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ATTESA DEL MESSIA...

 
IL GIUSTO E I GIUSTI

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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I 36 GIUSTI
Secondo una leggenda ebraica, in ogni epoca il mondo si reggerebbe sulle spalle di 36 giusti la cui identità nessuno conosce.
Grazie a loro, generazione dopo generazione, Dio risparmia al mondo la punizione per gli innumerevoli peccati commessi dagli uomini.
Secondo la tradizione ebraica i 36 rimangono in numero costante in quanto al venir meno di uno si eleva un altro, come nel caso di Eli e Samuele o di Elia ed Eliseo, il che garantirebbe il permanere di un pilastro di salvezza per l'umanità intera.
La prima fonte di tale leggenda è il Talmud di Babilonia: "Ci sono almeno 36 giusti in ogni generazione che manifestano di contenere la Shekinah. È scritto felici chi attende di Lui l'arrivo." (Abaye, Sanhedrin 97b)
Il 36 è definito dalle lettere ebraiche "lamed" = 30 e "wau" = 6 quindi sinteticamente l'accoppiata li viene a rappresentare.
Nel salmo 37, peraltro alfabetico, ai relativi versetti si trova:

"21 - Lamed L'empio prende in prestito e non restituisce,
ma il giusto ha compassione e dà in dono.
10 - Wau Ancora un poco e l'empio scompare,
cerchi il suo posto e più non lo trovi."

Nelle storielle folkoristiche dei secoli XVI e XVII troviamo il termine in yiddish "lamedvovnik" assegnato a un Giusto, una figura ignota dai poteri miracolosi e segreti, capace di sconfiggere i nemici del popolo d'Israele e che, una volta compiuta la sua missione, ritorna nell'anonimato.
In definitiva se ne deduce che il giusto è stabile, mantiene il suo posto, grazie al fatto che Dio evidentemente l'assiste e l'accompagna () nei propri atti, insomma è sempre in buona compagnia.
Gesù poi ebbe ad insegnare: "Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e m'avete dato da bere; ero forestiero e m'avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me." (Matteo 27,31-40)
Il regno dei cieli è per le pecore della destra, i giusti!

Al riguardo richiamo poi quanto riportato in "Le 22 Sacre Lettere - Appunti di un qabalista cristiano" sulla lettera iniziale di giusto "sadiq" :

Sadi Numero 90, nome Sadi

Il valore di per le lettere che ne formano il nome è 104 ( = 90; = 4; = 10)
Sadìah è "intenzione", Numeri 25,20-22
Porta all'idea di giusto "sadiq" che si comporta con buona intenzione.
Per la Qabalah la lettera rappresenta giustizia e umiltà.
Il valore gematrico di "sadiq" è 204 perché a 104 si aggiunge il 100 di .
Fede "'amunah" vale 102 ( = 1; = 40; = 6; = 50; = 5) quindi il giusto ha valore doppio della fede, perché vi crede e di conseguenza opera fedelmente.
La parte superiore della lettera Sadi è molto simile a quella di una 'Alef .
La parte inferiore invece è un prolungamento del segno trasversale che incorpora il piede inferiore della .
C'è come l'intento di una comunicazione dal sotto a sopra e viceversa.
Il giunto si avvicina al cielo e le sue preghiere e le sue opere vi salgono e la giustizia scendere sulla terra, perciò salire e scendere, giù e su, sono una lettura della lettera.
I giusti aiutano nella risalita e tengono l'ago della bilancia e consentono l'equilibrio del bene contro il dilagare del male.
"Il giusto è il fondamento del mondo" (Proverbi 10,25)
Il fondamento è Yesod e si dice che il mondo appunto si regge sui giusti, altrimenti verrebbe distrutto.
Per i Chassidim ogni generazione ha 36 giusti nascosti e 36 palesi pari a 72 che è il valore numerico della parola "chesed" che vuol dire "Amore".
Quando Abramo chiese di salvare Sodoma per i giusti che vi vivevano, per i giusti "sadiqim" si trova scritto in Genesi 18,24 e non allora "I giusti che vivevano in Sodoma non erano giusti in assoluto, ma solo confrontati con la popolazione locale". (Kol Ha Torah) e deduco:

  • , intenzioni () alte ,
  • , intenzioni () in spiga ().
Il tema del giusto rifiutato dagli uomini era stato sviluppato dal profeta Isaia nei quattro canti detti "del servo del Signore" (Isaia 42,1-9; 49,1-11; 50,4-11; 52,13; 53,12).
Platone (427-347 a.C.) nel dialogo sullo stato ideale detto della Repubblica, tratta della rettitudine che in un uomo è veramente perfetta se accetta ogni ingiustizia per amore della verità.
Scrive Platone che l'uomo sommamente giusto deve essere "...un uomo semplice e generoso che, dice Eschilo, vuole non apparire, ma essere onesto. E l'apparire bisogna appunto eliminare. Se infatti vorrà apparire, potranno derivarne onori e vantaggi, appunto perché appare giusto. E non si potrà allora scorgere se è giusto per causa di giustizia o per causa di vantaggi e d'onori. Ecco, di tutto facciamolo ignudo. Sola in lui giustizia ...Effigiamolo dunque opposto al precedente e pur non commettendo nessuna ingiusta azione abbia sicura fama di ingiustizia. Così sarà fatta prova del suo amore per la giustizia, se davvero non si lascia flettere da cattiva fama e da conseguenze che da quella derivano. Incrollabile andrà sino alla morte, per tutta l'esistenza sembrando ingiusto, mentre è un giusto... il giusto sarà flagellato, sarà torturato, posto in ceppi sarà, gli si bruceranno gli occhi, da ultimo, sottoposto ad ignominia estrema, sarà impalato." (Platone, La Repubblica o Politéia, libro II°, Rizzoli 1953, p.122-123)
L'intuizione filosofica di Platone coincide in modo impressionante col IV Canto del Servo del Signore nel libro del profeta Isaia.

Il libro del profeta Isaia è costituito da 66 Capitoli, nella forma pervenutaci nel canone ebraico del testo masoretico che poco si discosta dalla copia nei papiri fatti risalire al II Secolo a.C. trovata tra i manoscritti del Mar Morto.
Ora la critica letteraria e l'esame storico dei fatti raccontati hanno riconosciuto che i primi 39 capitoli sarebbero da attribuire al Proto - Isaia, profeta vissuto tra il 765 e il 700 a.C. che secondo una tradizione ebraica sarebbe stato fratello di del re di Giuda Amaziah e fu martirizzato da suo nipote, il re Manasse, figlio della figlia di Isaia, andata sposa a Ezechia.
Gli altri 27 capitoli sono detti Deutero-Isaia, e tra questi gli ultimi 11 dal 56 al 66 sono di discepoli di chi ha scritto il Deutero e si parla di un Trito - Isaia, comunque antecedente all'epoca di Platone.

Storicamente, semplificando, il Proto - Isaia sarebbe dell'VIII secolo a.C., il Deutero - Isaia del dopo esilio, cioè del VI secolo a.C. e subito dopo del V il Trito - Isaia, contemporaneo di chi scrisse il testo del libro del Genesi, e comunque antecedente d'almeno un secolo ai Dialoghi di Platone.
Questa del servo sofferente d'Isaia e che era nella mente dei pagani del tempo per influsso del grande Platone fu riconosciuta come profezia attuata in Gesù di Nazaret dal primo cristianesimo e usata come bandiera nella evangelizzazione dei pagani, perché dal giusto verrà la salvezza per l'uomo.
Dice il 4° Canto del Servo "Così molti si stupirono di lui - tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diverso la sua forma da quella dei figli dell'uomo" (Isaia 52,14) ove sfigurato - deformato ha in sé le lettere di Messia, il Cristo, l'Unto, sintesi profetica di riconoscimento in Gesù del servo sofferente.
Quelle lettere infatti portano all'idea di un Messia in croce .
Nella lettera ai Filippesi (del 60 d.C.) San Paolo con somma chiarezza scrive quanto segue sul Cristo che ha incarnato la figura del giusto sofferente sia per il mondo ebraico, della profezia d'Isaia, sia del greco, nell'intuizione di Platone: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l`ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre." (Filippesi 2,5-12)
In "Visione su Abele, il pastore gradito al Signore" ho riportato il decriptato quei 4 canti del Servo di Isaia senza deroghe alle regole del metodo e dei significati delle lettere riportati in "Parlano le lettere".
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