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ATTESA DEL MESSIA...

 
LO SCETTRO DI DIO, IL BASTONE DI MOSÈ E IL MESSIA

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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IL MESSIA VIENE DALLA TERRA O DAL CIELO?
Cristo è il Messia, è "Il Figlio di Dio apparso per distruggere le opere del diavolo" (1 Giovanni 3,8) e tornerà a recare verità, giustizia, ma soprattutto amore.
Molti sentono che tali assoluti non possono trovare qui soddisfazione e ripetono che la giustizia non è di questo mondo, perché generalizzato è lo scetticismo sul poter conoscere quaggiù la "verità" e c'è scoramento nei riguardi del poter vivere in un mondo in pace con gli uomini che s'amano come fratelli.
La pace, infatti, è contrastata dagli istinti dell'uomo e, pur se auspicata, resta attesa con la progenie nuova messianica in cui "il lupo dimorerà insieme all'agnello" (Isaia 11,6a).
I concetti di verità, bellezza, amore, giustizia, eternità... però, sussistono come se gli uomini l'avessero assaporate, quasi che avessero latente, ma indelebile, un ricordo, tanto da far domandare se tali assoluti siano il prodotto di proiezioni delle circonvoluzioni celebrali o residui d'una cultura di un altro mondo da cui proveniamo, come propende la Scrittura:

  • "...quelli che Egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli." (Romani 8,29)
  • "Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per...". (Efesini 1,3-5)
Per contro cristiani ed ebrei attendono un regno eterno: "Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d'uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai." (Daniele 7,13s)
Nel suo "Messaggio per la Quaresima" Benedetto XVI il 4-2-2010 evidenziò: "giustizia", che nel linguaggio comune implica dare a ciascuno il suo - "dare cuique suum", secondo la nota espressione di Ulpiano, giurista romano del III secolo. In realtà, però, tale classica definizione non precisa in che cosa consista quel "suo" da assicurare a ciascuno. Ciò di cui l'uomo ha più bisogno non può essergli garantito per legge. Per godere di un'esistenza in pienezza, gli è necessario qualcosa di più intimo che può essergli accordato solo gratuitamente: potremmo dire che l'uomo vive di quell'amore che solo Dio può comunicargli avendolo creato a sua immagine e somiglianza. Sono certamente utili e necessari i beni materiali - del resto Gesù stesso si è preoccupato di guarire i malati, di sfamare le folle che lo seguivano e di certo condanna l'indifferenza che anche oggi costringe centinaia di milioni di essere umani alla morte per mancanza di cibo, di acqua e di medicine - ma la giustizia "distributiva" non rende all'essere umano tutto il "suo" che gli è dovuto. Come e più del pane, egli ha infatti bisogno di Dio. Nota sant'Agostino (De civitate Dei, XIX, 21): se "la giustizia è la virtù che distribuisce a ciascuno il suo... non è giustizia dell'uomo quella che sottrae l'uomo al vero Dio".
È, però, pure opinione comune, consolidata anche in molti atei, che la Bibbia è un insieme di testi di sapienza e storici in cui v'è un'anima poetica antica, che si rivela in particolare col libro dei Salmi o Salterio, costituito da 150 "passi, odi, carmi, inni, ecc...." attuali, con cui hanno pregato e pregano generazioni e generazioni di fedeli ebrei e cristiani, perché riguardano quegli assoluti e le risposte nei vari stati d'animo a Dio che interpella la vita degli uomini.
Quel libro, infatti, vibra con la frequenza del cuore dell'uomo e di Dio con canti spirituali capaci d'elevare l'anima al cielo e di aprire le porte di un mondo inaccessibile.
Quest'anima poetica, frutto di mistici e sapienti vissuti oltre 25 secoli fa, ispirati da Dio per i credenti, coglie e presenta le aspirazioni immutabili dell'uomo e le trasferisce in preghiera personale o liturgica verso il mistero che lo sovrasta.
Se ne ricava che quegli uomini, tutto vagliato, conclusero che per l'attuazione di quelle aspirazioni, che avevano considerato venire dall'alto, occorreva proprio un aiuto dall'alto che definirono "salvezza", una congiunzione favorevole, un connubio felice mai prima verificatosi: "La sua salvezza è vicina a chi lo teme e la sua gloria abiterà la nostra terra. Misericordia e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo. Quando il Signore elargirà il suo bene, la nostra terra darà il suo frutto." (Salmo 85,10-13)
È buona norma cercare per le parole chiave come salvezza e gloria quando e come si verifica la prima citazione nel testo ebraico dell'Antico Testamento.
S'ottiene che la prima volta in cui è usato:
  • il verbo da cui deriva salvezza è nel libro dei Numeri nel versetto: "Quando nel vostro paese andrete in guerra contro il nemico che vi attaccherà, suonerete le trombe con squilli di acclamazione e sarete ricordati davanti al Signore vostro Dio e sarete liberati dai vostri nemici." (Numeri 10,9), quindi, la salvezza è liberazione da un nemico attuata da Dio e sarà preceduta dal suono di tromba;
  • il termine "gloria del Signore" è nella Torah (Esodo 16,7-11; 24,16-17; 40,34-35; Levitico 9,6-23; Numeri 14,10-20; 17,7; 20,6) in occasione di teofanie, cioè di manifestazioni di potenza extraterrena, quale Dio sul monte Sinai.
Ora, salvezza unita alla parola gloria certamente portò il pensiero dei cultori della parola in attesa di un liberatore al versetto "Tale m'apparve l'aspetto della gloria del Signore" (Ezechiele 1,28b), relativo "carro di fuoco", visione con descrizione apocalittica di una manifestazione extraterrestre avuta da Ezechiele in esilio a Babilonia.
I ricercatori cristiani della prima ora, considerato che il "carro di fuoco" era visione che si riferiva agli ultimi tempi come aveva accennato Gesù stesso nella predicazione riportata nel Vangelo di Matteo, nello scrutare i sacri testi per rinvenire profezie sul Cristo, di certo hanno verificato i versetti che includono la parola salvezza, che in ebraico ha le stesse lettere del nome Gesù.
Il trovare unito alla parola gloria certamente li ha confortati e li ha portati a considerare messianico il salmo 85, profetico su Gesù stesso.
Lui, Gesù, poi nel Vangelo di Giovanni si dichiara: "Io sono la via, la verità e la vita" ed afferma che "nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Giovanni 14,6); asserisce così d'essere il compimento di tutte le speranze che ha l'uomo per passare ad una nuova dimensione, superando le strettoie spazio-temporali dell'invecchiamento e della morte in quanto, appunto, lui è la Vita.
Perché s'attendeva un personaggio del genere?

È questi inquadrabile e congruente al pensiero biblico originario sul Messia?
Il Messia per l'Antico Testamento è solo un uomo o viene dal cielo?
Era bestemmia la possibilità prospettata da Gesù davanti al Sinedrio che il Messia venisse dal cielo con la dichiarazione che richiama la profezia di Daniele "Vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra di Dio e venire sulle nubi del cielo"? (Matteo 26,64; Marco 15,62; Luca 23,69).
(In Matteo vi sono altre due dichiarazioni di Gesù con riferimento ai cieli aperti, al 24,30 nell'annuncio della fine dei tempi ed al 25,31 sul giudizio finale.)

La questione della visione del "carro di fuoco" era proprio essenziale per i primi cristiani tanto che il protomartire diacono Stefano, nel 34 d.C., 4 anni dopo il processo a Gesù, morì lapidato per lo stesso motivo e con le stesse parole sulla bocca: "Ma Stefano pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù (salvezza) che stava alla sua destra e disse: Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio." (Atti 7,55s)
Al riguardo, il Messia, dall'ebraico e/o "l'unto", è in greco "cristòs" cristos, un cristo, in quanto unto col crisma, l'olio sacro.
Tale parola usata nei riguardi dell'azione d'unzione di sacerdoti si trova per la prima volta nel libro del Levitico 4,3 e 6,22, uno dei più antichi libri della Torah.
Poi nelle Sacre Scritture il titolo di unto fu attribuito ad uomini quali i re (Saul - 1Samuele 9,16; Davide - 2Samuele 2,4.7 - Salmo 89,21; Salomone - 1Re 39,45) anche pagani (Ciro - Isaia 45,1), per patriarchi e profeti (Salmo 105,15 -1Cronaca 16,22) fino a definire così lo stesso Israele (Abdia 3,13), comunque, è riferito a persona scelta e delegata da Dio per far da tramite col popolo con sfumature crescenti fino ad indicare un personaggio che ha catalizzato su di sé la tensione che attuerà le speranze esistenziali dell'uomo (1Samuele 2,10; Salmo 2,2; Siracide 46,19).
Nel II° secolo a.C. le profezie di Daniele aumentarono la tensione per un futuro "David" che sarà un unto, "un principe consacrato" (Daniele 9,25) e costituirono la scintilla che sottolineò la grande attesa, poi alimentata dalla spiritualità dei monaci di Qumran - le cui tracce sono state recuperate in alcuni scritti là ritrovati, confermata poi in libri, definiti apocrifi dal canone ebraico e cristiano. (Salmi di Salomone, librl di Enoch, Oracoli Sibillini ebraici ecc.)
Il desiderio dell'avvento di un'era messianica peraltro s'era esteso anche a culture non ebraiche ed al riguardo è da ricordare la tensione registrata nel Vangelo di Matteo sui Magi provenienti appunto dai "gentili" e la IV Egloga di Virgilio (4-9) che canta: "Giunge ormai l'ultima età dell'oracolo cumano, inizia da capo una grande serie di secoli ormai torna anche la Vergine, tornano i regni di Saturno, ormai una nuova progenie è inviata dall'alto cielo. Col fanciullo che ora nasce cesserà la razza del ferro e sorgerà in tutto il mondo quella dell'oro..."
Sotto l'occupazione romana, iniziata nel I secolo a.C., gradualmente in Israele crebbe il desiderio di libertà e l'attesa dell'avvento dell'era messianica toccò l'acme proprio nel secolo successivo.
S'attendeva, infatti, un liberatore, e tale stato d'animo lasciò molti impreparati alla svolta inattesa, che dette a tale speranza l'ebreo Gesù di Nazaret.
L'eccitazione per il Giudaismo finì poi amaramente, con le vicende legate alla I insurrezione che terminò con la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. e con la II insurrezione (131-135 d.C.) capeggiata dall'acclamato messia Simone bar Kokeba, ma riapparve in successive forme sporadiche ed intimistiche nel medioevo e poi tra i Chassidim, e ora la tensione resta relegata ai tempi finali.
Proprio nel I-II secolo d.C. si verificò la grande controversia che dette luogo alla scelta da parte del residuo ebraismo di definire "eresia" il credo cristiano sulla natura del Messia; cioè dopo la scissione dall'ebraismo della "setta " cristiana:
  • per ebraismo residuale il Messia è un uomo che aprirà la fine dei tempi;
  • per il cristianesimo Gesù di Nazaret è il Cristo, e nella propria persona ha la doppia natura d'uomo e di Dio, perciò gli ultimi tempi sono iniziati con la sua 1° venuta nel nascondimento e si concluderanno col suo ritorno nella gloria.
In pratica per il cristianesimo si stanno vivendo i tempi del Messia, mentre per l'ebraismo quei tempi debbono iniziare.
(Per l'islam "il Corano è rivelazione ultima e definitiva" e al Masih è solo l'appellativo d'un uomo Mahdì "ben guidato ")
È da ciò evidente che ci fu un tempo in cui la questione era controversa, onde ha senso cercare nelle radici per farsi un'idea il più possibile obiettiva sul come si concili la figura del "servo sofferente" d'Isaia 52,13 - 53,12, assorbita ed inquadrata dal Cristianesimo con la prima venuta del Cristo nel nascondimento, col Messia glorioso atteso dal Giudaismo.
Nella tradizione ebraica, per conciliare la sofferenza con la gloria, c'è traccia dell'attesa di due personaggi, come s'evince dalla voce Messia dal "Dizionario di usi e leggende ebraiche" di Alan Unterman (Laterza): "Il re unto dal Signore della casa di Davide di Betlemme, che alla fine dei tempi Dio manderà a dare fine alla redenzione finale. Nel folklore ebraico, il Messia della casa di Davide, sarà preceduto da un Messia della casa di Giuseppe, che guiderà le armate d'Israele contro Gog e Magog, ma sarà ucciso nella guerra che seguirà. Il Messia della casa di Davide distruggerà alla fine le forze malefiche e guiderà con l'ausilio del profeta Elia il raduno degli esiliati. Durante il regno del Messia, principe della pace avverrà la risurrezione dei morti, seguita dal gran giorno del giudizio per tutta l'umanità. Sarà rivelata la via per arrivare al giardino dell'Eden. I giusti seguiranno il Messia in un nuovo ordine del mondo, 'olam-haba', in cui sarà distrutta l'inclinazione cattiva. I giusti festeggeranno mangiando la carne del Behamot, del Leviatano, e dello Ziz e berranno il vino messo da parte dai sei giorni della creazione. ...Il Tempio scenderà giù costruito dal cielo..."
Nasce così la domanda, se l'attesa messianica d'un salvatore dell'uomo è soltanto degli ultimi scritti dell'Antico Testamento, come sostengono taluni, o piuttosto sottende tutto il testo sacro a partire dagli scritti più antichi, Torah e Salmi?
È cioè da investigare se l'idea del Messia abbia avuto sviluppo per accrescimento teologico, che poi ha seguito vie diverse nell'ebraismo e nel cristianesimo, o se derivi dalle Scritture.
È mia opinione che le divergenze sono avvenute quando si perse il modo di leggerle nelle Scritture, pur se nella tradizione ebraica restò traccia d'una meta-scrittura e d'un esoterismo interno al testo, per cui ritrovato il metodo è possibile poterle scrutare.
(Questi articoli parlano di quel metodo "ritrovato")
Intendendo dare una prova sintetica di tale seconda tesi, porto a considerare proprio i due Salmi che entrambe le tradizioni, ebraica e cristiana, concordano nel definire messianici con prospettive escatologiche; precisamente il n° 2 e il n° 110, salmi antichi, scritti nel periodo dei Re.
Il Salmo 2 decriptato si trova in "Nel DNA dei Salmi: il Messia", articolo in .pdf nella rubrica "Attesa del Messia".
Il Salmo 110 decriptato si trova in "Abdia, libro del servo di Iahwèh " e la sua dimostrazione nella 2a parte di "Melchisedek, personaggio enigmatico, e il Messia", articolo in .pdf nella rubrica "Attesa del Messia".
Il fatto che i Salmi 1, "le due vie", e il 2 "sul Messia" sono premessa del Salterio è conferma che l'attesa messianica è, dall'origine, tema centrale dell'ebraismo solo che il Salmo 2 esprime in termini collettivi - nazioni, popoli, re, governanti - ciò che nel Salmo 1 è in forma individuale e non sono preghiere.
I Salmi 1 e 2 sono, infatti, un'unità in quanto hanno in comune che:
  • la benedizione di 1,1 e finale in 2,12 pare confermare l'intenzione d'unità;
  • l'affinità del meditare/cospirare in Salmo 1,2 e 2,1, entrambi con lo stesso verbo ebraico di ;
  • il perdere la strada sia in Salmo 1,6 che 2,12;
  • le sorti dei nemici del Signore e del consacrato o del giusto descritti nei due Salmi con gli stessi termini.
Il Salmo 110 poi s'auto attribuisce al re David, perciò d'epoca precedente le elaborazioni attribuibili ai profeti, compresa la teologia del "servo" d'Isaia.
Per entrambi più avanti faremo alcune considerazioni.
Connessa all'idea del Messia c'è poi anche nel giudaismo l'attesa della risurrezione dei morti, pur se nei testi della Bibbia canonica ebraica, letti in modo ordinario, pochi sono i passi certi di riferimento non essendovi compresi i libri dei Maccabei del canone cristiano cattolico, che hanno più concreti riferimenti espliciti con l'usuale lettura parola per parola.
Di questa idea associata al Messia si ha un primo riscontro con l'approccio dell'uso delle lettere ebraiche costituenti la parola, che hanno in sé un proprio specifico significato (rimando alle schede delle lettere inserite nel metodo citato).
Le lettere di Messia e/o possono leggersi:
  • i viventi risorgerà dalle tombe ;
  • salverà () dalla tomba ;
  • in vita risorto sarà dalla tomba ;
  • rivivrà dalla fossa ();
  • vivrà la Luce un'esistenza nascosta ;
  • vivrà dimesso ().
S'apre in questo modo uno spaccato sulle prerogative del Messia e quei predicati danno l'idea che il personaggio atteso sarà soggetto di risurrezione, come pure avrà in una certa fase un'esistenza nascosta.
Segnalo poi l'evidente voluto riferimento del Vangelo di Luca (3,22) al Salmo 2 al momento del battesimo di Gesù; quand'è riferito che s'udì dire da una voce dal cielo: "Tu sei il mio figlio prediletto in te mi sono compiaciuto", a dichiarazione che la missione di Gesù di Nazaret è proprio messianica, e la lettera agli Ebrei 1,5 che cita il versetto 7 del Salmo 2 e l'associa a 2Samuele 7,14 in cui da parte di Dio è detto: "Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio".
La prova palmare della natura divina del Messia risulterebbe conseguenza poi della fede nella dichiarata risurrezione che il Cristo "...secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture". (1Corinzi 15,4)
San Paolo però richiama anche le profezie su tale evento nelle Scritture!
Ora, qui s'entra in pieno nella tematica accennata nel paragrafo "Perché cerco un segreto" di "Decriptare le lettere parlanti delle Sacre Scritture ebraiche".
Il Vangelo di Luca (24,44ss), infatti, accenna all'attività del Risorto con gli apostoli tra Pasqua e Pentecoste del 30 d.C. per rendere palesi le profezie che lo riguardano, soprattutto sulla risurrezione, che altrimenti, nelle Scritture sono velate: "Poi disse loro: Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi. Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture disse: ...Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme."
Allora, dove si trovano queste profezie così complete e compatte?
Le profezie dei "canti del Servo di Iahwèh" ed i brani biblici riferibili al Cristo non esautorano il tema, ed i commentatori non forniscono riferimenti esaurienti per individuare le specifiche profezie evocate da Gesù con tanta sicurezza.
La certezza, inoltre, con cui Gesù asserisce sull'esatto compimento della Legge e dei Profeti assicura l'esistenza di profezie nei canonici ed apre il varco ad ipotizzare l'uso di una forma particolare per scrutare i testi sacri visto che con la lettura ortodossa quelle profezie sono rare o discutibili.
L'attività dello scrutare, per chi conosce le Scritture, ha però bisogno d'una breve iniziazione, in quanto comporta d'aver visto un quid senza il quale non si può leggere ed occorre accedere alle stesse con modi non usuali.
Il Salmo 110 poi è in armonia al Salmo 2, con quel "io ti ho generato" da parte di Dio, parrebbe proprio non riferire un'adozione, ma una vera filiazione prima dei tempi con quel "dal seno dell'aurora".
I vangeli sinottici (Matteo 22,41-46; Marco 12,35-37; Luca 20,41-44) in ordine al primo versetto di questo Salmo 110 hanno questo episodio che riporto nella forma di Matteo: "Trovandosi i farisei riuniti insieme, Gesù chiese loro: Che ne pensate del Messia? Di chi è figlio? Gli risposero di Davide. Ed egli a loro: Come mai allora Davide, sotto ispirazione (dello Spirito Santo annota Marco) lo chiama Signore dicendo: Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essergli figlio ? Nessuno era in grado di rispondergli nulla; e nessuno, da quel giorno in poi, osò interrogarlo." (Matteo 22,41-46)
L'argomento è acuto e stringente perché il Salmo 110 dice: "Oracolo del Signore al mio Signore", vale a dire Dio Unico, il Signore, Yahwèh dà un'investitura ad un altro Signore di cui dichiara "io ti ho generato" vale a dire ha la sua stessa natura "dal seno dell'aurora".
Questi però è anche uomo con funzione di sacerdote eterno - Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melkisedek (Salmo 110,4), è un ponte, un collegamento tra Dio e l'uomo, ed in sé c'è interfaccia e compatibilità delle due nature la divina e l'umana; è così l'unica via che ha l'uomo per entrare nell'eternità, lo "stargate" per il cielo!
(Vedi: "Midrash dello stargate - Corsa senza pit-stop per l'aldilà")

Interessante è verificare in quale situazione è collocato l'episodio del colloquio di Gesù con i farisei sul Salmo 110 che Matteo, Luca e Marco citano dopo che Gesù aveva affrontato con i sadducei il tema della risurrezione, alla quale questi non credevano, richiamandoli, visto che facevano solo una lettura tradizionale dei testi, proprio alle promesse di Dio ad Abramo, Isacco e Giacobbe che essendo promesse fatte dall'Eterno non ha senso il concetto di fine; la risurrezione è una conseguenza essendo via all'eternità.
Matteo e Marco poi v'interpongono la risposta di Gesù ad un dottore della legge sul comandamento più importante - amare Dio e il prossimo -, tutti argomenti fondamentali di fede che confermano l'autorità rabbinica di Gesù davanti al popolo e preparano la risposta che abbiamo visto sul Messia.
A Gesù sta stretto il titolo di Figlio di Davide, che pure è attributo messianico (Vedi ad esempio Matteo 12,23 e gli episodi delle guarigioni del Cieco di Gerico, d'altri due ciechi, della figlia di una Cananea, ecc.), ma pare preferire (si verifichi il numero di citazioni nei Vangeli) il titolo di Figlio dell'uomo che evoca la visione del carro di fuoco nel Capitolo 1 di Ezechiele 1,26-28, in cui "Sopra il firmamento che era sulle loro teste apparve come una pietra di zaffiro in forma di trono e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane."
L'attributo di Figlio dell'uomo è in relazione a situazioni che superano la realtà terrena e propone l'immagine e somiglianza che Dio diede ad Adamo ("Il carro di fuoco di Ezechiele: Ufo e/o macchina del tempo?").
Tale riferimento è esplicito ed accolto nell'Apocalisse:
  • nella visione delle sette chiese "in mezzo ai candelabri c'era uno simile a figlio d'uomo" (Apocalisse 1,13);
  • nell'immagine del giudizio sulle nazioni "Io guardai ancora ed ecco una nube bianca e sulla nube uno stava seduto, simile ad un Figlio d'uomo; aveva sul capo una corona d'oro e in mano una falce affilata." (Apocalisse 14,14)
Dalla decriptazione del Salmo 2, a cui rimando, è evidente che la profezia riguarda eventi connessi alla prima venuta del Messia - annunciazione, nascita, Magi, fuga e ritorno dall'Egitto, vita pubblica..., morte, resurrezione - (come là è evidenziato nelle note tra parentesi a fianco la riportate), con dettagli e sequenze tali, pur se sintetiche, che seguono da presso i fatti raccontati dei Vangeli.
La decriptazione del Salmo 110, invece, fornisce profezia, con motivazioni e spiegazioni teologiche, sulla venuta alla fine dei tempi del Messia (la II venuta per i Cristiani) con l'apporto della risurrezione per tutti gli uomini, col giudizio sul vero colpevole ed il passaggio alla vita fuori del tempo di questo mondo presso Dio Unico, con lo stesso accenno del viaggio attraverso il cuore del Cristo in comunicazione col cuore del Padre.
Questo è un ulteriore caso in cui s'è ottenuto con la decriptazione un testo congruente e chiarificatore di quello di partenza, come se l'autore in modo esplicito non avesse avuto l'ardire di proporre in termini più concreti i motivi della speranza lasciata alla lettura nascosta degli esperti dell'epoca, sacerdoti e profeti, dottori della legge, che parlavano una lingua "da iniziati" e che, solidi nella fede, restavano vigilanti pur se l'attesa si fosse allungata.
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