la rettitudine la Parola completa porterà da germoglio.
La rettitudine inviata al serpente lo brucerà con la risurrezione alla fine del mondo.
Rovesciato l'angelo, sarà con i viventi ad uscire, sarà ad innalzarli dall'Unico a stare a vivervi la vita degli angeli.
Dal mondo vivi l'invierà, nel corpo gli entreranno.

Es. 25,34 - Si porteranno dentro i viventi da dove l'energia dal corpo gli uscirà.
Dell'Unigenito il corpo dentro vedranno aperto.
Scorreranno dentro (da dove) in azione un mare di salvezza avrà versato.
Aiutati saranno dalla piaga del Verbo.
In croce il corpo del Signore farà frutti di vita.

Es. 25,35 - Si porteranno così nel Verbo in croce.
Nel corpo crocefisso si chiuderanno tutti i risorti.
Inviati saranno dal mondo ricreati.
Un mare di viventi vivi tra gli angeli dal mondo porterà tra i retti il Verbo.
Tutti corpi alla fine strapperà via con la risurrezione dall'angelo che sta nel mondo che rovescerà con lamenti dai viventi.
La vita che vive inviando perversità per la rettitudine del Verbo finirà nei corpi.
Per tutti la prigione finirà; rinnovati saranno ad uscire, riformati saranno i viventi.
Vivi a vivere un torrente di risorti nel Risorto in croce entreranno; versatisi, inviati saranno vivi ad uscire.
Saranno su con l'Unico l'esistenza a vivere che vivono gli angeli.
Vi entreranno vivi per l'energia nei corpi entrata.

Es. 25,36 - La rettitudine del Verbo in tutti i corpi sarà ad entrare.
La vita avrà a riportare versando energia pura.
Della vita che vivono gli angeli l'esistenza sarà a portare a tutti che usciranno dalla putredine.
Risorti entreranno nell'Unico a chiudersi.
Dal Crocifisso questi entreranno dentro al cuore che dal mondo li porterà nel corpo.

Es. 25,37 - A riportarsi alla vista da risorto sarà il Crocifisso.
Gli verrà l'energia nel corpo completa.
Sarà nel mondo nel settimo (giorno).
Con perversità innalzarlo verranno.
Gli stranieri crocifiggeranno il Signore.
Nel mondo l'Unigenito sarà in un corpo.
Dall'alto tra gli ebrei in una persona sarà nel mondo.

Es. 25,38 - Si porterà tra i viventi per il serpente rovesciare dalla vita e nelle midolla di tutti finirlo.
Sarà, uscito questi, chi nel mondo abita puro.

Es. 25,39 - Così la rettitudine nei corpi per Questi rientrerà dentro i cuori.
La perversità dai corpi spazzerà.
Con la risurrezione che entrerà, riverrà l'originaria perfezione.
Del maligno sarà dai viventi ad uscire la maledizione.

Es. 25,40 - Si riporteranno i corpi originari.
Usciranno portandosi alla vista luminosi.
Entreranno a casa tutti da figli, essendo puri, dall'Unico.
Con i risorti corpi verranno.
Entreranno a vivere con i corpi dall'amante che li avrà rigenerati.

SE TI DIMENTICO GERUSALEMME, SI PARALIZZI LA MA DESTRA
Gli esiliati che stavano a Babilonia sedevano piangendo al ricordo di Sion.
Il salmo 137 riporta struggente la malinconia ed il desiderio del ritorno.
"Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra ...se non metto Gerusalemme al disopra di ogni mia gioia." (137,5.6)
"Come la cerva anela ai corsi d'acqua così l'anima mia anela a te o Dio", così inizia il lamento del Levita esiliato nel Salmo 42-43, "Spera in Dio: ancora potrai lodarlo... Verrò all'alare di Dio, al Dio della mia gioia, del mio giubilo. A te canterò con la cetra, Dio, Dio mio." (Salmo 43,4)

Chi ha visto la Gerusalemme terrena, pur senza lo splendore del Tempio, le vecchie mura, le sue porte, la via Crucis, le Sante vestigia, la spianata del tempio, le Sante Chiese e l'ha vista splendere a qualsiasi ora del giorno dal monte degli Ulivi, in un cielo azzurro terso con quella cupola d'oro, ha sentito un fremito nell'aria ed una vibrazione indicibile nel cuore, che non può dimenticare, perché ha ormai sigillato con certezza che quello è un posto prediletto. Lì Dio c'è stato, si trova e si farà ritrovare.
È questa città-sorgente da cui sono nate le religioni monoteistiche: "Il Signore ama le porte di Sion... L'uno e l'altro è nato in essa e l'Altissimo la tiene salda. Il Signore scriverà nel libro dei popoli: Là costui è nato. Sono in te tutte le mie sorgenti." (Sal. 87)
In quella città verrà il Messia per la risurrezione finale che da lì s'irraggerà nel mondo, e per la tradizione ebraica i morti risorgeranno e convergeranno dai quattro angoli della terra verso Gerusalemme; infatti, sulle pendici dall'altura da cui si vede la spianata del Tempio, si stende un cimitero antico con tombe di generazioni d'uomini che hanno avuto fede e amore per Dio e per Sion orientate verso il Tempio.
L'esiliato a Babilonia non poteva cantare: "Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre... Come cantare i canti del Signore in terra straniera? (137,2.4)
Gli stessi esiliati tornati riuscirono a ricantare, avendo così ricevuto un segno di risurrezione, avendo vissuto una nuova Pasqua: "Quest'anno qui il prossimo anno a Gerusalemme" è detto nel seder pasquale.
Anche i cristiani che, come ben esprime la lettera a Diogneto sono in esilio perché sentono che la loro vera patria è il cielo, pure possono cantare, perché hanno ricevuto la buona notizia che l'esilio è finito in virtù della morte e risurrezione del Cristo.
Il Salmo 150, l'ultimo del salterio, cioè del libro dei Salmi esprime a pieno la gioia di un ritorno certo, tanto da considerarlo nella pienezza come cantato davanti a Dio nella Gerusalemme celeste.
Nella ricerca sulla Menorah e sul Messia mi sono imbattuto con riferimento alla gioia in ciò che disse il Santo Padre Giovanni Paolo II nell'udienza generale di mercoledì 9.1.2002, a commento proprio del Salmo 150, "Ogni vivente dia lode al Signore", il terzo dei salmi delle lodi mattutine della Domenica della 2ª e 4° settimana del Libro delle ore.
Tale breve commento è profondamente ispirato e rivela tutto l'amore per i testi sacri e per l'ebraismo, considerato intensamente come ceppo d'origine.

Riporto prima la traduzione della CEI di quel Salmo, e poi quelle parole.

1 Alleluia.
Lodate il Signore nel suo santuario,
lodatelo nel firmamento della sua potenza.

2 Lodatelo per i suoi prodigi,
lodatelo per la sua immensa grandezza.

3 Lodatelo con squilli di tromba,
lodatelo con arpa e cetra;

4 lodatelo con timpani e danze,
lodatelo sulle corde e sui flauti.

5 Lodatelo con cembali sonori,
lodatelo con cembali squillanti;

6 ogni vivente dia lode al Signore.
Alleluia."
(Salmo 150)

"L'inno che ora ha sostenuto la nostra preghiera è l'ultimo canto del Salterio, il Salmo 150. La parola finale che risuona nel libro della preghiera d'Israele è l'alleluia, cioè la pura lode di Dio e per questo il Salmo viene proposto due volte nella Liturgia delle Lodi, la seconda e la quarta domenica. Il breve testo è scandito da un rincorrersi di dieci imperativi che ripetono la stessa parola "hallelû", "lodate!". Quasi musica e canto perenne, essi sembrano non spegnersi mai, così come accadrà anche nel celebre alleluia del Messia di Haendel. La lode a Dio diventa una sorta di respiro dell'anima, che non conosce sosta. Come è stato scritto, questa è una delle ricompense dell'essere uomini: la quieta esaltazione, la capacità di celebrare. È bene espressa in una frase che rabbí Akiba ha offerto ai suoi discepoli: Un canto ogni giorno, un canto per ogni giorno" (A. J. Heschel, Chi è l'uomo?, Milano 1971, p. 198).
Il Salmo 150 sembra svolgersi in un triplice momento. In apertura, nei primi due versetti, lo sguardo si fissa sul "Signore nel "suo santuario", sulla "sua potenza", i "suoi prodigi", la "sua grandezza". In un secondo momento - simile ad un vero e proprio movimento musicale - nella lode è coinvolta l'orchestra del tempio di Sion, che accompagna il canto e la danza sacra. Infine nell'ultimo versetto del Salmo è di scena l'universo, rappresentato da "ogni vivente" o, se si vuole ricalcare maggiormente l'originale ebraico, da "tutto ciò che respira". La vita stessa si fa lode, una lode che sale dalle creature al Creatore. Noi ora, in questo nostro primo incontro col Salmo 150, ci accontenteremo di soffermarci sul primo e sull'ultimo momento dell'inno. Essi fanno quasi da cornice al secondo momento, che occupa il cuore della composizione e che esamineremo in futuro, quando il Salmo verrà riproposto dalla Liturgia delle Lodi. (Vedere in appresso)
La prima sede in cui si dipana il filo musicale e orante è quella del "santuario". L'originale ebraico parla dell'area "sacra", pura e trascendente in cui Dio dimora. Vi è, quindi, un riferimento all'orizzonte celeste e paradisiaco, ove, come preciserà il Libro dell'Apocalisse, si celebra l'eterna e perfetta liturgia dell'Agnello (Ap. 5,6-14). Il mistero di Dio, nel quale i santi vengono accolti per una piena comunione, è un ambito di luce e di gioia, di rivelazione e di amore. Non per nulla, sia pure con qualche libertà, l'antica traduzione greca dei Settanta e la stessa traduzione latina della Vulgata hanno proposto, invece di "santuario", la parola "santi": "Lodate il Signore tra i suoi santi".
Dal cielo il pensiero passa implicitamente alla terra con l'accento ai "prodigi" operati da Dio, i quali manifestano "la sua immensa grandezza". Questi prodigi vengono descritti nel Salmo 104, il quale invita gli Israeliti a "meditare tutti i prodigi" di Dio, a ricordare "le meraviglie che ha compiuto, i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca"; il salmista allora ricorda "l'alleanza stretta con Abramo", la storia straordinaria di Giuseppe, i prodigi della liberazione dall'Egitto e della traversata del deserto, e infine il dono della terra. Un altro Salmo parla di situazioni angosciose dalle quali il Signore libera coloro che "gridano" a lui; le persone liberate vengono invitate ripetutamente al rendimento di grazie per i prodigi compiuti da Dio: "Ringrazino il Signore per la sua misericordia, per i suoi prodigi a favore degli uomini" (Sal. 106, 8.15.21.31).
Si può capire così, nel nostro Salmo, il riferimento alle "opere forti", come dice l'originale ebraico, cioè ai "prodigi" potenti, che Dio dissemina nella storia della salvezza. La lode diviene professione di fede in Dio Creatore e Redentore, celebrazione festosa dell'amore divino, che si dispiega creando e salvando, donando la vita e la liberazione.
Giungiamo, così, all'ultimo verso del Salmo 150. Il vocabolo ebraico usato per indicare i "viventi" che lodano Dio rimanda al respiro, come si diceva, ma anche a qualcosa di intimo e profondo, insito nell'uomo.
Se si può pensare che tutta la vita del creato sia un inno di lode al Creatore, è però più preciso ritenere che una posizione di primato in questo coro venga riservata alla creatura umana. Attraverso l'essere umano, portavoce dell'intera creazione, tutti i viventi lodano il Signore. Il nostro respiro di vita, che dice anche autocoscienza, consapevolezza e libertà (Pr. 20,27), diventa canto e preghiera di tutta la vita che pulsa nell'universo.
Perciò noi tutti intratteniamoci a vicenda "con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore" con tutto il nostro cuore (Ef. 5, 19).
Trascrivendo i versi del Salmo 150, i manoscritti ebraici riproducono spesso la Menorah, il famoso candelabro a sette braccia, posto nel Santo dei Santi del tempio di Gerusalemme. Suggeriscono così una bella interpretazione di questo Salmo, vero e proprio Amen nella preghiera di sempre dei nostri "fratelli maggiori": tutto l'uomo, con tutti gli strumenti e le forme musicali che il suo stesso genio ha inventato - "tromba, arpa, cetra, timpani, danze, corde, flauti, cembali sonori, cembali squillanti", come dice il Salmo - ma anche "ogni vivente", è invitato ad ardere come la Menorah di fronte al Santo dei Santi, in costante preghiera di lode e di ringraziamento.
Uniti col Figlio, voce perfetta di tutto il mondo da Lui creato, diventiamo anche noi preghiera incessante davanti al trono di Dio."

Di quel secondo momento del salmo Giovanni Paolo II in Salmi e Cantici - Preghiera del mattino con la Chiesa - Domenica 4° settimana dice: "Tra terra e cielo si stabilisce, dunque, quasi un canale di comunicazione in cui si incontrano l'azione del Signore e il canto di lode dei fedeli. La Liturgia unisce i due santuari, il tempio terreno e il cielo infinito, Dio e l'uomo, il tempo e l'eternità. Durante la preghiera noi compiamo una sorta di ascesa verso la luce divina ed assieme sperimentiamo una discesa di Dio che si adatta al nostro limite per ascoltarci e parlarci, per incontrarci e salvarci. Il Salmista ci spinge subito verso un sussidio da adottare durante questo incontro orante: il ricorso agli strumenti musicali dell'orchestra del tempio di Gerusalemme, come la tromba, l'arpa, la cetra, i timpani, i flauti, i cembali. Anche il movimento in corteo faceva parte del rituale gerosolimitano (Sal. 117,27). Il medesimo appello echeggia nel Salmo 46,8 "Cantate inni con arte!"

Quest'idea del movimento di Dio, rappresentato da un triangolo verso l'uomo che innalza piramidi per raggiungerlo, accoppiato e compenetrato nel movimento l'ho rappresentato in questo disegno schematico.


Ne esce così lo Scudo di David il Moghen David la stella a sei punte tipico simbolo ebraico, formato da due triangoli opposti e intrecciati di cui uno rappresenta il desiderio di Dio da parte dell'uomo e l'altro ricerca di Dio verso l'uomo.
La dalet se si disegna ruotata è un angolo che con la linea di terra forma così un triangolo, come peraltro è la lettera delta nell'alfabeto greco.
Se le lettere dalet di David si scrivono com'era anticamente, con D David diviene D D, ma il bastone indica portare ed allora se si porta il primo triangolo sul secondo ecco la stella o scudo di David.
Ricordo che la lettera ha intrinseco il numero 3, infatti, la lettera ha tre punte e in gimatria a è attribuito il n° 300; perciò passare dal triangolo alla il passo è breve e si arriva a e quindi al candelabro.
Pur se la stella ha sei punte è da considerare il movimento dell'uomo verso Dio e di Dio verso l'uomo. Questo intreccio tra Dio e l'uomo comporta la presenza di Dio ed il pensiero così nasconde la pienezza del n° 8 la cui idea è pure nel Nodo di Salomone.

   

Particolarmente ispirato è stato il rapporto di Giovanni Paolo II con l'ebraismo i cui significati sono stati colti in questo intervento del Cardinale Roger Etchegaray in un Simposio della Commissione teologico-storica del Grande Giubileo dell'anno 2000 "Perché le fede cristiana ha bisogno del giudaismo".
Lo riporto perché, per quanto può valere, calza pienamente su come la penso al riguardo:

«Fin dall'inizio del suo pontificato (12 marzo 1979) a Magonza (17 novembre 1980), Papa Giovanni Paolo II osò dichiarare: "Le nostre due comunità religiose sono legate al livello stesso della loro identità". Ricordo ancora (ero presente) le sue parole folgoranti nella grande sinagoga di Roma, il 13 aprile 1986: "La religione ebraica non ci è 'estrinseca' ma, in un certo senso, è 'intrinseca' alla nostra religione. Noi abbiamo dunque verso di lei dei rapporti che non abbiamo con nessun'altra religione. Voi siete i nostri fratelli preferiti e, in un certo senso, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori".»
Queste parole, in fondo, non hanno nulla di nuovo o di audace; si ispirano all'immagine paolina della "Lettera ai Romani" (11,16-24) dell'ulivo buono che è Israele sul quale sono stati innestati i rami d'ulivo selvatico che sono i pagani. E san Paolo, l'antico fariseo divenuto "l'apostolo delle nazioni" dirà al pagano-cristiano: "Non menar tanto vanto; non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te" (Rom. 11, 18) ... è l'ebreo che ti porta. E non è forse nel Vangelo di Giovanni, che si vorrebbe intriso di antigiudaismo, che Gesù proclama solennemente alla Samaritana: "La salvezza viene dai giudei" (Gv. 4,22). Se le cose stanno veramente così, come spiegare il fatto che nel corso dei secoli tanti cristiani abbiano vissuto come se avessero dimenticato le loro radici, o peggio disprezzando il loro fratello maggiore? Comprendo bene la reazione del Rabbi Askenazi che diceva: "Non siamo neppure fratelli separati, perché non ci siamo mai incontrati". Di fatto, avvertiamo tutti la dolorosa ferita di quella che Fadiey Lovosky chiamava significativamente "la lacerazione dell'assenza".

Per parte mia, non cesso di pregare in vista del giorno in cui Dio sarà "tutto in tutti" (1 Cor. 15,28), ebrei e non ebrei. Tale è la Gerusalemme celeste di cui la nostra preghiera deve affrettare la venuta, la preghiera di noi che siamo in esilio ovunque nel mondo... anche io a Roma! Oh! Gerusalemme, preferita da Dio, di te ognuno può dire: "Ecco mia madre, in te ogni uomo è nato" (Sal. 97), e le nazioni salgono verso la luce. Oh, Gerusalemme, io cammino verso di te. Oh Gerusalemme, "Città salda e compatta" dove si riuniscono tutti i figli di Abramo e in cui si concentra la preghiera per la pace (Sal. 122). Oh Gerusalemme, io cammino verso di te. Oh! Gerusalemme, le cui colline piangono di desolazione e danzano di speranza, monte Moriah e Golgota, muro del Tempio e memoriale Yad Vashem, sepolcro vuoto dove l'angelo invita a non cercare fra i morti Colui che è Vivente (Lc. 24,5). Oh! Gerusalemme, io cammino verso di te. Oh! Nuova Gerusalemme, tu che discendi dal cielo vestita come una sposa nel giorno delle nozze, tu che non hai più tempio, perché il tuo tempio "è il Signore, il Dio onnipotente e l'Agnello" (Ap. 21). Oh Gerusalemme del cielo, noi camminiamo verso di te.

C'è una preghiera di Edmond Fleg Ascolta Israele con cui si rivolge ai credenti delle due religioni provenienti dallo stesso ceppo che sottolinea la comunione di spirito che le lega:

"Ed ora entrambi siete in attesa
Tu che Egli venga e tu che Egli ritorni;
Ma a Lui domandate la stessa pace
E le vostre mani, che Egli venga o che Egli ritorni,
a Lui tendete nello stesso amore! E dunque cosa importa?
Dall'una e dall'altra riva
Fate che Egli arrivi
Fate che Egli arrivi!"

Il Salmo 150 a chiusura del libro dei Salmi è l'Apocalisse del Salterio.
"Ogni vivente dia lode al Signore. Alleluia" così conclude il Salmo.
Guardando le lettere ebraiche che lo formano, considerate equi - separate com'era all'origine, si può fare anche una lettura diversa per decriptazione:



"La sposa dell'anima il Crocifisso dal mondo al Potente accompagnerà (). Sarà ad uscire la lode portata a Iah (Iahwèh)."

Quest'accenno porta allo scenario ampliamente sviluppato nell'Apocalisse, l'ultimo libro del N.T., che così accenna alla sposa del Crocifisso, l'Agnello senza macchia:
  • "Sono giunte le nozze dell'Agnello; la sua sposa è pronta." (Ap. 19,7b)
  • "Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo." (Ap. 21,2)
  • "Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell'Agnello." (Ap. 21,9b)
  • "Lo Spirito e la sposa dicono: vieni! E chi ascolta ripete vieni! Chi a sete venga: chi vuole attinga gratuitamente l'acqua della vita." (Ap. 22 17)
Ricordo al proposito che per anima nell'ebraico biblico si hanno due termini:
  • noepoesh , dal radicale di respirare, alito, respiro, anima di uomini e animali, animo come sede dei sentimenti, desideri affetti;
  • nishamah - nishamat , dal radicale ansare, alito soffio, spirito, anima, essere vivente.
Scrutando tutti i libri che costituiscono il canone ebraico della Bibbia, esce in modo inconfutabile il fatto singolare, senz'altro voluto, e perciò d'eccezionale interesse, che l'unico versetto in cui entrambi tali due termini si trovano impiegati assieme è nel Capitolo 2 della Genesi, proprio al versetto 7 in cui è descritto il modo particolare con cui Dio creò l'uomo e lo pose nel paradiso terrestre: "plasmò il Signore Dio l'uomo con la polvere della terra (rossa) e divenne l'uomo un essere vivente." (Gen. 2,7)

Le precedenti volte che si trova è per a caratterizzare l'aspetto della vita primitiva del regno animale soggetto all'uomo in:
  • Gen. 1,20 al momento della creazione dei primi animali, pesci e uccelli (5° giorno);
  • Gen. 1,21 alla creazione dei mostri marini;
  • Gen. 1,24 alla creazione del bestiame (6° giorno);
  • Gen. 1,30 quando Dio parla di tutti gli esseri viventi eccetto l'uomo.
Il termine - trova nel Genesi nel versetto Gen. 2,7 quando è formato l'uomo, e la volta successiva è in Gen. 7,22 al momento del diluvio, quando è raccontato che morirono tutti gli esseri viventi, animali e uomini compresi, salvo i salvati nell'arca.
Ho già approfondito quest'aspetto in "Se l'uomo viene dal cielo là torna" nel paragrafo: "Alle radici delle parole bibliche dell'anima".
Il Genesi sottolinea che ci fu un atto particolare, Dio soffiò.
È così sottolineata un peculiarità dell'uomo rispetto agli animali, per la presenza d'una esplicito atto di Dio che l'ha dotato di parte del proprio respiro espressione antropomorfica per riferire il disegno d'includere l'uomo nella sua Santità e nella sua Luce.
L'uomo è perciò un essere particolare, in cui pur se esiste "un'anima - un respiro" come negli animali, cioè plasmato dalla terra, da Dio è stato evoluto fino a dotarlo di un'anima specifica, "un alito divino" unico, proprio solo dell'uomo, in quanto solo questi ha questa prerogativa.
"Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò." (Gen. 1,27)

Con queste idea ho proceduto così alla decriptazione del Salmo 150 che qui riporto.

Salmo 150,1 - "Entreremo dal Potente.
Ad accompagnarci sarà per uscire dal mondo.
Dal Potente potenti ci porterà l'Unigenito.
Nel cuore la santità avrà riportato con l'uscita del serpente che la potenza recò della perversità dentro i corpi.
Rovesciatolo, spazzatolo, si vedranno questi riportati."

Salmo 150,2 - "Dal mondo nel potente ci porterà ad entrare.
Ed a casa in alto ci porterà.
Col corpo nel Crocifisso saremo portati.
Entrativi, al Potente ci accompagnerà.
Ad entrarvi ci porterà.
Nella gloria ci condurrà."

Salmo 150,3 - "Nello splendore li porterà dal mondo, ed a casa dal Crocifisso i riversati si vedranno simili.
Avrà fatto frutto per il Potente.
Al Potente lo condurrà.
A entrarvi li porterà da figli.
A casa del Potente li riporterà retti.
Angeli porterà con i corpi."

Salmo 150,4 - "A lodare porterà gli entrati e a casa tutti al volto questi vivranno.
Nell'assemblea li porterà del Potente.
A lodare li porterà.
Dal mondo i condotti a casa la vita degli angeli saranno a vivere e li vedranno camminare dentro."

Salmo 150,5 - "Nel mondo il serpente che la potenza portò della perversità dentro arrostirà, arrostito dalla risurrezione che per i viventi avrà agito.
Tra i potenti dal Potente portati dal mondo condotti a casa su del Potente all'ombra staranno.
Tutti a saziarsi alla vista entreranno."

Salmo 150,6 - "La sposa dell'anima del Crocifisso loderà Iah (Iahwèh). Alleluia!"

Questa decriptazione consolida l'idea di "Tempo-eternità: Un midrash Haggadah per Pesah - Il Disegno di Dio" alla cui lettura rimando.

È l'ora sesta dell'ottavo giorno, l'ora in cui il tempo è stato redento, la Domenica eterna, illuminata dalla Luce del Cristo, Agnello senza macchia.

"La città non ha bisogno della luce
del sole, né della luce della luna
perché la gloria di Dio la illumina
e la sua lampada è l'Agnello"
IAHVEH vide che era molto molto, molto buona,
la nuova Gerusalemme."

L'uomo ha creato strumenti per suonare che sono soltanto fiochi riflessi dei suoni meravigliosi che producono gli angeli.
Una sinfonia eterna si eleva da loro.
Un rumore di fondo ascoltano i fisici venire dagli estremi confini dell'universo, forse eco lontano di quanto oltre il settimo cielo è prodotto.
Il coro, però, che lo Spirito di Dio ascolta in terra circolando tra gli altari e tra le luci della Menorah nel Tempio, o che si eleva dagli uomini di buona volontà ovunque si trovino, è più prezioso di quanto avviene in cielo e si strugge di pazza passione per ascoltarlo tanto che non può trattenersi dallo scendere e desiderare di portarlo in cielo.
Questa è un'evidente allegoria, ma non lontana dalla realtà!
Dice il profeta Isaia (38,20) "Il Signore si è degnato di aiutarmi; per questo canteremo con le cetre tutti i giorni della nostra vita, canteremo nel tempio del Signore."
La voce dell'uomo che canta con amore e in libertà le Sue lodi è lo strumento più prezioso che nella Gerusalemme celeste di fatto mancava.
Il modello realizzato in terra di quanto Mosè aveva visto, sarà compiuto e Dio manderà il Messia per portarne il frutto in cielo.
In questo paragrafo molte volte è uscito nei riferimenti che ho richiamato lo strumento della cetra il kinnor .
Sì andremo su con la nostra cetra!
Ogni uomo ha una cetra, da suonare con arte per acclamare il Signore.
Questa è la visione, e come al solito è legata strettamente ai significati intrinseci delle lettere, perché lo strumento sarà perfetto se "la rettitudine degli angeli porteremo nei corpi " e se "da retti abiteremo () nel corpo ".

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