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L'UOMO LIBERO, IL PECCATO E IL PENTIMENTO
I saggi del Talmud commentarono in modo particolare il versetto del libro della Genesi che riguarda l'atto creativo dell'uomo, con cui Dio intese farlo libero, quindi con la possibilità di scegliere: "Allora il Signore Dio plasmò l'uomo..." (Genesi 2,7)
Quel verbo è plasmò o, meglio, formò l'uomo, come un vasaio che fa un vaso.
Ora, in ebraico quel verbo è scritto "vajjitser" in cui vi sono due "jod" , come una doppia "esistenza", in quanto è da tener conto che la "jod" è proprio la lettera dell'essere con cui inizia il Tetragramma sacro.

A ciò è da aggiungere che "jetzer" è anche "inclinazione", onde quei Dottori ebbero a concludere che nell'uomo "Il Santo che benedetto sia, creò due inclinazioni, l'una buona e l'altra cattiva" (Ber. 61 a) la buona inclinazione - "jetzer tob" e la cattiva inclinazione - "jetzer hara'".
"Cattiva inclinazione" non perché Dio ha creato qualcosa di cattivo, ma perché l'uomo può farne cattivo uso come accade per gli istinti naturali e il desiderio sessuale che pur fa parte di "era molto buono" della creazione (Genesi 1,31), infatti, considerano quei saggi; "Se non fosse per questa inclinazione, nessuno edificherebbe una casa, sposerebbe una moglie, genererebbe figli o si affaccenderebbe in negozi." (Genesi R. IX 7)
Questa inclinazione, che può diventare cattiva, è attributo che rende l'uomo diverso nel senso di santo, perché dà un senso anche al bene che fa e lo rende un essere morale e non come negli "animali in cui non c'è cattiva inclinazione". (ARN XVI)

Dopo il Diluvio nel racconto considera il Signore Dio "...l'istinto del cuore umano è incline al male fin dalla adolescenza" (Genesi 8,21) e conclude il Talmud che la cattiva inclinazione ha la stessa età del singolo, mentre la buona di fatto inizia all'età di 13 anni in occasione della "Bar Mitzvah" o "Figlio del Comandamento" in cui l'individuo è considerato adulto per la comunità e quella inclinazione la riceve con la Torah.
"La cattiva inclinazione" è subdola "è da principio come un filo di ragnatela e poi come la corda di un carro", "da principio è come un viandante, poi come un ospite, poi diviene il padrone di casa" (Suk. 52 a e b), "da principio è dolce e alla fine amara." (Shab. 14 c)
Giusto e colui che controlla l'inclinazione cattiva (Aboth IV 1), infatti "I malvagi sono sotto il dominio del loro cuore (della loro cattiva inclinazione), i giusti tengono il cuore sotto il proprio controllo" (Gen. R. XXXIV 10)

Le parole che Dio disse a Caino prima del suo grande peccato, peraltro, furono "...il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dominalo". (Genesi 4,7b) da cui s'evince che c'è il libero arbitro.
La vita, infatti, comporta delle scelte che l'uomo liberamente deve adottare (Deuteronomio 11,26; 30,15) e si conclude "Tutto è previsto (da Dio), ma si dà libertà di scelta." (Aboth III 19)
È comunque da servire "Dio con tutto il cuore" (Deuteronomio 6,5) ossia con l'inclinazione buona e con quella cattiva, sapendola controllare.
La questione del "peccato originale" nel Talmud è posta in modo che vi si trovano sia dei pro sia dei contro con elementi per accoglierlo o meno.
Da una parte non è ammesso dalla logica di essere colpevoli di qualcosa non commesso personalmente il che parrebbe contrario al libero arbitrio.
Per contro l'esistenza di un uomo senza peccato è soltanto teorica, perché "Non c'è infatti sulla terra un uomo così giusto che faccia solo il bene e non pecchi." (Qoelet VII 20)
È poi anche vero che i bilanci relativi alla giustizia non possono essere limitata solo al capitolo della vita terrena e Dio sa rendere per il bene anche il male.
Tutti muoiono e la morte, anche dei bambini, pur di "un bambino di un anno, che non ha sentito sapore di peccato" (Joma 22 b), come abbiamo visto, è attribuita dal Talmud stesso a conseguenza di colpe.
La causa che se ne deduce è l'intervenuto innesto nell'umanità di un corpo estraneo, che ha comportato un peccato "genetico", che per conseguenza ha il rigetto della vita divina e ci relega tra quelli che hanno vita a termine.

I peccati sono contro Dio e contro il prossimo, ma "Il Giorno dell'Espiazione espia le trasgressioni tra l'uomo e l'Onnipotente, ma quelle tra l'uomo e il suo compagno non le espia finché non abbia dato soddisfazione al suo compagno". (Joma VIII 9) e "Il far peccare un altro è peggio che ucciderlo; perché uccidere una persona è solo allontanarla da questo mondo, ma farla peccare è escluderla anche del Mondo Avvenire". (Sifré Deut. 252,120a)
In parallelo, alla possibilità della cattiva inclinazione, Dio come conto altare, per giustizia, ha creato anche il pentimento, infatti "Sette cose furono create prima che l'Universo fosse. Esse sono: Torah, penitenza, Paradiso, Ghehinnom, il Trono della Gloria, il Santuario e il Nome del Messia". (Pes. 54 a)

Si trovano nel Talmud echi dei Vangeli e viceversa, come:

  • "Il posto che occupa il penitente, l'uomo perfettamente giusto è incapace d'occuparlo." (Ber. 34 b)
  • "Figli apritemi una via al pentimento stretta appena come la cruna di un ago ed Io vi aprirò porte per cui potranno passare carri e cocchi." (Cant. R. V 2)
Il pentimento è condizione necessaria per essere perdonati "Né un'offerta per il peccato, né un sacrificio espiatorio, né la morte, né il Giorno dell'Espiazione possono portare espiazione se non v'è pentimento." (Tosifta Joma V 9)
È poi da tenere conto che un principio generale del Talmud legato alla giustizia divina è che " Non c'è sofferenza senza iniquità" (Shab. 55 a) vale a dire le punizioni prima o poi arrivano in cielo o in terra e comunque sono il contraccambio per il male commessa e chi espia prima non espia dopo.
A seguito del "vide che era molto buono" di Genesi 1,31 nasce la domanda: anche la sofferenza? "Sì perché per mezzo di essa gli uomini ottengono il Mondo Avvenire." (Gen. R. IX 8)
Perché il Signore mette alla prova i giusti?

Dio è come un vasaio, i vasi incrinati basta provarli una volta sola e si rompono, ma quelli sani li prova più volte: d'altronde il giogo si mette alla vacca più forte. (Gen R XXXII 3)
Pur se la legge del contrappasso tra pena e giustizia è forte nel Talmud, questo fin dall'inizio predica la dedizione disinteressata, vale a dire non per l'aspettativa di ricompensa: "Non siate come servi che servono il padrone allo scopo di ricevere una ricompensa, ma siate come servi che servono il padrone senza lo scopo di ricevere una ricompensa: e il timore del Cielo sia su di voi." (Aboth I 3)
Pensiero chiaro che nacque su questo tema fu che "Più grande è colui che esegue (i precetti) per amore, che chi li esegue per timore." (Sot. 31 a)

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