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RACCONTI A SFONDO BIBLICO...

 
L'AMICO LAZZARO
E IL RIPOSO DI BETANIA

di Alessandro Conti Puorger
 

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IL PROSSIMO VA TRATTATO DA AMICO
Dice il libro del Levitico, il centrale della Torah: "Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore." (Levitico 19,18)
Il termine ebraico "re'a" può voler dire prossimo, compagno o amico.
Tutto però è sostenuto dal verbo "amare", quindi quel "re'a" assume il massimo dei tre valori, non prossimo e compagno, ma proprio di amico.
Si il prossimo va considerato comunque "amico".
Nella Torah anche nei comandamenti di Esodo 20 e di Deuteronomio 5 viene usato lo stesso termine ebraico "re'a" per "prossimo".
Nella ultima traduzione CEI si trova 47 volte:

  • 15 in Esodo;
  • 15 in Levitico;
  • 17 in Deuteronomio.
Ciò che viene tradotto con la parola prossimo sarebbe così da tradurre con amico, quindi "Ama il tuo amico come te stesso."
Perché non usa il participio dal radicale amare ebraico "amato" come nel versetto: "discendente di Abramo mio amico ..."? (Isaia 41,8)
Così avrebbe fatto nascere dubbi; infatti, non tutti purtroppo sono ritenuti amici perché il comandamento è dato agli uomini che non sono come Dio che ama tutti, ma a chi in genere ama solo se stesso, appunto per questo c'è poi quel confronto nel comandamento con "come te stesso".
Rabbi Akiva grande maestro nel Talmud dice: Questa è una grande regola complessiva nella Toràh.
Con "regola complessiva" intende dire che tutti gli altri 612 precetti della Toràh, con tutti gli scritti che vi sono, sono un commento e un'esemplificazione su come si debba amare l'altro... come te stesso.
Un proselito si presentò davanti al grande Rabbì Hillèl e gli disse: Insegnami tutta la Torah finché io mi reggo su una gamba sola. Ed Hillèl rispose: Non fare al tuo amico ciò che odi, e tutto il resto significa: vai e studia. (Talmud, Shabbat 31)
"Vai e studia" onde tutto il resto della Toràh è l'interpretazione di quel unico precetto, dato che questa la regola "Ama il tuo amico come te stesso" non è portata a compimento se non si rispettano tutti gli altri comandamenti.
Certo, a cornice di quel comandamento e quel "re'a" pare esservi quei "figli del tuo popolo" e può essere un'attenuante all'interpretazione restrittiva di una parola molto più generale da parte di un popolo in costante guerra per la conquista e/o il mantenimento della terra promessa.
Tutti sono prossimo o solo i figli del tuo popolo?
Interpretasi in generale da parte dell'ebraismo tuo amico o prossimo come appartenente alla nazione d'Israele.

Nel Vangelo di Luca, infatti, si legge quanto segue su quel comandamento.
Inizia proprio con la nostra questione e chiarisce chi è il prossimo.

"Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna? Gesù gli disse: "Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi? Costui rispose: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù: Hai risposto bene; fa' questo e vivrai. Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: E chi è il mio prossimo? Gesù riprese: Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti? Quegli rispose: Chi ha avuto compassione di lui. Gesù gli disse: Va' e anche tu fa' lo stesso." (Luca 10,25-37)

Il prossimo di quell'uomo malcapitato pestato dai briganti non è stato né un sacerdote né un levita ebreo.
Chi considera come un amico uno che nemmeno è del proprio popolo?
Un samaritano!
Implicitamente Gesù per chi con la domanda "E chi è il mio prossimo?" di fatto implicava riduzioni alla parola prossimo pare proprio dare una risposta che allarga il concetto a tutto il potenziale della Torah e il suo contenuto su tutti i popoli.
Grazie a Lui questo insegnamento pare riappropiarsi del suo carattere di legge universale e non solo ebraica.

L'amore per l'amico poi segue regole non scritte, ma è radicale, chiede addirittura di dare la precedenza ai bisogni dei nostri amici rispetto ai nostri.

Nelle regole della schiavitù di chi pur ebreo per debiti era costretto a cedersi in uso a servizio a quelli del suo popolo, quel servizio, non potrà durare più di sei anni.

"Se un tuo fratello ebreo o una ebrea si vende a te, ti servirà per sei anni, ma il settimo lo manderai via da te libero. Quando lo lascerai andare via libero, non lo rimanderai a mani vuote; gli farai doni dal tuo gregge, dalla tua aia e dal tuo torchio; gli darai ciò con cui il Signore tuo Dio ti avrà benedetto; ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese di Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha riscattato; perciò io ti do oggi questo comando. Ma se egli ti dice: Non voglio andarmene da te, perché ama te e la tua casa e sta bene presso di te, allora prenderai una lesina, gli forerai l'orecchio contro la porta ed egli ti sarà schiavo per sempre. Lo stesso farai per la tua schiava." (Deuteronomio 15,13-17)

Diventa per il padrone di casa come una mezzuzah ossia un contenitore che racchiude una pergamena viva che gli porterà sempre alla memoria le prime due parti dello Shema, preghiera fondamentale della religione ebraica. "Ascolta, Israele: il Signore Dio nostro, il Signore è uno" e gli obblighi del rispetto delle "mitzvot", e l'obbligo del loro insegnamento ai figli.
Se vuole continuare a far parte della tua casa, allora è certamente "prossimo" quindi "amico" perché ti ama, e così ti considera e tu dovresti dargli il contraccambio.
C'è allora questo esempio se uno ha per caso un solo cuscino e non lo dà al suo servo, non rispetta il precetto incluso nel termine del comandamento "sta bene presso di te", dal momento che quello resta sdraiato a terra. ("Tosfot; Ierushalmi-Kidushin" pagina 20)

Dio quanto fa per noi lo fa perché ci ama non perché poi noi gli possiamo essere riconoscenti.
Noi, peraltro, non possiamo contraccambiare, perché di nulla Lui è carente.
L'unico contraccambio che possiamo dare è nel campo dell'amore e non tanto nell'amare Lui, che non vediamo, ma per estenzione amando coloro che Lui ama, cioè tutti gli altri uomini anche quelli che consideriamo "i peggiori".
Anche un assassino ha comunque una potenzialità interiore che potrebbe esplicare e che Dio non gli preclude lasciandolo vivere.
Dice infatti il libro di Giobbe "L'uomo stolto mette giudizio e da ònagro indomito diventa docile." (Giobbe 11,12)
Tutti noi nasciamo selvaggi, si pensi al neonato, il suo istinto è di pensare solo a se stesso, poi ci si affina col crescere e assumiamo le leggi umane e i rapporti sociali, ma questi mitigano solo alcuni aspetti dell'egoismo che possono ledere gli interessi altrui, poi c'è chi si sente chiamato a prendere il giogo del Signore e a ricevere riceve il Suo Spirito di natura nuova, l'amore per il prossimo.
Tutto ciò che e fuori dall'uomo, infatti, all'uomo sembra irreale.
Così Dio e così l'amore, così la gratuità nell'amare.
Tutto l'istinto ci porta a avere rapporti a noi utili.
L'amare il prossimo come se stesso ci porta a uscire dalla nostra realtà chiusa e farci capire come non possiamo essere solo filantropi per hobby e cercare aiuto per farci superare l'insito egoismo.
Se uno ha un amico e ha un solo cuscino in casa non può dormirci lui, ma lo deve dare all'amico che è a casa sua.
Dico questo per far capire che tutti dovrebbero essere amici in tal modo.
Non possiamo, perciò, nasconderci, siamo tutti in difetto.
È da prenderne atto e non incolparci a vicenda facendo i giustizialisti.
Occorre che ognuno cerchi di superare l'istinto e rendersi conto che è da "condividere" l'esistenza se non si vuole restare soli per sempre.
Ogni essere umani è garante l'uno dell'altro, ed ogni individuo può causare con le proprie azioni il merito o il debito del mondo intero.
Sebbene ci sono dai tempi antichi nella Toràh due ambiti di comandamenti fondamentali, quelli che riguardano i rapporti tra l'uomo e Dio e tra un individuo e individuo, entrambi hanno un medesimo obiettivo, condurre la creatura alla meta finale all'Adesione col Creatore.
Nella pratica se tali precetti si compiono senza ricavarvi alcun beneficio personale non v'è alcuna differenza è comunque "lavoro spirituale" sia che lo si fa per amore del prossimo, sia che lo si fa per amore a Dio.
È infatti il superamento comunque di una legge naturale che ha ogni creatura che tutto ciò che esiste di là dal proprio corpo è come una cosa vuota e che si fa tutto per un ritorno di utilità.
Azioni buone che comunque sono pur sempre un bene per l'altro non possono essere denominate "amore per il prossimo" se c'è un ritorno anche di soddisfazione personale o di riconoscimento da parte dell'altro o di apprezzamento da parte degli altri.
Proprio per non ingannarci tutto ciò dovrebbe essere fatto in segreto, altrimenti potrebbe essere un inganno per chi lo fa, perché s'illude così di amare.
Se invece lo si fa con atto "religioso", chi lo compie crede in Dio anche se non lo ammette.
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