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PERSEGUITATI PER LA GIUSTIZIA
"Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli." (Matteo 5,10)
Di quale giustizia parla questa Beatitudine?
Certamente non della giustizia dei tribunali terreni, altrimenti avrebbe detto i perseguitati dalla giustizia.
Si coglie invece che quelli di cui parla sono perseguitati per la propria giustizia che manifestano e annunciano con la propria vita.
Sono quelli che nelle Scritture sono "i giusti" gli "tsaddiqim"
dal radicale
di "essere retto, essere innocente, essere giusto" da cui "tsedaqah"
e "tsoedoeq" per giustizia, rettitudine, probità."
Implicita in un certo senso con le stesse lettere ebraiche della parola giusto "tsaddiq"
c'è l'idea dell'essere perseguitato; infatti, se spezziamo quel termine in
+
,
visto che
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è il radicale di "insidiare, cacciare" e che
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è "obbedienza" viene suggerito "insidiare l'obbediente", cioè chi rispetta le leggi divine.
Al riguardo oltre quanto dice Isaia sul Servo di IHWH, sulle insidie del giusto ad esempio si trova nelle Sacre Scritture:
- Isaia 57,1 - "Perisce il giusto, nessuno ci bada. I pii sono tolti di mezzo, nessuno ci fa caso. Il giusto è tolto di mezzo a causa del male."
- Sapienza 2,18-20 - "Se il giusto è figlio di Dio, egli l'assisterà, e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti, per conoscere la mitezza del suo carattere e saggiare la sua rassegnazione. Condanniamolo a una morte infame, perché secondo le sue parole il soccorso gli verrà", molte di queste parole sono simili a quelle richiamate nel Vangelo di Matteo come dette dagli astanti sotto la croce.
- Salmo 37,30-33 - "La bocca del giusto proclama la sapienza, e la sua lingua esprime la giustizia; la legge del suo Dio è nel suo cuore, i suoi passi non vacilleranno. L'empio spia il giusto e cerca di farlo morire. Il Signore non lo abbandona alla sua mano, nel giudizio non lo lascia condannare."
Istigato, infatti, nei propri comportamenti dall'egoismo, eccitato dal complesso dei cattivi insegnamenti propagati nel mondo nei millenni e dagli esempi negativi che vengono da ogni parte, l'uomo, mentre assimila il male con l'aria che respira, è causa di continue ingiustizie nei confronti dei più deboli.
Accade così che, per il mancato rispetto della regola aurea di non fare all'altro ciò che non vorresti per te o meglio "come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro" (Luca 6,31), il mondo è veramente colmo d'ingiustizia.
"Mors tua vita mea - la tua morte e la mia vita" e "homo homini lupus - l'uomo è un lupo per l'uomo" sarebbero le tendenziali regole di comportamento a cui si frappongono quelle della giustizia della società per difendersi e rendere possibile un minimo di vita "civile".
Nel quadro sopra tratteggiato l'uomo giusto è d'intralcio, la sua sola presenza è un gran rimprovero mal sopportato.
Meglio eliminarlo è la reazione della maggioranza pragmatica silenziosa che pervade ogni settore.
Il tema del giusto sofferente, che nelle Sacre Scritture giudeo - cristiane è presente nel libro di Giobbe e nel libro del profeta Isaia con i canti del Servo di IHWH, fu ripreso da Platone.
L'intuizione filosofica di Platone al riguardo coincide, infatti, in modo impressionante col IV Canto del Servo del Signore nel libro del profeta Isaia (53,2b-12).
(Vedi: "Il "tempo" pedagogia di Dio, palestra d'eternità in attesa del Messia")
Nel dialogo della Repubblica sullo stato ideale, Platone conclude, infatti, che la rettitudine d'un uomo è perfetta se accetta ingiustizia per amore della verità, ma conclude che ciò non sarà sopportato dal mondo, sia pure ideale, "la Repubblica, in cui tende a vivere.
Scrive Platone che il sommamente giusto deve essere "...un uomo semplice e generoso che, dice Eschilo, vuole non apparire, ma essere onesto. E l'apparire bisogna appunto eliminare. Se infatti vorrà apparire, potranno derivarne onori e vantaggi, appunto perché appare giusto. E non si potrà allora scorgere se è giusto per causa di giustizia o per causa di vantaggi e d'onori. Ecco, di tutto facciamolo ignudo. Sola in lui giustizia... Effigiamolo dunque opposto al precedente e pur non commettendo nessuna ingiusta azione abbia sicura fama di ingiustizia. Così sarà fatta prova del suo amore per la giustizia, se davvero non si lascia flettere da cattiva fama e da conseguenze che da quella derivano. Incrollabile andrà sino alla morte, per tutta l'esistenza sembrando ingiusto, mentre è un giusto... il giusto sarà flagellato, sarà torturato, posto in ceppi sarà, gli si bruceranno gli occhi, da ultimo, sottoposto ad ignominia estrema, sarà impalato (Platone, La Repubblica o Politéia, libro II°, Rizzoli 1953, p.122-123)".
Il comportamento del vero "giusto", di fatto, scredita i valori correnti di ricchezza, potere, forza, all'interno delle istituzioni.
Ciò è quanto è accaduto a Gesù, perseguitato dalla giustizia di Erode già da bambino tanto che la Santa Famiglia dovette fuggire in Egitto.
Da adulto, dopo aver predicato con parole di vita eterna e aver operato ogni sorta di bene con miracoli e segni prodigiosi, fu giudicato da più tribunali, dal religioso Sinedrio ebraico e da quello politico del potere romano, fu poi flagellato, beffeggiato e condannato a morte con ignominia sulla croce.
Questi fu evidente che incarnava il "Giusto" perseguitato dalla migliore giustizia del mondo contemporaneo, per la Giustizia divina dell'amore che portava.
Chiunque con la propria vita fa presente il Vangelo reca al mondo l'annuncio della vera giustizia e se per questo sarà perseguitato, sarà beato perché entrerà nel Regno dei cieli.
Rientrano in questa benedizione i martiri dal greco "" testimone" della fede, coloro che per diffondere il Vangelo sono incorsi in pene e torture, fino alla pena capitale sull'esempio di Cristo Gesù.
Nel Discorso della Montagna molte sono le considerazioni sulla vera giustizia, che consiste nel compiere i comandamenti senza ipocrisia, andando al cuore del problema che è comportarsi con amore verso tutti, quindi, con una giustizia maggiore di quella degli scribi e dei farisei.
Il comandamento che avvicinerei a questa beatitudine è il 8° della tradizione ebraica, ossia "non rubare", per non essere giudicati giustamente.