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I BAMBINI DEL MESSIA

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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IL MESSIA, IL PRIMO BAMBINO DI DIO »

I "MIDRASH" SULLA VOCE DEI PICCOLI
Racconta il libro dell'Esodo che il Faraone d'Egitto nell'ambito della persecuzione verso gli ebrei aveva tra l'altro anche ordinato: "Gettate nel Nilo ogni figlio maschio che nascerà, ma lasciate vivere ogni femmina." (Esodo 1,22)
Mosè, ciò nonostante, miracolosamente fu salvato e fu adottato dalla figlia del Faraone, ma crebbe anche con gli insegnamenti della tradizione trasmessagli dalla famiglia ebrea d'origine.
Divenuto adulto, quanto di ebreo ebbe il sopravvento sulla parte egiziana e Mosè, come si legge in quel libro, dovette fuggire dall'Egitto, perché aveva ucciso un inserviente egiziano che angariava un lavoratore ebreo.
Dopo che Mosè fuggi in Madian, nel libro dell'Esodo, alla fine del secondo capitolo, si legge: "Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero." (Esodo 2,23-25)

Inizia, quindi, il capitolo 3 che ci presenta Mosè ai piedi del monte Oreb e da un roveto, che ardeva senza consumarsi, gli parlava il Signore.
Tra le prime cose che gli disse il Signore mise in evidenza: "Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze." (Esodo 3,7)
Chi aveva gridato e stava gridando verso Dio?
Certamente il popolo sofferente, tra cui non sono da dimenticare i neonati ebrei uccisi per ordine del Faraone, neonati che se avessero potuto parlare avrebbero mandato grida fisiche al Signore che comunque le sente egualmente, perché la voce del loro sangue sale a lui dal suolo.
Viene, infatti, alla mente quanto dice il libro del Genesi su Abele ucciso da Caino e sul grido che pur da morto sale perenne al Signore.
In quella occasione, infatti, il Signore, nel redarguire Caino, gli disse: "La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto..." (Genesi 4,10s)
Caino è così da esempio a come il male, operando nell'uomo, porta alla morte.
Aveva Dio maledetto il serpente in Genesi 3,14, e in Genesi 4,10s aveva maledetto Caino; ne consegue che maledetto è pure il Faraone essendo una rappresentazione dell'incarnazione del male.
Caino agricoltore sta agli egiziani, coltivatori dei campi, come Abele pastore sta agli ebrei, allora allevatori di bestiame in esilio in Egitto.
C'è un passo del libro della Sapienza che collega la voce di bambini all'evento del momento della nascita del popolo d'Israele, vale a dire quando uscì dalle acque del Mar Rosso: "Fece loro attraversare il Mar Rosso e li guidò attraverso acque abbondanti; sommerse invece i loro nemici e li rigettò dal fondo dell'abisso. Per questo i giusti depredarono gli empi e celebrarono, o Signore, il tuo nome che è santo, e lodarono concordi la tua mano che combatteva per loro, perché la sapienza aveva aperto la bocca dei muti e aveva reso chiara la lingua dei bambini." (Sapienza 10,18-21)

Rashi ben Eliezer, Rabbino francese dell'XI secolo d.C., uno dei più famosi commentatori medievali della Tanak, o Bibbia ebraica, "padre" di tutti i commentari talmudici, parla dello zaffiro che fa da sgabello a Dio sul suo trono nei cieli, quello che è così descritto: "Essi videro il Dio d'Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffìro, limpido come il cielo" (Esodo 24,10) versetto che i testi ebraici, (es. Esodo Shemot edizione Avishay Namdar da Mamash 2010) traducono in questo modo "Videro il Dio d'Israele, sotto i suoi piedi vi era qualcosa di simile a un mattone di zaffiro e dall'aspetto limpido come quello del cielo."
Il Rashi riferisce il "midrash" che racconta di una donna ebrea incinta che, percossa mentre lavora dall'aguzzino abortisce e il feto di questa donna cade nel fango ove viene impastato per fare mattoni, ma accade che l'Angelo porta il mattone dinanzi a Dio e il Signore lo tiene sempre presente, a sgabello dei suoi piedi, onde nelle ore più dure dell'esilio e della sofferenza del popolo che ha eletto lo porta a decidere d'intervenire.


Il profeta Osea collega con le seguenti parole l'evento dell'elezione di Israele a figlio da parte di Dio: "Quando Israele era giovinetto, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio." (Osea 11,1)

Dio, poi, quando abbandona Israele per punizione è solo per un tempo, come s'evince ad es. da Lamentazioni 2,1 "...il Signore ha oscurato nella sua ira la figlia di Sion! Egli ha scagliato dal cielo in terra la gloria di Israele. Non si è ricordato dello sgabello dei suoi piedi nel giorno del suo furore."
Quello sgabello per IHWH perciò è il ricordo per Israele, lo reca con sé anche quando trasferisce la sua Shekinah nell'Arca della Testimonianza e nel Tempio di Gerusalemme:
  • 1Cronache 28,2 - "Davide si alzò in piedi e disse: Ascoltatemi, miei fratelli e mio popolo! Io avevo deciso di costruire una dimora tranquilla per l'arca dell'alleanza del Signore, per lo sgabello dei piedi del nostro Dio."
  • Salmo 99,5 - "Esaltate il Signore nostro Dio, prostratevi allo sgabello dei suoi piedi, perché è santo."
  • Salmo 132,6s - "Ecco, abbiamo saputo che era in Èfrata, l'abbiamo trovata nei campi di Iàar. Entriamo nella sua dimora, prostriamoci allo sgabello dei suoi piedi."
Il feto di quel "midrash" impastato nel fango, il milite ignoto d'Israele, reso glorioso con i colori dello zaffiro, era certamente muto, ma la sua voce era comunque eloquente per Dio che decise d'intervenire per la liberazione suscitando come guida il profeta Mosè.
L'evento della liberazione col miracolo dell'apertura del Mar Rosso all'ordine di Mosè era però anche l'avviso di una liberazione più radicale, quella dell'umanità tutta intera dalla schiavitù nei riguardi del male, liberazione che avverrà definitivamente e una volta per tutte, per la quale lo stesso Dio aveva deciso di mandare suo Figlio, l'Unigenito.
Il Messia bambino, Figlio di Dio, che si salvò come Mosè dalla strage dei primogeniti che il re Erode, altra personificazione del male, secondo il Vangelo di Matteo 2,13-18, aveva fatto attuare a Betlemme nei confronti dei bambini maschi di due anni in giù, fu poi per incitazione del maligno ucciso sulla croce.
Ecco che quello sgabello aveva ora una valenza maggiore agli occhi di Dio.
La lettera agli Ebrei coglie questa tensione quando dice: "Voi vi siete invece accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell'aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele." (Ebrei 12,22-24)

Al proposito di questa citazione sui primogeniti della lettera agli Ebrei, nel mio articolo "La risurrezione dei primogeniti", col metodo dei segni di cui in "Parlano le lettere" che rispecchia i criteri annunciati in "Decriptare le lettere parlanti delle Sacre Scritture ebraiche", ed alla cui lettura rimando, dai versetti del Capitolo 22 della Genesi relativi al "Sacrificio d'Isacco" opportunamente decriptati ho portato alla luce un evento relativo ai primogeniti sacrificatisi per salvare il popolo in occasione dell'inseguimento da parte del Faraone con i suoi carri all'uscita dall'Egitto.
Torno a quella parte del versetto Esodo 24,10 che gli ebrei traducono ...un mattone di zaffiro e dall'aspetto limpido come quello del cielo e riporto le lettere esatte usate in ebraico e la loro traslitterazione col nostro alfabeto:



libenat hassaffir vukeoe'soem hasshamaim latohar.

Ora, quel libenat sposta subito il pensiero a:

"del Potente il Figlio crocifisso ."

Ecco che evidentemente gli antichi cultori cristiani della parola potevano aver colto, come sembrano provare quei versetti Ebrei 12,22-24, quella tensione profetica sui primogeniti che gli ebrei avevano sintetizzato in quel midrash che ricorda anche la voce che proviene dal sangue di Abele.
Dio, alla sofferenza dei primogeniti ebrei morti a causa della vessazione del Faraone rispose, prima con la decima piaga, quella dei primogeniti e con la liberazione del popolo, poi ha inviato il Figlio e ora tiene sempre presente, in anologia al "midrash" di quel mattone di zaffiro, le sofferenze del sacrificio del proprio Figlio per la salvezza finale dell'uomo.
Quel versetto Esodo 24,10 l'ho riportato decriptato assieme a tutto il capitolo Esodo 24 nel mio articolo il "Ritorno al Sinai", e riguarda proprio la redenzione e rigenerazione dell'umanità.

Esodo 24,10 - E saranno alla vista portati dell'Unico, il Crocefisso che Dio del mondo era, sarà stato a risorgerne i corpi. La maledizione ha portato con la croce a strappar via dai corpi. Con la fuga del serpente sarà stato a riportare la rettitudine in seno. Per la risurrezione uscirono del Potente figli. Nel Crocefisso entrarono nel foro. Nel Verbo furono nel corpo e così vedranno salirsi vivi dal mondo al cielo. Il Potente per amore li ha rigenerati.

Il Salmo 110, ricordato da Gesù nel Vangelo di Matteo 22,31-46, relativo all'investitura con lo scettro sacerdotale del Messia, prevede di sostituire quello sgabello con l'emblema dei nemici del Messia stesso e recita: "Oracolo del Signore al mio signore: Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion: domina in mezzo ai tuoi nemici!

San Paolo in 1Corinzi 15 sintetizza poi il nemico in una parola sola, con il risultato dell'opera del demonio, ossia la morte, che sarà messa sotto i piedi del Messia: "Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. Però quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa." (1Corinzi 15,20-27)

C'è poi un altro episodio sulla vita di Mosè, questa volta su Mosè bambino, narrato in un "midrash".
Questi, dopo che fu abbandonato in una cesta sul Nilo, come racconta il libro dell'Esodo al capitolo 2, fu raccolto ed adottato dalla figlia del Faraone e fu educato come un principe egiziano, ma la vera madre lo poté allattare e svezzatolo: "...lo condusse alla figlia del Faraone. Egli divenne un figlio per lei..." (Esodo 2,10b)
Più libri del Talmud riportano tradizioni su Mosè (Shemoth Rabbà, Sefer ha jasha, Divrè ha jamim le Moshè Rabbènu) ove si trova anche quel racconto ripreso pure da Giuseppe Flavio in Antichità giudaiche, racconto che riporto in modo sintetico:

"Il Faraone sta pranzando con la moglie e la figlia ha in braccio Mosè che ha l'età di tre anni e questi stende la mano, prende la corona dalla testa del re e se la mette o la fa cadere. Per un sapiente presente Mosè merita la morte perché l'atto profetizza un attentato al trono, ma altri sostengono che il bimbo non sapeva quel che faceva. Per dirimere la questione si decide di verificare se Mosè ha la capacità di intendere e gli vengono posati davanti due bracieri, uno con carboni ardenti ed uno con pietre preziose. Un angelo devia la mano di Mosè che prende un tizzone, lo porta alla bocca, si brucia la lingua e diviene balbuziente. Ecco perché parlava il fratello Aronne."


Vittoria Ligari XVIII secolo
Mosè fanciullo calpesta la corona del Faraone

Quel "midrash" in effetti tenta di chiarire perché Mosè ebbe a dire a Dio: "...sono impacciato di bocca e di lingua." (Esodo 4,10)
Questo Mosè, che già da bambino si oppose al male, pur se colpito nella carne, sarà poi in grado di parlare chiaramente al Faraone come, di fatto, fa in Esodo 4,10 e in Esodo 6,12-30.
Il redentore, il Messia, quindi, come Mosè, strumento di Dio per liberare dal Faraone, sarà a contrastare il male sin da bambino.
Nella sua prima venuta, infatti, sarà un fanciullo di Dio che libererà alla fine l'umanità dal male: "Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini." (1Corinzi 1,25)

L'amore ha spinto Dio, grande e misericordioso, a farsi piccolo.
Il Natale ci dice che Dio si è abbassato, si è umiliato (Filippesi 2,8).
È nato per noi, un bambino deposto nella mangiatoia della stalla di Betlemme; l'Emmanuele, Dio con noi, della profezia di Isaia "Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele". (Isaia 7,14)

Benedetto XVI nell'udienza del 23.12.2009 ricorda con queste parole che a Natale Dio si fa bambino inerme, per essere liberamente accolto nel cuore dell'uomo: "l'intensa atmosfera del Natale si è sviluppata nel Medio Evo grazie a san Francesco. Il suo biografo, Tommaso da Celano, racconta che celebrava con ineffabile premura il natale del Bambino Gesù e che la chiamava festa della feste. Da questa visione del mistero dell'Incarnazione ebbe origine la rappresentazione del Natale a Greccio. Ciò che animava Francesco era il desiderio di sperimentare in maniera attuale l'evento della nascita e comunicare la gioia a tutti. Il presepe è la tradizione natalizia più bella. Greccio ha donato alla cristianità l'intensità e la bellezza della festa del Natale, e ha educato il popolo di Dio a coglierne il messaggio più autentico, il particolare calore, e ad amare ed adorare l'umanità di Cristo. Tale particolare approccio al Natale ha offerto alla fede cristiana una nuova dimensione. La Pasqua aveva concentrato l'attenzione sulla potenza di Dio che vince la morte, inaugura la vita nuova e insegna a sperare nel mondo che verrà. Con san Francesco e il suo presepe venivano messi in evidenza l'amore inerme di Dio, la sua umiltà e la sua benignità, che nell'Incarnazione del Verbo si manifesta agli uomini per insegnare un nuovo modo di vivere e di amare. Grazie a san Francesco, il popolo cristiano ha potuto percepire che a Natale Dio è davvero diventato l''Emmanuele', il Dio-con-noi, dal quale non ci separa alcuna barriera e alcuna lontananza. In quel Bambino, Dio è diventato così prossimo a ciascuno di noi, così vicino, che possiamo dargli del tu e intrattenere con lui un rapporto confidenziale di profondo affetto, così come facciamo con un neonato. Nel Natale, Dio viene senza armi, senza la forza, perché non intende conquistare, per così dire, dall'esterno, ma intende piuttosto essere accolto dall'uomo nella libertà; Dio si fa bambino inerme per vincere la superbia, la violenza, la brama di possesso dell'uomo. In Gesù, Dio ha assunto questa condizione povera e disarmante per vincerci con l'amore e condurci alla nostra vera identità. La sua condizione di bambino, inoltre, ci indica come possiamo incontrare Dio e godere della Sua presenza. È alla luce del Natale che possiamo comprendere le parole di Gesù: Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Chi non ha capito il mistero del Natale, non ha capito l'elemento decisivo dell'esistenza cristiana. Chi non accoglie Gesù con cuore di bambino, non può entrare nel regno dei cieli: questo è quanto Francesco ha voluto ricordare alla cristianità del suo tempo e di tutti tempi, fino ad oggi. Preghiamo il Padre - ha concluso il Papa - perché conceda al nostro cuore quella semplicità che riconosce nel Bambino il Signore, proprio come fece Francesco".

L'ultimo libro degli scritti del Nuovo Testamento, il libro dell'Apocalisse, ci presenta, infine, la lotta degli ultimi tempi, contro Gog e Magog (Apocalisse 20,7), con il segno di una donna che partorisce il figlio per il combattimento finale contro il male: "Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono." (Apocalisse 12,1-5)

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