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DECRIPTAZIONE BIBBIA...

 
LE BENEDIZIONI DI GIACOBBE E DI MOSÈ

di Alessandro Conti Puorger
 
 

In questa rubrica con rigore e passione porto avanti l'idea di cui ho detto diffusamente in "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche" che fa pervenire a testi nascosti sotto i segni ebraici originali, perché questi, grazie a puntature applicate oltre che come fonemi, sono però leggibili anche come segni separati per le immagini che sottendono; vale a dire sono segni e disegni.

Per decriptazione quelle pagine si aprono con le regole di un metodo antico, inserite in "Parlano le lettere", ma registrato presso la SIAE dal gennaio del 1998 in apposito testo editato solo in copie per uso personale.
Vado così a cercare pagine nascoste nel canone biblico ebraico, non per curiosità esoteriche, gnostiche o alchemiche, ma come ricerca e modo personale di scrutare le Scritture che riguardano l'epopea del Messia e sono costante conferma della testimonianza nella fede nella risurrezione di quegli antichi autori.
I risultati di questa tensione, che considero dono di Dio, resta peraltro nascosta ai più e si attua così che: "Sul mare passava la tua via, i tuoi sentieri sulle grandi acque e le tue orme rimasero invisibili." (Sal. 77,19)
Il metodo, oltre che importante contributo per sondare i testi biblici, palesa che tali antichi scritti sono predisposti a messaggi che superano le parole, e ciò è utile anche per chi è ai primi approcci con la Bibbia, perché può apprezzare la densità del supporto ed essere così consapevole che ciò che legge è frutto di sapienza sopraffina, ricca e sovrabbondante.

LE BENEDIZIONI DI GIACOBBE (Genesi 49)
Nella ricerca delle tracce dell'idea del Messia nella Torah, seguendo temi paralleli con i criteri di cui è detto in "Il vino nella Bibbia: causa d'incesti e segno del Messia", mi sono più volte imbattuto nelle Benedizioni di Giacobbe, inserite nel capitolo 49 del libro del Genesi, ove sono narrati gli ultimi momenti terreni di Giacobbe - Israele.
Giacobbe assieme agli altri due patriarchi, Isacco suo padre e Abramo suo nonno, è con Mosè - discendente della tribù di Levi, uno dei 12 figli di Giacobbe - le colonne su cui poggia l'ebraismo e sono così nel canone ebraico nominati frequentemente: Abramo 175 volte, Isacco 111, Giacobbe 347, Mosè 768.
A questi, vissuti tra il XVIII e il XIII secolo a.C. è fatto risalire il patrimonio della particolare alleanza ed eredità tra Dio e coloro che appartengono al popolo eletto, cui siamo anche noi associati e coeredi, considerato che come li ha definiti Giovanni Paolo II sono "i nostri fratelli maggiori".
Importanti momenti da indagare, perciò, sono proprio quelli del passaggio delle consegne ai discendenti prima della dipartita.
Particolarmente indicativo per sancire un passaggio d'eredità è di solito il momento della morte d'una persona e, se è nel pieno delle proprie facoltà, lascerà scritto un testamento e le parole che dice in ultimo sono pregne di significati per i cari che lo ascoltano e resteranno indelebili nella propria memoria.
Nel Libro del Genesi al Cap. 49 si trovano, appunto, le "Benedizioni di Giacobbe" ai figli e nel Cap. 50 c'è il racconto della sua morte; del pari, nel libro del Deuteronomio al Cap. 32 c'è il Cantico di Mosè, al Cap. 33 si trovano "le Benedizioni di Mosè" ed, infine, al Cap. 34 è raccontata sua fine terrena.
È così da ritenere che prima di lasciare la scena di questo mondo Giacobbe e Mosè, abbiano consegnato messaggi e mandati ai con quei brani poetici riportati nella Bibbia e questi messaggi nella sostanza debbono essere simili.
Vedremo nel seguito se il confronto porta in evidenza motivi associativi più profondi rispetto alle sole circostanze comuni, di là dai chiari accostamenti delle vicende dei due eventi che per redazione, però, sono invertiti rispetto al racconto, in quanto il testo del Deuteronomio su Mosè, in effetti, è più antico di quello del Genesi su Giacobbe.
Prima di iniziarne l'esame, ricordo che Giacobbe muore in terra d'Egitto, ove con tutti i suoi eredi avevano trovato accoglienza grazie al figlio Giuseppe divenuto vice faraone e che là i discendenti, cambiate le sorti per mutata dinastia dei faraoni, divennero schiavi e furono riportati da Mosè liberi fuori dell'Egitto 430 anni dopo il loro ingresso.
Il racconto di Genesi 49 suscita curiosità ed interrogativi in quanto non riguarda solo il commiato d'un padre dai figli con la consegna di un'eredità cromosomico generazionale, ma vi è qualcosa di più.
In quel passo si attua, in primis, il passaggio della benedizione che un uomo eletto ha ricevuto da Dio con la relativa eredità spirituale ed avviene la consegna ai figli di un patto e di una missione profetica per le nazioni.
L'ebraismo in un midrash osserva: "Giacobbe nostro padre non è morto!"
È ciò uno slancio, una pia idea o in altri termini s'esprime detto di Cicerone che "la vita dei morti è nella memoria dei vivi", in quanto Giacobbe - Israele effettivamente vive attraverso i figli ed il popolo che ha originato.
Aldilà d'ogni considerazione religiosa che implica la vita oltre la morte e la risurrezione, la risposta deve ricavarsi dal testo, perché le tradizioni ebraiche di solito hanno radici in particolari letture dei libri sacri.
Nelle parole di quel racconto non c'è chiusura d'una vita, ma prosecuzione.
Il versetto che conclude quella pagina, dice: "Quando Giacobbe ebbe finito di dare questo ordine ai figli, ritrasse i piedi nel letto e spirò e fu riunito ai suoi antenati." (Gen. 49,33)

Per "spirò" è usato il termine da "spirare", che però ha attinenza col radicale "affaticarsi" con i segni può leggersi "essere stato di corsa/cammino ad agire ", o "fu di spalle a vedersi " come se si fosse allontanato per riunirsi ai suoi antenati, così una dipartita più che una morte, in quanto c'è il senso di camminare con quella lettera ghimel .
Ritrasse i piedi nel letto come se questo fosse una lettiga - ed in effetti, il termine usato ha in sé anche la possibilità d'una tale traduzione - per partire per un viaggio nell'immaginario collettivo dei tempi storici dell'evento, grazie alla cultura egizia nel cui ambito è inserito l'episodio.
Lo stesso termine , e non può essere un caso, è stato usato anche per Abramo (Gen. 25,8) e per Isacco (Gen. 35,29) nei cui riguardi sussistono in contemporanea entrambi i verbi, "spirò e morì", ma non come evento definitivo, in quanto mitigato anche per loro da quel "fu riunito ai suoi antenati" tra cui ricordo che v'è Enoch "Poi Enoch camminò con Dio e non fu più perché Dio l'aveva preso." (Gen. 6,24)

Il morire , perciò, non è visto come "vita portata a finire " ma come "vita portata al termine/segno " e quindi con un diverso proseguimento avendo finito il compito del suo viaggio in terra.
Prima si cammina tra gli uomini, dopo si parte per camminare con Dio.
Con Giacobbe c'è di più di quel detto di Cicerone, perché evidentemente è stato trasmesso il messaggio che si vince la morte.
La fede che la vita continui dopo la morte è stata trasmessa dall'ebraismo nella storia e da quel ceppo, ormai da duemila anni, un terzo dell'umanità, di ogni popolo, lingua e nazione, asserisce nel proprio credo che tale speranza s'è concretata essendosi attuata una profezia di Giacobbe: "Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli" (Gen. 49,10).
Uno della sua discendenza, perché nato da Maria era ebrea, che ha rispettato il patto, Dio l'ha confermato col segno della vittoria sulla morte.
Di quella profezia il testo esterno di questa pagina non sembra parlare oltre, ma se si segue il filo d'Arianna, il labirinto di quei versetti ci porta al superamento della morte, messaggio in quelle pagine contenuto.
Al versetto 18 di queste benedizioni, infatti, si legge: "Io spero nella tua salvezza, Signore!" (Gen. 49,18)


È un versetto strano, perché è fuori del contesto che lo contorna, quasi la punta d'un iceberg il cui candore splendente si staglia su un blu d'un mare profondo e fa nascere l'idea che sotto vi siano basi più ampie.
Quel versetto chiama all'attenzione per la parola "salvezza" che con diversa vocalizzazione è il nome di Gesù, ossia Yeshua.
Questo nome ha molti riferimenti espliciti nel testo ebraico nelle forme:
  • è usato 30 volte;
  • è usato 216 volte;
  • è usato 47 volte;
(Spesso si trova pure unendo una fine di parola l'inizio dell'adiacente.)
Una lettura che si può fare con il mio metodo è: "La potenza Gesù a tutti della rettitudine a versare porterà stando in croce essendo Iahwèh ."

Ciò porta a pensare che la pagina dica di più su tale soggetto, perché i testi nascosti come s'è verificato in molteplici altri casi riguardano in genere l'epopea del Messia.
Lì, in quella "salvezza", con l'inserimento di un nome al posto di un verbo (in ebraico "Dio salva" è appunto Yeshuà = Gesù) c'è una chiave del passaggio dall'ebraismo al cristianesimo.
Molte profezie sul Cristo si possono, infatti, trovare se s'inserisce questa possibilità, che apre altre vie per letture meditate.
L'idea che "Giacobbe nostro padre non è morto" ha fatto presa in modo radicale nel Cristianesimo, in quanto i Vangeli sinottici riportano che Gesù, il Risorto, nel sostenere la realtà della risurrezione afferma la stessa idea del midrash, che i patriarchi sono vivi a tutti gli effetti:
  • "Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi." (Mt. 23,31.32)
  • "A riguardo poi dei morti che devono risorgere, non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Non è un Dio dei morti, ma dei viventi!" (Mc. 12,26.27a)
  • "Che poi i morti risorgono lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui." (Lc. 20,37.38)
Il Vangelo di Matteo, nei riguardi dei patriarchi segnala che alla morte di Gesù in croce: "Il velo del Tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua resurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti." (Mt. 27,51-53).
(Per queste dirette testimonianze dei Vangeli, i Patriarchi con tutti i giusti definiti nell'A.T., sono inseriti tra i Santi dalla Chiesa Cattolica.)

Sul momento della morte in croce di Gesù così s'esprimono i Vangeli:
  • Matteo (27,50), "E Gesù, emesso un alto grido spirò";
  • Marco (15,37), "Ma Gesù, dando un forte grido spirò";
  • Luca (23 46), "Gesù, gridando a gran voce, disse: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito. Detto questo spirò.";
  • Giovanni (19,30), "E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: Tutto è compiuto! E chinato il capo, spirò."
Sono perciò concordi, "spirò", con termini che implicano di non fermarsi al semplice morire, in linea col libro del Genesi per Giacobbe, ma per "spirò" i Vangeli usano verbi diversi ma tutti concordi in quanto concordanti con un'emissione dello spirito (pneuma):
  • "expiravit" eipwn expneusen (in Marco e Luca),
  • "emisit spiritum" ajh-cen to pneuma (in Matteo),
  • "tradidit spiritum" paredwceu to pneuma (in Giovanni).
Dio benedì l'umanità (Gen. 1,28), poi Noè (Gen. 9,1), indi chiamò Abramo cui promise una particolare benedizione (Gen. 12,1-3) che poi dal re-sacerdote Melchisedek gli fu rammentata profeticamente (Gen. 14,19.20).
La benedizione si trasformò in alleanza (Gen. 16,18), confermata ed estesa alla discendenza (Gen. 17,4-8), ed in tale occasione Dio mutò il nome ad Abram in Abraham, poi benedì Isacco, figlio d'Abramo e Sara (Gen. 26,24).
Questi benedì il figlio Giacobbe, che carpì la benedizione spettante al fratello Esaù (Gen. 27,27-29), ma la benedizione però gli fu confermata nell'episodio del sogno della scala con gli angeli che salivano e scendevano (Gen. 28,13-15), infine Dio gli apparve e lo benedì e gli cambiò anche il nome da Giacobbe in Israele (Gen. 35,9-12) ed il fatto che Dio attribuisca un nome è garanzia d'eternità.
A Giacobbe nel sogno della scala fu fatta la promessa "E saranno benedette per te e per la tua discendenza tutte nazioni della terra." (Gen. 28,14).
La benedizione riguarda ora tutti i circoncisi ed i battezzati, che toccati in vario modo dalla luce di Cristo-Messia, sono innestati nell'Israele di Dio.
Questo Capitolo 49 del libro del Genesi suggerisce così che Giacobbe ha profetizzato sul futuro ed ha chiesto ai figli di conservare fedeltà a Dio, infatti così inizia (Gen. 49,1.2).

"Quindi Giacobbe chiamò i figli e disse: Radunatevi perché:
  • io vi annunzi quello che vi accadrà nei tempi futuri.
  • ascoltate, figli di Giacobbe, ascoltate Israele, vostro padre!"
Qui, il testo del Genesi, di molto posteriore a quello del Deuteronomio, volutamente evidenzia che i figli d'Israele di fatto hanno accolto quell'eredità anche se il padre in questa pagina profetica ha immagini spesso critiche e non tenere per vari di loro, come a dire che la missione d'essere profeti e sacerdoti per il mondo travalica buonismo ed aspetti umani.
C'è una parola che scuote da millenni fin nelle midolla l'uomo di fede ebraica ed è ascolta=shemah= .
Questo, infatti, è il popolo dell'ascolto.
Il "credo " d'Israele inizia proprio con quella parola.
Volutamente questa pagina sulla morte di Giacobbe vuole essere così un'anticipazione suggerendo una vocazione profetica all'ascolto già nel padre fondatore delle tribù. (La parola "ascolta" nella Bibbia ebraica si trova 337 volte e 180 nella forma "ascoltate" )

Ogni pio ebreo, così, mattina e sera ed in ogni occasione importante, risponde col credo d'Israele, lo Shemah: "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze." (Deut. 6,4.5)
Queste parole sono anche per i Cristiani a base del rito del battesimo che è l'atto d'ingresso nel nuovo patto dell'alleanza.
Prima d'essere cristiano si è, infatti, "catecumeno", ossia "ascoltatore", nel senso totale della parola, cioè attenti - con tutti i ricettori fisici, razionali e spirituali - a Dio, che parla con i fatti nella storia personale e generale, imparando ad essere conseguente, cercando di attualizzare quanto ricevuto.
Al momento del battesimo tra celebrante che interroga e catecumeno presentato dai padrini c'è questo colloquio: "Che cosa vuoi dalla Chiesa di Dio?" - "Il battesimo" - "Che ti dà il battesimo?" - "La vita eterna" - "Se vuoi la vita eterna: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze e il prossimo tuo come te stesso. Fai questo e vivrai!"

Il Deuteronomio (6,6-13), dopo i primi versetti dello Shemah prosegue: "Questi precetti che oggi ti do, ti siano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e gli scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte. Quando il Signore tuo Dio ti avrà fatto entrare nel paese che ai tuoi padri Abramo, Isacco e Giacobbe aveva giurato di darti... guardati dal dimenticare il Signore che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione servile."

È da considerare, perciò, che vi è stretto collegamento tra questo brano ben noto del Deuteronomio ed il pensiero dell'autore del Genesi, che con quell'invito all'ascolto di Giacobbe da parte dei figli implica anche la profezia dell'uscita dall'Egitto.
Se ne coglie l'evidente voluta traccia col racconto nel capitolo successivo dei funerali di Giacobbe che, entrato in Egitto da povero pellegrino, è riportato come un principe dal figlio Giuseppe, viceré d'Egitto, nella terra di Canaan per essere sepolto nella grotta di Macpela assieme ai suoi antenati (Gen. 50), profezia perciò della fine dell'esilio d'Egitto.
Ciò è chiesto esplicitamente da Giacobbe alla fine delle benedizioni: "Poi diede loro quest'ordine: Io sto per essere riunito ai miei antenati: seppellitemi presso i miei padri nella caverna che è nel campo di Efron l'Hittita, nella caverna che si trova nel campo di Macpela di fronte a Mamrè, nel paese di Canaan, quella che Abramo acquistò con il campo di Efron l'Hittita come proprietà sepolcrale. Là seppellirono Abramo e Sara sua moglie, là seppellirono Isacco e Rebecca sua moglie e là seppellii Lia. La proprietà del campo e della caverna che si trova in esso proveniva dagli Hittiti. Quando Giacobbe ebbe finito di dare questo ordine ai figli, ritrasse i piedi nel letto e spirò e fu riunito ai suoi antenati." (Gen. 49,29-32)

In definitiva dice il brano dello Shemah del Deuteronomio, come c'è un Dio solo per Giacobbe, così un unico Dio è per noi tuoi figli, il che è conferma che l'eredità è passata a pieno, e che ha dato frutto la benedizione di Giacobbe.
Questi sono i versetti di profezia, voto, augurio ed annuncio relativi a ciascun figlio, capostipite d'una delle dodici tribù d'Israele.

Ruben, tu sei il mio primogenito, il mio vigore e la primizia della mia virilità, esuberante in fierezza ed esuberante in forza. Bollente come l'acqua, tu non avrai preminenza, perché hai invaso il talamo di tuo padre e hai violato il mio giaciglio su cui eri salito.
Simeone e Levi sono fratelli, strumenti di violenza sono i loro coltelli. Nel loro conciliabolo non entri l'anima mia, al loro convegno non si unisca il mio cuore. Perché con ira hanno ucciso gli uomini e con passione hanno storpiato i tori. Maledetta la loro ira, perché violenta, e la loro collera, perché crudele! Io li dividerò in Giacobbe e li disperderò in Israele.
Giuda, te loderanno i tuoi fratelli; la tua mano sarà sulla cervice dei tuoi nemici; davanti a te si prostreranno i figli di tuo padre. Un giovane leone è Giuda: dalla preda, figlio mio, sei tornato; si è sdraiato, si è accovacciato come un leone e come una leonessa; chi oserà farlo alzare? Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli. Egli lega alla vite il suo asinello e a scelta vite il figlio della sua asina, lava nel vino la veste e nel sangue dell'uva il manto; lucidi ha gli occhi per il vino e bianchi i denti per il latte.
Zàbulon abiterà lungo il lido del mare e sarà l'approdo delle navi, con il fianco rivolto a Sidòne.
Issacar è un asino robusto, accovacciato tra un doppio recinto. Ha visto che il luogo di riposo era bello, che il paese era ameno, ha piegato il dorso a portar la soma ed è stato ridotto ai lavori forzati.
Dan giudicherà il suo popolo come ogni altra tribù d'Israele. Sia Dan un serpente sulla strada, una vipera cornuta sul sentiero, che morde i garretti del cavallo e il cavaliere cade all'indietro. Io spero nella tua salvezza, Signore!
Gad, assalito da un'orda, ne attacca la retroguardia.
Aser, il suo pane è pingue: egli fornisce delizie da re.
Neftali è una cerva slanciata che dà bei cerbiatti.
Germoglio di ceppo fecondo è Giuseppe; germoglio di ceppo fecondo presso una fonte, i cui rami si stendono sul muro. Lo hanno esasperato e colpito, lo hanno perseguitato i tiratori di frecce. Ma è rimasto intatto il suo arco e le sue braccia si muovono veloci per le mani del Potente di Giacobbe, per il nome del Pastore, Pietra d'Israele. Per il Dio di tuo padre - egli ti aiuti! e per il Dio onnipotente - egli ti benedica! Con benedizioni del cielo dall'alto, benedizioni dell'abisso nel profondo, benedizioni delle mammelle e del grembo. Le benedizioni di tuo padre sono superiori alle benedizioni dei monti antichi, alle attrattive dei colli eterni. Vengano sul capo di Giuseppe e sulla testa del principe tra i suoi fratelli!
Beniamino è un lupo che sbrana: al mattino divora la preda e alla sera spartisce il bottino.
Tutti questi formano le dodici tribù d'Israele, questo è ciò che disse loro il padre, benedicendoli; egli benedisse ognuno con una benedizione particolare.

Il perché dei significati dei nomi delle 12 tribù si ricava da Gen. 29,33-30,24.
Ogni tribù poi possiede un simbolo, associato alla varie benedizione ricevuta da Giacobbe in Gen. 49 e/o da Mosè in Deuteronomio 33.
I simboli, che apparivano anche sui loro vessilli o stendardi, sono:

BENIAMIN: un lupo Gen. 49,27.
ASHER: un olivo, "e tuffi i suoi piedi nell'olio" Deut. 33,24b.
GAD: delle tende; Gad, leggendone i segni si ha il predicato "in cammino protegge ", ossia una tenda; perché la sua sede era in Trasgiordania ai confini con i nomadi.
NAFTALI: una cerva Gen. 49,21.
DAN: un serpente Gen. 49,17.
ZEVULUN: una nave Gen. 49,13.
ISSAKHAR: un asino Gen. 49,14.
YEHUDA: un leone Gen. 49,9.
SHIMON: una spada, o una fortezza, Gen. 49,5b "strumenti di violenza sono i loro coltelli".
LEVI: il pettorale con le pietre preziose, segno sacerdotale Deut. 33,8-11.
REUVEN: sole nascente o mandragora, per il racconto in Gen. 30,14-16.
Figli di GIUSEPPE: EFRAIM, un grappolo d'uva e MENASHE una palma; cioè "il meglio dei prodotti del sole" Deut. 33,14.

Nel 722 a.C. la Samaria ed il regno del Nord furono conquistati dagli assiri e gli abitanti furono portati in esilio.
Il destino di questi ebrei resta in gran parte ignoto e si parla di loro come delle "dieci tribù perdute d'Israele".
Nel 598 a.C. la Giudea fu invasa da dai babilonesi di Nabucodonosor e anche questi figli d'Israele furono mandati in esilio in Babilonia, quindi Gerusalemme fu posta sotto assedio nel 586 a.C. e rasa al suolo.
Dopo conquista di Babilonia nel 538 a.C. da parte dei persiani, il re Ciro permise a tutti i popoli conquistati di far ritorno alla propria terra e circa 50.000 ebrei tornarono in Giudea, mentre molti rimasero dov'erano, visto che s'erano ormai radicati nel nuovo paese.
Per la ricostruzione del Tempio passarono molti anni.
Il secondo Tempio di Gerusalemme fu, infatti, consacrato nel 516 a.C. e da quel momento si passò dall'ebraismo antico al giudaismo.

Tornando all'esame di Genesi 49, pur se non vi sono riferimenti espliciti al vocabolo che definisce il Messia, nel testo esterno c'è un senso d'attesa, un pathos su quanto dovrà avvenire ed una tensione alla salvezza che viene dal Signore, come se le benedizioni fossero una ragnatela che incapsula un racconto più importante che quelle stesse parole nascondono.
Il Capitolo 49 del Genesi riporta che Giacobbe chiese a suo figlio Giuseppe, vice faraone, di farlo seppellire in terra di Canaan, come poi avverrà ad Ebron, com'è raccontato nell'ultimo capitolo del Genesi.
Il fatto che Giacobbe fu imbalsamato (Gen. 50,2) ricorda al lettore che quest'avvenimento è avvenuto in Egitto e l'immaginazione porta a quei luoghi, tempi, alla scrittura per immagini, al fatto che la cultura ebraica v'è stata a contatto intimo, con d'Abramo che andò e tornò dall'Egitto, con Isacco che abitava ai confini, con Giacobbe di cui stiamo dicendo, e con i figli che poi vi risedettero per 430 anni.
L'episodio delle "benedizioni" è avvenuto nel XVII secolo a.C., forse sotto la XV dinastia dei faraoni dei governatori Hyksos, che sono ricordati in quanto letto col riferimento all'acquisto da parte d'Abramo della caverna di Macpela.
Tra i re Hyksos (1730-1530 a.C.) contemporanei dei faraoni sovrani di Tebe (1655-1522 a.C.), c'è un Yaqub-Har contemporaneo di Rahotep.
Gli Ebrei erano conosciuti come gli Apiru - 'pr; il passaggio da 'pr a 'br = = Ebreo il passo è breve.

Thutmosis III (1490-1436 a.C.) nella campagna Siriana, attraversato l'Eufrate, conquistò Joppe con sotterfugio del generale Gehuty, raccontato nel papiro 500 Harris; 200 soldati entrarono in città nelle ceste e si parla d'Apiru.
Di questi, si trova traccia anche nelle iscrizioni di tombe del profeta d'Ammon Puiemra (TT39) e dell'araldo Antef (TT155), con funzioni di vignaioli.
Amenhofis II 1436-1418 a.C. per una rivolta nella regione di Naharina inviò due spedizioni contro i Mitanni; tra i prigionieri fatti in tale occasione appaiono anche 3600 Apiru.
Questi sono segnalati nel XIX secolo a.C. in Cappadocia, nel XVIII a Mari, poi ad Alalah, erano gli Ebrei di cui parlano anche alcune tavolette d'Amarna, che s'integravano nelle società cui si accostavano nelle loro migrazioni.
Gli ebrei non si erano però integrati con gli Hittiti che praticavano la cremazione dei corpi su grandi pire, mentre Abramo, Isacco e Giacobbe furono deposti nella grotta di Macpela e come abbiamo testé considerato Giacobbe di cui si parla s'era di fatto integrato nella cultura egizia in quanto fu mummificato.
Erodoto così descrive la mummificazione: "Prima di tutto, servendosi di un ferro ricurvo, estraggono il cervello attraverso le narici, in parte, appunto, estraendolo con questo mezzo; in parte, versandovi dentro un liquido con delle droghe. Poi, con un'aguzza pietra d'Etiopia, praticano nell'addome un'incisione, dalla quale estraggono tutti gli intestini e, dopo averli purificati e lavati con vino di palma, li trattano di nuovo con aromi pestati. Poi, riempita la cavità del ventre di mirra pura tritata, di cannella e degli altri aromi, tranne l'incenso, lo ricuciono. Fatto questo, disseccano il corpo, tenendolo coperto con nitro per settanta giorni: non devono lasciarcelo di più. Quando sono trascorsi i settanta giorni, lavato il cadavere, n'avvolgono tutto il corpo con strisce tagliate di un lenzuolo di bisso, spalmandole nella parte interna di gomma, che gli egiziani usano invece della colla. Quindi i parenti, dopo averlo ricevuto, fanno fare una bara di legno in forma umana, vi pongono dentro il morto e, così chiuso, lo custodiscono gelosamente in una camera sepolcrale, collocandolo diritto contro una parete." (Hist. II, 86)
La rimozione degli organi interni escludeva il cuore considerato sede dell'intelligenza e della forza vitale, com'è nell'idea degli autori biblici che vi considerano anche i sentimenti, la coscienza, l'amore, il pensiero.
Il cervello era estratto attraverso il naso e gettato via, ed i restanti organi erano depositati in vasi "i canopi", la salma poi era riempita e coperta di natron (carbonato di sodio) secco e viene disidratata per 40 giorni, indi riempita di lino con resina, natron e aromi, le cavità chiuse e tutto ricoperto di resina avvolto in bende, con amuleti nei vari strati.
L'operazione durava 72 giorni ed al riguardo il racconto del Genesi è preciso e richiama questa procedura: "Allora Giuseppe si gettò sulla faccia di suo padre, pianse su di lui e lo baciò. Quindi Giuseppe ordinò ai suoi medici di imbalsamare suo padre. I medici imbalsamarono Israele e v'impiegarono 40 giorni, perché tanti ne occorrono per l'imbalsamazione. Gli Egiziani lo piansero 70 giorni." (Gen. 50,1-3)

Il racconto, che poi termina con la morte dello stesso vice faraone Giuseppe, fa presente che anche questi fu imbalsamato com'era d'uso in Egitto: "Giuseppe morì all'età di centodieci anni; lo imbalsamarono e fu posto in un sarcofago in Egitto." (Gen. 50,26)
Il libro dell'Esodo, infatti, al proposito aveva detto: "Dio guidò il popolo per la strada del deserto verso il Mare Rosso. Gli Israeliti, ben armati uscivano dal paese d'Egitto. Mosè prese con sé le ossa di Giuseppe, perché questi aveva fatto giurare solennemente gli Israeliti: Dio, certo, verrà a visitarvi; voi allora vi porterete via le mie ossa." (Es. 13,18-20) ed il libro di Giosuè precisa: "Le ossa di Giuseppe, che gli Israeliti avevano portate dall'Egitto, le seppellirono a Sichem, nella parte della montagna che Giacobbe aveva acquistata dai figli di Camor, padre di Sichem, per cento pezzi d'argento e che i figli di Giuseppe avevano ricevuta in eredità." (Giosuè 24,32 32)
È noto che in Egitto le casse che contenevano le mummie erano plurime, simili a matriosche, in legno di sicomoro (Sycomorus) coltivato perché tenero e resistente atto a fare anche statue e mobili. (In Israele cresceva nella pianura di Sefela (1Re 10.27) e nella depressione del Giordano davanti a Gerico (Vedi Zaccheo in Lc. 19,2-4).
Tutto ciò da forza a quanto in appresso.
Era uso accompagnare il morto con un testo magico contenente, inni e preghiere con cui si proteggeva l'anima (Ka) nel viaggio per unirsi ai padri; con questi testi l'anima scacciava i demoni che le volevano impedire il viaggio e superava le prove del tribunale d'Osiride.
Siamo nel periodo che i testi funerari detti "libri dei morti " che cominciavano a venire scritti su papiri ed erano posti nei sarcofagi, mentre prima si dipingevano su questi - testi dei sarcofagi - e ancora prima, dalla VI dinastia in dietro, erano dipinti sulle pareti delle stanze interne delle piramidi, "testi delle piramidi".
Credo, perciò, che a quel patriarca fosse spettato un libro dei morti che facesse presente la sua fede nella risurrezione e che così le parole esterne delle "Benedizioni" siano come il testo che sarà stato messo nel suo sarcofago e che è da leggere come un papiro egiziano e decriptato.
Almeno così vuol far credere l'autore del Genesi, che riporta "le esatte parole" del patriarca, come se queste fossero state trascritte da qualche parte.
È chiaro allora che quel messaggio, se c'è, porta un atto di fede completo su quanto s'attende chi si consegna al suo Creatore per compiere quel viaggio.
Il Libro dei Morti per gli Antichi Egizi era appunto un viatico che serviva ad attestare la levatura spirituale del defunto.
Il nome in egiziano era "reu nu pert em hru", "Capitoli per il giorno futuro". L'appellativo Libro dei Morti è stato assegnato dai primi studiosi che ne interpretavano i contenuti.
In genere conteneva anche l'elenco d'opere negative non fatte, comprendenti tutte le azioni di cui è detto d'evitare nei 10 comandamenti.
Ho così proceduto alla decriptazione col mio metodo dell'intero capitolo 49 che riporto in APPENDICE A.
Il testo riguarda un'intera profezia dell'attesa del Messia, di colui che dovrà venire, incarnandosi, a salvare gli uomini dalla morte.
Questi è il vero viatico per un sicuro viaggio capace, attestando la fede in Lui, di aprire le porte e per grazia venire essere accolti nella vita eterna.
"Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi." (Mt. 23,31.32)
Il "libro dei morti" diviene così "libro di vita" in piena e totale capovolgimento della fede dei faraoni pagani e di tutta la loro cosmogonia, perpetuando la fede nel Dio Unico e nella sua salvezza.
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