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VANGELI E PROTOVANGELI...
IL PROTOVANGELO DI AMOS
di Alessandro Conti Puorger
parti precedenti:
IL LIBRO DEL PROFETA AMOS »
AMOS, UN LIBRO DA DECRIPTARE »
PRIMA PARTE AMOS - DECRIPTAZIONE DEL CAPITOLO 1 »
PRIMA PARTE AMOS - DECRIPTAZIONE DEL CAPITOLO 2 »
SECONDA PARTE AMOS - DECRIPTAZIONE DEL CAPITOLO 3 »
SECONDA PARTE AMOS - DECRIPTAZIONE DEL CAPITOLO 4 »
SECONDA PARTE AMOS - DECRIPTAZIONE DEL CAPITOLO 5 »
SECONDA PARTE AMOS - DECRIPTAZIONE DEL CAPITOLO 6 »
TERZA PARTE AMOS - DECRIPTAZIONE DEL CAPITOLO 7 »
TERZA PARTE AMOS - DECRIPTAZIONE DEL CAPITOLO 8 »
TERZA PARTE AMOS - DECRIPTAZIONE DEL CAPITOLO 9 »
LETTERE EBRAICHE, ARCHETIPI DEI VANGELI
Di fatto ancora una volta dalla decriptazione del libro del profeta Amos le lettere ebraiche dei libri biblici vengono ad essere mattoni che portano a racconti che risultano essere dei protovangeli.
Protovangelo significa primo vangelo.
Intendo con ciò testi molto più intensi ed e estesi di semplici accenni profetici.
A tale riguardo porto ad esempio il passo di Genesi 3,15 ove Dio dice al tentatore: "Io porrò inimicizia fra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno".
Tale frase che lì nel racconto è pensata all'inizio della storia è considerata dall'interpretazione tradizionale ecclesiastica la prefigurazione di una lotta continua fra l'umanità e il male.
Pur se l'autore della Genesi, che scrisse dopo l'esilio babilonese,probabilmente intendeva riferire la vittoria che poteva conseguire l'umanità con l'avvento di un regno basato sui principi dell'ormai mitico regno davidico, che doveva diventare faro per l'umanità, la tradizione patristica cristiana a partire del VII secolo d.C. ha riferito quel testo a Gesù e ha fatto un accostamento fra Maria ed Eva, attribuendo a Maria la vittoria della donna.
Basta al riguardo leggere con pazienza il ricavato delle decriptazioni, non solo di quelle qui riportate su Amos, ma pressocché di ogni testo biblico che si affronta per decriptazione, e risulta che tale idea è evidente e ripetitiva, come si può verificare negli ormai numerosi casi presentati coi miei articoli riportati in questo Sito.
Accade poi che i testi che si ricavano, come è palese alla lettura, sono integralmente riferibili a quanto risulta narrato dai Vangeli come verificato ed attuato con gli eventi che hanno riguardato Gesù di Nazaret.
In definitiva, le stesse lettere ebraiche di per sé risultano un veicolo di una vicenda impressa nell'idea delle lettere stesse che paiono archetipi con cui Dio ha edificato il mondo e lo stesso essere umano.
Questa è la stessa conclusione che di fatto sostiene la Qabbalah.
Secondo gli sviluppi della memoria dell'individuo per la tradizione ermetica e in ambito filosofico (la "forma preesistente e primitiva" di un pensiero; si pensi all'idea platonica) nonché in psicoanalisi (Jung ed altri autori), per indicare le idee innate e predeterminate dell'inconscio umano si ricorre al concetto degli archetipi che sono forme immaginative, simboli di concetti e istinti primordiali.
Dice Jung "...sono modelli funzionali innati costituenti nel loro insieme la natura umana."
Gli archetipi principali sarebbero sette, il se stesso, che in tensione dinamica si confronta con 3 coppie contrarie:
- maschile - femminile;
- nemico - eroe;
- morte/rinascita - viaggio.
La tradizione ebraica però sostiene che quelle 22 lettere dell Aotut
cioè i segni dell'alfabeto ebraico (Sintesi della prima A =
e ultima lettera T =
)
costituivano una archiscrittura, che si trovava sul trono di Dio, cioè una forma ideale della scrittura preesistente nell'uomo prima della creazione del linguaggio e da cui si origina quest'ultimo.
C'è anche chi sostiene che quelle 22 vie sono i motori del pensiero umano e c'è chi arriva a considerare che siano in definitiva gli aminoacidi con i quali è codificato il DNA umano.
Non a caso la parola archetipo, che deriva dal greco antico arketipon arketipon cioè "originale" "arché" ed "esemplare" "tipos" ossia tipo, prima forma, modello, segno parola che, fu utilizzata per la prima volta dall'ebreo Filone di Alessandria a cui è riconosciuta una certa influenza nel I secolo d.C. con l'idea del "verbo" sul Vangelo di Giovanni e nella predicazione di Paolo di Tarso.
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