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RACCONTI A SFONDO BIBLICO...

 
L'AMICO DELLA COLOMBA

di Alessandro Conti Puorger
 
 

È il racconto che in vecchiaia, nella reggia di Gerusalemme, una sera d'inverno il vecchio re David narrò ad Abisag da Sunem.
Un vecchio cortigiano di corte l'avrebbe poi riportato in un rotoletto per gli attori che intrattenevano la corte di Salomone.
Il racconto si prestava ad essere narrato in casa ai figli la sera alla fine dello Shabbat.
Quando erano in esilio a Ninive il racconto sarebbe stato trascritto nella lingua locale ed una tavoletta con scrittura cuneiforme, ormai andata perduta nel saccheggio che ci fu al museo di Bagdad, fu intravista anni fa da un archeologo visitatore.
Il racconto si colloca prima della narrazione biblica della storia di Davide nei suoi primi anni di pastore sulla scia dei molti midrash che ci sono su tale sua epoca mitica tra l'adolescenza e la maturità.
Agli inizi della storia di Davide nel primo libro di Samuele, infatti, è come se mancasse una parte che avrebbe potuto spiegare come nacque la grande amicizia che superò ogni interesse personale tra David e Gionata, figlio di Saul.
Questa narrazione è così un tentativo d'ingenua ricerca che prova ad affrontare, quale premessa, gli interrogativi che il racconto biblico pone al riguardo.

Era appena arrivata la primavera.
Le giornate non si abbreviavano più, anzi cominciavano ad allungarsi.
Al mattino non c'era più brina, ma la benefica rugiada inumidiva i campi.
Il lavoro e l'attenzione dovevano essere moltiplicati, perché già tante nel gregge erano le pecore madri o che stavano per partorire.
Negli spostamenti si doveva camminare alla velocità delle più lente ed aggravate e si doveva il più possibile evitare di farsi all'aperto trovare dalle intemperie.
Gli aveva detto il padre: stai attento...!
E giù, gli enumerava la sfilza infinita di pericoli... i dirupi, i fulmini, i rovi, i predoni, i cani randagi, i lupi, i leoni, i... Filistei.
Sì, lui era stato un bambino sveglio; anche per tre giorni e tre notti fuori casa con il gregge attorno al villaggio col padre già da quando aveva 10 anni.
Il padre cominciò a fidarsi di mandarlo solo per percorsi di un giorno al compimento della "bar mitzvak".
Sono tanti 13 anni!
Era diventato un uomo davanti all'Onnipotente, benedetto sia il Suo Santo Nome, e davanti agli uomini... meno però davanti agli occhi della mamma.
Quando era a casa, e ora aveva quasi 15 anni, lo coccolava ancora come quando era fanciullo.
Aveva preso da lei l'alta statura.
Era fulvo, con begli occhi e gentile d'aspetto, un giovane uomo robusto anche se snello, agile e scattante, furbo come un furetto, pronto, intelligente e... meditativo.
Ora faceva viaggi anche di tre giorni.
Quando partiva col gregge, la mamma gli preparava amorevolmente le "mazzot", cioè il pane azzimo, con focacce di fichi secchi e di uva passita, qualche oliva e datteri da portare, il tutto con... raccomandazioni.
Era un sognatore, anche se cresciuto.
Quando aveva tempo... e il tempo era tanto, mentre guardava le pecore pascolare tranquille, continuava i suoi rituali sogni di bambino.
Una storia infinita, era il capo di un manipolo d'eroi contro i nemici del suo popolo... invincibile, come sempre.
Quella era l'epoca che i re si preparavano, alle guerre perché ci si poteva accampare allo scoperto, e lui... preparava che cosa?
Faceva in modo che quelli del babbo fossero i più belli tra gli agnelli del circondario!
Venivano anche da lontano a comprarli al tempo di Pesach.
Aveva più o meno cento capi d'accudire e di ciascuno conosceva indole, debolezze e quali erano le pecore che avevano più bisogno di cure.
Alcuni giorni prima aveva notato che erano iniziati strani movimenti di carri da guerra; erano passati nei pressi dei suoi pascoli usuali, vicino a casa.
Dalle acconciature, dagli elmi e dai pennacchi sui cavalli gli erano sembrati Filistei, quelli che abitano soprattutto le città sulle rive del mare.
Evidentemente erano andati a Shalem la capitale dei Gebusei!
Non l'avevano visto, perché era presto e vi erano delle grotte anche attorno al suo villaggio, Betlemme di Giuda, che era confinante col territorio dei Gebusei.
La capitale dei Gebusei, infatti, era Shalem.
Il suo villaggio dove erano pressoché tutti parenti era a circa 6 chilometri da Shalem.
Si chiamava Betlemme, cioè "casa del pane", ma lui nei suoi sogni, visto che le lettere ebraiche lo consentivano storpiava le vocali e la chiamava "casa della guerra" e da lì ogni volta nella sua mente, quando partiva con le sue pecore, era come se entrasse in un'avventura.
In un certo senso era pur vero.
Che i Gebusei avessero fatto un patto con i Filistei a danno d'Israele!?
Eppure c'era da anni una tacita intesa di non belligeranza.
Lui, piccolo pastore, come gli aveva insegnato il padre, se era possibile, usava grotte naturali ove far passare la notte al gregge.
Era arrivato fino a 25 chilometri di distanza in linea d'aria, sia a sud est di Betlemme, la zona di Adullam, ove molte erano le caverne e le sorgenti, sia a nord a Micmas e a Gheba nel territorio di Beniamino, sia a ovest al limitare del deserto della giudea verso il Mar Morto.
Lo stare nelle grotte, riparato dalle intemperie, faceva bene a lui e al gregge e lo faceva stare fuori dalla vista di malintenzionati e quindi dai pericoli.
Però, occhio!
Bestie feroci potevano averle scelte come tane... e ce n'erano in giro.
Lui, però, stava attento e saldo con un bastone nodoso, sempre pronto con la fionda, munito di ciottoli levigati.
Li aveva usati... e se li aveva usati!
Contro l'orso e perfino contro un giovane leone.
Come faceva a sapere se erano abitate?
Aveva escogitato un modo.
Poiché molto era il tempo libero, s'era costruito uno strumento musicale piatto con bassa scatola di risonanza, a cinque corde tese di tendini e viscere essiccati e ritorti, una rudimentale cetra insomma, con cui si dilettava a suonare e componeva abilmente parole e musica, sia nenie e preghiere struggenti che salmi festosi.
Piacevano tanto alla mamma e allietava così gli Shabbat, le feste familiari e i matrimoni quando alla fine tutti danzavano felici.
Aveva notato che faceva sognare, calmava gli animali e gli uomini.
Davanti alle possibili tane, prima d'entrare, a distanza di un tiro di fionda, suonava la cetra e gli spiriti cattivi o si manifestavano o s'allontanavano, comunque erano più quieti.
Se nulla accadeva, poi entrava circospetto, altrimenti decideva il da farsi.
Fu così che una volta incontrò l'orso, uscì dalla tana e lui non s'impaurì, lo riuscì a scacciare.
Poi fu la volta di un giovane leone, ma quello l'uccise con un colpo di fionda, un ciottolo duro diritto tra gli occhi, perché stava per aggredire una pecora madre col suo agnellino.
Aveva una mira infallibile e s'esercitava spesso.
Una sera, prima del tramonto, quando stava per arrivare il sabato, era nella zona di Adullam, ricca d'acqua e di caverne naturali ove il padre gli aveva fatto vedere una "me'arah", ossia una grotta che non si poteva scorgere nel salire la pendice.
C'era, infatti, davanti, coronato d'alberelli e cespugli, un pianoro e l'imboccatura principale della spelonca era arretrata.
Ci si arrivava percorrendo un sentiero trasversale avvolgente la pendice rocciosa nascosto tra cespugli che impedivano la vista della sua esistenza e poi si entrava nel letto di un canalone incassato e sulla sinistra si trovava un campo inclinato, ma ricco d'erba e di sorgenti e si arrivava al pianoro della grotta.
Dopo l'imbocco c'era un ambiente e sul fondo un cunicolo ad altezza d'uomo che svoltava sulla destra e si diramava come in due camere; la più grande con una piccola apertura che si affacciava su una pendice scoscesa che si saliva o scendeva solamente aggrappandosi alle rocce, non visibile dal sentiero di salita dell'imboccatura principale, l'altra, più piccola, ove c'era da un lato uno stillicidio d'acqua continuo da una stalattite che si disperdeva poi nelle fessure della roccia del pavimento della spelonca.
Era poca, ma c'era...! una vera manna.
Si poteva anche accendervi il fuoco.
La grotta aveva un buon tiraggio e non si vedeva il bagliore dall'imboccatura principale e nemmeno il fumo che si disperdeva tra i meati, vale a dire nei camini naturali creati dalle fessure delle volte.
Era vero... era faticoso ripulire le caverne dopo la sosta del gregge, ma lo doveva fare se voleva tornarci; il vantaggio era che si poteva raccogliere tutto e purificarlo col fuoco.
La caverna era asciutta ed esposta ad oriente, perciò il pomeriggio era in zona ombrosa, perché il sole tramontava presto dietro la cima e, inoltre, rimanevano almeno due ore di luce dopo il tramonto prima della fine del chiarore.
Era la caverna che preferiva!
Fece poi un giro sul pianoro e vide molti nidi ancora vuoti, trovò un favo di miele raccolse molte locuste che arrostì su un piccolo fuoco... sono buonissime!
Tramite alcuni conoscenti incontrati alcuni giorni prima aveva fatto sapere alla famiglia a Betlemme che quel sabato non sarebbe potuto tornare a casa.
Ben cinque pecore stavano per partorire e almeno due parti si presentavano un poco difficili ed era bene che il gregge riposasse.
In quel giorno, infatti, le tre più forti partorirono!
All'imbrunire dal pianoro davanti all'imboccatura della grotta guardando giù nella valle in lontananza si vedeva chiaramente un uomo... anzi due, inseguiti da un gruppo di armati le cui armature riflettevano al sole.
Si, erano Filistei!
Avevano lasciato alcuni cavalli e alcuni carri in basso assieme ad altri uomini appiedati che li guardavano, ma man mano alcuni tornavano indietro sulla via per Gat, perché impossibile a salire con quelli almeno la prima rampa della pendice, se non si affrontava dal sentiero giusto che evidentemente non conoscevano.
Dall'alto ne vedeva nitidamente i percorsi.
Comprese che per strategia concordata i due fuggitivi s'erano tra loro divisi per rendere più difficile agli inseguitori il seguire le loro tracce.
Il grosso degli inseguitori, infatti, si diresse verso uno dei due e l'altro fu invece ad inerpicarsi da solo.
Il primo, invece, aveva fatto una brusca svolta e s'era immerso in una boscaglia che era alla sua sinistra, andando in discesa di gran carriera mentre gli inseguitori si sparpagliarono attorno alla boscaglia per vedere da dove sarebbe sbucato.
Ormai però si faceva rapidamente buio e probabilmente si sarebbe salvato.
Lui, David, non era certo amico dei Filistei e chiunque fosse da loro oppresso era potenzialmente suo amico.
Quindi, già per quanto aveva visto, l'altro uomo, quello restato allo scoperto e solo, essendo in pericolo, era suo amico!
Quello che s'inerpicava si era acquattato in un cespuglio per non farsi vedere e aspettava il sopraggiungere delle tenebre.
David aveva notato che l'uomo era vestito da cacciatore e aveva a tracolla arco e faretra.
Sarebbe stata quella una notte senza luna.
Due settimane dopo, infatti, sarebbe stato Pesach, quindi luna piena, la prima luna piena di primavera.
L'inseguito, acquattato nel cespuglio, aveva visto un Filisteo che lo aveva seguito e l'attendeva con l'arco incoccato, ma non aveva visto che ce n'era un altro sulla sinistra.
Era così al vertice di un triangolo e anche i Filistei erano muniti d'arco.
I due Filistei tra loro non si potevano vedere, ma entrambi riuscivano a scorgere il cespuglio dove s'era nascosto il fuggitivo, però non sapevano che dietro c'era ciò che cercavano.
Uno dei due, appena il nascosto si fosse sporto per colpire l'altro, l'avrebbe sicuramente visto e preso con la sua freccia.
Davide poteva benissimo lasciar fare, ma quello era sicuramente un Israelita in fuga, in pericolo di vita, un fratello... come avvertirlo?
Come ispirato, sentì che doveva farlo.
Estrasse la fionda e un ciottolo e tirò.
Il ciottolo cadde con uno schiocco su una roccia a metà strada tra il secondo Filisteo e il fuggitivo.
Questi, sentito quel suono, guardò nella direzione da cui proveniva il rumore e scorse così quel secondo Filisteo che non aveva visto prima, mentre l'altro a distanza non aveva udito ne tanto meno visto nulla.
Non per colpire aveva tirato il ciottolo, ma perché facesse proprio quel rumore che aveva fatto.
Riuscì così in tal modo a chiarire la situazione all'inseguito.
Questi, ora, aveva compreso ed aveva potuto valutare tutta la gravità di quanto gli poteva accadere.
Evidentemente l'inseguito era esperto di guerriglia, perché uscì strisciando acquattato tra i cespugli e si diresse lentamente, nascosto da quelli, verso il secondo inseguitore, ma non visto dall'altro.
Lo raggiunse e dopo una breve colluttazione, mentre gli teneva una mano sulla bocca, lo infilzò con un pugnale.
Nel frattempo l'altro Filisteo era allo scoperto e saliva.
L'arco scoccò e anche il secondo Filisteo fu morto al primo colpo, colpito alla carotide.
Si cominciarono a sentire uccelli notturni e forse qualche animale da preda stava già a mettersi in giro.
Gli altri Filistei avrebbero cercato quei due compagni, pensò David, e li avrebbero trovati morti e avrebbero allora cominciato a cercare intorno e sarebbero arrivati alla grotta e non se ne sarebbero andati più.
David però non poteva farsi vedere, perché sarebbe stato anche lui in pericolo, sotto tiro dell'arco del fuggitivo che pareva pronto come un falco e dalla mira prodigiosa.
In fondo, il fuggitivo come poteva sapere che non gli era ostile?
Non aveva ancora compreso che il rumore era stato provocato dal sasso che aveva tirato, così si mise a suonare la pacifica cetra, quindi, s'affacciò dal bordo del pianoro e lo chiamò con un fischio e fece cenni amichevoli.
Aveva Davide, la fionda appesa alla cintura... scese senza il bastone a mani nude alzate.
Il fuggitivo lo vide e tutto subito comprese, non ci fu bisogno di parlare, era come se si fossero conosciuti da sempre.
Parlavano la stessa lingua... erano, infatti, entrambi Israeliti.
David spiegò che c'erano gli altri Filistei attorno alla boscaglia più in basso e che sopra da dove proveniva c'era una caverna.
Era il caso di sottrarre alla vista i corpi dei due Filistei morti, perché erano tracce evidenti, se li avessero trovati i compagni non se ne sarebbero andati via e il giorno dopo avrebbero ripreso le ricerche.
Ciascuno, allora, ne prese uno sulle spalle e s'inerpicarono il più rapidamente possibile fino alla grotta.
Portarono quei corpi nella vasta caverna delle pecore e li fecero precipitare dalla finestra sulla pendice opposta dell'altura.
Ciò fatto, stettero fermi e silenziosi, appostati oltre all'imboccatura sul limitare del pianoro.
Ormai era quasi buio, scorsero da lontano muoversi delle ombre e sentirono richiami di voci.
Erano i Filistei che cercavano i due compagni...
Raggiunsero questi la metà della pendice più o meno dove c'era stata la colluttazione.
Nulla avendo trovato e poiché nessuno rispondeva pensarono che i due ritardatari ormai fossero tornati giù e s'allontanarono.
Il sole era tramontato.
Si ritirarono nella caverna.
Attizzarono un fuoco con la legna che era già sistemata nell'ambiente più piccolo interno, quindi, si lavarono e si purificarono del contatto dei cadaveri e del sangue con l'acqua della stalattite e si sedettero su pelli di pecora.
David aveva legato un ariete vicino all'entrata, se fosse arrivato qualcuno in qualche modo sarebbero stati avvertiti e sarebbero fuggiti dall'apertura sul retro... purtroppo in tal caso lasciando lì le pecore pensò David.
Ormai era Shabbat!
Per prima cosa pregarono.
Iniziò il più grande, avrà avuto 20 anni.
Invocò "El Shaddai" lo ringraziò, era stato misericordioso con lui.
Era veramente "Adonai" che gli aveva messo un angelo sul cammino.
Poi, assieme, riconoscendosi Israeliti, recitarono lo "Shem'a" con la mano sugli occhi, con forza e ad una sola voce: "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze..." (Deuteronomio 6,4s)
Davide, quindi, con la cetra cantò "Il Signore è il mio pastore non manco di nulla..." (Salmo 23)
Disposero così le loro poche cose allestendo un sontuoso desco.
C'erano le mazzot di David con le focacce di fichi ed uva passa, le olive, alcuni datteri, il latte di pecora anche cagliato.
L'altro aveva tratto dalla sua bisaccia una piccola zucca essiccata e svuotata piena di miele che fa illuminare gli occhi, miele della piana di Izreel, e una borraccia di vino da uve, pigiate e fermentate sulle pendici attorno al mare di Kinnor, il vino... che allieta il cuore dell'uomo e che non si può non avere in un vero Shabbat.
Entrambi si sentirono come quegli esploratori della terra promessa che raccontarono a Mosè:

"Noi siamo arrivati nel paese dove tu ci avevi mandato ed è davvero un paese dove scorre latte e miele; ecco i suoi frutti." (Numeri 13,27)

Loro ciascuno per suo conto però questa in cuor suo voleva veramente conquistarla!
Erano proprio come Giosuè e Caleb.
Il fuggitivo poi si presentò.
Aveva 20 anni, era della tribù di Beniamino, militava nell'esercito di Saul.
Gli disse che si chiamava Giona, colomba in ebraico... ma non gli disse che era Giona-ta, il figlio di Saul.
Con un suo compagno più anziano molto abile, che sicuramente sarà riuscito a sfuggire agli inseguitori, era venuto da Gheba, più di 25 chilometri a nord ovest, ove era accampato un terzo dell'esercito di Saul, mentre gli altri due terzi, in effetti solo 2000 uomini, valorosi, ma con poche armi di ferro erano di fronte a Micmas.
Erano venuti in esplorazione per vedere cosa combinavano i Filistei.
In quel caso erano dei "meragghelim", veri e propri agenti spia.
Gli chiese il nome e ringraziò di tutto cuore quel giovane.
Si! Riconobbe: David era stato veramente coraggioso.
Aveva messo in gioco la sua vita e i suoi averi per salvare uno sconosciuto in fuga; fu così che gli promise gratitudine ed amicizia per tutta la vita.
Poi mormorò qualcosa su una colomba fuggita dalla mano dei cacciatori in una fessura della roccia protetta da Dio che con la sua mano aveva coperto la cavità nella rupe.
Fu così che David s'acquistò l'amicizia della colomba... ma anche questa trovò un tesoro.
David raccontò che era l'8° figlio, il più piccolo, di Iesse di Betlemme di Giuda.
Gli riferì subito di quel movimento dei carri da guerra Filistei che aveva visto attorno a Shalem.
Evidentemente erano andati a complottare con i Gebusei.
Era la notizia che voleva sapere Giona!
Gli disse poi ancora che si sarebbe voluto arruolare anche lui come volevano fare i fratelli più grandi.
Giona non lo dissuase, anzi gli disse, quando fosse pronto con l'età - li accettavano dopo tre anni dalla bar mizvah - si presentasse a Gheba cercando di Gionata suo capo, il figlio di Saul.
Si giurarono eterna amicizia; la santificarono col vino.
Dopo alcuni canti accompagnati dalla cetra di Davide, si misero a riposare.
Si accordarono di stare in riposo nella grotta per tutto lo Shabbat.
Quella stessa notte nacquero i due agnellini.
Solo all'albeggiare della notte successiva sarebbero partiti verso Betlemme come due pastori col gregge onde poi Giona scendendo a Gerico, pur allungando il percorso lungo la valle del Giordano, avrebbe potuto risalire la sponda e la piana in destra e sarebbe arrivato fino alle spalle di Gheba nei pressi di Micmas.
Il piano era chiaro.
Giona avrebbe nascosto l'arco e la faretra con le frecce legandole sotto la pancia di un ariete ed entrambi, nelle vesti di pecorai, un agnellino ciascuno sulle spalle, sarebbero passati inosservati.
David si svegliò presto per il belare delle pecore.
Come pastore non poteva rispettare integralmente lo Shabbat, ma cercò di fare l'indispensabile; perciò le fece uscire a pascolare sul pianoro e nel campo acclive verso il canalone alla sinistra della grotta.
Le pecore riconoscevano i suoi fischi e la sua voce.
Lui le chiamava ciascuna col nome che gli aveva dato, e queste, docili ai suoi richiami, tornavano e rimanevano alla vista d'occhio del loro pastore.
Fece un breve giro tra gli arbusti ed alberelli attorno al pianoro.
Trovò nidi con uova di vari tipi d'uccelli, di recenti depositate, perché il giorno prima i nidi erano vuoti e si disse le prenderò stasera dopo lo Shabbat.
Munse alcune pecore che belavano per il dolore alle mammelle e raccolse il latte in un mastello che teneva nella grotta mettendo da parte il burro che aveva fatto il giorno prima assieme alle varie locuste che aveva trovato ancora croccanti, già abbrustolite sul fuoco.
Apparecchiò quindi sul prato per il primo pasto del giorno fuori della grotta al tepore del sole che si stava alzando.
Dispose sulla pelle della cena precedente il latte con del cacio e del burro, mazzot e olive, altro miele che aveva trovato in un favo vicino e un otre di acqua fresca stillata dalla grotta.
Poi ripulì la sala grande dei rifiuti delle pecore, che spazzò con una foglia di palma, preparò un gran fuoco e bruciò tutto dando fuoco a degli arbusti secchi che aveva riposto nella grotta.
Era necessario per la salute delle pecore.
Verso l'ora terza Giona si svegliò.
Si rallegrarono che non si vedevano Filistei in giro e si dissero che certamente erano tornati a Gat, la prima città filistea vicina dell'entroterra.
Quindi, recitata la benedizione di rito, mangiarono in silenzio.
Poi ognuno raccontò le proprie avventure più importanti.
Fu così che David accennò all'incontro con l'orso e col leone.
Giona da parte sua parlò delle fatiche, dei pericoli e delle privazioni militari, buttandola giù in modo duro.
Più parlava, più però David si esaltava di quella vita che desiderava vivere, era un guerriero nato.
Poi, verso l'ora sesta, Giona, stanco delle fatiche e della fuga del giorno precedente, s'assopì al sole mentre David toccava la cetra con nenie lente e melodiche.
Giona dormì sino alla ora nona.
Tra un'ora o due il sole si sarebbe nascosto dietro l'altura e sarebbe terminato il loro Shabbat.
Decisero di festeggiare in modo solenne quella loro nata amicizia con la cena della fine dello Shabbat in onore della Regina della festa che sarebbe certamente venuta felice per la concordia che era nata, in quanto l'amore fraterno è certamente dono divino.
David riapparecchiò come al mattino, ma aggiunse le locuste arrostite.
Poi accese un lume rudimentale che teneva nella grotta fatto di grasso di coda d'ariete accoccolato su una pietra piatta con un stecco da stoppino.
L'accese come gli aveva insegnato il padre con due pietre focaie e paglia e lanugine.
Poi cantò con la cetra:

"Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme! È come olio profumato sul capo, che scende sulla barba, sulla barba di Aronne, che scende sull'orlo della sua veste..."

Fu Giona che allora disse: dobbiamo brindare col vino come augurio alla vittoria d'Israele contro i suoi nemici, i Filistei e ora anche contro i Gebusei.
Così fecero, bevvero entrambi vino dallo stessa borraccia di Giona.
Avendo Giona ricordato i Gebusei, David ispirato proseguì:

"Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme! È come rugiada dell'Ermon, che scende sui monti di Sion. Là il Signore darà la benedizione e la vita per sempre."

Volevi dire Silo, disse Giona?
No, rispose David, ho proprio detto Sion... il Signore punirà i Gebusei e metterà la città di Shalem nelle nostre mani, non si rompono i patti.
È così bella Shalem la citta di Melkisedeq ove Abramo vincitore incontrò con pane e vino quel sacerdote eterno!
La conosco bene, è un posto che mi fa cantare di gioia ogni volta che lo vedo!
Fu così che prima della cena entrambi concordi, ancora ad una sola voce cantarono per augurio il cantico di Mosè e di Miriam: "Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere!" (Esodo 15,21)
Brindarono fraternamente...
Pace e gioia erano palpabili, pareva proprio che Mosè e Miriam fossero lì con loro e quel pasto frugale era diventato veramente un banchetto, imbandito per una Regina.
Ormai il sole era sceso dietro l'altura ove era incassata la spelonca e per loro lo Shabbat era finito.
Fecero rientrare le pecore, le contarono, erano tutte.
C'erano ancora quasi due ore di chiarore, raccolsero le uova dai nidi per il viaggio del giorno dopo.
Poi decisero ciascuno di far vedere all'altro la propria maestria.
Giona con arco e frecce e David con la fionda.
Poi si scambiarono le armi e s'istruirono a vicenda.
Giona voleva esercitare David agli scontri a corpo a corpo e i bastoni suonarono tra loro rapidamente.
Fu così che Giona si rese conto che il ragazzo era agile e pronto, come se avesse fatto sempre e solo quello, pareva proprio più grande dell'età che dichiarava.
Passo così rapidamente il tempo e, ormai, essendo imbrunito, decisero di ritirarsi perché all'alba sarebbero partiti.
Si misero perciò a dormire presso l'entrata per essere svegliati dai primi albori.
I primi chiarori dell'aurora li baciò dall'ingresso ad oriente, infatti, si svegliarono praticamente all'unisono.
Partirono che era veramente presto.
Appena poterono vedere i propri piedi fecero uscire le pecore.
Precedeva David con il suo agnellino sulle spalle con vicino l'ariete più forte e le pecore anziane, onde tutte le altre li seguirono con gli agnellini.
Chiudeva la carovana Giona con il suo agnellino sulle spalle e le pecore giovani.
Presero un sentiero scosceso sulla destra che dopo un centinaio di metri divenne più agevole e si diressero verso Betlemme.
Furono in piano circa all'ora 9a.
Fu là che incontrarono alcuni Gebusei, uomini e donne che lavoravano nei campi e riconobbero David che spesso passava di lì col suo gregge.
Parlottarono con lui.
Seppe che c'era stato un gran movimento per un richiamo alle armi volontario di chi volesse affiancare i Filistei, perché intendevano operare un'offensiva contro gli Israeliti "ribelli" del nord, cioè contro quelli di Saul che stavano a Micmas.
Gli dissero anche che c'erano stati degli infiltrati che erano riusciti a fuggire e che erano ricercati.
Vendette loro delle caciotte a poco prezzo e fu così che gli dissero che a Betlemme dalla parte verso Shalem sulla strada all'uscita del villaggio si era accampata una pattuglia di Filistei per tenere d'occhio la via per Gerico.
Giona che era rimasto distante pensarono che fosse un fratello di David o un lavorante che l'accompagnava.
Quando si fermarono per riposare e a far riposare le pecore vicino ad una sorgente, sorbirono le uova che avevano preso con un po' di cacio e olive, David raccontò tutto il colloquio con quei Gebusei.
Erano informazioni preziose in tutti i sensi per loro e per l'esercito!
Decisero che prima di Betlemme Giona con le pecore si sarebbe rifugiato nel ricovero di famiglia, una grotta fuori del paese.
Non era, infatti, opportuno tentare la sorte ed entrare nel villaggio per andare a cena dai suoi a Betlemme.
Così fu! Arrivati, David fece entrare nella grotta le pecore con Giona poi fece un salto a casa.
Fu accolto festosamente e raccontò rapidamente, ma in lungo e in largo l'avventura.
Sentito ciò, subito i due fratelli più grandi, vollero andare a trovare il guerriero esploratore di Saul e David li accompagnò.
Fu così che David, nonostante i tanti giorni lontano da casa, passò anche quella notte in una grotta... quella di Betlemme.
Parlarono per buona parte della serata fino metà della notte sia dell'esercito in difficoltà, sia delle forze nemiche molto più numerose e ognuno aggiunse ciò che sapeva.
I due fratelli maggiori tornarono a casa decisi ad informare i genitori che l'indomani sarebbero partiti per andare anche loro alla guerra... era doveroso!
La mattina presto vennero, infatti, vestiti da viandanti muniti del necessario per il viaggio e s'unirono a Giona per andare con lui a Ghaba ed arruolarsi nell'esercito.
Gli avrebbero così indicato i sentieri migliori e più sicuri per il ritorno!
Decisero, perciò, di aggirare il villaggio in modo di arrivare alla strada per Gerico molto dopo l'uscita del paese, perché c'erano i Filistei appostati.
Attraverso quella via si portarono verso Gerico per poi risalire la valle e arrivare alle spalle al campo di Gheba dopo un cammino di almeno due giorni.
David non vedeva l'ora di avere il permesso di andare anche lui, ma era ancora troppo giovane e il padre aveva bisogno del suo aiuto!
Fu così che David aveva trascorso tre giorni e tre notti con Giona - la colomba - e divennero amici fraterni.
Dai fratelli Eliab e Abinadab poi, qualche mese dopo, quando tornarono a far visita a casa seppe che Giona, in effetti, era... Gionata il figlio di Saul!
Lui l'aveva amato e l'amava come un fratello, ma era un principe, figlio del consacrato del Signore.
Fu una grande festa!
Tra l'altro, proprio nello stesso giorno il profeta e sacerdote Samuele era venuto da Rama a Betlemme per un sacrificio e invitò a quello anche Iesse con tutta la sua famiglia.
Samuele poi si fermò a pranzo a casa di Iesse e volle conoscere anche il più piccolo, David che stava nei campi vicini con le pecore.
Accadde un fatto inatteso.
Samuele appena vide il giovane Davide prese un corno ove teneva l'olio "Qadosh", cioè Santo, e lo unse... lo consacrò, "Meshiach".
E lo Spirito del Signore da quel giorno si posò su David!
Quella volta al ritorno al campo a Gheba i fratelli lo portarono con loro, ma non per la guerra, era ancora troppo giovane, solo perché Saul era tormentato da una depressione, da uno "spirito cattivo" aveva detto Gionata, e lo pregava di andare per qualche tempo alla sua corte a cantare con la cetra per allietarlo.
Era certo che sarebbe stato d'aiuto e Saul aveva acconsentito.
Davide felice come non mai, ma ubbidiente e anche profetico, disse: è necessario che faccia la volontà del padre mio.
Il padre quella volta, spettatore delle parole profetiche di Samuele, aveva consentito.
Come dire di no ai consacrati del Signore!
Saul era consacrato, ma anche David, e in questo caso erano tutti e due a volere che David andasse.
E fu così che sentita la madre, a malincuore anche lei acconsentì.
Era volontà di Dio.
Il resto della storia è nota e si trova nella Tenak o Sacre Scritture ebraiche con inizio in 1Samuele 16.
Il Sacro testo, infatti, dice:

"Ecco, ho visto il figlio di Iesse il Betlemmita: egli sa suonare ed è forte e coraggioso, abile nelle armi, saggio di parole, di bell'aspetto e il Signore è con lui. Saul mandò messaggeri a Iesse con quest'invito: Mandami Davide tuo figlio, quello che sta con il gregge. Iesse preparò un asino e provvide pane e un otre di vino e un capretto, affidò tutto a Davide suo figlio e lo inviò a Saul. Davide giunse da Saul e cominciò a stare alla sua presenza. Saul gli si affezionò molto e Davide divenne suo scudiero." (1Samuele 16,18-21)

Poi un anno dopo ci fu il fatto di Golia.

"...l'anima di Gionata s'era già talmente legata all'anima di Davide, che Giònata lo amò come se stesso. Saul in quel giorno lo prese con sé e non lo lasciò tornare a casa di suo padre. Giònata strinse con Davide un patto, perché lo amava come se stesso. Gionata si tolse il mantello che indossava e lo diede a Davide e vi aggiunse i suoi abiti, la sua spada, il suo arco e la cintura." (1Samuele 18,1-4)

Fu così che dopo ciò ed altri fatti, quando l'odio di Saul nei suoi confronti esplose, David fuggi alla grotta di Adullam e li vennero ad unirsi i familiari e i suoi amici ed altri con cui costituì una prima banda.
Fu lì che Gionata venne ad avvertirlo con un gioco di frecce, come da intesa precedente, che il padre era irremovibile.
La freccia superò di molto il servo di Giona e così indicava la caverna, come a dire "stattene nascosto", se fosse invece rimasta prima del fanciullo voleva dire vieni verso di lui.

Il racconto cerca di integrare il la narrazione biblica sulla storia di Davide nei suoi primi anni di pastore sulla scia dei molti midrash che ci sono su tale epoca.
Agli inizi della storia di Davide nel primo libro di Samuele è come se mancasse una parte che spieghi come nacque la grande amicizia che superò ogni interesse personale tra David e Gionata figlio di Saul.
Il racconto è un tentativo di ricerca per affrontare il racconto biblico e gli interrogativi che pone al riguardo.
D'altronde da Davide viene il Messia e Israele è come una colomba, perciò Davide, che significa l'amore, l'amato, non poteva non essere amico della "Colomba", cioè di Giona... quindi di Gionata.
Dice il Pirké Avot, al capitolo 5,16: "Qualunque amore tra persone che dipenda da una cosa materiale cessa col venir meno della cosa, mentre se non è legato ad una cosa materiale non finisce mai. Quale sarebbe, per esempio, un amore dipendente da una cosa? Quello di Amnòn per Tamàr (legato alla bellezza). E quello di uno che non finisce mai? Quello di David per Yonatan (legato a rispetto e affetto)."
I maestri d'Israele sul fatto che la colomba sia paragonata ad Israele propongono questo midrash:

"Quando Dio creò la colomba questa tornò dal Creatore lamentandosi: Signore dell'universo c'è un gatto che mi insegue continuamente e vuole uccidermi, e io sono costretta a correre tutto il giorno con le mie zampette così piccole. Allora il Creatore ebbe misericordia della colomba e le diede due ali. Poco dopo la colomba si ripresentò al Creatore: Signore dell'universo, il gatto continua ad inseguirmi, con queste pesanti ali addosso, mi riesce ancora più difficile sfuggirgli con queste zampette corte e deboli. Il Creatore sorrise e le disse: Non ti ho dato le ali perché tu le porti, ma perché esse portino te."

Le due ali sono i due comandi della Torah, l'amore per Dio e per il prossimo.
David e Gionata che amavano Dio, furono uno il prossimo dell'altro!

a.contipuorger@gmail.com

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