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DECRIPTAZIONE BIBBIA...

 
LETTERE EBRAICHE, SEGNI CELESTI DELLA TORAH

di Alessandro Conti Puorger
 
 

LETTERE EBRAICHE - SEGNI CELESTI
Tutti i modi per scrivere con simboli, lettere o ideogrammi, sin dall'antichità hanno in se stessi un pathos di divinità, perché hanno il potere, ritenuto sotto certi aspetti di presentarsi come miracolosi in quanto riescono a creare nella mente di chi li interpreta i concetti che chi ha provocato quei segni di scrittura intendeva trasferire.
Da questo pensiero, passando per varie tappe indicate succintamente in "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche", ho esaminato con attenzione le lettere ebraiche che hanno un potere intrinseco ed arcano e la possibilità di cercare d'interpretarli.
Riprendo quella ricerca con altri approfondimenti che là omisi, perché teso ad indicare con pochi passi i risultati che hanno portato a "Parlano le lettere" ove ho indicato metodo, regole e significati delle lettere ebraiche per pervenire a letture di secondo livello di quelle Sacre Scritture.
L'archeologia ancora non è riuscita pienamente a spiegarsi come sia nato il sistema di scrittura detto geroglifico che pare spuntare senza sviluppi nella storia, scodellato quasi già evoluto.
Tutto partì dal prendere atto che gli egizi, infatti, ritenevano il loro modo di scrivere ispirato dal dio Thot, che trova poi il suo parallelo in Grecia con Hermes, fondatore delle teorie ermetiche e, forse, quel Thot fu la deificazione di una persona che propose, sviluppò ed ebbe il potere di far applicare in larga scala un suo metodo.
La Torah, in opposizione a tale credenza, c'informa che i segni ebraici furono forniti dallo stesso Dio d'Israele quando scrisse le tavole della testimonianza ed espose a Mosè anche quanto doveva essere riportato in scrittura con segni che erano allora ben chiari per un egiziano-ebreo, vissuto per molti anni nei territori di Madian e nella penisola del Sinai, che conosceva geroglifici e segni sinaitici e che parlava sia l'ebraico di allora, sia l'egiziano antico, padre della lingua dei Copti, ed anche gli idiomi in uso nella penisola del Sinai.
Iscrizioni È probabile, infatti, che Mosè esperto in tutta la sapienza degli egiziani, come ci conferma la storia dell'Esodo - "Mosè era un uomo assai considerato nel paese d'Egitto, agli occhi dei ministri del faraone e del popolo." (Esodo 11,3b) - e la tradizione ebraico-cristiana - come risulta da "Mosè venne istruito in tutta la sapienza degli Egiziani ed era potente nelle parole e nelle opere" (Atti 7,22) - se ha scritto qualcosa, ha scritto utilizzando la lingua ebraica con segni Proto/Canaanei e Proto/Sinaitici derivati dai geroglifici, infatti, le iscrizioni trovate nelle miniere di turchese di Serabit-al-Khadim al Sinai, usano meno di 30 segni con un sistema consonantico.
Le più antiche scritture Cananee trovate discendenti dai segni sanaitici sono quelli della iscrizione di El Kerak (che probabilmente faceva parte di una statua) scritta da Mesha, re di Moab, o da suo padre attorno al IX° secolo a.C. in basalto grigio.
La critica letteraria, storica e l'archeologia si sono molto interrogate su varie problematiche relative all'esistenza della lingua ebraica ai tempi di Mosè, su quando possono risalire i primi scritti, se la Bibbia sia credibile sotto l'aspetto storico e addirittura non sia tutto frutto di un'elaborazione tardiva dei giudei dopo l'esilio di Babilonia.
Molti però sono i ritrovamenti archeologici che confermano gli eventi della Bibbia in gran numero tanto che un noto archeologo, Nelson Glueck, ha dichiarato: "Si può affermare categoricamente che nessuna scoperta archeologica abbia mai contraddetto i riferimenti biblici."
Segnalo i casi più eclatanti e, con un asterisco, quelli precedenti al ritorno dall'esilio:
  • * Tavolette (circa 400 in accadico cuneiforme) di Tel-El Amarna, lettere del 1400 a.C. che i re Cananei scrivevano ai Faraoni Amenofis e Akenaton, per chiedere aiuto militare, confermano che ai tempi di Mosè i Cananei non scrivevano con i segni poi nell'ebraico, aramaico e fenicio.
  • * Leggi di Ammurabi del 1750 a.C..
  • * Il racconto mitico di un diluvio che si trova in moltissime culture, ha particolare descrizione l'undicesima tavoletta del poema epico babilonese su Gilgamesh.
  • * Nel tempio funerario di Merenptah (XIII secolo a.C.) presso Tebe, è stata trovata un'iscrizione che tra l'altro dice Israele è desolata non ha più seme.
  • * Frammenti di Deir 'Alla con conferme di un profeta Balaam.
  • * Tavole di Mari in creta a partire dal 2300 a.C. con nomi che si rinvengono nella storia dei Patriarchi, tra cui il termine Canaan, e delle cinque città della valle (tavoletta n° 1860) di Siddim fra cui Sodoma e Gomorra e del re Birsha, che il re di Gomorra aveva nel tempo di Abraham (Genesi 14,2).
  • * L'Inno ad Aton del faraone monoteista Achenaton del XIV secolo a.C. ha influenzato il salmo di Davide 104.
  • * Moab contro Israele (2 Re 1,1; 3,4-27) nell'iscrizione di una stele del IX secolo a.C. scoperta a Dhiban in Giordania il re moabita Mesha cita Omri, re d'Israele (885-874 a.C.), i fatti di 1 Re 16,21-27 e i vassalli di YHWH come tributari. Lo studioso Andre Le Maire con l'inserimento di due lettere mancanti vi legge anche casa di Davide (È contemporanea della iscrizione di El Kerak sopra riportata).
  • * La stele di basalto di Dan, alta 30 cm datata IX secolo a.C., parte di un monumento ad Hazael, re di Aram, con su la scritte casa di Davide, ci conferma l'esistenza storica di tale Re.
  • * Faraone Shishak contro Israele inciso nel Tempio di Amun a Tebe (1Re 14,25s).
  • * Sulle mura del palazzo di Sargon II re d'Assiria si cita la caduta di Samaria (2 Re 17,3-6.24; 18,9-11) e la sconfitta di Asdod (Isaia 20,1).
  • * Due amuleti detti "di Ketef Hinnom" (scoperti da Gabriel Barkay nella caverna 25 vicino la chiesa di S. Andrea della Scozia a Gerusalemme) piastre d'argento databili tra il VI-VII secolo a.C., con incise le parole di Numeri 6,24-26 sull'una e di Deuteronomio 7,9 sull'altra.
  • * Tavolette cuneiformi dei primi anni del regno di Nabucodonosor riportano della presa di Gerusalemme, di Ioiachin re di Giuda portato prigioniero in Babilonia (2 Re 24,15-16) e di Sedecia.
  • * Piccola placca d'argento scoperta a Gerusalemme con l'iscrizione VII secolo a.C. del nome YHWH, con formula di benedizione e una melagrana d'avorio con l''iscrizione "sacro ai sacerdoti della casa di (Yhw)h", quindi del Tempio.
  • Nella tavoletta - prisma Taylor - e in stele biografiche di Tirhaka in Nubia è detto di Sennacherib (figlio di Sargon II) contro Giuda (2 Re 18.19; 2 Cr 32; Isaia 37).
  • Assedio di Lachish di Sennacherib (2 Re 18,14.17) sui bassorilievi di Lachish.
  • Sennacherib ucciso dai figli (2 Re 19,37) negli annali del figlio Esarhaddon.
  • Caduta di Ninive predetta da Nahum e Sofonia sulla tavoletta di Nabopolasar.
  • Nabucodonosor conquista Gerusalemme (2 Re 24,10-14), cronache Babilonesi.
  • Medi e i Persiani fanno cadere Babilonia (Daniele 5,30-31) e liberazione degli schiavi per mano di Ciro il Grande (Esdra 1,1-4; 6,3-4) sul cilindro di Ciro.
  • Clearmon-Ganneau prese l'impronta di una tavoletta Moabita (che arabi vendettero in più parti) che convalida 1 Re 16 e 2 Re 3 e cita YHWH.
  • Altare in pietra con corni del santuario a Beer-Seba (Amos 5,5; 8,14).
Faccio ora un excursus sui testi più antichi dei libri biblici per verificare la permanenza dei testi e la frequenza di apporti spuri in quanto, come non esistono testi originali dei classici antichi di Omero o di Pindaro, di libri storici di Cesare e di Cicerone, non vi sono manoscritti originali della Bibbia.
Nei secoli però furono copiati da scribi ebrei e prima gli esseni, monaci ortodossi ebrei fino al 70 d.C., e poi rabbini ebrei detti Masoreti (da Masora = tradizione) a partire dal Il secolo d.C. scelsero i campioni più antichi e fissarono un testo per tramandarlo inalterato e nel VI-VIII secolo d.C. fissarono anche la pronuncia, indicando le vocali con un sistema di puntatura delle lettere che altrimenti sono solo consonanti.
La copiatura era eseguita meticolosamente e al massimo si possono trovare solo lievi errori di disattenzione che non incidono sul corretto significato.

Andando al concreto sono disponibili:
  • Codice Vaticano manoscritto custodito dal 1481 nella Biblioteca Vaticana che appartiene alla prima metà del quarto secolo d.C..
  • Codice Sinaitico manoscritto in greco dell'intera Bibbia nel Museo Britannico (scoperto nel 1844 da Costantino Tischendorf), già nel Monastero di S. Caterina, sul Sinai, più o meno coevo al Codice Vaticano.
  • Papiro di Rylands (P52) trovato in Egitto, Nuovo Testamento in forma di codice, cioè scritto da ambo i lati, conservato presso il John Rylands Library di Manchester, Inghilterra datato al 125 d.C., importantissimo perché contiene Giovanni 18,31-33 e 37-38 facendo da marcatore sull'epoca del suo scritto.
  • Papiri di Bodmer (P66, P72-75), una cinquantina di manoscritti in greco su papiro di cui tre su pergamena, con brani dell'A.T. e del N.T. insieme a scritti della Chiesa delle origini, sia codici (scritti da ambo i lati) che rotoli (scritti su una sola facciata) scoperti in Egitto da M. Martin Bodmer nel 1955, datati al 200 d.C., conservati nella Bibliotheca Bodmerianasi a Cologny vicino Ginevra; il papiro VIII (con Pietro 1 e 2) donato a Paolo VI nel 1969 e nella libreria Vaticana.
    Il papiro P75 contiene i Vangeli di Luca e Giovanni con un testo identico a quello del Codice Vaticano del IV secolo d.C..
  • Scoperte di Qumran a partire dal 1947 in alcune grotte di calcare alle rive nord occidentale del mar Morto oltre ai libri della comunità di monaci esseni sono stati trovati 1.100 documenti antichi, di cui 230 dell'A.T., e 100.000 frammenti, e vari rotoli completi e intatti, con porzioni o il testi intero del 98% dei libri dell'A.T (manca solo il libro di Ester, in altri testi citato) alcuni dei quali risalgono anche al IV secolo a.C..
Prima della loro scoperta, i manoscritti più antichi:
  • della Bibbia ebraica risalivano al IX-X secolo d.C.
          Codice del Cairo, datato 895-896 d.C.
          Codice di Aleppo (A), datato 925-930 d.C.
          Codice di Leningrado b19A datato 1008-1009 d.C.
  • per la traduzione greca dei LXX si risaliva al III secolo a.C.
    (Il Diodati, nel XVII secolo da questi Testi Masoretici del IX secolo d.C. trasse la propria traduzione mentre la liturgia cristiana usava la traduzione dalla Vulgata)
Nella settima grotta (7Q) di Qumran c'erano solo frammenti in lingua greca.
Il papirologo O'Callaghan ha identificato il frammento (7Q5) col brano di Marco 6,52-53 il che porta la redazione di quel Vangelo a prima del 68 d.C. quando gli esseni, fuggirono a causa dei Romani.
Il papirologo Carsten Peter Thiede, sostenitore della tesi di O'Callaghan, ha proposto l'identificazione di altri frammenti della stessa grotta ed uno di questi, conservato nella biblioteca del Magdalen College di Oxford, riporta versetti del Vangelo di Matteo.

Per un giudizio sulla fedeltà dei testi in uso rispetto ai più antichi è da tenere presente il caso del libro di Isaia da Qumran, il famoso rotolo 1QIsA, con i 66 capitoli scritti in ebraico senza vocali, lungo sui 7 metri per 17 pelli cucite.
Questo che risale a oltre 22 secoli fa confrontato con le copiature dei testi successivi disponibili pur se con circa 1000 di copiature (es. Codice del Cairo) ha rivelato solo minime variazioni di ortografia.

Tutto ciò porta a queste considerazioni riassuntive:
  • il testo ebraico antico senza vocali fu usato fino al VI secolo d.C.;
  • Il testo greco dei LXX lo soppiantò tra i cristiani e in frange sinagogali;
  • dal VI secolo d.C. il testo rituale liturgico ebraico fu con vocalizzazione;
  • i geroglifici da cui furono tratti molti segni grafici delle lettere ebraiche restarono ignoti per 15 secoli tra il 4° e il 19° secolo d.C.
  • tutto ciò che è legato alla simbologia delle lettere rimase nell'immaginario delle possibilità, ma non nella pratica d'uso.
L'egiziano Orapollo nel V secolo d.C. indicò in Hieroglyphica la chiave simbolica per l'interpretare i segni geroglifici, il che evidentemente dimostra la sostanziale acquisita generale ignoranza in merito, ma non fu così esplicito e così cadde la notte sui geroglifici per circa XV secoli.
Nel pieno di quella notte, quando ormai i geroglifici erano un mistero, nel medioevo cioè, fiorì la ricerca ebraica della Qabbalah che presenta il mondo creato da Dio con 32 sefirot, ampolle della Sua sapienza, di cui 22 sono proprio le lettere dell'alfabeto ebraico.
Esimio esponente della Qabbalah fu Nachmanide Mosès, mistico spagnolo ebreo (1194-1270 d.C.), commentatore biblico, che ebbe a dire: "Noi possediamo una tradizione autentica secondo cui la Torah è formata dai Nomi di Dio. Le parole che vi leggiamo possono essere infatti anche suddivise in modo completamente diverso, componendo Nomi... L'affermazione per cui la Torah fu scritta in origine con fuoco nero su fuoco bianco, ci conferma nell'opinione che la sua stesura avvenne con tratto continuo e senza suddivisioni in parole, cosa che permise di leggerla sia come una sequenza di Nomi, sia, nel modo tradizionale, come un resoconto storico ed un insieme di comandamenti divini. Ma Egli la ricevette anche, nello stesso tempo, sotto forma di trasmissione orale, come lettura di una sequenza di Nomi.", ammettendo così che la Torah orale ricevuta da Mosè è anche un testo interno alla Torah scritta. (Vedi G. Scoolem, "Il nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio").
Abraham Abulafia (1240-1291), anche lui spagnolo nato a Saragozza, sviluppò una teoria della configurazione delle 22 lettere ebraiche costituenti nomi di Dio con cui Dio creò il mondo nella sua opera, Hokhmath ha-Tseruf, ove tratta della scienza della combinazione delle lettere.
Nella Qabbalah c'è la tradizione dei kalmosin, le "penne angeliche" prodotte da arcangeli Metatron, Michele, Gabriele e Raffaele che sono unici sempre al cospetto Dio e in termini antropologici vedono il suo volto.
Agrippa di Nettesheim (1486-1535), infatti, sosteneva che la scrittura originaria fu rivelata all'uomo dagli angeli e si arrivò alla conclusione che gli ebrei la chiamano "celeste", perché si trova delineata nelle costellazioni sostenendo che quelle lettere venivano dalle stelle, quindi dai cieli.
Raimondo Lullo (1235 - Tunisia 1314), filosofo e mistico cristiano, concepì i primi dischi dell'ars generalis, combinando simboli e lettere per rivelare concetti, principi e tutte le verità possibili e incontestabili.
Esoterismo, alchimia, magia, astrologia, cartomanzia portarono ad associare le lettere ebraiche a figure dei tarocchi ed a pianeti dello zodiaco ed a significati antichi ed esoterici.
Questa idea della scrittura contenente rivelazione divina porta a chi nell'ambito della tradizione abramitica a domandarsi come tale rivelazione c'è arrivata con le Sacre Scritture, perciò è da guardare ai segni dell'alfabeto ebraico.
Questa linea di pensiero seguì il gesuita Athanasius Kircher (1602-1680) "...gli alfabeti di tutte le lingue recano in sé le tracce delle antiche lettere" (A. Kircher, Turris Babel, Amsterdam, 1679) che, ben prima della scoperta dei significati dei geroglifici da parte di Champollion (1822), ebbe a ritenere quel sistema di segni dei geroglifici egizi nascondere la sacralità di un'ermetica rivelazione divina al di là dei valori pratici che non riuscì ad individuare.
I geroglifici di fatto non erano di uso comune, ma privilegio dei faraoni ritenuti dèi e comportavano l'esplicitare anche verità segrete (ad esempio, lo scarabeo indica il simbolo T del Sole nascente, "hen to pan", continua trasformazione dell'eternamente uguale); per questo motivo si parla nella Bibbia di Mosè allevato come figlio di faraone.
"Se un sistema di scrittura, oppure un alfabeto, deve rendere visibile e pronunciabile il verbo del creatore, le lettere o le figure che lo compongono devono essere aperte ad una grande quantità di significati e interpretazioni, perché... nei linguaggi umani non c'è proposizione che non implichi l'universo intero; dire la tigre è dire le tigri che la generarono, i cervi e le testuggini che divorò, il pascolo di cui si alimentarono i cervi, la terra che fu madre del pascolo, il cielo che dette luce alla terra." (J.L. Borges, la scrittura del dio, in L'Aleph)
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