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In lingua greca il termine libertà è "Eleuteria"
"Eleuteria"
da "eleutheros" che significa "propriamente del popolo", quindi in sostanza sta a rappresentare lo status di un individuo che gode di pieni diritti civili e politici, non schiavo, ma "libero".
Al riguardo è da considerare che ogni popolo in genere ha avuto un nucleo iniziale d'origine per associazione di famiglie famose divenute i caposaldi, spesso quindi, "aristocratiche", che costituivano clan o tribù e tendevano a crescere anche per affrancamento degli schiavi che spesso rimanevano strettamente collegati con le famiglie in cui avevano servito.
Qualcosa del genere è accaduto anche nell'antica Roma.
Ecco che in latino il termine per libertà è "libertas" da "liber" che in lingua latina significa figlio.
Libertà, quindi, nel periodo classico, equivale all'appartenere ad una data famiglia grazie ad una paternità e per estensione al popolo formato da quelle famiglie, distinto per nascita dagli schiavi.
In definitiva, il figlio di una famiglia fondatrice era sicuramente un uomo considerato libero.
Gesù, pare proprio riferirsi ad un tale concetto, quando disse: "In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero." (Giovanni 8,35s)
La libertà così riguarda il cittadino che è sufficientemente libero da impegni di lavoro e di sopravvivenza onde non è limitato nell'adempiere ed esplicare essenziali funzioni politiche e religiose che gli spettano nella propria città.
È esemplificativo al riguardo quanto secondo Tucidite avrebbe detto Pericle: "Siamo i soli a considerare chi non partecipa (agli affari pubblici) non già inerte (apragmon) ma inetto (achreios)" (II 40,2)
L'essere libero, del popolo è definizione che contrappone ai nemici, esterni, es. Persiani, Ateniesi, Spartani ed interni, quali i tiranni cacciati dalla polis.
Il cittadino libero ha il diritto di non essere arrestato, di non essere tenuto in carcere, maltrattato o condannato a morte, se non transige alla legge definita dal popolo.
Ha altresì il diritto di poter esprimere la propria opinione, di scegliere il proprio lavoro e di esercitarlo, di disporre della propria proprietà, di associarsi con chi preferisce.
La libertà in senso greco e romano aveva quindi valore diverso da quello del mondo occidentale di oggi, ove libertà è associata ad uguaglianza di diritti ed al libero arbitrio.
Per il greco, e poi per il romano, libero è colui che può disporre del comando sull'altro, sulla donna, sullo schiavo, sulla figliolanza e solo questi ha pieno diritto nella polis.
Per contro l'uomo è considerato sempre sottoposto al Fato che è in quelle culture è personalizzato e divinizzato.
Il Fato in effetti è un termine di origine latina - "fatum", ovvero "ciò che è detto" - che sottintende implicitamente la decisione irrevocabile di un dio.
(Il plurale di "fatum" è "fata", onde nell'immaginario fantastico ecco le fate delle fiabe.)
Fu questo Fato immaginato cieco, poiché interviene nel corso della vita degli uomini senza ragione e fu personalizzato col Destino, figlio del Caos e della Notte, al quale nessuno, pare nemmeno gli dei secondari dell'Olimpo possono sottrarsi, almeno così afferma a Sibilla dell'Oracolo di Delfi, e sotto tale aspetto nessun uomo o semidio è libero.
Al limite, il fato, secondo gli antichi, può essere soltanto penetrato con oracoli e vaticini, ma mai può venire a modificarsi.
Le principali ministre del Destino per i greci sarebbero le tre Mòire o Parche (così chiamate dai Romani), figlie della Notte e dell'Erebo o "tenebre", una specie di abisso tenebroso.
Al momento della nascita queste distribuiscono agli uomini la sorte che spetta loro, buona o cattiva e sono chiamate:
- Cloto la "filatrice", che con la conocchia dipana il filo della vita;
- Lachesi, dispensatrice della sorte, che assegna a ciascuno il proprio destino;
- Atropo, l'inflessibile, che taglia il filo della vita.