BibbiaWeb.net - di Alessandro Conti Puorger

Decriptare la Bibbia - di Alessandro Conti Puorger Autore   Contatti    Cerca      Home     
BibbiaWeb 2015  
Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraicheLettere ebraiche e codice Bibbia - Clicca qui per consultareParlano le lettere

Tutti gli articoli di BibbiaWeb RACCONTI A SFONDO BIBLICO...

IL GIUSTO CAMMINO DELLA VERITÀ
di Alessandro Conti Puorger

IL LABIRINTO
Nella Settimana Santa del 2014, come personale esercizio spirituale, nel soffermarmi sulla "passione" di nostro Signore, mi sono inoltrato nei pensieri e nella meditazione che poi hanno portato al presente articolo.
Il bambino, presto prende coscienza della propria individualità, poi, per gradi, del mondo in cui abita coglie le limitazioni spazio-temporali.
Col crescere dell'età prende anche atto dei condizionamenti insiti con l'esistenza in tale realtà che oltre a cataclismi naturali, alluvioni, terremoti, maremoti, incidenti e accidenti di ogni genere, oggettivamente riserva limiti pesanti, comuni agli esseri che vi vivono quali le malattie, l'invecchiare per i più robusti sopravvissuti e per tutti, come conclusione, la morte.
La considerazione che tutto può finire, nei più, può far sorgere uno scoramento e un'alienazione che fa vivere giorno per giorno senza cercare di pensare al futuro che tanto, comunque, è pieno di buio.
In altri, che cercano di reagire, per sentirsi validi e riconosciuti, se non trovano un giusto cammino sorge una frenesia d'avere e d'accaparrare il più possibile in tutti i campi in modo lecito e illecito.
Gli stessi affetti e l'amore per un'altra persona sono spesso causa d'indicibile dolore al loro mancare, tanto che molti, condizionati dal prendere atto della finitezza, per paura di soffrire, si contengono divenendo aridi nei sentimenti.
L'unico modo per uscirne è se il soggetto riesce a cogliere che vi è un senso più ampio da dare alla vita.

Come si fa, allora, a essere ottimisti?
Pare proprio che occorra che nell'intimo avvenga qualcosa che sia sigillato col timbro di verità e di concretezza in relazioni a positive risposte personali ad alcuni quesiti esistenziali, perché, altrimenti, le chiacchere non convincono.
Il proprio io, che comanda, se non ha un cibo solido e che ritiene provato cui attingere, non accetta di pacificarsi con la propria storia e resta un vuoto interiore incolmabile, perché non riesce a essere riempito solo da pii desideri, ritenuti ormai irrealizzabili dal soggetto stesso.
Preso atto che siamo di passaggio, ecco che presto in ognuno, se non è del tutto alienato, nascono le domande:
  • è tutto qui e con la morte finisce tutto?
  • c'è qualche via d'uscita per aprire un'esistenza nuova?
  • dove e come andare?
  • la vita è un labirinto con una via di uscita o non vale nemmeno tentare?
Da che mondo è mondo molti hanno pensato che possa esistere anche un'altra realtà e hanno tentato la via della conoscenza, dell'intima ricerca e del perfezionamento, sperando di conseguire il risultato atteso e di passare ad altri stadi che portino ad una duratura felicità.
Certo è che quella realtà non è in questa terra e in questo mondo destinato a finire, ma è quella che idealmente è detta "cielo", la realtà celeste, propria della divinità eterna, se esiste e non è una pia costruzione umana.
Ecco che si entra nella sfera del mondo delle religioni, ma quale via prendere?
Insomma l'uomo nella sua vita si trova in un labirinto!

Il labirinto, infatti, fin dall'antichità è stato generalmente assunto a simbolo della difficile e faticosa ricerca dell'uomo e del suo percorso attraverso i misteri della vita per trovare un varco per il transito dal mondo materiale e altri mondi.
Viene alla mente quel labirinto fatto costruire nell'isola di Creta dal re Minosse per il Minotauro, il "labirintoi" laburinqV a cui sono associati vari miti greci:
  • di Icaro che riuscì a fuggirne grazie alle ali attaccategli con la cera da suo padre Dedalo, scioltasi ai raggi del sole, onde cadde miseramente in mare;
  • il mito di Teseo che riuscì a uscirne grazie al gomitolo di filo di cui l'aveva munito la principessa Arianna, che lo amava, la figlia di Minosse.
L'uomo tenta di uscirne con la propria mente, ma non è una questione d'intelligenza o di bravura personale.


L'insegnamento pratico, il succo di tutto ciò è che da soli non si riesce e che fuggire con la fantasia non serve; prima o poi s'incontra la dura realtà... le ali appiccicate di Icaro... ma si può riuscire solo seguendo le orme di chi vi fosse già riuscito... il gomitolo di Arianna ed allora... chi v'è riuscito?
Non v'è uomo che non sia interessato a sfuggire alla morte per entrare in una vita migliore e che non sia alla latente ricerca di un varco per il transito dal mondo materiale alla pienezza.
L'uomo giacché da solo non può riuscirvi, si domanda: c'è chi s'interessa di noi uomini o siamo un'espressione del caso?

Nelle Sacre Scritture antiche, la Tenak o Bibbia ebraica, accolta nella traduzione in greco dalla Bibbia cristiana, l'Essere che aiuta gli uomini a portarli all'origine da cui provengono, cioè a Lui che l'ha creati, è IHWH, l'ineffabile, il cui tetragramma , per rispetto, si legge "Adonai", il Signore.
Quelle quattro lettere ebraiche, con i messaggi grafici che recano, con i criteri di "Parlano le lettere", già da sole dicono di Lui:
  • sarò nel mondo a portarmi a entrare ;
  • sarò dal mondo a portarvi Fuori ;
  • sarò da questo mondo a portarvi in un altro mondo ;
  • sarete dalla perversità () a uscire !
Al riguardo del labirinto e del ragionamento che sto facendo diviene importante, perché è proprio ad hoc, riferire del ritrovamento di un affresco, datato tra il XIII e XIV secolo, in un sott'arco laterale all'interno dell'ex convento di San Francesco ad Alatri nel frusinate.
(La datazione al radiocarbonio del muro su cui è l'affresco è compresa tra il 1300 e il 1420.)

L'affresco, il cui restauro è terminato nell'aprile 2012, era nascosto da un'intercapedine che copriva la parete su cui si trova, parete che evidentemente apparteneva a un'antica sala, forse il cenobio di un convento o di un ospedale tenuto da Templari.
L'opera raffigura un labirinto che ha solo una via risolutrice, formato da 12 circonferenze nere, la più esterna del diametro di 140 cm e 12 bianche che delimitano un cerchio centrale dove si trova dipinta la figura di un Cristo Pantocrator con il volto barbuto e un'aureola con una croce rossa che gli circonda il capo, con indosso una tunica di colore indefinito, forse bianca alle origini e un mantello dorato.
Sia la figura di Cristo, sia il labirinto, sono stati realizzati in contemporanea, probabilmente, dallo stesso artefice.
L'aspetto del viso e la datazione fanno supporre una realizzazione dei Cavalieri Templari che conoscevano l'immagine del Santo Volto, che secondo molti ha come ispirazione quella della Sindone di Torino.
Con la mano sinistra il Cristo regge un libro chiuso, il libro della vita, quello delle Sacre Scritture e con la mano destra, benedicente, indica la soluzione d'arrivo del percorso del labirinto.


Tale affresco è considerato un "unicum", perché non esistono altri casi noti di raffigurazioni di un labirinto con Cristo al centro.
Il percorso del labirinto è identico a quello sul pavimento della Cattedrale di Chartres, che però, senza nessuna immagine al centro, è di grandi dimensioni, 12,85 metri di diametro esterno, con un percorso interno di 261,5 metri, simile comunque a quello di altri labirinti tra cui cito: Santa Maria in Aquiro a Roma (scomparso), Lucca sulla facciata del Duomo di San Martino, Pontremoli nella Chiesa di San Pietro (con al centro il cristogramma IHS), Pavia Chiesa di San Michele, a Ravenna sul pavimento della Chiesa di San Vitale, nella abbazia trappista di Notre-Dame de Saint Remy in Vallonia-Belgio e a Grinstad, nella Svezia sud-occidentale.

Labirinto di Chartres


Questi labirinti costruiti anche loro nel XII-XIV secolo durante o dopo le Crociate, stanno a significare un cammino simbolico del pellegrinaggio o del cammino di espiazione per arrivare a Dio, cammino da percorrere in preghiera.
Nelle intenzioni il percorso aveva la validità di un pellegrinaggio per chi non poteva intraprendere il vero viaggio in terra Santa alla Santa Croce di Gerusalemme.
Jean Baptiste Souchet, canonico della cattedrale di Chartres, morto nel 1654, considerava ormai quel labirinto "un gioco senza senso, una perdita di tempo", ciò per dire che molti ne avevano perduta cognizione del senso.

Mi ero già interessato di labirinti antichi collegati al cristianesimo e segnalo il mio articolo "Da vecchie pergamene la Crux per uscire dal labirinto" ove riporto e discuto una pergamena antica del VI secolo, visionata nella Stiftsbibliothek del monastero Benedettino di San Gallo in Svizzera, attribuita ai Carmina di Venantius Fortunatus, pergamena che anticipa per certi versi tante conclusioni della presente meditazione in quanto si trovano tracce che precedono i tempi dei Templari.
In tale occasione visionai anche una pergamena la Handerscrift Nr. 197, S.122, (25,4x18 cm.) di cui riporto la foto tratta dalla guida, che raffigura un labirinto:


Osservai che quel labirinto ha due piedi onde è la condizione di un vivente.
Il percorso nero, del male, del bestiale, di fatto, porta solo a un vicolo cieco e s'interpone, blocca cioè, perché, di fatto, salta e non fa vedere la prima apertura a sinistra che porta alla soluzione del centro.
In tale occasione mi resi conto che il primo riferimento ufficiale del mito di Teseo e del labirinto, rivisitati dalla fede Cristiana, pare essere del 324 d.C. con un labirinto riportato sul pavimento della Basilica di Reparato ad Orleansville (Algeria), di cui mi sono interessato con l'articolo "Il labirinto è dipanato, il mostro è vinto".
Quel labirinto di Alatri, con Cristo al centro, è invece una rivelazione che il pellegrino alla ricerca è chiamato a meditare, cogliendo la conclusione che evidentemente persone in cammino prima di lui avevano sperimentato.
Tale rappresentazione in affresco è la concretizzazione espressiva e laconica di frasi dette da Gesù Cristo, tratte dal Vangelo di Giovanni, tra cui:
  • Giovanni 3,13 - "Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo", infatti solo Lui conosce la via.
  • Giovanni 8,51 - "In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte."
  • Giovanni 10,7.9 - "In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore... se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo."
  • Giovanni 11,25 - "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà."
  • Giovanni 14,6 - "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me."
Gesù Cristo evidentemente è uscito dal labirinto ed è la porta per cui l'uomo può arrivare alla Gerusalemme Celeste e passare al Regno dei cieli.
"In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore." (Giovanni 10,7)

La Chiesa, che ci conduce a Cristo, intermediaria della Grazia Divina attraverso cui l'uomo può ottenere la salvezza, ha allora la stessa funzione d'Arianna col suo filo nel mito di Teseo.
La proposta del cristianesimo da molti, infatti, è stata considerata risolutiva perché nelle persone è avvenuto qualcosa d'indefinibile, con cambiamenti colti dagli altri, un'illuminazione ricevuta in un cammino d'iniziazione, il percorso del labirinto, che ai tempi della Chiesa delle origini si concretizza nel battesimo o immersione nello Spirito di Dio, e che oggi si ha nelle parrocchie con la grazia dei sacramenti e nel seguire i cammini e i movimenti proposti.
È il sorgere della fede!
Quando avviene, porta la carità, vale a dire all'amore che supera la paura della morte e a una certezza nel futuro atteso con perseveranza, la speranza cristiana, che è comunione con Cristo, il Risorto!
Certo è che se uno è sensibile a questo tema, prima o poi, sostenuto da quegli uomini di fede incontrerà un cammino in cui inoltrarsi e chi lo intraprende si renderà conto che è proprio quello il cammino da sempre atteso, perché è impresso nel proprio intimo come via di ritorno a casa, un poco come un imprinting, ma nel caso degli uomini è un apprendimento prenatale che resta come l'ago di una bussola intima.
Gli uomini "razionali" di questi tempi per i tanti sviluppi della scienza e della medicina e della tecnologia sono meno propensi alle religioni.
Di superstizione, infatti, pressoché tutte le "religioni" si sono lasciate invischiare; perché gli adepti o i fedeli spesso le vivono esaltandone gli aspetti magici.
Nel caso del cristianesimo, però se si va alla radice, in effetti, si capisce che non è una religione in senso stretto, ma è il seguire una persona vivente, Gesù di Nazaret, il Cristo, che porta fuori dal labirinto del mondo.
Nello stesso cristianesimo è perciò da fare distinzione tra gli aspetti propri di religione, affastellatisi nei secoli per soddisfare tradizioni popolari nei processi d'inculturazione e la fede cristiana.
Si può anche in questa, infatti, cadere nella superstizione se si vivono in modo distorto certi riti o usanze che ci propone la tradizione sacra, ossia sperando di condizionare il "destino" e molti dei più "disillusi", pur se rifuggono dalle religioni, inciampano in aspetti di superstizione, come astrologia e segni zodiacali, quando poi non commettono errori più marcati andando a pensare di risolvere i propri problemi con fattucchieri e maghi.
Per la superstizione, la divinazione e la magia, di cui ebbero frequentazione anche personaggi di cui parlano le Sacre Scritture, vi è comunque una profonda inimicizia nella Torah.

La Didachè al III,4 propone: "Non prendere auspici dal volo degli uccelli, perché ciò conduce all'idolatria; non fare incantesimi, non darti all'astrologia, né alle purificazioni superstiziose, ed evita di voler vedere e sentire parlare di simili cose, perché da tutti questi atti ha origine l'idolatria." (La Didaché o Dottrina dei dodici apostoli è un testo di autore sconosciuto, rinvenuto nel 1873 nel "Codex Hierosolymitanus", probabilmente scritto in Siria nel I secolo ai libri del Nuovo Testamento.)

Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice chiaramente che sono ambiti che esistono, ma proibiti, cui è bene non avvicinarsi, essendo terreni infidi e pericolosi, frequentati da personaggi facili a raggiri.
Dati statistici (da "Cosa fare con questi maghi? Come liberarsi dalla superstizione" di padre Bamonte Francesco edizioni Ancora) però informano che nel 2000 almeno 7 milioni d'italiani alimentavano un mercato dal fatturato di 5.000 miliardi di lire l'anno. ("Da maledizione a benedizione - da superstizione a fede")

L'OMBELICO DEL MONDO
Com'è noto l'ombelico è ciò che resta come cicatrice sul corpo umano della recisione praticata al cordone ombelicale al momento della nascita.
È quindi comprensibile come sin dai tempi antichi l'uomo religioso, arrivato alla conclusione che la terra e i suoi abitanti sono un prodotto dell'Eterno, si sia domandato se, alla stregua di quanto ha legato l'uomo alla madre, ossia il cordone ombelicale, non vi fosse traccia di un posto del collegamento con l'aldilà, da cui ritiene di provenire, e dove risiede il "Genitore" Creatore.
Nel mondo greco ad esempio la Pizia, o Pitia, detta anche Pitonessa, era la sacerdotessa che pronunciava oracoli in nome di Apollo nel santuario di Delfi ai piedi del monte Parnaso, luogo che da quella cultura era detto "ombelico del mondo" (una pietra l'"omphalos" l'indicava) invasato dal demone Python e Pitone, figura della mitologia greca, drago-serpente enorme, figlio di Gea, ucciso da Apollo che s'impossessò dell'oracolo e chiamò col nome di "Pizia" la sacerdotessa Pitonessa.


Omphalos - ricostruzione - all'aperto, nel complesso del santuario


Alle pendici meridionali del "sacro" monte Parnaso, a circa 600 metri di altitudine, vi sono le rovine del grande centro spirituale e di pellegrinaggio.
Il complesso cultuale si snodava su terrazze ed ha un elemento fondamentale legato al sacro per la presenza di una sorgente d'acqua, chiamata Castalia, che era incanalata e condotta fino alla roccia dove la Pizia emetteva i suoi oracoli.
Se entriamo nel mondo della Bibbia e ci domandiamo ove potesse essere pensato un luogo del genere non si può che andare con la mente in un altro posto dove c'era la sorgente della vita e dove fu posta la prima coppia.

Dice il testo sacro: "Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino..." (Genesi 2,10) da dove con Adamo ed Eva, secondo il libro della Genesi, uscirono tutte le generazioni e là incontrarono un serpente che li indusse in errore.
Quindi per la cultura ebraica in quel giardino, "mutatis mutandis", ossia con le dovute variazioni per quella cultura, si poteva pensare esistere l'ombelico del mondo, infatti, c'era "...l'albero della vita in mezzo al giardino..." (Genesi 2,9)

C'è poi in 1Samuele 28,3-25 il racconto su Saul, unto primo re d'Israele dal profeta Samuele, trovato poi indegno che, per una battaglia incombente, essendo morto Samuele, sentitosi a mal partito, si rivolse a una pitonessa.
Saul non si dava pace e cercò di risolvere il destino con le proprie mani... non è importante che Dio si opponga... vediamo che dice una negromante!
È il tipico uomo che vuole cavarsela da solo indipendentemente da Dio, prototipo di Adamo e del peccato d'origine.

La negromante in 1Samuele 28,7 è "'eshet ba'lat 'aob", quindi, come una moglie "'eshet" di Baal, , una pitonessa di quell'idolo che interroga gli spiriti dei defunti, gli "'aob", e li fa rialzare dal mondo dei morti.
Questa donna abitava un posto con un nome evocativo "Èin Dor" .
"Èin" è "fonte sorgente" e "Dor" è "generazione", quindi, quel posto ricorda la "fonte/sorgente delle generazioni", una specie di "ombelico del mondo", come a Delfi, dove c'era la pitonessa del dio Apollo, ma quel posto "Èin Dor" evoca un altro luogo dove c'era la sorgente della vita, evidentemente proprio quello dove vissero con Dio i progenitori Adamo ed Eva.
A questo punto è da ricordare un importante passo del libro della Genesi, il capitolo 28, quando Giacobbe va a cercare moglie tra i parenti di Abramo.
Il testo dice: "Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran. Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese là una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo." (Giacobbe 28,10s)

I rabbini al proposito hanno osservato che, in effetti, non è detto "in un luogo", bensì il testo ebraico, non usando l'articolo determinativo, scrive solo "bammaqom" "nel luogo", e pare indicare un posto noto... il luogo per antonomasia.
Ecco che quei rabbini ritengono che fosse proprio il monte Morià (Talmud Pessakhim 88a Rashi) dove Abramo legò Isacco per il sacrificio ("Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va' nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò." Genesi 22,2) e dove poi in Gerusalemme sorse il Tempio del Santo; infatti, Salomone costruì il Tempio sul monte Moria ("Salomone cominciò a costruire il tempio del Signore a Gerusalemme sul monte Moria, dove il Signore era apparso a Davide, suo padre, nel luogo preparato da Davide sull'aia di Ornan il Gebuseo." 2Cronache 3,1).

Con i criteri già citati di "Parlano le lettere" quel "bammaqom" si può decriptare così: "dentro i viventi Sorsero ", e come profezia, perché l'evento messianico avverrà proprio con inizio da Gerusalemme, "dentro/luogo dove i viventi Risorgeranno !"
In quel luogo Giacobbe: "Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa." (Giacobbe 28,12)
Il Signore gli stava davanti e in sogno gli parlò: "Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo. Ebbe timore e disse: Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo." (Giacobbe 28,16s)

Vale a dire quello non era un posto qualsiasi, ma l'ombelico del mondo da cui si poteva arrivare al cielo perché in comunicazione con la terra, tanto che gli angeli salivano e scendevano.
Per quei rabbini è il luogo del Santuario di Dio per mettersi in comunicazione con Lui, perché là le preghiere arrivano direttamente in cielo (Targum Yonatan).

Secondo il Midrash (in Bereshit Rabba' 69.7; Targum Yonatan; Talmud Yerushalmi Berakhot 4.5) il Santuario celeste corrisponde a quello terreno, ossia si trova in cielo nello stesso luogo in cui si trova quello di Gerusalemme (Rashi).

"Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. E chiamò quel luogo Betel, mentre prima di allora la città si chiamava Luz." (Giacobbe 28,18s)

Quel termine Luz ci riporta alla risurrezione.
Il tredicesimo articolo della fede Ebraica, secondo il Maimonide, è, infatti, la Tchiath Hametim, ovvero la Resurrezione, ossia la vita futura dei morti.

Come avverrà la Resurrezione?
Un pensiero ebraico al riguardo: "In futuro il Santo non creerà dei nuovi corpi per i morti, ma resusciterà i loro corpi originali; poiché quando il corpo di una persona si decompone nella terra, c'è un solo osso che rimane intatto, e questo osso non si decompone mai." (Shaar HaLikutim).
Ritiene la tradizione ebraica che il Creatore ricomporrà i corpi a partire da questo osso che è chiamato "Luz"; alcuni interpreti lo identificano con il coccige, altri con un osso che si trova nel cranio.
Molto più semplicemente il messaggio è che la risurrezione sarà lanciata da Gerusalemme, l'antica Luz, là sul Moria, dal Monte del Tempio che per l'ebraismo collega il cielo alla terra.

Un interessante studio ("Greco labyrinthos, ebraico debir") di Francesco Aspesi de Dipartimento di Scienze dell'antichità della Università degli Studi di Milano associa l'ebraico "Debir", parola che è usata per definire il Sancta Sanctorum del Tempio di Salomone con il termine "labirinto" laburinqV, in quanto nelle tre tavolette provenienti da Cnosso che parlano del famoso labirinto, attraverso una corretta traslitterazione, si perviene a "da-pu-ri-to" e quindi ad una base dabur per "labirinthos", tenuto conto che il suffisso "inthos" ha funzione di toponimo, "luogo di".

Ora da "dabur" a "debir" il passo è breve e il "Debir" era il luogo più sacro del Tempio di Salomone; non aveva finestre (1Re 8,12) e come riferisce 1Re 6,16-28 e 8,6 era la sala interna, appunto, il "Sancta Sanctorum" del Tempio.
Era un cubo, misurava 20 cubiti in lunghezza, larghezza e altezza, era rivestito in legno di cedro, i muri ed il pavimento rivestiti d'oro, conteneva due cherubini in legno d'olivo, ciascuno alto 10 cubiti e ognuno con ali aperte larghe 10 cubiti affiancati, ciascuno toccava una parete e le ali si incontravano al centro, una porta a due battenti lo divideva dal "Lechal" il Luogo Santo (2Cronache 4,22) con un "velo" di lino blu, porpora e scarlatto (2Cronache 3,14).

Su tre lati era circondato da tre piani di celle non comunicanti col "Lechal".
("Il Tempio del Messia e la città di Dio")

Il labirinto rimanda a costruzioni in pietra e a ipogei propri dell'isola di Creta, a grotte e anfratti che portano all'idea di connessioni col nascosto e col "sacro"; infatti, a Creta sul Monte Ida c'è la mitica grotta dove, secondo il mito, sarebbe nato Zeus.

L'archeologo inglese Arthur Evans ipotizzò la derivazione della parola labirinto dal Lidio "labrys", l'ascia bipenne a due lame, simbolo del potere reale a Creta e "labirinto" significherebbe "palazzo dell'ascia "labrys"", ma per le due possibili soluzioni delle lame calza bene anche con le scelte che si deve fare ad ogni bivio del "labirinto" mentale, e il Santo aveva due lati separati da un velo.


Bipenne Minoica


Jacques de Lacretelle scrittore francese nel 1930 in "Le demi-dieu ou le voyage en Grèce" descrive così il palazzo di Cnosso: "...asimmetrico e disarmonico in confronto ai templi greci; non esistono porte monumentali, né grandi scalinate, né colonnati imponenti. Lasciate alla propria destra la Corte occidentale e la sala di lustrazione, si accede al portico a pilastri e quindi attraverso un passaggio, alla Corte Centrale: tutt'intorno, un ginepraio di stanze."

Paolo Santarcangeli nel suo "Libro dei labirinti" per quanto riguarda la reggia di Cnosso osserva: "...queste costruzioni sono orientate, anziché verso l'esterno e l'alto, verso l'interno e il basso, verso le profondità della terra. Così la sala del trono del Minos è chiaramente la riproduzione di una caverna sacrale..."

In definitiva, intendeva, essere un sacro recesso pressoché inaccessibile.
Del pari un sacro recesso pressoché inaccessibile era il "Debir" o Santa Santorum del Tempio di Gerusalemme.
La prima parola della Torah nel libro del Genesi, "ber'eshit" , tradotta usualmente con "in principio", dai saggi d'Israele è stata letta in più modi e quelle sei prime lettere furono anche divise in "Bar'à" "creò" e "shit" "un fondamento", ossia la Pietra della Fondazione, "Even ha-Shetiyà".
Una pietra affiorava a Sion nel Santo dei Santi su cui fu posta l'Arca e la tradizione sostiene che fosse la pietra fondamentale sulla quale il mondo fu creato.
(Vedi: "Ritorno al Sinai")

Il Tempio era detto in ebraico "bet ha miqdash" , cioè casa del Santuario ed era costruito nella tradizione rabbinica sul monte Moria, il luogo dove Abramo stava per sacrificare il figlio Isacco.
Nella stanza più interna, detta il Santo dei Santi, nel "Debir", in cui il Sommo Sacerdote poteva entrare ogni anno una sola volta, c'era la pietra di fondazione del mondo, la "Even Shetiyyah" , quella su cui s'addormentò Giacobbe e sognò la scala che portava in cielo da cui salivano e scendevano gli angeli di Dio e su tale pietra, almeno nel primo Tempio, posava l'arca del patto.

Secondo la tradizione ebraica Adamo fu formato dalla polvere del monte Moria e quando fu espulso dal giardino dell'Eden si fermò là attorno, perché vicino c'era l'entrata per il paradiso e lì morì.
La tradizione cristiana, con Origene, scrittore e teologo cristiano del III secolo riteneva che il Golgota o Calvario fosse il luogo della sepoltura di Adamo il che tende a ribadire il ruolo di Gesù come "nuovo Adamo", fondatore della nuova umanità redenta (1Corinzi 15,21s).
Per questo motivo, l'iconografia cristiana nelle rappresentazioni della crocefissione, ai piedi della Croce è spesso raffigurato il teschio di Adamo.
Tale centro del mondo è considerato quindi come un ombelico e tale proprietà s'estende a tutta Gerusalemme.

In ebraico "debir" è e si può dividere in + e equivale a che vuol dire "pozzo" quindi è la porta = di un passaggio.
Per contro pure in ebraico ombelico è "tabbur" , quindi + "sigillato pozzo " ed anche in tal senso si trova collegamento tra labirinto-debir, debir-tabbur, tabbur-ombelico.

In definitiva il Santo dei Santi, dove scendeva la presenza o "Shekinah" del Signore, era l'arrivo di un labirinto, l'ombelico del mondo che collegava con Dio, padre e madre dell'uomo.
La nuova Gerusalemme dei cieli di cui parla il libro dell'Apocalisse corrisponde alla Gerusalemme di quaggiù e da Gerusalemme ascese al cielo Gesù, onde la soluzione del labirinto è stata trovata.
L'Unigenito, s'è ricollegato a Dio Padre e Madre.

NEL DEDALO DI GERUSALEMME CON LA CROCE
Dopo tutte queste premesse, conseguenza naturale è allora guardare, con gli occhi - fisici, della mente e del cuore - al cammino percorso da Gesù Cristo.
Nella sua vita terrena, venuto con una precisa missione, passato per questo mondo, ne riuscì per consentire d'uscirne con Lui e tornare al Padre.
Facendo ciò viene così spontaneo introdurre sia il tema della sua personale "Via Crucis", sia questa come pratica di devozione da parte del credente, atto volontario per sigillare in modo esteriore la manifestazione della propria ferma decisione di assumer a pieno la propria storia, con le proprie sofferenze, e seguire le orme del Buon Pastore per uscire in modo efficace assieme a Lui dalle spire di questo mondo.
D'altronde ciò è conforme all'invito di Gesù in Matteo 16,24 quando disse ai discepoli: "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua."

Ora, la vita di Gesù Cristo dalla nascita alla morte in croce è tutta una tensione per salire a Gerusalemme; questa città, infatti, è situata a circa 760 metri sul livello del mare, quota relativamente alta per l'orografia del territorio d'Israele.
La tensione fu a manifestarsi in pratica con ripetute salite dalle piane di Moab, dalle zone infossate del Giordano, delle varie pianure di Israele e dai complessi collinari circostanti sempre verso la città santa, salite che manifestavano fisicamente la sua intima tensione spirituale.
Dalla stessa parola ebraica per salita "mae'leh" , dal radicale che appunto indica il "salire", viene anche il termine "olocausto" con le stesse lettere, ma con vocalizzazione che lo fa leggere come "o'lah", perché quanto offerto s'innalza a Dio arso nel fuoco.
Gesù s'è proprio fatto ardere di passione per l'umanità che amava come l'amata del Cantico dei Cantici che disse al suo diletto: "Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l'amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma del Signore!" (Cantico dei Cantici 8,6)

In tutto ciò però non c'è atmosfera di sofferenza, bensì di gioia, perché queste salite sono sempre collegate a una festa - Pasqua, Pentecoste, Capanne - nello spirito del Salmo 122, che al primo versetto recita: "Quale gioia, quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore".

Con ciò non voglio certo negare la sofferenza come uomo per il dolore fisico del sacrificio e morale per i tradimenti, ma intendo evidenziare il senso di gioia che volle infondere ai suoi discepoli nel fare la volontà del Padre.
La tensione di Gesù fu proprio d'offrirsi da olocausto volontario, come prende atto la lettera agli Ebrei (10,12-14): "Egli... avendo offerto un solo sacrificio per i peccati una volta per sempre si è assiso alla destra di Dio, aspettando ormai solo che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi. Poiché con un'unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati."

Come riferito da credibili testimoni, in conformità a quanto è nei Vangeli, Gesù, l'uomo retto e giusto senza peccati, salito sulla croce a Gerusalemme, per e con tutti i peccati degli uomini che l'uccisero, prima di morire li perdonò, poi gli squarciarono il costato aprendo una via di comunicazione col cuore di lui che era in presa diretta col Padre, indi portatone il corpo nella tomba, il terzo giorno fu arso dal battesimo di fuoco della risurrezione, lo videro, quindi, risorto, istruì gli apostoli e, dopo 40 giorni, fu elevato "in cielo" nella nube del Padre.
Un primo uomo era ormai entrato in cielo e in Lui "...abbiamo come un'ancora della nostra vita, sicura e salda, la quale penetra fin nell'interno del velo del santuario, dove Gesù è entrato per noi come precursore, essendo divenuto sommo sacerdote per sempre alla maniera di Melchìsedek." (Ebrei 6,19s)

Il buon esito nel futuro non è più una pia speranza, ma è certezza, perché la barca su cui siamo sulle acque instabili del vivere con la paura della morte, sono state vinte e il nostro vascello ha già fissa l'àncora in porto sicuro.
Tutta la vita di Cristo, dopo il battesimo al Giordano, fu un continuo camminare annunciando l'amore e il Regno di Dio.
Segni e prodigi hanno accompagnato il suo procedere sempre con grande amore per tutti a cominciare dagli ultimi e dai peccatori, sanando ogni specie di malattia per suscitare la fede negli ascoltatori.
Molti lo seguirono uomini e donne avendo intravisto in Lui il Messia atteso da secoli, i Vangeli riportano la sua predicazione, i suoi miracoli, ma assieme segnalano il continuo accrescersi dell'opposizione da parte di alcuni spinti dallo spirito del male, fino a che ne decisero la fine a cui contribuì anche un traditore, uno dei più stretti, uno dei dodici che aveva scelto.
I Vangeli canonici ne riportano la passione, l'arresto, le torture, i giudizi da parte del sinedrio, l'incontro con Erode e la sentenza di Pilato, il cammino fino al calvario, la crocifissione, la morte e la sepoltura, il tutto con inizio e fine in una notte e in un giorno, riportato con molti particolari, da integrare tra di loro, da:
  • Matteo, nei capitoli 26 e 27 per complessivi 141 versetti;
  • Marco, nei capitoli 14 e 15 per 119 versetti;
  • Luca, nei capitoli 22 e 23 per 127 versetti;
  • Giovanni, nei capitoli 18 e 19 in 82 versetti.
La Città di Gerusalemme ai tempi di Gesù era munita di mura con un dedalo di vie con case basse, in genere a due piani, frammezzate da palazzi dei più ricchi e oltre al Tempio c'erano alcuni edifici importanti quali la Torre Antonia, il palazzo di Erode Antipa.
Un percorso intricato, ma preciso, segnalato dai Vangeli come percorso da Gesù, trasformò quel dedalo di strade e stradine di Gerusalemme in un labirinto con una sola soluzione d'uscita, quella vittoriosa della croce gloriosa.
I Vangeli attestano che:
  • giovedì sera Gesù celebra la Pasqua con i discepoli nel Cenacolo in Sion;
  • dopo la cena Gesù con i discepoli scende nella valle del torrente Cedron fuori Gerusalemme nel giardino del Getsemani ove Giuda conduce le guardie dei sacerdoti che l'arrestano;
  • Gesù è condotto al palazzo di Caifa, il Sommo Sacerdote ed processato dal Sinedrio durante la notte e la seduta termina al canto del gallo ad alba vicina;
  • la mattina del venerdì i sacerdoti conducono Gesù da Ponzio Pilato, nella Fortezza Antonia, all'angolo nord-occidentale della spianata del Tempio, da cui secondo Luca, Pilato inviò Gesù da Erode che interrogatolo lo rimandò via;
  • in mattinata ci fu il processo con la fustigazione e la condanna alla croce.
  • caricato della croce dal palazzo di Pilato avvenne il trasferimento al Golgota appena fuori le mura e attorno a mezzogiorno Gesù fu crocifisso.
  • Gesù muore sulla croce alle tre del pomeriggio del venerdì; per la maggior parte degli storici presumibilmente era il 7 aprile del 30.

Gerusalemme al tempo di Gesù - Probabili tappe della Passione
(Sinedrio presso Caifa, Pretorio presso l'Antonia)

Schematicamente, qui sopra, ripreso da Wikipedia, ho riportato il presumibile tracciato dei percorsi di Gesù durante la passione, nel dedalo delle vie della città vecchia, indi dalla Fortezza Antonia alla Via Dolorosa e poi al Calvario e mostrano come fosse veramente simile al percorso in un labirinto.
La Via Dolorosa è una strada di Gerusalemme che secondo la tradizione corrisponde al percorso che Gesù fece con la croce dalla Torre Antonia al Golgota, lunga meno di un chilometro; in salita raggiunge la Chiesa del Santo Sepolcro, che ingloba il Calvario e il sepolcro in cui fu deposto Gesù, il luogo della sua risurrezione.


La città vecchia di Gerusalemme assieme al Tempio fu distrutta nel 70 d.C. dall'imperatore Tito e per sedare la rivolta di Simone Bar Kokeba nel 132 d.C. subì un'ulteriore devastazione da parte dei legionari dell'imperatore Adriano. L'imperatore Costantino e i successori fecero restaurare i luoghi evangelici ed erigere la prima chiesa cristiana, quella del Santo Sepolcro e a Sant'Elena, madre di Costantino è attribuito il rinvenimento della croce nel 326 d.C..
Risulta che la Chiesa di Gerusalemme manifestò subito la sua attenzione per i "luoghi santi", come hanno poi attestato reperti dell'esistenza del culto cristiano del secolo II nell'area del santo sepolcro.
La pellegrina Eteria alla fine del IV secolo da notizia di tre edifici sacri eretti sulla cima del Golgota: l'"Anastasis", la chiesetta "ad Crucem", la grande chiesa - il "Martyrium" - ("Peregrinatio Etheriae" 30) e informa di una processione che in certi giorni si snodava dall'"Anastasis" al "Martyrium".
Cronache di viaggi di altri pellegrini del V e VI secolo confermano percorsi di visite ai santuari di Gerusalemme.
Non era però ancora una "via Crucis".

Dal 614 al 1099 d.C., però, per circa cinque secoli, Gerusalemme fu in mano alla mezza luna dell'Islam e non fu più alla portata dei visitatori cristiani, onde il visitarla restò un pio desiderio per generazioni di fedeli.
Nel 1099 fu occupata dai crociati e divenne capitale del Regno Latino di Gerusalemme, ma fu riconquistata dai musulmani di Saladino nel 1187 e restò sotto la dominazione musulmana, salvo che per un breve periodo dal 1229 al 1232 in occasione della 5a crociata, tempo in cui i Frati Minori di San Francesco s'insediarono presso la V Stazione della Via Crucis.
San Francesco, morto nel 1226, tanto cercò, infatti, d'operare per la pace in quelle terre, e compì un viaggio in Egitto e Palestina per parlare col (nipote del) Saladino e mettere fine alle ostilità in corso della 5a crociata.
I Frati Minori continuarono poi ad essere presenti tanto che nel 1333 riscattarono il Cenacolo e presso di esso fondarono un convento.
I musulmani, nello stesso anno, riconobbero i Frati Minori come officianti abituali della basilica del Santo Sepolcro in quanto il re di Napoli di allora, Roberto d'Angiò, terziario francescano, concesse la somma richiesta dal Sultano d'Egitto per assicurare ai Francescani il diritto a vivere presso il Santo Cenacolo e svolgervi le celebrazioni nel Santo Sepolcro come rappresentanti della Chiesa di Roma, che nel 1342 con Papa Clemente VI, li riconobbe quali propri mandati nei luoghi santi.
Per quasi un secolo, quindi, i crociati e in particolare i cavalieri Templari e poi per lungo tempo i Francescani ebbero a disposizione i luoghi sacri e fecero ricerche efficaci in tutti i campi delle orme lasciate dal cristianesimo delle origini e verificarono in modo puntuale la rispondenza dei Vangeli allo stato dei luoghi, individuando i punti singolari del cammino della passione di Cristo in Gerusalemme.
In quel periodo iniziò evidentemente la pratica di andare a pregare nei punti rinvenuti del tracciato della passione dei Vangeli, man mano che erano rinvenuti e ben localizzati, quelli che poi divennero le "stazioni" della Via Crucis.
Coevi a quei periodi ecco apparire nelle chiese i tracciati dei labirinti che intendono portare con la mente alla città santa, ed ecco quel significativo affresco di Alatri di cui ho detto nel primo paragrafo del presente articolo.
Il dominio ottomano poi durò fino al 1917 quando Gerusalemme fu occupata dagli inglesi.

CENNI STORICI SULLA "VIA CRUCIS"
La "Via Crucis", nel senso attuale del termine, risale al Medio Evo inoltrato.
Il frate domenicano, Rinaldo di Monte Crucis, nel suo "Liber peregrinationis" afferma attorno al 1294 di essere salito al Santo Sepolcro "per viam, per quam ascendit Christus, baiulans sibi crucem", e ne descrive le varie "stationes": il palazzo di Erode, il Litostrato, dove Gesù fu condannato a morte, il luogo dove incontrò le donne di Gerusalemme, il punto in cui Simone di Cirene prese su di sé la croce del Signore...
Il soggetto delle stazioni era vario perché si univano fatti scritti nei Vangeli con altri narrati da scritti cristiani definiti apocrifi, quali le tre cadute di Gesù sotto la croce, l'incontro di Gesù con la madre, l'incontro con la Veronica.
Questa stazione evidentemente trova radice nell'apocrifo Vangelo di Nicodemo, scritto in greco nel II secolo e pervenuto in più redazioni ove l'emorroissa citata dai Vangeli sinottici, nell'apocrifo in copto e in latino compare col nome di Veronica, (Traslitterato dal greco "Berenike" - Berenice - "porta" "Bere" "vittoria" "nike") quale teste a favore nel processo a Gesù, nome che evidentemente ha invitato a suggerire il pensiero di Vera-Icona, radice del racconto nel medioevo del famoso lino che asciugò il volto di Cristo lungo la via Dolorosa e in cui la sua immagine rimase impresso e che alcuni identificano col volto della sindone.
Nel secolo XV, purtuttavia, regnava ancora la più grande diversità nella scelta delle stazioni, nel loro numero e ordine.
La "Via Crucis", nella forma attuale, con le stesse quattordici stazioni, disposte nel medesimo ordine che usano ancora oggi i francescani, è attestata in Spagna nella prima metà del XVII secolo.


Qui sopra è riportato in rosso schematicamente il percorso attuale della Via Crucis a Gerusalemme secondo lo schema francescano.
Le stazioni X-XIV si trovano all'interno della Basilica del S. Sepolcro.
Il numero XV indica il luogo della Risurrezione.

Nelle Chiese della cristianità del mondo s'impiantavano sulle pareti quadri o tavole in pietra con immagini ad hoc per segnare il percorso della processione interna che intendeva riportare il modello del pellegrinaggio che il penitente, impedito dalla situazione storica, avrebbe inteso fare a Gerusalemme.
Il rito passò in Sardegna, allora sotto il dominio spagnolo, e poi in Italia.
San Leonardo da Porto Maurizio (+ 1751), frate minore, instancabile missionario lo promulgò e in Italia eresse oltre 572 "Via Crucis", tra cui famosa è quella nel Colosseo, eretta su richiesta di Benedetto XIV a ricordo dell'Anno Santo 1750.
Fu allora che l'interno del Colosseo fu consacrato alla passione di Cristo e alla memoria dei martiri con 14 edicole per le stazioni tradizionali con al centro una grande croce e da allora divenne meta di riti di Via Crucis, ma dopo il 1870 con l'unità d'Italia le edicole e la croce furono rimosse.
A Colli a Volturno c'è un'antica chiesa che pare risalire al XV secolo, guarda caso dedicata a San Leonardo, protettore dei carcerati, sulla cui facciata è incastonata una pietra, che non si sa di quale epoca sia, che rappresenta un labirinto che avvolge il luogo della crocifissione a Gerusalemme.


Labirinto di San Lorenzo ai Colli Volturno


Queste sono le stazioni del rito "francescano":
  1. Gesù è flagellato, deriso e condannato a morte.
  2. Gesù è caricato della croce.
  3. Gesù cade per la prima volta.
  4. Gesù incontra Maria sua Madre.
  5. Gesù è aiutato a portare la croce da Simone di Cirene.
  6. La Veronica asciuga il volto di Gesù.
  7. Gesù cade per la seconda volta.
  8. Gesù incontra le donne di Gerusalemme.
  9. Gesù cade per la terza volta.
  10. Gesù è spogliato delle vesti.
  11. Gesù è inchiodato sulla croce.
  12. Gesù muore in croce.
  13. Gesù è deposto dalla croce.
  14. Il corpo di Gesù è deposto nel sepolcro.
Tale Via Crucis segue proprio l'origine del rito, tutto e soltanto incentrato lungo la Via Dolorosa, con partenza dalla Torre Antonia.
Nel 1926, in previsione della Conciliazione tra lo Stato e la Chiesa, la croce fu ricollocata di lato nel Colosseo.
Nel 1959 Giovanni XXIII per il Venerdì Santo vi compì il rito della Via Crucis e dal 1964 Paolo VI la riprese annualmente e da allora la Rai trasmise in diretta la processione in Eurovisione, mentre in Mondovisione a colori lo fu dal 1977.
Le meditazioni furono scelte da testi biblici o da quelli dei Padri della Chiesa e poi anche di altri commentatori.

La prima Via Crucis presieduta da Giovanni Paolo II, nel 1979, fu accompagnata da meditazione su testi di discorsi di Paolo VI.
Nell'anno 1991 furono inserite solo stazioni "bibliche", cioè di fatti ricordati dai Vangeli, dove non figurano le stazioni prive di un preciso riferimento biblico, quali le tre cadute del Signore (III, VII e IX), l'incontro di Gesù con la Madre (IV) e con la Veronica (VI), ma sono presenti l'agonia di Gesù nell'orto degli ulivi (I), l'arresto di Gesù (II), la condanna del Sinedrio (III), il rinnegamento di Pietro (IV), che precedono la condanna di Pilato che diviene la V stazione, e vengono introdotte la promessa del paradiso al Buon Ladrone (XI), la presenza della Madre e del Discepolo presso la Croce (XIII).
La Via Crucis "biblica" in definitiva ha le seguenti stazioni:
  1. Gesù nell'orto degli ulivi.
  2. Gesù, tradito da Giuda, è arrestato.
  3. Gesù è condannato dal sinedrio.
  4. Gesù è rinnegato da Pietro.
  5. Gesù è giudicato da Pilato.
  6. Gesù è flagellato e coronato di spine.
  7. Gesù è caricato della croce.
  8. Gesù è aiutato dal Cireneo a portare la croce.
  9. Gesù incontra le donne di Gerusalemme.
  10. Gesù è crocifisso.
  11. Gesù promette il suo regno al buon ladrone.
  12. Gesù in croce, la madre e il discepolo.
  13. Gesù muore sulla croce.
  14. Gesù è deposto nel sepolcro.
Il percorso vero e proprio lungo la Via Dolorosa parte così dalla stazione n 5.
Nel seguito dell'articolo commenterò, ovviamente in modo non esaustivo, le varie stazioni, attingendo da cose note, ma anche da pensieri nuovi e di quelli che nel corso degli anni ho travasato nei miei numerosi articoli in questo mio Sito che non sempre citerò.

LE STAZIONI, PRIMA DELLA CONDANNA A MORTE
Seguo lo schema delle stazioni "Bibliche" e indico i riferimenti ai Vangeli, alle profezie e riporto qualche commento.

1a e 2a - Gesù nell'orto degli ulivi, tradito da Giuda, è arrestato
Tutto ricomincia in un giardino!
Dopo la Cena Gesù uscì dal Cenacolo "...con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cèdron, dove c'era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel posto, perché Gesù vi si ritirava spesso con i suoi discepoli." (Giovanni 18,1s)

Le prime due stazioni, infatti, hanno come scenario il giardino o podere del Getsemani, anche detto "orto degli ulivi".
Il Vangelo di Giovanni appunto precisa che era proprio un giardino, in linea coerentemente col suo voler riportare tutto alle origini, come del resto inizia quel Vangelo stesso: "In principio era il Verbo..." (Giovanni 1,1)
Del resto l'inizio della storia della salvezza ebbe proprio inizio in un giardino, quello descritto al capitolo 2 del libro della Genesi, il Gan Eden, vale a dire il Paradiso Terrestre e come vedremo in un Giardino termina il percorso della Via Crucis, perché il sepolcro era in un giardino.
Tutti e quattro i Vangeli dicono di quel posto:
  • Matteo ne parla in 26, 36-46 per la 1a Stazione e in 26,47-56 per la 2a.
  • Marco 14,32-42 per la 1a Stazione e in 14,43-52 per la 2a.
  • Luca 22,39-46 per la 1a Stazione e in 22,47-53 per la 2a.
  • Giovanni 18,1-11 per 1a e 2a Stazione.
"Quelli che Gesù ama", i suoi discepoli, l'embrione della sposa, la futura Chiesa, dormono come del resto dormiva la sposa in quel giardino prima che uscisse dal costato di Adamo.
Un uomo avrebbe tradito il Signore!
Quella volta fu Giuda Iscariota, che significa "'Ish" uomo di "Qeriot" , e le lettere spiegano: "l'uomo che, il Signore () Sbarrerà in un campo ; incontrato , lo porterà in croce ."

Leggendo il racconto della caduta della prima coppia di Genesi 3, di solito, colpiti dalla loro sorte, in quel momento non viene da soffermarsi a pensare alla sofferenza del Signore nell'essere rifiutato dall'umanità e tradito dall'uomo a cui aveva dato fiducia.
Quel primo tradimento dell'uomo al suo disegno d'amore subito di conseguenza comportò la decisione da parte del Signore d'incarnarsi, di essere anche Lui un individuo di carne e di sangue per riportare l'uomo a sé e... ovviamente intravide tutte le sofferenze connesse alla passione e crocifissione, quindi... nel Getsemani sudò sangue.
La profezia era chiara, l'uomo che avrebbe tradito il Messia è un amico con il quale Egli spezzava il pane: "Anche l'amico in cui confidavo, anche lui, che mangiava il mio pane, alza contro di me il suo calcagno." (Salmo 41,10)

Giovanni l'aveva notato quando annotò che Gesù su chi lo tradiva aveva detto: "È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò. E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone." (Giovanni 13,27)
Il boccone di pane si trova in Genesi 18,5 e in Giudici 19,5 e in ebraico è "pat loechoem" o "pet loechem" e le lettere fanno pensare "al Verbo in croce ."

3a - Gesù è condannato dal Sinedrio
I Vangeli sinottici sono concordi nel loro racconto che si sviluppa in Matteo 26,57-68; Marco 14,53-65 e Luca 25,66-71.
Non è da dimenticare che il Sinedrio era la corte di giustizia del popolo di Dio, ma aveva giurisdizione solo sul Tempio di Gerusalemme e aveva il compito di far rispettare la Torah in ogni atto, eppure tale organo non riconosce e condanna il Cristo, il Figlio di Dio benedetto, e lo giudica reo di morte.
Il Sinedrio poteva giudicare con qualunque sentenza, compresa la pena capitale, ma ciò non nelle grandi feste, in quanto per il pericolo di disordini i romani assumevano tale prerogativa.
Davanti al Sinedrio comparvero falsi testimoni, ma Gesù alle accuse non rispondeva, allora il Sommo Sacerdote, Caifa, per rompere gli indugi gli chiese se era il Cristo e Gesù (Matteo 26,64) non negò e citò il Salmo 110,1 nonché la profezia di Daniele 7,13: "Tu l'hai detto" rispose Gesù "anzi io vi dico: d'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo".
L'Innocente Gesù è condannato "perché ha bestemmiato", dichiara Caifa e si straccia la veste e Gesù ricevette schiaffi e sputi dalle guardie del Sinedrio.
San Giovanni suggerisce che, in fondo, il sommo sacerdote Caifa aveva parlato a nome di Dio, perché solo lasciando condannare l'innocente Suo Figlio, l'umanità fu salvata.
In questa stazione si compiono varie profezie sul Messia, oltre quelle già citate da Gesù con la sua risposta.
Tra l'altro quella di Daniele, decriptata (Vedi: "I geroglifici ebraici del libro di Daniele") fornisce in sintesi il perché dell'incarnazione.

Daniele 7,13 - "Alla prigione di questi uscì, al mondo in un'arca si chiuse. Per colpirlo (il serpente) si portò all'esistenza di notte. Fu l'Unico a recare l'Unigenito nel corpo, lo portò all'azione per amore, inviata fu dal cielo, la rettitudine del Figlio in un uomo. Lui si portò dall'eternità, nel tempo fu versato all'esistenza, si portò dai viventi e iniziò in un vivente il cuore a uscire e lo versò, nel sangue portò l'essere, per la guerra recare nel mondo ad esistere (contro il male)."

Gesù, infatti, ebbe a dire nella sua predicazione:
  • "Non crediate che sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada." (Matteo 10,34)
  • "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!" (Luca 12,49)
Altre profezie che il racconto di questa stazione sottende sono che:
  • i leader politici e religiosi avrebbero cospirato contro il Messia, era profetizzato con : "Perché le genti congiurano perché invano cospirano i popoli? Insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme contro il Signore e contro il suo Messia." (Salmo 2,1s)
  • il Messia sarebbe stato accusato di falsa testimonianza, lo dice il Salmo 109: "...contro di me si sono aperte la bocca dell'empio e dell'uomo di frode; parlano di me con lingua di menzogna." (Salmo 109,2)
  • avrebbero cercato accuse false contro di lui, come asserisce il Salmo 109, "Non espormi alla brama dei miei avversari; contro di me sono insorti falsi testimoni che spirano violenza." (Salmo 27,12)
  • sarebbe rimasto in silenzio davanti ai suoi accusatori, lo sostiene il profeta Isaia con "Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca." (Isaia 53,7)
  • avrebbero colpito e sputato sul volto del Messia "...non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi." (Isaia 50,6b)
Il Vangelo di Giovanni precisa che prima di essere portato da Caifa Gesù fu condotto da Anna che era una potenza, infatti, era stato Sommo Sacerdote dal 6 al 15 d.C. e un figlio, Eleazaro ben Anano, era stato Sommo Sacerdote dopo di lui nel 16 e 17 d.C, e Anna era suocero di Caifa che fu sommo sacerdote tra il 18 e il 36 d.C., poi altri 4 figli di Anna si succederanno nella carica; probabilmente Giuda aveva preso accordi con emissari di Anna.

La Tosefta (Yevamot 1,10) parla della casa di Caifa e Giuseppe Flavio lo ricorda in Antichità Giudaiche 18;35,95; forse il nome voleva indicare che la madre "aveva versato un bel Primogenito ", ma le lettere in senso profetico suggeriscono che: "a rovesciare Sarà il Verbo dell'Unico .

4a - Gesù è rinnegato da Pietro
Dopo l'arresto di Gesù gli apostoli si dispersero per timore come aveva profetizzato Gesù stesso che preannunciò la dispersione degli apostoli e il rinnegamento di Pietro con le parole di Zaccaria 13,7 "Percuoti il pastore e sia disperso il gregge".
Eppure Pietro credeva d'essere sincero quando disse "Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò". (Marco 14,31)
Era generoso, ma non conosceva bene se stesso e la propria debolezza; voleva morire per Gesù, ma era Gesù che doveva morire per salvarlo.
Mentre Pietro vantava che avrebbe dato la vita per lui, Gesù aveva predetto che da lui sarebbe stato proprio tradito tre volte prima che il gallo cantasse.
Su ciò sono concordi i quattro evangelisti - Matteo 26,34; Marco 14,30; Luca 22,34; Giovanni 14,38 - e tutti ricordano che Pietro rinnegò Gesù per tre volte; per Marco il gallo cantò 2 volte.

Il racconto del rinnegamento di Pietro si trova in Matteo 26,69-75; Marco 14,66-72; Luca 22,54-62; Giovanni 18,15-18 e 25-27.
Pietro e Giovanni cercarono di seguire il drappello con Gesù arrestato per vedere cosa sarebbe accaduto e riuscirono a entrare nel cortile di Anna e di Caifa e bastò una serva per far cadere Pietro.
Gesù però non ritirò la sua scelta come ci si rende conto poi dal Vangelo di Giovanni in 21,15-23 quando a Tabga, sulla riva del lago di Tiberiade, il Risorto per tre volte domanderà a Pietro "mi ami tu?" ricordando indirettamente l'episodio del tradimento.
Dopo il pentimento, Pietro fu reso capace di confermare i suoi fratelli e ricevette il martirio morendo crocifisso per Gesù a Roma nel 67 d.C..

LE STAZIONI PRESSO PILATO
Sono le tre stazioni nell'ambito della Torre o Fortezza Antonia, complesso fortilizio che sorgeva presso il lato settentrionale del Tempio, sede della guarnigione romana, Pretorio del procuratore della Giudea che vi risiedeva se era a Gerusalemme, mentre la sede permanente era in Cesarea Marittima.

5a - Gesù è giudicato da Pilato
Il racconto si sviluppa in Matteo 27,11-26 parallelo a Marco 15,1-15.
L'unica differenza è che Matteo riferisce anche che la moglie di Pilato aveva avuto un sogno che l'aveva turbata. (Claudia Procula è il nome che la tradizione ha attribuito alla moglie di Pilato, riconosciuta santa dalla Chiesa Orientale.)

L'accusa era che quell'uomo da giudicare si dichiarava Re dei Giudei, ma non aveva forze sovversive per pretendere il potere o dare fastidio, era per Pilato, quindi, accusato solo per una bega religiosa, insomma un arzigogolo giudaico.
Pilato, già da solo s'era reso conto che non c'era materia per il giudizio in quanto Gesù era ingiustamente accusato per invidia dei notabili.

Solo il Vangelo di Matteo 27,24 riporta il gesto di Pilato di lavarsi le mani come atto plateale per mostrare che quello di Gesù per lui era sangue innocente di cui non voleva sporcarsi, atto però che dimostra solo la sua debolezza.
La nota proposta "Gesù o Barabba" gli parve risolutoria per liberarlo, ma per l'ostinazione del popolo ad arte istigato, condannò a morte Gesù, dimostrando in tale l'inconcludenza propria e la serietà solo di facciata della jus romana.

Paul Claudel nel suo commento alla Via Crucis con acume osserva: "Con Dio è finita: l'abbiamo giudicato, l'abbiamo condannato a morte. Non vogliamo aver più a che fare con Gesù Cristo: ci dà fastidio. Non abbiamo altro re che Cesare, altra legge che il sangue e il denaro. Appendetelo alla croce, se proprio lo volete, ma liberateci della sua ingombrante presenza: qualcuno lo conduca via. 'Tolle! Tolle!' E se dunque si deve scegliere, impiccate lui e liberateci Barabba!"

"Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio." (Marco 15,7-Luca 23,19) onde Gesù gli salvò la vita e prese su sulle proprie spalle la sua pena, segno che in tal modo prendeva la condanna di tutti i colpevoli, ossia con la propria morte libera dalla morte totale tutti gli uomini.

Il Vangelo di Luca sviluppa il racconto del processo in parallelo agli altri due sinottici in due tempi, Luca 23,1-7 e 13-25, perché nei versetti 23,8-12 inserisce la narrazione dell'invio di Gesù da Pilato a Erode Antipa per cercare di scrollarsi di dosso il problema, ma il fatto si mostrò utile solo per altre umiliazioni a Gesù.
In Giovanni il racconto si articola in 18,28-40 e in 19,1-16, in modo molto più esteso, anche se l'accusa è la stessa "Sei tu il re dei Giudei?"
(Vedi: il paragrafo "Cristo re e i 144.000" in "Numeri nei Vangeli e nell'Apocalisse: Annunci del Messia")

In sintesi nel colloquio molto intenso tra i due "Rispose Gesù: Il mio regno non è di questo mondo"... "io sono re." (Giovanni 18,36.37)
Era un re annunciato da secoli, la profezia era chiara, "Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele." (Numeri 24,17) e Gesù non poteva tacerla a un pagano e per atto d'amore disse a Pilato: "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce."

Ed ecco l'esclamazione di Pilato "Che cos'è la verità?" (Giovanni 18,36-38) non gli poteva venire in mente che la verità potesse essere una persona!
Solo Dio può valutare se la risposta di Pilato fu di uno scettico o la difesa personale, come a dire non la conosco!
I fatti rivelano comunque che Pilato era un opportunista, un uomo del potere, non sapeva che pesci prendere, era combattuto, comprese che davanti a sé c'era una persona eccezionale, ma non perseguì la verità, che, in effetti, aveva in persona davanti, e scelse la via che ritenne più semplice, condannare a morte un innocente... per ragioni di Stato.
La verità in ebraico è "'oemoet" e il significato intrinseco delle lettere si verificò puntualmente in Gesù, perché è il Messia, e Cristo è la verità, infatti, fu:

"il primo a rivivere dalla croce ".
Circa, infine il titolo di Re e il famoso "titulus" messo sulla croce; si veda il paragrafo "Cristo Re" del mio articolo "Gerusalemme la città del gran re".

Il Vangelo di Giovanni 19,19 precisa: "Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto Gesù il Nazareno, il re dei Giudei"; quella, infatti, era l'accusa formale nel processo in cui Gesù era stato condannato.

I notabili dei giudei non erano d'accordo, non potevano accettare che un romano crocefiggesse il proprio re, se lo fosse stato veramente, infatti, loro aspettavano il Messia come un liberatore politico - si pensi solo a Simon Bar Kokeba proclamatosi e accolto dal popolo come Messia e alla terza guerra giudaica dal 132 al 135 d.C. - quindi provarono a dire a Pilato: "Non scrivere: il re dei Giudei ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei", ma Pilato pragmaticamente tirò corto e si tolse un sassolino dalla scarpa con "Quello che ho scritto ho scritto" (Giovanni 1921s).
Pilato non poteva consentire di passare negli annali per la condanna di un millantatore, ma questi doveva risultare un pericoloso nemico di Cesare come dicevano i Giudei, "Se liberi costui, non sei amico di Cesare!" (Giovanni 19,12)
Un erudito ebreo ha avanzato l'ipotesi che il titulus riportasse queste parole: "Gesù il Nazareno e il Re dei Giudei", quindi, "Yeshua haNotzri u-Melech haYehudim", cioè avesse una lettera waw = e = che si legge u in aggiunta a quanto hanno riportato nel Vangelo di Giovanni.





Le iniziali delle 4 parole che ho scritto volutamente separate e in verticale per far veder meglio corrisponderebbero allora esattamente al tetragramma sacro di IHWH (Vedi: "Ma tu chi sei, Gesù?" di Carsten Peter Thiede - Paoline Edizione 2005).

Le lettere di quelle 4 parole mi danno questo spunto: "da Gesù Uscirà l'energia che a risollevare i corpi Sarà e il Regno Aprirà ; risarà nello splendore chi fu Vivente ."

6a - Gesù è flagellato e coronato di spine
Lo Stabat Mater attribuito a Iacopone da Todi XIII secolo propone: "Pro peccatis suae gentis vidit Iesum in tormentis et flagellis subditum", ossia "A causa dei peccati del suo popolo Ella vide Gesù nei tormenti, sottoposto ai flagelli."

In Matteo 27,26 e in Marco 15,15 è detto che la decisione della flagellazione ci fu dopo che il popolo aveva scelto di far liberare Barabba.
Il Vangelo di Luca non ne parla, ma è da ricordare che la crocifissione romana era solitamente fatta precedere dalla flagellazione, come pure non riferisce ciò che secondo Matteo 27,27-31 e Marco 15,16-20 avvenne subito dopo, ossia l'episodio delle beffe da parte dei soldati romani con la corona di spine, il mantello rosso e le percosse con la canna.
Il Vangelo di Giovanni 19,2s ne parla al versetto 19,1 e in 19,2 dice della corona di spine e dei beffeggiamenti: "I soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: Salve, re dei Giudei! E gli davano schiaffi."

La corona di spine fa presente IHWH nel roveto ardente e l'agnello o ariete che sostituì Isacco nel sacrificio sul monte Moria che Abramo trovò impigliato con la testa in un cespuglio.
La flagellazione, dal latino "flagellum", era una punizione dolorosissima portata sul dorso del condannato piegato in avanti su una mezza colonna bassa.
Il "flagellum" usato dai romani era costituito da più filacci di cuoio che portavano legate all'estremità piccole ossa o palline di piombo che provocavano lacerazioni, sì che il condannato poteva anche non sopravvivere.
(L'uomo dell'immagine della Sindone di Torino reca i segni di una flagellazione del genere.)

Nei versetti successivi il Vangelo di Giovanni fa intendere che, in effetti, Pilato fece flagellare Gesù per dare soddisfazione e sedare il disordine provocato dagli avversari che lo accusavano e per impietosire il popolo, ma solo dopo la loro ulteriore negativa reazione, intimorito, Pilato emise la condanna a morte che, infatti, uscì fuori di nuovo davanti alla folla e disse loro: "Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna. Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: Ecco l'uomo! Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: Crocifiggilo! Crocifiggilo!" (Giovanni 19,4-6)

Gesù aveva il mantello color porpora, era rosso di sangue per la flagellazione e per la corona di aguzze spine battutagli sulla testa.
Pilato per farsi capire certamente pronunciò in aramaico, "Ecco l'uomo!" "hinneh ha'adam" prendendo spunto dal fatto che in ebraico Adamo=uomo e "rosso" hanno le stesse lettere , e queste sono dense di significato teologico in quanto certificano che la punizione caduta sul Cristo era quella per le colpe dell'uomo, del primo uomo quindi per il peccato originario.
Il Messia, infatti, avrebbe offerto la salvezza a tutta l'umanità:
  • "Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato, poiché sul monte Sion e in Gerusalemme vi sarà la salvezza, come ha detto il Signore..." (Gioele 3,5)
  • "...perché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori." (Isaia 53,12)
7a - Gesù è caricato della croce
Lo predisse il profeta Isaia: "...fu annoverato tra i malfattori". (Isaia 53,12)
Che Gesù fu caricato della croce non è detto esplicitamente dai Vangeli sinottici, infatti, il Vangelo di Matteo semplicemente annota: "Dopo averlo deriso... lo condussero via per crocifiggerlo". (Matteo 27,31)

Egualmente laconico è il Vangelo di Marco in 15,24.
Luca 23,26 dice che mentre lo conducevano via incontrarono Simone di Cirene.
Tutti e tre quei Vangeli riportano l'episodio di Simone di Cirene, ma non ne parla quello di Giovanni.
Al riguardo di Gesù che portò la croce il più esplicito è il Vangelo di Giovanni, perché riferisce che: "...portando la croce (in greco 'stauros' stauron), si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota..." (Giovanni 19,17) ove 'stauros' stauron ha significato sia di palo sia di croce, ma in un supplizio romano era di certo una croce latina e c'è la tesi che il condannato portasse solo l'asse trasversale, perché il palo era già infisso sul Golgota.
Nell'ebraico biblico non c'è la parola "croce" che si dice "saleb" .

Nel mio articolo "Per ricordarsi dove sono le nostre radici", al paragrafo "Le radici del nostro albero", ho riportato il testo di un'antica omelia pasquale sulla croce gloriosa nel quale tra l'altro si legge "Alla sua ombra ho posto la mia tenda" che è proprio la decriptazione di "croce" "saleb" ; infatti, in ebraico è anche "ombra", e B = è graficamente sia casa, che tenda, quindi "Alla sua ombra ho posto la mia tenda ".

LE STAZIONI PORTANDO LA CROCE
Sono le stazioni 8, 9 e10 lungo la via Dolorosa.

8a - Gesù è aiutato dal Cireneo a portare la croce
I soldati romani fermano un uomo, un contadino, evidentemente, robusto e ben messo, per portare per un tratto la croce di Gesù che era evidentemente spossato dalla flagellazione, onde il condannato potesse arrivare a destinazione ancora vivo e così poter subire la crocifissione a soddisfazione degli astanti.

Matteo in 27,32 dice solo che era un uomo di Cirene e che si chiamava Simone, quindi in ebraico "Shime'on" .
Le lettere ebraiche anche in questo caso ci aiutano a formare un'idea: Simone di Cirene "ascoltò Portò all'innocente Forza al corpo nei lamenti ".
Luca in 23,26 aggiunge che Simone tornava dai campi e poi con la croce seguì Gesù che lo precedeva nel corteo.
Marco in 15,21 precisa che questo Simone di Cirene era padre di Alessandro e di Rufo e fa intuire che quei personaggi, figli del Cireneo, erano noti a Roma, perché il Vangelo di Marco là fu scritto; peraltro, in Romani 16,13 si trova ricordato un Rufo.
(Nota personale: nel maggio del 1995 in pellegrinaggio a Gerusalemme in una Via Crucis che si sviluppò lungo la Via Dolorosa, ebbi l'onore di portare la croce, in quel caso invero leggera.)

Scrive il cardinal Ravasi a proposito dei figli del Cireneo "il gesto del padre di aiutare Gesù, non li aveva lasciati indifferenti e avevano aderito alla nuova religione diventandone membri noti"; il servizio involontario, ma efficace di quel Simone dette frutto e i suoi figli divennero cristiani!
Gesù e Simone si saranno guardati in faccia e il cuore di Simone si sarà incendiato dell'amore di Gesù?
Quel Simone, inoltre lavorava la campagna, quindi aveva una campagna rossa "'adamah" , e tale fatto fornisce il pensiero che rispettava il comando di coltivare e custodire la terra che Adamo in Genesi 2,15 ricevette nel paradiso terrestre prima di uscirne.
Simone era andato evidentemente nei campi la mattina presto e tornava verso le 11-12 del giorno per prepararsi debitamente per la festa che iniziava la sera, quindi, è da presumere che fosse anche un uomo pio sì che il suo nome, come quello dei suoi figli, è scritto appunto sulla Bibbia, il libro della vita!
Di fatto il Cireneo patì una parte delle sofferenze di Gesù per la salvezza di tutti e questa è la chiamata per tutti cristiani, quelli che vogliono seguirlo.

Giovanni non cita l'episodio del Cireneo, ma in 19,17 precisa che Gesù portò la croce e con questa uscì dal Pretorio, onde dando peso ai Sinottici il Cireneo fu d'aiuto per un tratto del percorso.
Cirene in Libia orientale, nell'attuale cirenaica, fu una colonia greca e poi romana al tempo di Gesù, e v'era insediata una comunità ebraica; quindi c'erano contatti con Gerusalemme per le grandi feste, infatti, negli Atti degli Apostoli 2,5-11 sono citati anche quelli di Cirene tra gli ascoltatori del primo Kerigma di Pietro.
Atti 6,9 poi informa che i Cirenei avevano una loro sinagoga a Gerusalemme, detta dei liberti e che alcuni di Cirene furono i primi che annunciarono Cristo ad Antiochia (Atti 11,19); indi in Atti 13,1 è citato un certo Lucio di Cirene.

In un ossario del I secolo nella valle del Cedron a Gerusalemme, Eleazer Sukenik dell'Università Ebraica di Gerusalemme, studioso dei rotoli del Mar Morto, ha trovato una teca di terracotta con sovrascritto "Alessandro figlio di Simone di Cirene" e visto che Alessandro era un nome raro per Gerusalemme di quel tempo, alta è la probabilità, che combinato con Simone e Cirene, quella teca fosse proprio la tomba delle ossa di quel personaggio e della famiglia in quanto vicina c'era anche un'altra teca di "Sara (figlia) di Simon, di Ptolemais", ossia Tolmeita, località ad ovest di Cirene, nella Cirenaica.

9a - Gesù incontra le donne di Gerusalemme
L'episodio dell'incontro lungo la Via Dolorosa di Gesù con le donne di Gerusalemme è ricordato soltanto dal Vangelo di Luca 23,27-31 in questo modo : il corteo della crocifissione era seguito da "una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi!, e alle colline: Copriteci! Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?"

Con quel Cadete su di noi! e alle colline: Copriteci! Gesù richiama una profezia di Osea 10,8 contro l'idolatria, e ne cita altre, se il legno verde... ossia il giusto... è bruciato... cosa si farà del legno secco... ossia dei peccatori veri? (Ezechiele 21,3-8 e Proverbi 11,31)

Ricorda in tal modo che si stanno avvicinando i tempi del giudizio finale.
Gesù nel vedere quelle donne che piangono lascia loro una parola che supera il sentimentalismo, perché desidera la vera conversione del cuore e lo dice alle madri, perché lo trasmettano ai figli, in quanto sono vicini gli ultimi tempi.
Non serve, infatti, compiangere a parole le sofferenze di questo mondo, mentre la nostra vita continua come sempre, per questo il Signore avverte del pericolo del peccato e richiama la serietà in previsione del giudizio ormai prossimo.

10a - Gesù è crocifisso
La crocifissione preceduta dalla rituale flagellazione era un modo per mettere a morte con un supplizio così atroce e umiliante che non poteva essere applicata a un cittadino romano, ma solo a schiavi e a stranieri colpevoli.
Sulla croce i condannati potevano essere legati o inchiodati.

Il Vangelo di Giovanni fa intendere che con Gesù furono usati i chiodi quando dice: "Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore! Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò". (Giovanni 20,24s)

Nell'ebraismo, l'impiccagione e la crocifissione erano i tipi di morte che si davano fuori della città a un criminale senza Dio, com'è evidente da: "Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno." (Galati 3,13)

Eppure nel caso di Gesù quel maledetto che pendeva dal legno fu riconosciuto che era diverso da tutti gli altri, tanto che il Vangelo di Matteo segnala: "Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: Davvero costui era Figlio di Dio!" (Matteo 27,54)

Analogamente il fatto lo citano Marco in 15,39 e Luca in 23,47 ove il centurione dice "Veramente quest'uomo era giusto".

Gli ebrei per la stessa Torah, davanti ai loro occhi invero avevano un impedimento per concludere quanto sosteneva il centurione e i suoi uomini.
L'appeso al legno, infatti, per la Torah è una maledizione di Dio, come dice il Deuteronomio 21,23 "Se un uomo avrà commesso un delitto degno di morte e tu l'avrai messo a morte e appeso a un albero, il suo cadavere non dovrà rimanere tutta la notte sull'albero, ma lo seppellirai lo stesso giorno, perché l'appeso è una maledizione di Dio e tu non contaminerai il paese che il Signore, tuo Dio, ti dà in eredità."

In effetti, chi fu maledetto, fu il serpente che pendeva dall'albero che aveva inoculato il suo veleno all'umanità tutta intera, invasa appunto del demonio.
Dio aveva detto il primo "maledetto" in questo modo: "Allora il Signore Dio disse al serpente: Poiché hai fatto questo, maledetto..." (Genesi 3,14)

Cristo fu messo in croce col corpo straziato e ferito, col sangue che gli scorreva sul volto, dalle spalle e dal capo coronato di spine e non si resero però conto i Giudei che si stavano compiendo le profezie d'Isaia sul "Servo di IHWH" e che un giusto: "È stato annoverato tra gli empi." (Isaia 53,12)

Sotto i loro occhi si attuava al vivo quanto dice il Salmo 22:
  • il Messia avrebbe gridato a Dio;
  • i denigratori avrebbero detto del Messia: "s'è confidato in Dio: lo liberi...";
  • i piedi e le mani del Messia sarebbero stati forati;
  • gli abiti del Messia sarebbero stati spartiti;
  • la tunica del Messia sarebbe stata tirata a sorte;
  • il Messia avrebbe avuto sete poco prima di morire;
  • il Messia sarebbe stato circondato dai Gentili alla Sua passione.
Di fatto non compresero che quegli era il Messia eppure lui recitava proprio quel Salmo quando diceva "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" in ebraico "Eloì, Eloì, lemà sabactàni?" e snocciolava davanti a loro le profezie che si stavano attuando.
Credettero che chiamasse Elia, eppure pregava in croce, con quel Salmo che proprio in quel modo inizia. (Vedi: "I Salmi, conforto del crocifisso")

LE STAZIONI SULLA CROCE
Sono tre le stazioni 11, 12 e 13, che riguardano Gesù in croce.

11a - Gesù promette il suo regno al buon ladrone
I Vangelo di Matteo al capitolo 27 dice dei ladroni in due occasione, versetti 38 e 44, e li accomuna senza distinzioni:
  • Matteo 27,38 - "Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra."
  • Matteo 27,44 - "Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo."
È confermato dal parallelo Vangelo di Marco ai versetti 15,27 e 32.
In tal modo si compì la profezia: "È stato annoverato tra gli empi." (Isaia 53,12)
Il Vangelo di Giovanni, invece, non segnala l'episodio.

La stazione 11 della Via Crucis "biblica", di fatto, prende spunto dal Vangelo di Luca in quanto tale Vangelo in 23,32 conferma il fatto della crocefissione tra i due malfattori detta da Matteo 27,38 e Marco 15,27, ma poi in 23,39-43 distingue tra quei due malfattori in questo modo: "Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi! L'altro invece lo rimproverava dicendo: Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male. E disse: Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. Gli rispose: In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso."

I due malfattori rappresentano la totalità degli uomini, perché non c'è uomo che non pecchi, quindi ognuno è meritevole di pena, a ciascuno però è comunque vicino Gesù che conosce bene ognuno ed è pieno di misericordia.
Nel Vangelo di Luca c'è, infatti, un versetto prezioso su cui poi tornerò: "Gesù diceva: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno" (Luca 23,34) e lo diceva proprio mentre era messo in croce!

Vi è una parte di uomini che ha un certo timore di Dio, ne riconosce la presenza e ne è consolata, ma non per questo Gesù non è vicino e amorevole con tutti, per la cui salvezza, in effetti, muore.
Su Golgota, calvo come un teschio umano, per questo detto Calvario, appena fuori della città santa, vicino al Tempio, c'erano tre croci, ai due lati i due malfattori, al centro il Verbo, la Parola di Dio, il servo di IHWH in croce.

In ebraico IHWH è scritto in questo modo

Nel sinaitico il segno corrisponde alla figura di un orante , ma se si guarda il primo di quei tre schemi pare un crocifisso schematizzabile col segno mineo-sabeo di e la lettera ebraica waw , pare un bastone.
Come ho detto in "Tracce di geroglifici nel Pentateuco - Prima Parte" e in "Tracce di geroglifici nel Pentateuco - Seconda Parte" nei geroglifici egizi il bastone dritto o rovesciato , rispettivamente significano, il primo MeDU sia "bastone", sia "parola" e il secondo HM il "servo".
Posso ora leggere in questo modo il tetragramma sacro:
È il Servo = la Parola tra due crocifissi , quindi, è la scena sul Golgota.


12a - Gesù in croce, la madre e il discepolo
Il racconto dell'episodio della stazione n 12 si trova soltanto nel Vangelo di Giovanni che riferisce: "Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna, ecco tuo figlio! Poi disse al discepolo: Ecco tua madre! E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé." (Giovanni 19,25-27)

È da ricordare che nello stesso racconto della passione si trova: "...Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora l'altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro." (Giovanni 18,15-16)

Pietro segue Gesù con un altro discepolo e pur se non c'è il commento "il discepolo che Gesù amava" tutto fa presumere che quegli fosse Giovanni, perché poi il Vangelo riferisce del colloquio tra Gesù e il Sommo Sacerdote, e solo il discepolo che v'entrò l'ha potuto riferire.

Ora, il primo versetto, il 19,25 dell'episodio di questa stazione non nomina Giovanni, ma Maria di Cleopa e la Maddalena.
Maria di Cleofa, da vari esegeti è indicata come moglie di Cleopa, fratello di San Giuseppe e madre dei cosiddetti fratelli-cugini di Gesù, Giacomo e Ioses.
In taluni è nato il dubbio che il discepolo che Gesù amava fosse la Maddalena, ma quel primo versetto fornisce soltanto l'indicazione delle donne sotto la croce.
Giovanni, peraltro, non vuole dire che egli era l'unico degli apostoli a essere presente, perché indirettamente sarebbe stato un atto di vanagloria e, pur se non parla di un discepolo specifico, il discepolo che Giovanni prima aveva citato, quello che conosceva il Sommo Sacerdote è logico e implicito che, poi, uscito, abbia continuato a seguire il corteo della passione, da solo, in quanto Pietro ormai era restato indietro impaurito.
L'episodio del discepolo e di Maria sotto la croce ci parla di Gesù, il primogenito e unico figlio di Maria che sta per lasciare la madre: è perciò l'ora di un affidamento, atto da inquadrare nei grandi avvenimenti biblici pieni di significato.
Gesù incaricò Maria di prendersi cura del discepolo e a questi di prendersi cura di lei, come Mosè incaricò Giosuè, di prendersi cura, in sua vece, del popolo ebraico, rappresentato da Maria da cui nascerà, appunto, il nuovo Israele. (Efrem siro IV secolo)

Maria è chiamata in questo episodio "Donna" come nel racconto delle nozze di Cana, chiaro riferimento alla Donna" di Genesi 3 che schiaccerà la testa al serpente, la nuova Eva.
Questo discepolo che rappresenta chi volendo seguire Gesù prende con sé Maria è un nuovo Giosuè, destinato a entrare nella terra promessa.
È perciò questo discepolo "amato", vale a dire eletto: chi segue il Signore è ora figlio della Sua stessa madre, quindi, fratello, coerede di Cristo come poi lui stesso confermerà alla Maddalena al sepolcro: "Gesù le disse: Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei fratelli e dì loro: Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro. Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: Ho visto il Signore! e ciò che le aveva detto." (Giovanni 20,17s)

È qui da aprire una parentesi: è questo discepolo amato, come un bambino, perché i figli della nuova Eva entreranno nella Terra Promessa.
D'altronde, proseguendo col parallelo di Giosuè, della generazione dell'antico esodo solo i figli dei fuoriusciti dall'Egitto entrarono nella terra promessa.
Al ritorno degli esploratori della terra promessa, dopo la mormorazione del popolo, infatti, Dio, disse: "...vi entrerà Giosuè, figlio di Nun...e i vostri bambini, ...a loro lo darò ed essi lo possiederanno". (Deuteronomio 1,38s)

Il Discepolo che Gesù amava rappresenta perciò quei bambini figli della promessa e figli di Maria, icona della Chiesa, tramite la quale è dato agli uomini un seno da cui poter nascere a vita nuova.

13a - Gesù muore sulla croce
I Vangeli sinottici riportano in modo diverso i segni manifestatisi nell'agonia di Gesù, ma sono concordi su due fatti, si fece buio e il velo del Tempio si squarciò, infatti:
  • Matteo 27,45 e 27,51-53 - "A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio" e dopo che Gesù spirò - "...il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti."
  • Marco 15,33 e 38 - "Quando fu mezzogiorno si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio" e dopo che Gesù spirò "Il velo del Tempio si squarciò in due da cima a fondo".
  • Luca 23,44s - "Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del Tempio si squarciò a metà."
I Padri della Chiesa vedono nell'evento della rottura del velo del Tempio l'apertura del cielo in virtù del sacrificio di Cristo; grazie a Gesù l'umano e il divino non sono più separati.

Da tutti gli evangelisti è però riportato in modo univoco il seguente fatto compiuto da Gesù sulla croce: Matteo 27,50 "...emise lo spirito"; Marco 15,37 e Luca 23,46 "...spirò"; Giovanni 19,30 "...consegnò lo spirito".

Dico "compì", perché pare che l'evento sia avvenuto come a comando: in effetti, c'erano tutte le condizioni naturali per morire, ma la morte fu ritenuta prematura, almeno fu così giudicata da molti.
Dai Vangeli in tale occasione non è però usata la semplice parola "morto" o "morì", che poi usarono soldati romani, quando furono sorpresi della rapida morte di quel condannato rispetto agli altri; infatti, nel Vangelo di Giovanni 19,33 è detto che: "Venuti da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe..." sì che la profezia del Salmo 34,21 fu rispettata e nessun osso gli fu rotto; del resto anche "Pilato si meravigliò che fosse già morto." (Marco 15,44)

È comunque certo che Gesù essendo anche vero uomo morì.
Il Vangelo di Giovanni a tale evento: "...Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: Ho sete. Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l'aceto, Gesù disse: È compiuto! E, chinato il capo, consegnò lo spirito." (Giovanni 19,28-30)

Gesù, sul monte degli Ulivi, aveva accettato la propria sorte quando, sudando sangue, aveva detto: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà." (Luca 22,42)

Ora sulla croce rinnova la decisione di bere il calice e dice: "ho sete".
Poi, su quel "Ho sete" di Gesù è da ricordare che:

in ebraico "sete" è "tzam'a/tzam'ah" o "sale la mia vita all'Unico " come offerta gradita e "scenderà Acqua dell'Unico per il mondo " e per berla "saliranno le centinaia ", infatti "...un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto" (Giovanni 19,37) e Gesù stesso disse "Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno". (Giovanni 7,37s) ed alla Samaritana disse "...chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna". (Giovanni 4,13s)

Questi passi dei Salmi:
  • Salmo 42,2s - "Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio. L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?"
    Pare proprio che anche il Salmo 42 fosse recitato da Gesù in croce.
  • Salmo 69,22 - "Hanno messo nel mio cibo veleno e quando avevo sete mi hanno dato aceto."
Accogliendo in pieno la propria missione Gesù voleva, infatti, morire come ogni altro figlio di Adamo per essere accumunato alla sorte di chi voleva salvare e dimostrare l'inettitudine del demonio, che in tal caso avrebbe ucciso il "giusto".
È il demonio, infatti, che della morte ha il potere, come chiaramente si legge in Ebrei 2,14s: "Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita."

Pare potersi intuire che Gesù, vero Dio e vero uomo, per poter subire, pur senza peccato, la sorte d'ogni figlio di Adamo, soggetto alla maledizione del demonio, e morire, non voleva detenere alcuna prerogativa vantaggiosa rispetto agli altri uomini, se non i meriti degli atti del proprio vivere da uomo nella giustizia, quindi, innocente, affidandosi al cielo, sceglie di non godere della natura divina che era in Lui: difatti, Gesù, consegnato lo spirito, morì!
È così da verificare se ammissibile teologicamente che lo spirito divino che era in Gesù che pure era vero uomo, fu restituito al Padre, perché si compisse ogni giustizia, cioè perché l'uomo Gesù potesse veramente morire come ogni uomo e si potesse mostrare la volontà divina, che se avesse ritenuto di accogliere il sacrificio di questo uomo risorgendolo, gli riconsegnerà, come avvenne, il suo spirito immortale, per donare la stessa sorte, vale a dire proprio quel suo stesso spirito, a tutta l'umanità perdonata e redenta dalla sua morte in croce, onde Adamo e tutti i suoi figli morti nel peccato potessero uscire dagli inferi.

Al riguardo è chiarificatore quanto è detto poi dal Vangelo di Giovanni 7,37-39 in occasione della festa detta delle Capanne: "Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno. Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti, non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato."
Lo spirito di Gesù, garanzia di risurrezione, fu poi alitato dal Risorto sui dodici e nella notte della prima Pentecoste cristiana discese come colomba con lingue di fuoco sulla Chiesa nascente riunita nel cenacolo.

Ecco, infine, la frase finale di Gesù in croce "È compiuto!", in greco tetelestai, cioè ho portato a termine la mia missione terrena.
Al riguardo pare opportuno ricordare le parole del libro della Genesi alla fine dei sei giorni della creazione: "Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere." (Genesi 2,1)

Il Signore là pare riposarsi nel settimo giorno, giorno che, di fatto, dura tutt'ora.
Continuò invece la creazione tessendo la storia di salvezza fino a incarnarsi per salvare l'uomo che nel frattempo, comportandosi incautamente, era stato schiavizzato dal maligno.
Gesù nel suo ministero aveva più volte accennato alla propria missione e alla necessità di portare un compimento e aveva iniziato la predicazione con l'annuncio che era il tempo del compimento, infatti:
  • Marco 1,14s - "...Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo".
  • Luca 12,50 - "C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!"
  • Luca 22,37 - "Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori (Isaia 53,12)..."
  • Luca 24,44-47 - "Poi disse... bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi..."
  • Matteo 5,17s - "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento..."
Ogni uomo dovrebbe rivolgersi la domanda che propone Paul Claudel nel commento alla Via Crucis di questa stazione: " "Perché, tutto a un tratto, ti raddrizzi e gridi: 'Sitio'? Hai sete, Signore? È a me che ti rivolgi? È di me e dei miei peccati che hai bisogno ancora? Manco dunque solo io, prima che tutto sia compiuto?"

ULTIMA STAZIONE, 14a GESÙ È DEPOSTO NEL SEPOLCRO
Il corpo di Gesù fu tolto dalla croce e deposto in un sepolcro essendo giunta la sera della Parasceve, ossia della vigilia del sabato.
"Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato - era infatti un giorno solenne quel sabato - chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via." (Giovanni 19,31)

La sepoltura avvenne in fretta prima della notte.
Fu tolto dalla croce, per comando della Torah in Deuteronomio 21,23 che ho citato nella stazione 10a "Gesù è crocifisso".

Matteo tratta l'argomento della sepoltura in 27,57-66 riferendo di Giuseppe d'Arimatea che andò da Pilato, ne ottenne il corpo, prese un lenzuolo pulito e lo depose nel proprio sepolcro nuovo scavato nella roccia, davanti fu rotolata una pietra e i sacerdoti posero le proprie guardie a vigilare, mentre tutto videro Maria di Magdala e Maria di Giacomo e la madre dei figli di Zebedeo.
Marco in 15,42-47 aggiunge che Giuseppe d'Arimatea "era un membro autorevole del sinedrio" e che andò "con coraggio" da Pilato - che come ho accennato rimase stupito che fosse già morto e mandò un centurione ad accertarsi - poi il d'Arimatea comprò un lenzuolo... presenti le due Marie.
Luca in 23,50-56 precisa che Giuseppe d'Arimatea era buono e giusto.
Giovanni in 19,38-42 aggiunge la presenza alla deposizione di Nicodemo che portò mirra e aloe e informa che il sepolcro era in un "giardino".

Tutto con Adamo in un giardino era iniziato, nel Gan Eden, come del resto la Via Crucis inizia nel giardino del Getsemani e in un giardino finisce, quello attorno al Calvario: "Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto." (Giovanni 19,41) come a significare che un Figlio dell'uomo, di Adamo, finalmente è rientrato nel giardino, ha compiuto il percorso "giusto"; il labirinto che gli frapponeva l'accusatore e tentatore è stato superato.
Giuseppe di Arimatea assieme a Nicodemo depose il corpo di Gesù in un sepolcro e pensavano di consegnarlo allo Sheol, il regno dei morti.

La vita eterna, infatti, era ancora un privilegio di Dio e degli spiriti celesti.
Dell'uomo Gesù per i mortali sarebbe restato, come accade per tutti gli uomini, solo il corpo fino alla decomposizione.
La speranza della risurrezione era per gli ultimi tempi, speranza che nutrivano soltanto quelli che credevano in tale evento finale.
Quel sabato fu il giorno di riposo annunciato in cui il Signore si sarebbe interessato dei trapassati.
La tradizione, infatti, ricordata dal Catechismo della Chiesa Cattolica asserisce:
  • 631 - "Gesù "...era disceso nelle regioni inferiori della terra. Colui che discese è lo stesso che anche ascese..." (Efesini 4,10). "Il Simbolo degli Apostoli professa in uno stesso articolo di fede la discesa di Cristo agli inferi e la sua risurrezione dai morti il terzo giorno, perché nella sua Pasqua egli dall'abisso della morte ha fatto scaturire la vita...
  • 633 - "La Scrittura chiama inferi, Shéol il soggiorno dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi si trovano sono privati della visione di Dio. Tale infatti è, nell'attesa del Redentore, la sorte di tutti i morti, cattivi o giusti; il che non vuol dire che la loro sorte sia identica, come dimostra Gesù nella parabola del povero Lazzaro accolto nel seno di Abramo. Furono appunto le anime di questi giusti in attesa del Cristo a essere liberate da Gesù disceso all'inferno...

La liturgia delle ore all'Ufficio delle Letture della vigilia di Pasqua propone questa antica "Omelia sul Sabato santo" del tutto intonata con questi pensieri:
"Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi. Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione. Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: Sia con tutti il mio Signore. E Cristo rispondendo disse ad Adamo: E con il tuo spirito. E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà. Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo da qui! Tu in me e io in te siamo infatti un'unica e indivisa natura. Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta. Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati. Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all'albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. Il mio costato sanò il dolore del tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell'inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te. Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio. Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l'eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli."

Dio Padre ha accettato il rientro nel Giardino compiuto dall'Uomo nuovo, riaccese in Lui lo Spirito, la sindone rimase come afflosciata, la tomba non lo potette trattenere e Gesù il Cristo, il nuovo Adamo, risorse!
Si compì per un primo uomo la profezia "...non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione." (Salmo 16,10)

IL CORDONE OMBELICALE
Visto che esistiamo, Dio è amore.
Se Dio non esistesse e non amasse, nessuno esisterebbe in quanto ognuno è stato pensato e scelto in modo unico ed è amato in modo particolare, quindi, vive grazie a Lui che è il vero Genitore della nostra esistenza.
Teologicamente parlando siamo fratelli di Gesù, suo figlio, l'Unigenito, che è morto per noi e ci ha perdonati.
In virtù di ciò, nonostante gli errori, grazie al battesimo, l'uomo è nato a natura nuova che gli consente di essere figlio adottivo di Dio.
Gesù, col perdono, ha fatto rientrare l'umanità a pieno titolo nel cuore del Padre da cui il peccato l'aveva divisa, perché il Padre non può non ascoltare il Figlio.
Gesù, infatti, ebbe a dire al Padre in occasione della risurrezione di Lazzaro: "Io sapevo che mi dai sempre ascolto" (Giovanni 11,42) e in croce disse: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". (Luca 23,34)

In occasione del testamento spirituale aveva chiesto "Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch'essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. ...E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro." (Giovanni 17,24-26)

Tutto ciò conferma che la comunicazione tra il Figlio e il Padre era attiva, tra i loro due cuori spirituali c'era e c'è unità di sentire.
Attraverso Cristo, quindi, si arriva al Padre e Gesù, appunto, è il ponte che porta la santità e conduce al Santo.
Ho lasciato a questo momento il commento a un evento importante intervenuto quando andarono da Gesù in croce per costatarne la morte.
I soldati romani venuti da Gesù " ...vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto." (Giovanni 19,33-37).

Fisicamente, attraverso quel foro c'è stata una comunicazione col cuore di Gesù da cui uscirono i segni di un parto, acqua e sangue, una nascita, la Chiesa che con i sacramenti della salvezza, battesimo ed eucaristia, è l'utero di misericordia che fa nascere a vita nuova e i neonati, i neofiti, imparano da lei l'accesso al Sacro Cuore di Gesù che è, appunto, in comunicazione col Padre.
In tal modo è stato trovato il percorso efficace per uscire dal labirinto degli inganni di questo mondo con il giusto cammino della Verità.
Da Gesù di Nazaret il Re dei Giudei "Melech haYehudim" è avvenuto che il "Re ad aprire è stato lo splendore per chi fu un vivente " e il Preconio Pasquale ben coglie questa realtà quando si canta con alleluia: "Lo splendore del re ha vinto le tenebre, le tenebre del mondo".

a.contipuorger@gmail.com

Tutti gli articoli di BibbiaWeb

vai alla visualizzazione normale di inizio articolo     invia questa notizia ad un amico

 
DECRIPTARE LA BIBBIA - Le lettere del RE
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera jod
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera kàf
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera lamed
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera mèm

DECRIPTARE LA BIBBIA - Ala a destra del RE
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera nùn
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera samek
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera 'ajin
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera pè

DECRIPTARE LA BIBBIA - Ala a destra estrema
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera sade
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera qòf
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera resh
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera s'in e shìn

DECRIPTARE LA BIBBIA - Ala a sinistra del RE
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera wàw
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera zàjin
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera hèt
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera tèt

DECRIPTARE LA BIBBIA - Ala a sinistra estrema
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera bèt
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera ghimel
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera dalet
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera hè

DECRIPTARE LA BIBBIA - Il primo e l'ultimo
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera 'alef
DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera taw


Bibbia Home | Autore | Perché Bibbiaweb? | Contatti | Cerca | Links
info@bibbiaweb.net  
Per i contenuti tutti i diritti sono riservati ad Alessandro Conti Puorger
BibbiaWeb

Alessandro Conti Puorger Alessandro Conti Puorger
Via Eleonora d'Arborea 30 - Roma - Italy

Realizzazione EdicolaWeb Edicolaweb.net
Via S. Maria a Cintoia 14/b - Firenze, Italy