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SAN GIUSEPPE...

 
VEDERE IL SANTO VOLTO

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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IL PECCATO VELA LA VISIONE DI DIO
Lo ricorda bene il Salmo 24,3-6: "Chi salirà il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronunzia menzogna, chi non giura a danno del suo prossimo. Otterrà benedizione dal Signore, giustizia da Dio sua salvezza. Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe."

È, infatti, da ricordare che Mosè all'Oreb si coprì la faccia davanti a Dio che gli parlava dal roveto ardente, perché aveva paura del giudizio divino.
Il Santo e la santità sono è capaci di fa insorgere un sacro timore, giacché ne consegue che la grande luce che promana mette in risalto le miserie umane.
Mosè tra l'altro era nel peccato perché, come si ricorda, aveva ucciso un egiziano che maltrattava un fratello ebreo (Esodo 2,12).

La voce in Esodo 3,6 gli disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio."

Tornando a quel giorno, grande e terribile, l'Apocalisse parla di rupi di monti e caverne per nasconderci la faccia di Colui che siede sul Trono e dall'ira dell'Agnello; perché?
Quei particolari intendono ricordare e portare al brano dell'Esodo, su cui torneremo, in cui ancora sullo stesso Oreb il Signore passò davanti a Mosè proclamando "Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà" (Esodo 34,6), ma nascose Mosè nella cavità di una rupe e questi non vide così il volto di Dio, ma solo le Sue spalle.
Dio nascose a Mosè il suo volto, ma alla fine si presenterà a tutti i vivi e i morti con l'ira dell'Agnello, questo sarà il volto che tutti gli uomini vedranno alla fine dei tempi.
Grande, appunto, è il terrore, perché tutti, liberi o schiavi, insomma ogni uomo in un modo o nell'altro è condizionato dal peccato.
Grande, però è anche il mistero della misericordia di Dio che nel combattimento finale contro il male si presenta nelle vesti di un Agnello e combatte con la parola, la verità e la giustizia, ma soprattutto vince con l'amore!
L'ira di Dio, in definitiva, è il volto di Cristo, il volto dell'Agnello, inviato per la salvezza e non per la condanna; infatti, dice il Vangelo di Giovanni: "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui." (Giovanni 3,17)

In ebraico, faccia "panì" e ira "'af" hanno in comune la lettera di bocca "Peh", icona di un volto (infatti = a fine parola).

Leggendo le singole lettere di "ira" "'af" come icone si ottiene che è vedere "dell'Unico il volto ", "dell'Unico la bocca " quindi "dell'Unico la Parola ", ossia essere al cospetto del Verbo di Dio.

Le antiche profezie e gli stessi Salmi di Davide attendevano "Il più bello dei figli di Adamo" (Salmo 45,3)
Questi in modo chiaro parlano di Lui, del Messia, il Consacrato, il Cristo, l'Unto.
"'Adam" in ebraico è anche l'uomo in generale.
Il figlio di Adamo è l'uomo nuovo atteso quello che non poté nascere dalla prima coppia che ormai aveva peccato.

Nei Vangeli la definizione "Figlio dell'Uomo" si trova circa 80 volte.
Quel Salmo, infatti, così prosegue: "Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia, perciò Dio ti ha benedetto per sempre. O prode, cingiti al fianco la spada, tua gloria e tuo vanto, e avanza trionfante. Cavalca per la causa della verità, della mitezza e della giustizia. La tua destra ti mostri prodigi. Le tue frecce sono acute sotto di te cadono i popoli colpiscono al cuore i nemici del re. Il tuo trono, o Dio, dura per sempre; scettro di rettitudine è il tuo scettro regale. Ami la giustizia e la malvagità detesti: Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia, a preferenza dei tuoi compagni." (Salmo 45,3-8)

In questo Salmo "Tu sei il più bello" in ebraico è scritto "iapeiapita" , mentre bello soltanto e "iapoeh" , appunto per questo è un superlativo.
Spezzandolo + tenuto conto che da solo è "bellezza", "magnificenza", "splendore" si può pensare a "bellezza/splendore/magnificenza del volto Completa "; e ancora, considerato che è un pezzo di pane per oblazione (Levitico 2,6), ci sta anche "bellissimo pezzo di pane per oblazione ".

Il peccato dilaga nel mondo perché nel cuore dell'uomo da tempi atavici non c'è posto per Dio o comunque Dio non è messo al primo posto.
Tutto ciò che lo sostituisce o lo soppianta è definibile come "idolo".
Una persona o cose, anche se possono sembrare banali, che prendono nel nostro cuore il posto di Dio, sono, infatti, da considerare idoli.
L'amore del denaro, la concupiscenza, l'avarizia, la ghiottoneria sono tutte forme d'idolatria, come pure lo sport, il potere, il sesso, l'io dell'uomo, l'opera delle nostre mani, l'operare continuamente per apparire e per farsi riconoscere ed, infine, lo stesso "amore" geloso per una persona possono diventare idoli.

In definitiva, se si mette la creatura al posto del Creatore si incappa nell'idolatria.
"Gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla gola non emettono suoni." (Salmo 115,4-7; Salmo 135,15-17)

Siamo noi stessi che diventiamo come pupazzi, marionette mosse da un'altra volontà, infatti, la nostra mente e la nostra bocca non ci dicono più che sbagliamo, i nostri occhi non vedono più gli errori che facciamo e, purtroppo le nostre gambe, quelle spirituali c'impediscono di proseguire nel cammino di conversione.

Guardiamo e vediamo bene i difetti degli altri, ma non vediamo i nostri.
Si realizza così pienamente il monito di Gesù quando ci pone in attenzione col dire: "Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello." (Luca 6,41s)

Com'è noto, c'è nella Torah, sia in Esodo 20,4, sia in Deuteronomio 5,8 il comandamento: "Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra."

Dalla parte di Bibbia comune con la Tenak ebraica, cioè di quei libri dell'Antico Testamento scritti sin dall'origine in ebraico o aramaico, potrebbe allora apparire paradossale che nonostante l'impedimento di farsi immagini di Dio vi siano in più parti Sue descrizioni che lo presentano in forma e con sentimenti umani.
Manifestazioni o presentazioni antropomorfiche del Dio d'Israele sono fatte proprie dall'Antico Testamento e accettate dai "midrash" ebraici, ma è poi trovata repulsione da parte dell'ebraismo, almeno come c'è pervenuto dopo gli eventi del 70 d.C., ad accettare la natura divina in un uomo.
Per l'ebraismo attuale, infatti, il Messia, da loro ancora atteso, sarà comunque soltanto un uomo, mentre questo eletto, l'Unigenito di Dio, nella fede cristiana è Gesù di Nazaret, il Cristo, in cui oltre l'umana c'è la pienezza della natura e sostanza divina.
L'opinione ebraica è che trattandosi di un Dio che si rivela, cioè che si mette in relazione, è evidente che le Sacre Scritture devono colpire l'attenzione dei fedeli con aspetti a loro adatti, quindi, per loro è del tutto plausibile che nella narrazione quanto captato di Lui da parte di un uomo debba avere connotazioni comprensibili agli altri in modo che la descrizione possa essere raccolta, ma punto e basta!

Mentre ciò è comprensibile dal punto di vista razionale e umano tale posizione non pare però tener conto della volontà divina, proposta nei testi ispirati delle Sacre Scritture, in particolare nel Salmo 82,5-7 che a chiare note così si esprime: "Non capiscono, non vogliono intendere, avanzano nelle tenebre; vacillano tutte le fondamenta della terra. Io ho detto: Voi siete dei, siete tutti figli dell'Altissimo. Eppure morirete come ogni uomo, cadrete come tutti i potenti."

Gesù stesso pone in evidenza proprio quel passo ai Giudei: "Disse loro Gesù: Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dei? Ora, se essa ha chiamato dei coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio - e la Scrittura non può essere annullata, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio?" (Giovanni 10,34-36)

Ecco che quel comandamento che proibisce le immagini di Dio allora non è infranto dai cristiano quando da questi Dio viene venerato nell'immagine del suo Figlio.
San Giovanni nella sua prima lettera: "Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita, infatti, si manifestò, noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi - quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo." (1Giovanni 1,1-4)

Parlando di Dio, allora, accade che ai cristiani i termini come "demut" immagine, "tselem" somiglianza, "tsurah" forma, "panim" volto, danno un pathos particolare, perché portano subito alla mente il volto raggiante d'amore per noi di nostro Signore.

I sacri testi della Tenak o Antico Testamento ebraico non potevano, infatti, che tratteggiare un Dio nascosto in un forno fumante e una fiaccola ardente, in un roveto, dietro un velo, sulla nube, con una colonna di nubi e con una colonna di fuoco, nel terremoto, nel fuoco e in un vento leggero.
Gli stessi però hanno anche accennato a un Dio - persona, vivo e comunicante, simile per più aspetti ad Adam, all'uomo e alla donna, maschio e femmina, con faccia, spalle, petto, gambe, piedi, narici, braccia, con mani e dita che parla, siede, odora, che s'addolora, si rallegra... e può cambiare opinione, essere geloso e preso da emozioni anche se è lento all'ira, un re che giudica sul trono divino o nel Tempio.

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