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MANGIARE DELL'ALBERO DELLA VITA

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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PREMESSA »

L'ULTIMA CENA
Momento essenziale, comune a tutti i Vangeli, è quello detto dell'ultima cena, quando Gesù con gli apostoli, cioè la sua famiglia spirituale, celebra a Gerusalemme il rito della Pasqua ebraica. (Vedi "Le Pasque della Santa Famiglia")
Le tre feste dell'ebraismo che comportavano d'andare a Gerusalemme per celebrarle, infatti, erano:

  • la Pasqua, o festa degli azzimi, alla prima luna piena di primavera;
  • la Pentecoste, 50 giorni dopo la Pasqua, festa della mietitura e delle primizie, che fa memoria anche della promulgazione della legge a Mosè sul Sinai;
  • la festa delle Capanne, in autunno, per la raccolta dei frutti.
La Pasqua, detta festa della primavera, fa memoriale di quel 14 di Nisan in cui avvenne la liberazione degli ebrei dalla schiavitù dell'Egitto.
Gesù fece preparare con cura questa festa del 30 d.C., in una sala superiore addobbata con tappeti, "il cenacolo", che continuerà ad essere luogo di riunione dalla Chiesa nascente.
Ci sono molte ipotesi sul perché questa cena sia stata fatta preparare da Gesù un giorno prima rispetto alla festa ufficiale, vale a dire alla sera del giovedì, mentre la cena della Pasqua ufficiale era dopo il venerdì.
Pare così che Gesù seguisse l'osservanza della festa mobile, anziché con inizio nel sabato più vicino al giorno della luna piena di primavera, nell'esatto giorno di luna piena, come peraltro facevano gli Esseni, da quanto risulta dai documenti relativi all'organizzazione di quella comunità di monaci di Qumran.

Il Calendario esseno era basato sul sole, mentre la Pasqua ebraica era legata alle fasi lunari. Alla cena, "Tebilà", gli aspiranti erano ammessi dopo un periodo di prova, si ritiene tre anni. Il Paqid il preposto alla Comunità era coadiuvato da un consiglio di 12 membri e compivano prima della cena in cui importante era la benedizione del pane e del vino, un rito di purificazione nelle famose vasche a sette gradini trovate a Qumran. C'è chi riferisce l'episodio della lavanda dei piedi (Giovanni 13,1-11) a tale rito. Pare che i partecipanti avessero posti predefiniti secondo un ordine di importanza e quello sarebbe stato il discorrere degli apostoli quando si interessavano di avere un buon posto nel regno dei cieli. Alla madre dei figli di Zebedeo che chiedeva: "Di' che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno" Gesù rispose: "Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere? Gli dicono: Lo possiamo. Ed egli soggiunse: Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio." (Matteo 20,21-23) Attendevano infatti l'avverarsi della promessa fatta poco prima: "E Gesù disse loro: In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele." (Matteo 19,28)

La Pasqua ebraica, che ha un suo ordinamento specifico detto "seder", è più di una commemorazione, ma un memoriale, momento capace di rinnovare la condizione di grazia del giorno della prima Pasqua si che ogni partecipante dovrebbe sentirsi destinatario della liberazione come se fosse stato presente, qualunque sia la condizione esistenziale prima della festa.
Il rito è inglobato in una festa familiare in cui tutti, dal più anziano al più giovane, sono chiamati a partecipare in modo attivo, ed il sentirsi coinvolto aiuta a predisporsi a ricevere tutta la grazia e lo spirito dell'esodo.
La cena, prevista e inclusa nel rito, ha peraltro un ruolo fondamentale per la trasmissione della fede ai figli con i racconti, "haggaddah", delle opere di Dio nella vita di chi partecipa relativamente a fatti storici, sia di esperienze personali dei convenuti.
Gesù coglie questo momento in tutta la sua pienezza per porre un sigillo all'insegnamento spirituale dato agli apostoli e per sancire l'inizio ed il significato di nuova alleanza tra Dio e l'uomo rispetto a quella di Mosè.
Questa alleanza, anche con la sostanza del sacramento, è garanzia d'essere riaccolti nel Paradiso, ove ci si può nuovamente nutrire dell'albero della Vita, di cui ho detto nelle premesse, e di cui l'errore d'Adamo ci privò, anticipo e promessa di una comunione completa con Dio.
Ci sarà poi un preciso momento, quando penderà dal legno della croce, che questo frutto dell'albero della vita del paradiso sarà pronto e tutti si potranno nuovamente nutrire per fare nel tempo esperienza della vita del cielo.
Un anticipo di questo banchetto, appunto nel cielo tra fratelli con il Padre che dispensa il cibo della vita eterna, è in pratica da trovare in questa cena durante la quale Gesù che Lo rappresenta, istituì "l'eucarestia" ed indicò se stesso quale cibo in sostituzione delle azzime e della 3° coppa di vino, detta "della benedizione".
Lui così è il vero ed unico frutto che fa passare dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita, come i fedeli cantano nella notte di Pasqua con l'antichissimo inno dell'exultet.
Nella celebrazione della veglia della notte di Pasqua, infatti, liturgicamente è introdotta dal rito del Lucernario, già praticato in ambito giudaico ed ereditato dalla Chiesa delle origini a partire dal IV secolo, in cui è inserito tale inno di laus o benedictio cerei.
Nell'Italia meridionale, tra il X e il XIV secolo, questa formula liturgica era scritta su rotoli di pergamena, con i segni rudimentali della melodia, e con figure dipinte al contrario rispetto a testo per consentire al diacono di srotolarlo dall'ambone e lasciarlo svolgere verso il popolo permettendo così ai fedeli, come con odierne diapositive, di vedere per immagini il contenuto dell'Exultet (il più lungo è un rotolo di 5,25 metri).
Riporto il testo dell'exultet denso di riferimenti all'Antico Testamento:

«Esulti il coro egli angeli, esulti l'assemblea celeste: un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto.
Gioisca la terra inondata da così grande splendore; la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo.
Gioisca la madre Chiesa, splendente della gloria del suo Signore, e queso tempio tutto risuoni per le acclamazioni del popolo in festa...
È veramente cosa buona e giusta esprimere con il canto l'esultanza dello spirito, e inneggiare al Dio invisibile, Padre onnipotente, e al suo unico Figlio, Gesù Cristo nostro Signore. Egli ha pagato per noi all'eterno Padre il debito di Adamo, e con il sangue sparso per la nostra salvezza ha cancellato la condanna della colpa antica. Questa è la vera Pasqua, in cui è ucciso il vero Agnello, che con il suo sangue consacra le case dei fedeli. Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele, nostri padri, dalla schiavitù dell'Egitto, e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso.
Questa è la notte in cui hai vinto le tenebre del peccato con lo splendore della colonna di fuoco.
Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo dall'oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo, li consacra all'amore del Padre e li unisce nella comunione dei santi.
Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro. Nessun vantaggio per noi essere nati, se lui non ci avesse redenti. O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio!
Davvero era necessario il peccato di Adamo, che è stato distrutto con la morte del Cristo. Felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore!
Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l'innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti...
O notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al cielo e l'uomo al suo creatore! In questa notte di grazia accogli, Padre santo, il sacrificio di lode, che la Chiesa ti offre per mano dei suoi ministri, nella solenne liturgia del cero, frutto del lavoro delle api, simbolo della nuova luce...
Ti preghiamo, dunque, Signore, che questo cero, offerto in onore del tuo nome per illuminare l'oscurità di questa notte, risplenda di luce che mai si spegne. Salga a te come profumo soave, si confonda con le stelle del cielo. Lo trovi acceso la stella del mattino, questa stella che non conosce tramonto: Cristo, tuo Figlio, che risuscitato dai morti fa risplendere sugli uomini la sua luce serena e vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.»

Gli ebrei quella notte della Pasqua dell'esodo mangiarono, tra l'altro l'agnello, secondo l'ordine dato da Mosè e col sangue di tale agnello prima erano stati segnati gli stipiti delle porte per indicare all'angelo sterminatore di non fermarsi nelle loro case; il sangue di questo agnello perciò indicava la vita che non poteva essere uccisa dalla morte, quindi era figura della presenza del frutto all'albero della vita.
Ora il vero agnello da mangiare per fare Pasqua è Gesù, infatti, Giovanni il Battista lo indicò con "Ecco l'agnello di Dio." (Giovanni 1,29b).
Gesù quella notte dopo la cena vera e propria, prese il pane e il vino e pronunciate le benedizioni rituali del "Seder" li diede ai discepoli.
Sull'azzima disse: "Prendete e mangiate questo è il mio corpo" (Matteo 26,26b) e sulla coppa del vino: "Bevetene tutti perché questo è il mio sangue dell'alleanza versato per molti, in remissione dei peccati." (Matteo 22,19).
Gli altri due sinottici concordano e l'unica aggiunta più sostanziale è in Luca ove sul'azzima Gesù dice "Questo è il mio corpo dato per voi; fate questo in memoria di me." (Luca 22,29)
Il radicale del verbo mangiare è e si può spezzare in uno e tutti il che evoca il pensiero "uno per tutti" e se ne risente un'eco nelle parole di Paolo:
  • "Poiché l'amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti." (2 Corinzi 5,14)
  • "...poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù." (Galati 3,28)
È quella di Gesù alleanza "berit" che ci assicura il mangiare dell'albero della vita e la lettura delle lettere porta a dire:



"Da dentro del corpo che sarà appeso () da uno per tutti si vedrà scendera la vita con una forte acqua ".

Gesù come Melkisedek, sacerdote del Dio Altissimo, offre pane e vino al nuovo Abramo, cioè alla sua piccola chiesa in formazione, ma nel segno aggiunge un contenuto nuovo, io sono il frutto che vi permette di fare Pasqua nel vero senso di "passaggio", sono io il frutto e farmaco della immortalità.
D'ora in poi non si farà più solo il memoriale dell'Esodo, ma quel memoriale farà parte dell'haggaddah, cioè del racconto delle opere di Dio che preparano la totale Pasqua, la liberazione in Gesù Cristo dalla morte, cioè il passaggio alla vita eterna che si consegue mangiando di Lui, frutto della vita.
Quindi l'Eucarestia è il memoriale efficace cioè sacramento, della Pasqua di Gesù Cristo ed è vero cibo per il corpo e per lo spirito che produce intimo rapporto d'amore tra Dio e la sua creatura ed è un segno efficace perché ha il potere di portare il cielo e la terra in contatto facendo presente il banchetto escatologico della vita eterna.
In definitiva Gesù in persona fa del credente il suo tempio.
La profezia di Isaia era chiara e precisa circa questo atteso banchetto.

"Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti.
Eliminerà la morte per sempre.
" (Isaia 25,6-8a).

E San Paolo che, quale fariseo e poi apostolo, ben conosce la storia della salvezza, dice ai fratelli Ebrei:
"Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne anch'egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo e liberare così quelli per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita." (Ebrei 2,14-15).

È diventato partecipe della nostra carne e del nostro sangue perché col frutto della sua carne e del suo sangue si rientra nella vita che non perisce.
La sua carne ha nascosto la divinità e, mentre per l'uomo diviene frutto per la vita, per la morte è divenuta veleno.
Il mangiare dall'albero del bene e del male comportò il mangiare il contrario della volontà di Dio, che aveva detto: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero del bene e del male non devi mangiare, perché quando tu ne mangiassi, certamente moriresti." (Genesi 2,16-17).

Il cibo di Gesù Cristo è fare la volontà del Padre, quindi mangiare di Lui, che ha detto "sì" al Padre, è dire con Lui "sì" alla volonta di Dio, cioè rinnegare liberamente la propria libertà, il che è il massimo della libertà come osserva San Paolo: "Il figlio di Dio, Gesù Cristo ... non fu 'sì' e 'no', ma in Lui c'è stato il 'sì'." (2 Corinzi 1,19).

Riporto una lettura per decriptazione del versetto di Genesi 2,9b relative a "...l'albero della vita che sta in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male" secondo il criteri del mio metodo inserito in "Parlano le lettere".
Quelle lettere ebraiche con i significati intrisici nei segni così dicono:



"Dal legno di vita un mare da dentro il Crocifisso si porterà . La rettitudine fuori scorrerà . L'energia porterà in azione . Scenderà nel mondo da aiuto nel tempo . Dal cuore la porterà , un pozzo si vedrà ."

"Dal legno di vita un mare da dentro il Crocifisso si portata.
La rettitudine fuori scorrerà.
L'energia porterà in azione.
Scenderà nel mondo da aiuto nel tempo.
Dal cuore la porterà, un pozzo si vedrà."

A questa attesa rispose il Crocifisso come risulta dai Vangeli in quanto l'aiuto del Cristo verrà dal pozzo del suo cuore.
Cioè "l'aiuto dal pozzo uscirà" e con le lettere considerato che la lettera è sia aiutare che mano che battente, quindi porta, e per pozzo può scriversi si ottiene la parola ebraica déborah che indica l'ape , che "dalla porta del pozzo entra/esce ". Debora, ape, come nome proprio di persona si trova in Genesi 35,8, la nutrice di Rebecca, moglie di Giacobbe e di una profetessa, giudice d'Israele in Giudici 4,5.

Faccio notare come nell'inno dell'exultet, che ho prima riportato, ha una particolare menzione i ruolo delle api che producono la cera.
La cera, vergine, infatti è la materia base del cero pasquale che viene benedetto all'inizio della notte di Pasqua per il rito del Lucernario che è un sacramentale del Cristo che illumina le tenebre del mondo.
Quel cero è segno del corpo di Cristo in terra, cioè dalla Chiesa e dei fedeli.
Ne consegue perciò la conseguente simbologia dei cristiani con le api e la Chiesa come ape regina.
Ora, la Chiesa di Cristo nuovo Adamo è la sua sposa, nata dal suo Costato come Eva da Adamo.
Proseguendo nella simbologia delle api, nel cuore di Cristo è come se ci sia un pozzo, in diretta comunicazione con Dio, ove c'è un favo ed ove risiede l'ape regina che uscendo ha portato un nuovo sciame che vuole tornare in quel foro per albergarvi.

Parole ebraiche che si collegano a tale tema sono:
  • Api = "diborim", parola che richiama la Parola "dabar" e che con i significati delle lettere contibuisce a quella simbologia in quanto "nella Parola sono a vivere " o anche "s'insinuano () nel corpo dov'è la vita ". Riferendoci poi al tema dell'albero della vita un tale tipo di api vi s'insinua in quanto "nella Parola c'è la vita ", "nella Parola c'è la Madre " che è la regina delle api.
  • Miele = spesso unito al concetto di latte come in Esodo 3,17: "E ho detto: Vi farò uscire dalla umiliazione dell'Egitto verso il paese del Cananeo, dell'Hittita, dell'Amorreo, del Perizita, dell'Eveo e del Gebuseo, verso un paese dove scorre latte e miele."
    C'è così da domandarsi quale sia dal punto di vista criptico questo paese ove scorre latte e miele, che nella parte finale di quel versetto è scritto così: .
    La decriptazione di quell'intero versetto di Esodo 3,17 porta a questi pensieri.
    "Li condurrà l'Unigenito vivi col corpo dall'Unico in alto; dal mondo verranno, retti vivi nel seno. Angeli saranno i viventi su con il corpo a stare i viventi con Dio; nell'Unigenito nel corpo saliranno dal mondo. Così, gli angeli a vedere inviati saranno. Ed entrati a chiudersi nel Crocifisso saranno portati dal mondo all'Unico vivi con il corpo a stare ed entreranno al volto. Nel (Suo) corpo questi saranno portati. Nel mondo l'annunciò che sarebbero stati portati ad entrare e che sarebbero stati dentro condotti nel foro. Saranno a Dio nell'Unigenito nel corpo a salire. Questi dentro il Crocefisso chiusi nel cuore li porterà; s'insinueranno nel Risorto."
  • Cera = "donag" "aiuta a recare lo splendore ()". La parola "cera" si trova nel Salmo 22,14s: "Spalancano contro di me la loro bocca come leone che sbrana e ruggisce. Come acqua sono versato, sono slogate tutte le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere." Questo Salmo è proprio quello che Gesù recitava sulla croce e di cui ho riportato la decriptazione con "I salmi, conforto del Crocifisso" e la decriptazione di quei due versetti riguarda proprio la Chiesa che nascerà dagli apostoli con i sacramenti che sgorgano dal costato del Cristo; là la parola cera fu spezzata come "per mano li porterà nello splendore ()".
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