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IL PERDONO
di Alessandro Conti Puorger

VITA, TEMPO DI PROVA
La prima domanda che si fa ogni uomo di questa terra appena è in grado di valutare la propria condizione, è: il mio esistere in questo mondo, di cui vedo i limiti esistenziali, è tutto e solo ciò che mi spetta o c'è anche altro?
Un secondo passo mentale su tale argomento è: ogni realtà è sempre il risultato di una causa, ma io e il mondo per quale causa esistiamo?
Accade poi che gli eventi ineluttabili delle sofferenze, della malattia e della morte interrogano e restano misteriosi, ma nelle varie culture sono soppesati come "punizione" rispetto a uno stato beato.
Ecco, che trovare un modo per entrare in un percorso ordinato inteso a portare l'uomo a una pace totale con la causa prima del proprio essere è essenziale ed è comprensibile il perché molti s'inoltrino nella ricerca di una via certa e ordinata per verso l'origine.
Ci si imbatte così nel tema del perdono.

Ora, le Sacre Scritture giudeo cristiane, Bibbia e Tenak ebraica, sostengono che Dio, il Creatore dell'Universo, detentore del potere e della giustizia infiniti, Signore della storia, negli ultimi XXXIII secoli s'è presentato e rapportato con l'umanità tramite la religione ebraica che si è evoluta nel giudaismo da cui è spuntato il cristianesimo.
Il Signore Dio s'è, infatti, rivelato gradualmente da Creatore a Padre giusto e misericordioso, fino a proporsi, XXI secoli or sono, incarnandosi nell'uomo Gesù di Nazaret, quale il Messia, il Cristo.
Questi, divenuto nostro fratello, "autore e perfezionatore della fede" (Ebrei 12,2), morto in croce in sacrificio di espiazione per tutti, risorto e assunto in cielo, unito al Padre, ha inviato lo Spirito Santo per far partecipi gli uomini di tutti i popoli del mondo e di ogni tempo dell'amore totalizzante e aprire la piena comunione con Dio dando luogo, appunto, al cristianesimo. (La Tenak è la Bibbia ebraica e comprende tutti e solo i libri editi in ebraico/aramaico detti Antico Testamento)
Sussiste però una verità incontestabile per laici e religiosi, messa in tutta la propria evidenza dal libro dell'Ecclesiaste o Qoelet - inserito tra i libri poetici e sapienziali della Bibbia, il 19° della Tenak tra i "Ketubim" - e tale fatto incontrovertibile è che: "Non c'è sulla terra un uomo così giusto che faccia solo il bene e non pecchi." (Qoelet 7,20)

L'umanità intera del mondo, allora, se Dio fosse solo un giudice che si basasse solo sulla giustizia così come concepita dal pensiero umano, essendo i peccati trasgressione della legge divina ed eterna, non dovrebbe sussistere; eppure, così non è.
Lo stesso libro del Qoelet, poi, considera anche che: "Tutto ho visto nei giorni della mia vanità: perire il giusto nonostante la sua giustizia, vivere a lungo l'empio nonostante la sua iniquità." (Qoelet 7,50)

L'uomo, però, a fronte di tutte le qualità divine, dell'eternità, dell'onnipotenza, dell'onnipresenza e dell'onniscienza, è veramente un soffio, una vanità, perciò certamente non manca al Creatore la possibilità di fare piena giustizia quando e come vuole nei confronti dell'uomo, peccatore.
Al riguardo, il Salmo 90, "Preghiera. Di Mosè, uomo di Dio", pone in evidenza che Egli fa tornare l'uomo in polvere, infatti: "Li annienti: li sommergi nel sonno; sono come l'erba che germoglia al mattino: al mattino fiorisce, germoglia, alla sera è falciata e dissecca." (Salmo 90,5s)

Per Lui così, dice lo stesso Salmo, mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, gli uomini sono distrutti dalla Sua ira, davanti a sé pone le colpe degli uomini, i loro peccati occulti alla luce del Suo volto e tutti i loro giorni svaniscono per la Sua ira.
D'altronde se Dio vuole l'uomo libero e non l'ha creato per essere un robot deve pur lasciare la possibilità che scelga anche di sbagliare e deve pur offrirgli un modo per essere educato e riparare.
La morte, poi, secondo gli insegnamenti delle Sacre Scritture, è un rimedio che pone un fermo insuperabile al peccare, preso atto che questo è entrato come veleno ineluttabile nella vita dell'uomo per scelte sbagliate.

Scrive al riguardo sant'Ambrogio, vescovo, nel trattato "Sul bene della morte": "...il Signore permise che sottentrasse la morte perché cessasse il peccato. Ma perché a sua volta la morte non segnasse la fine della natura, fu data la risurrezione dei morti. Così per mezzo della morte veniva a cessare la colpa e per mezzo della risurrezione la natura restava per sempre. Questa morte dunque è il passaggio obbligato per tutti. Bisogna che la tua vita sia un passaggio continuo, che tu compia un passaggio dalla corruzione all'incorruzione, dalla mortalità all'immortalità, dai turbamenti alla quiete. Non ti disgusti perciò il nome della morte; ti allietino, invece, i benefici di un transito felice. In realtà che cosa è la morte se non la sepoltura dei vizi e la risurrezione delle virtù?"

È da prendere atto però che il peccato non porta sempre, salvo il caso di suicidio, alla morte fisica istantanea del peccatore.
Accade allora che se è giusta la decisione divina, onde è da considerare la morte come una via di scampo e non una punizione, grazie alla misericordia di Dio il ricevere la morte per il peccato di solito non si verifica subito e c'è un tempo, utile se ben usato, per annullare l'effetto del veleno in noi del nostro peccare.
Tutta la vita umana, allora, sotto tale aspetto è da vedere come un tempo di formazione e di esami, lasciato a nostra disposizione, ma senza alcuna certezza proprio perché, il prima possibile, l'uomo sia spinto a decidere di intonare la propria vita a mire importanti verso la dimensione dell'eternità e soprattutto fissi lo sguardo alla vita beata propria di Dio e di chi gli appartiene.
Siamo tutti, giovani e vecchi, come scolari a scuola di vita, ma il certificato di morte è condizione necessaria e sufficiente per entrare solo nell'eternità, ma non per entrare nella vita beata, in quanto, per questa, prima, vi sarà il giudizio sull'operare del singolo nel campo della carità, che non è di questo mondo, ma è riflesso dell'amore di Dio che viene donata a chi lo cerca con cuore puro.
L'uomo, però, per concessione di Dio ha una libertà che Dio non intende travalicare, quella di cui parla Sant'Agostino nel Sermo 169,11,13: "Chi ha creato te senza di te, non ti giustifica senza di te: ha creato chi non sapeva, non giustifica chi non vuole."

Dante, al proposito afferma con decisione in Paradiso V, 19-22:

"Lo maggior don che Dio per sua larghezza
fesse creando, e a la sua bontate
più conformato, e quel ch'è più apprezza
fu de la volontà la libertate
."

Il Concilio di Trento, in decreto "De iustificatione" (13 gennaio 1547), sul dinamismo della libertà dell'uomo pur se mosso dalla grazia redentrice parla di un cooperare assentendo in questi termini: "Se qualcuno dice che il libero arbitrio dell'uomo, mosso e stimolato da Dio, non coopera in nessun modo esprimendo il proprio assenso a Dio, che lo muove e lo prepara a ottenere la grazia della giustificazione; e che egli, se lo vuole, non può rifiutare il suo consenso, ma come cosa inanimata resta assolutamente inerte e gioca un ruolo del tutto passivo: sia anatema."

Ecco che allora si dovrebbe mettere al massimo frutto il tempo di vita concesso, perché è proprio in questo tempo che si ha il potere di tentare di indirizzare al giusto bersaglio la propria esistenza.
Dio, infatti, "...giudica ciascuno secondo le sue opere, comportatevi con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio." (1Pietro 1,17)

Sì, questa vita è un pellegrinaggio, lontani dalla casa d'origine.
Due recenti Papi sulle qualità divine hanno commentato:
  • San Giovanni Paolo II "Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono."
  • Papa Benedetto XVI "Il perdono non sostituisce la giustizia."
In Dio, quindi, giustizia e misericordia coesistono in intima e divina armonia fondendosi in un'unica perfetta essenza.
D'altronde "Il perdono è la qualità del coraggioso, non del codardo." (Mahatma Gandhi) e tale è il Signore:
  • "Il Signore è prode in guerra, si chiama Signore." (Esodo 15,3)
  • "Il Signore avanza come un prode, come un guerriero eccita il suo ardore; grida, lancia urla di guerra, si mostra forte contro i suoi nemici." (Isaia 42,13)
Nessun può produrre da solo meriti tali per guadagnarsi d'essere perdonato. Il perdono, infatti, è un atto d'amore, di misericordia e di grazia, atto liberale che può venire solo da Dio, essendo tutti i peccati in definitiva unicamente un intralcio che poniamo al Suo disegno di Santità nei nostri riguardi.

LA TORAH SUL PERDONO E LE ALTRE SACRE SCRITTURE
Essenziale nel rapporto tra l'uomo e Dio è, quindi, il sondare la possibilità da parte Sua del perdono, perché davanti alla Sua Santità l'uomo è sempre in difetto e imputabile di colpa a causa degli istinti e impulsi della carne, non sempre dominati dalla razionalità, quindi, soggetto anche a "sentimenti" non solo nobili a causa dei dubbi sulla stessa esistenza di Dio, sulla Sua misericordia e sul perché della sofferenza.
Da Dio ci si attende indipendenza, immutabilità, infinità, semplicità, conoscenza, sapienza, bontà, amore, grazia, misericordia, longanimità, santità, giustizia, veracità, sovranità e un Dio che non perdonasse e non usasse misericordia con le sue creature offenderebbe l'idea stessa di Dio e si potrebbe dire "Se non perdonasse non sarebbe Dio, il creatore dell'universo", viceversa, "Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe" risuonò nel primo Angelus di Papa Francesco (17-03-2013).

Ha così senso investigare su quanto sostengono le Sacre Scritture al proposito.
Nella Bibbia cristiana nell'edizione C.E.I., appunto in italiano, se si fa una ricerca sulla parola "perdono" si trova che questo termine:
  • nell'Antico Testamento è usato per 13 volte, di cui solo 3 nella Torah, 1 volta nel Salmo 130,14 e 1 in Daniele 9,9 e 8 volte in libri deuterocanonici, di cui 1 volta in Ester 3,13f, 1 nel libro della Sapienza 18,2 e 6 volte nel libro del Siracide 5,5; 16,7; 17,24; 18,11.20 e 47,11;
  • nel Nuovo Testamento si trova 8 volte in Marco 1,4 e 3,29; Luca 3,3 e 24,47; Atti 5,31; 2Corinzi 2,10; Ebrei 9,22 e 10,18.
Il verbo "perdonare" nei suoi vari tempi e modi nella Bibbia cristiana si trova invece per 95 volte.
Nei libri della Bibbia che la tradizione considera scritti da Mosè, cioè nel grande rotolo della Torah diviso in cinque parti - Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio - il concetto di perdono e di perdonare è espresso più volte.
Il termine "perdono" e il verbo "perdonare" nei propri vari tempi e modi si trova nella traduzione italiana della C.E.I. del 1975 e/o del 2008 nei seguenti versetti:
  • Genesi 4,13; 18,24.26; 43,19; 44,18; 50,17;
  • Esodo 4,10.13; 10,17; 23,21; 32,30.32; 34,7.9;
  • Levitico 4,20.26.31.35; 5,10.13.16.18.26; 19,22;
  • Numeri 14,18.19.20; 15,25.26.28; 30,6.9.13;
  • Deuteronomio 21,8; 29,19.
Nel testo ebraico però ciò che è tradotto perdono e perdonare non è espresso con un unico radicale, ma con radicali diversi.
Sul perdono, conoscendo bene con che attenzione e passione uomini saggi dell'ebraismo negli ultimi due millenni nelle varie generazioni hanno esaminato, studiato e scrutato le Sacre Scritture, intendo attingere anche a tale tesoro.
Al riguardo nel trattato rabbinico Rosh Hashanah 17b sui comportamenti di Dio nei riguardi del peccato dell'uomo trovo certificato che:
  1. Dio è misericordioso prima che la persona pecchi, anche se Dio sa che una persona è in grado di peccare. (Evidentemente perché gli lascia la libertà)
  2. Dio è misericordioso verso il peccatore, anche dopo che ha peccato.
  3. Dio rappresenta la potenza della misericordia anche in aree che un essere umano non si aspetta o merita.
  4. Dio è compassionevole e allevia la punizione dei colpevoli.
  5. Dio è misericordioso anche con coloro che non sono meritevoli.
  6. Dio è lento all'ira.
  7. Dio è pieno di bontà.
  8. Dio è il Dio della verità, quindi possiamo contare sulle Sue promesse di perdonare i peccatori pentiti.
  9. Dio garantisce bontà verso le generazioni future, grazie ai patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, come l'hanno beneficiato tutti i loro discendenti.
  10. Dio perdona i peccati intenzionali se il peccatore si pente.
  11. Dio perdona chi deliberatamente lo affronta se il peccatore si pente.
  12. Dio perdona i peccati che si commettono in errore.
  13. Dio cancella i peccati di coloro che si pentono.
Intendo, quindi, esaminare vari di quei versetti dell'Antico Testamento, soprattutto della Torah, direttamente anche dal testo in ebraico della Tenak, per cogliere qualche particolare non percepibile dalle traduzioni che aiuti a arricchire o a spiegare come s'è sviluppato il sentire sul perdono da parte di Dio.

LA PRIMA RICHIESTA DI PERDONO
Ci si attenderebbe che la parola "perdono" spuntasse dalla bocca di Adamo al momento della prima trasgressione, ma non fu così, l'uomo si era perso tanto che Dio lo sottolineò con il "Dove sei?" (Genesi 3,9) come a dire ti verrò comunque sempre a cercare!
Nel libro della Genesi, dopo il racconto della cacciata dal paradiso terrestre, "Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì" (Genesi 4,1) due fratelli gemelli, Caino e Abele.
Cresciuti, mentre Abele scelse di fare il pastore, Caino fece l'agricoltore coltivando, quindi, la terra su cui era stato profetizzato ad Adamo: "Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane finché non ritornerai alla terra." (Genesi 3,17-19).
(Vedi: "Visione su Abele, il pastore gradito al Signore")

Ecco che Dio preferì le offerte di Abele e Caino ne fu invidioso.
Il Signore vide il volto di Caino e gli disse: "Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai." (Genesi 4,6-7)

L'avvertì per evitare che peccasse, ma Caino non riuscì a dominarsi.
Caino provocò il fratello, prima evidentemente con una violenza verbale: "Caino parlò al fratello Abele", poi con la violenza fisica, infatti: "Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise." (Genesi 4,8) Dio chiese conto a Caino della vita del fratello: "Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!" (Genesi 4,10).

Poi il Signore predisse a Caino che sarebbe stato ramingo per tutta la vita.
La parola "perdono" appare così proprio in quel momento per la prima volta nel libro della Genesi sulla bocca di Caino dopo il primo fratricidio - come del resto è ogni omicidio - cioè dopo l'uccisione di Abele da parte del fratello.
In tale occasione "Disse Caino al Signore: Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono." (Genesi 4,13)

In primo luogo sorge la questione: quanto in quel modo ha espresso Caino è una constatazione o una domanda?
Fu una sfiducia sulla misericordia di Dio o la richiesta proprio di questa?

Nel testo ebraico - italiano del libro della Genesi (Edizione Avishaay Namdar Copyright Mamash 2006) quel versetto si trova in forma interrogativa e tradotto nel seguente modo: "Kayin disse ad Hashem: Il mio peccato è forse troppo grande da sostenere?"

Il termine usato che è tradotto in italiano dalla C.E.I. come "perdono" è, infatti, "minneshò" o dal radicale del verbo "portare, tollerare, togliere, portar via, perdonare", quindi anche sostenere.
In tale radicale ha grande parte quello del verbo "dimenticare" che è quindi, il è un dimenticare () e riiniziare .

Se quella di Caino sia da interpretare come una domanda non è certo, ma se lo era, in effetti, Dio non rispose direttamente, ma indirettamente regalando del tempo a Caino, utile nel caso si fosse voluto redimere.

Se si toglie al racconto il valore di "midrash", ma si prende in valore assoluto, invero quello era il primo evento di morte umana e Caino avrebbe qualche attenuante... non credevo che... debole invero, visto che dal racconto si appura che Abele sacrificava la vita delle primizie del gregge per offrire il grasso.

Dio comunque lo fece allontanare e "Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l'avesse incontrato" (Genesi 4,15), lo pose per evitare vendette nei suoi confronti.

Questo segno, in ebraico, è "'ot" , e con le lettere dice già da se che fu "l'Unico a portargli una Taw " ossia una T, iniziale della parola Torah che poi avrebbe istruito gli uomini sul "perdono".

Di fatto, non solo Dio doveva perdonargli, ma questo doveva passare anche attraverso gli uomini, in particolare nei genitori Adamo ed Eva che avevano perso un figlio, però su eventuali sviluppi al riguardo la Bibbia non informa.
Quel segno "Taw" , nel corsivo ebraico è una +, croce che certamente Caino ha portato per tutta la vita col rimorso di quanto aveva fatto, il che potenzialmente poteva essere foriero di conversione, quindi di perdono, almeno da parte di Dio.
Del resto nel racconto delle vicende del profeta Giona, nel libro omonimo, riguardo ai Niniviti, che non dovevano essere degli stinchi di santi, viene considerato che "Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece." (Giona 3,10)

Oggi, alla luce degli sviluppi della storia della salvezza portata avanti da Dio con l'umanità, grazie alla redenzione, attuata dal sacrificio in croce e dal mistero pasquale, comprovata dalla risurrezione e dall'ascesa al cielo del Cristo, la Chiesa, con i poteri di legare e sciogliere datile da Gesù risorto, può ben asserire nel proprio Catechismo:

982 - Non c'è nessuna colpa, per grave che sia, che non possa essere perdonata dalla santa Chiesa. Non si può ammettere che ci sia un uomo, per quanto infame e scellerato, che non possa avere con il pentimento la certezza del perdono. Cristo, che è morto per tutti gli uomini, vuole che, nella sua Chiesa, le porte del perdono siano sempre aperte a chiunque si allontani dal peccato.

Su ciò tornerò in seguito.

ABRAMO TRATTA CON DIO
Al capitolo 18 del libro della Genesi Abramo è presso le Querce di Mamre e Dio, nella figura di tre uomini, lo va ad incontrare.
In tale occasione gli annuncia la nascita del figlio Isacco, poi è narrato il seguente colloquio in cui Abramo tratta con Dio per farlo tornare sulla decisione di distruggere la città di Sodoma: "Abramo gli si avvicinò e gli disse: Davvero sterminerai il giusto con l'empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l'empio, così che il giusto sia trattato come l'empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia? Rispose il Signore: Se a Sodoma troverò cinquanta giusti nell'ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo. Abramo riprese e disse: Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città? Rispose: Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque. Abramo riprese ancora a parlargli e disse: Forse là se ne troveranno quaranta. Rispose: Non lo farò, per riguardo a quei quaranta. Riprese: Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta. Rispose: Non lo farò, se ve ne troverò trenta. Riprese: Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti. Rispose: Non la distruggerò per riguardo a quei venti. Riprese: Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci. Rispose: Non la distruggerò per riguardo a quei dieci." (Genesi 18,23-32)

Il testo riporta più volte la parola "giusto/i" "tsadiq" e "tsadiqim", termine che nel caso in questione assume l'accezione di "innocente".
Qui si ferma il colloquio e la città sarà distrutta... non c'erano dieci giusti!
La trattativa è serrata e incalzante da parte di Abramo come quella in uso nei bazar per l'acquisto di mercanzia.

L'argomentazione portata avanti da Abramo però è nitida: "Davvero sterminerai il giusto con l'empio?"... e, due volte nel versetto 25, si trova l'espressione "lontano da te!".
Quel "lontano da te!" nel testo della Tenak è "chalilah lak" la traduzione che fanno gli ebrei è, sarebbe un sacrilegio attribuirti una cosa simile, infatti quel termine deriva dal radicale di "essere profanato", "essere trafitto" e "essere ucciso".

Eppure, questo sacrilegio che in termini antropomorfici corrisponde a un Dio che è trafitto, fu profetizzato VIII secolo a.C. dal profeta Isaia nel IV Canto del Servo di IHWH, riferito dai cristiani al Messia, come evento che si sarebbe verificato concretamente: "Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti." (Isaia 53,5)

Quel "trafitto" là è "mecholel" e quella profezia verrà compiuta al momento dell'uccisione in croce del "giusto", figlio di Dio e figlio dell'uomo, Gesù di Nazaret, trafitto dai chiodi in croce e dopo morto da una lancia romana.

Per due volte, versetti Genesi 18,24 e 26, si trova nel testo tradotto "perdonerai" e "perdonerò", rispettivamente "l'o tissha'" e "nash'ati", ove il primo in effetti è un "non distruggerò", dal radicale da cui viene il termine "sho'a" , "il fuoco portato dall'Unico ", mentre il secondo è lo stesso termine usato nel racconto di Caino e Abele.

Abramo nella trattativa parte da 50 giusti e nel testo perviene fino a 10, ma non c'erano, e si salvò solo Lot con la sua famiglia?
In effetti, le città da salvare erano cinque: Sodoma, Gomorra, Admà, Tzeboim e Tzoar e 10 è il numero minimo necessario e sufficiente, il quorum, detto il "minian", di ebrei maschi adulti (che hanno cioè già superato l'età dei tredici anni della "Bar Mizvah" e hanno pieno titolo di far parte della comunità) fissato proprio perché siano validi il rito sinagogale e la preghiera pubblica ebraica.

GIUSEPPE PERDONA I FRATELLI
È noto che i fratelli, figli delle altre mogli di Giacobbe/Israele, erano invidiosi di Giuseppe figlio di Rachele.
Giuseppe, il primogenito di Rachele, seconda moglie di Giacobbe da cui poi nacque anche Beniamino, in effetti, era il più giovane degli altri 10 figli che Giacobbe aveva avuto, sei dalla prima moglie Lia e due da ciascuna delle serve delle mogli Zilpa di Lia e Bila di Rachele.
A Giacobbe i figli erano nati in questo ordine:
  • di Lia, 1° Ruben, 2° Simeone, 3° Levi, 4° Giuda di Lia;
  • di Bila serva di Rachele 5° Dan e 6° Neftali;
  • di Zilpa serva di Lia 7° Gad e 8° Aser;
  • di Lia, 9° Isaccar, 10° Zebulon;
  • di Rachele, 11° Giuseppe e 12° Beniamino.
La Bibbia, in effetti, annota "Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica con maniche lunghe" (Genesi 37,3) quindi, lo trattava come se fosse un principe e i fratelli non lo sopportavano anche per i famosi sogni che raccontava in cui appariva sempre in posizione preminente rispetto ai fratelli.
Il libro della Genesi narra in quel capitolo 37 di come avvenne il fatto per cui poi fu raccontato dai 10 fratelli più grandi a Giacobbe la bugia che Giuseppe era stato sbranato in campagna da una bestia feroce.
Giuseppe era andato per ordine del padre a vedere come stavano i fratelli al pascolo e come stava il bestiame.
Appena lo videro da lontano i fratelli decisero di ucciderlo, ma Ruben, che si sentiva responsabile essendo il maggiore, non voleva aderire a questo atroce piano, allora afferrarono Giuseppe e lo chiusero in una cisterna, quindi, Giuda, invece di ucciderlo propose di venderlo.
Passò una carovana di mercanti Madianiti e lo cedettero per 20 sicli d'argento.
Questi lo portarono in Egitto ove lo vendettero come schiavo.
Gli eventi che inizialmente a Giuseppe erano andati molto male, perché imprigionato pur innocente essendo stato accusato di tentata violenza alla padrona, per il potere che aveva di svelare i misteri dei sogni, arrivò a chiarire i sogni premonitori del faraone sui prossimi sette anni di abbondanza e sette di carestia, quindi, il destino per intervento divino si volse per lui al meglio e fu nominato vice faraone (Genesi 39-41).

Dopo i sette anni di abbondanza, venuta la carestia anche in Canaan, i fratelli di Giuseppe, salvo Beniamino che rimase col padre, su incarico di Giacobbe andarono a comprare grano in Egitto che per accortezza del vice faraone era stato accumulato negli anni di abbondanza.

Nei capitoli Genesi 42-45 è narrato come i fratelli incontrarono Giuseppe che non si fece riconoscere, ma con furbizia li costrinse a far sì che Beniamino venisse in Egitto, quindi si fece riconoscere e con grande lungimiranza e longanimità disse ai fratelli: "Io sono Giuseppe, il vostro fratello, quello che voi avete venduto sulla via verso l'Egitto. Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù... Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la sopravvivenza nella terra e per farvi vivere per una grande liberazione. Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio" (Genesi 45,4-8), e il perdono era... implicito.

Il padre con i fratelli e le loro famiglie furono accolti nelle terre fertili del delta del Nilo, nel lato orientale verso il Sinai, il Gosen, ove stettero con il loro bestiame.
Quando morì Giacobbe i fratelli non si sentirono più sicuri come prima, infatti, racconta il libro della Genesi: "...i fratelli di Giuseppe cominciarono ad aver paura, dato che il loro padre era morto, e dissero: Chissà se Giuseppe non ci tratterà da nemici e non ci renderà tutto il male che noi gli abbiamo fatto? Allora mandarono a dire a Giuseppe: Tuo padre prima di morire ha dato quest'ordine: Direte a Giuseppe: Perdona il delitto dei tuoi fratelli e il loro peccato, perché ti hanno fatto del male! Perdona dunque il delitto dei servi del Dio di tuo padre! Giuseppe pianse quando gli si parlò così... Ma Giuseppe disse loro: Non temete. Tengo io forse il posto di Dio? Se voi avevate tramato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso. Dunque non temete..." (Genesi 50,15-21)

Al versetto 17 per due volte si trova la richiesta di perdono avanzata dai fratelli come comando di presentare tale domanda da parte del padre che l'avrebbe loro fatto promettere prima di morire.
Il verbo ebraico usato è lo stesso , ma nel caso specifico in entrambi le volte per l'imperfetto c'è la forma contratta "s'a" .

Interessante è come i commentatori ebrei giustificano l'inizio del brano col versetto 15: "...i fratelli di Giuseppe cominciarono ad aver paura, dato che il loro padre era morto".
Non che Giuseppe avesse manifestato qualche cenno di cambiamento d'umore nei loro confronti, ma l'ipotesi è che, mentre era solito invitarli a pranzi e a cene ove il padre Giacobbe stava a capotavola come più anziano della famiglia, ora Giuseppe era in imbarazzo e aveva molto diradato gli inviti.
Il motivo di ciò non era astio per i fratelli, ma non essendo il più anziano non poteva ora andare ancora contro il cerimoniale di corte e non sedere lui a capotavola.
In tal caso però, pensava, avrebbe riacceso il malumore tra i fratelli, mentre quando c'era il padre era comprensibile anche per gli egiziani che Giuseppe il Vice Faraone non sedesse al primo posto per rispetto del padre.
Di fatto alla richiesta esplicita di perdono Giuseppe non da una risposta, ma prende l'argomento sotto un interessante punto di vista.
Il rabbino italiano Abdia Sforno (1470-1550) esegeta biblico a tale riguardo osservò che in pratica Giuseppe avrebbe detto: "Sarei forse un giudice col potere di prendere il posto di Hashem nel verificare se il suo decreto era giusto e punire coloro che lo hanno eseguito? Voi non eravate nulla di più che i suoi agenti; sbagliaste pensando che io fossi vostro nemico, ma Hashem si è servito delle vostre azioni per portare il vero bene."

Certo è che nei fatti che accadono il credente deve pensare che Dio pur sempre è padrone della storia e che anche ciò che pare avere come primo effetto un male sarà comunque da Lui indirizzato al bene e solo Lui, Dio, è giudice supremo; d'altronde, "Chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita?" (Matteo 6,27)
Gesù poi concluderà "amate i vostri nemici" (Matteo 5,44)

PERDONO PER L'IDOLATRIA E PER L'ADULTERIO
Mosè sull'Oreb, dopo 40 giorni e notti di colloquio, appena ricevute le tavole dell'alleanza scritte col dito di Dio (Esodo 31,18), da Dio stesso fu avvertito: "Va, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d'Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto. Il Signore disse inoltre a Mosè: Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione." (Esodo 32,7-10)

Certo è che quella fu una grande tentazione cui Mosè fu sottoposto, poteva lasciar correre tutto e accogliere quell'apertura di credito, ma non fu così, prevalse l'amore per i fratelli e per il prossimo ed ebbe anche fede sufficiente per riuscire a frenare la collera divina e fu così che in tale occasione si meritò in pieno sul campo d'essere considerato un vero leader del popolo.
Pur con tutti i difetti che il popolo poteva avere, in effetti, non l'aveva scelto lui e Mosè non poteva accettare d'essere separato da esso né di guidare un popolo che non trovasse il perdono da parte del Signore.
Era questione radicale ed esistenziale, infatti, se il Signore non avesse usato misericordia tanto valeva nemmeno iniziare ad accogliere l'intera sua Torah.
Mosè subito allora contrasta il Signore precisando che il popolo era uscito grazie al Suo intervento per le piaghe all'Egitto che aveva mandato e che ora non poteva tirarsi indietro senza perdere la faccia.
La missione di Mosè non ha motivo d'essere senza la comunità, che sarà l'avamposto contro il male, quindi vi saranno sempre in prima linea soccombenti da salvare col pentimento e col perdono e non solo con punizioni, altrimenti la missione era da considerare fallita in partenza.

Vincente fu il dire di Mosè quando pronunciò queste parole: "Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre. Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo." (Esodo 3213s)

Mosè, insomma, rifiuta nettamente la provocazione, implorando la misericordia di Dio, e poi attua una specie di ricatto a una nuova minaccia divina.
Grande, in effetti, però fu poi l'ira di Mosè verso il popolo quando scendendo dal monte con le tavole della legge verificò che avevano proprio peccato d'idolatria costruendosi il famoso vitello d'oro.
Frantumò le tavole (Esodo 32,19), che rappresentavano il contratto nunziale tra Dio e il popolo, in quanto, visto quel peccato del vitello quel contratto scritto, la "Chetubah" o atto matrimoniale, non aveva più senso!
La sposa era stata adultera e solo se c'era il perdono dello sposo poteva, eventualmente, rimanere con lui.
Il castigo, risultò di tre tipi (Talmud Yomà, 66b):
  • quelli del popolo, più vicini a Mosè che erano stati avvertiti e che sapevano bene che peccavano, furono passati a fil di spada ed erano soprattutto Leviti che uccisero i fratelli, amici e vicini (26-28);
  • chi del popolo agì, ma poteva sostenere di non essere consapevole, e quindi Mosè non aveva potuto punire, fu punito da Dio con una piaga (35);
  • la massa di popolo indistinta, che non si sapeva quanto colpevole fosse, fu sottoposta a bere le acque inquinate con la polvere dell'idolo (20) alla guisa che poi la Torah imporrà di sottoporre proprio alla moglie sospetta d'adulterio (Numeri 5,11-31).
Ciò compiuto, preso il coraggio a due mani: "Il giorno dopo Mosè disse al popolo: Voi avete commesso un grande peccato; ora salirò verso il Signore: forse otterrò il perdono della vostra colpa. Mosè ritornò dal Signore e disse: Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d'oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato... Altrimenti, cancellami dal tuo libro che hai scritto!" (Esodo 32,30-32)

In questi versetti si trova il concetto di perdono, ma in due modi verbali.
Nel versetto 30 quando Mosè si rivolge al popolo, è tradotto, dal Signore "forse otterrò il perdono della vostra colpa", in effetti, il modo più letterale sarebbe "forse otterrò l'espiazione del vostro peccato" in quanto in ebraico è scritto "'ule 'ekapperah bea'd chatt'atekoem" e il verbo usato ha il radicale del coprire di pece, impeciare, come il turare una falla di una imbarcazione o di una cisterna, atto o opera figurata che poteva fare solo il Signore, ricoprire il peccato con la sua misericordia.
Tra l'altro quel radicale si può dividere in + , ma "kaf" (ove = a fine parola), è il cavo di una mano che copre un corpo , quindi, come il nascondere una indecenza.
Si ha anche che la prima parte di si può accostare al radicale relativo al deprimere, calmare ad esempio l'ira o la collera, come in "Un regalo fatto in segreto calma la collera, un dono di sotto mano placa il furore violento" (Proverbi 21,14)

Nel versetto 32, Mosè si rivolge direttamente al Signore e gioca tutta la potenzialità del proprio potere di mediazione tra Dio stesso e il popolo che è uscito con lui dall'Egitto, presentando il ricatto in forma di un aut aut.
In pratica Gli dice, se perdonerai il loro peccato - "'im tissh'a chatt'atam" - bene, altrimenti cancella anche me dal libro della vita.
Mosè, quindi, con la sua mediazione ha consentito a un nuovo modello di rapporti tra l'uomo e Dio.

Così andarono i fatti: "Il Signore disse a Mosè: Taglia due tavole di pietra come le prime. Io scriverò su queste tavole le parole che erano sulle tavole di prima, che hai spezzato. Tieniti pronto per domani mattina: domani mattina salirai sul monte Sinai e rimarrai lassù per me in cima al monte. Nessuno salga con te e non si veda nessuno su tutto il monte; neppure greggi o armenti vengano a pascolare davanti a questo monte. Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione." (Esodo 34,6s)

Nei versetti 6 e 7, Dio, si dichiara con le parole che ho riportato in grassetto, un Signore misericordioso, pietoso, lento all'ira, di grande bontà e verità, e che perdona o meglio tollera "noss'e" la colpa, "a'von" , ossia i peccati volontari e "posha'" la trasgressione, cioè la ribellione e altre forme di peccato "chatta'ah" .

Per quanto riguarda la punizione, il testo ebraico dice , "naqqeh lo ienaqoeh", cioè quanto ad assolvere non assolve del tutto, ma assolve coloro che si pentono, castiga il peccato dei padri ai figli quando i figli seguono la via dei genitori (Rashi), ma la bontà divina tende ad esaltare di 500 volte il bene (per mille generazioni, rispetto al male fino alla terza generazione).

Mosè ancora Lo incalza e, pur riconoscendo la testardaggine del popolo, avendo considerato che Dio si è dichiarato misericordioso, chiede non solo il perdono, ma che Dio in persona cammini con loro e Gli "Disse: Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa di noi la tua eredità." (Esodo 34,9)

Questo "perdona", chiesto ancora da Mosè, nel testo ebraico è con un altro radicale, il che sta per "perdonare e condonare" da cui "selichah" è il perdono (Daniele 9,9) e Dio è un perdonatore, facile a perdonare, come nel Salmo 86,5 "Tu sei buono, Signore, e perdoni, sei pieno di misericordia con chi ti invoca."

In quel radicale + di certo ha la sua importanza il radicale () relativo al "calpestare, sprezzare, rigettare", onde ne discende "il (Tuo) rigettare () nascondi , racchiudi", come nascondere in un paniere o canestro "sel" e continua ad avvolgerci col tuo vigore "lach" .

Il Signore, allora, propose, un'alleanza in cui, dopo quanto è stato detto da Mosè e commentato dai saggi d'Israele, è implicita, rispetto alle prime tavole, la possibilità di rientrare, se infranta, come nei fatti era avvenuto e raccontato, in caso di comprovato pentimento, possibilità ampliamente poi spiegata nella Torah stessa con il rituale del sacrificale del Tempio, col rito della giovenca rossa (Numeri 19) e col giorno del perdono di Jom Kippur.

A Mosè "Il Signore disse: Ecco, io stabilisco un'alleanza" (Esodo 34,10), In italiano sembra uguale alla prima volta che fu usato il termine "berit" il che fu con Noè, quando Dio disse: "Ma con te io stabilisco la mia alleanza" (Genesi 6,18), alleanza che poi estese ai discendenti di Noè in Genesi 9,9.11.

Questo modo con Noè, come atto unilaterale, "sancisco" "heqimati", però, è diverso da quello che in effetti Dio usò con Mosè in quel versetto Esodo 34,10 e che dalla traduzione C.E.I. in italiano non appare.

Le parole esatte in ebraico in questo caso di Esodo 34,10 sono "Io" "'anoki" "coret" "berit" , ove quel "coret" viene dal verbo "tagliare, dividere", quindi... "condivido" la ebraica "berit" ossia l'alleanza, in greco "diathèke" e in latino "testamentum".

La prima volta che fu usato il termine "coret" fu in Genesi 15,18 quando, su ordine divino, Abramo prese degli animali, li divise squartandoli lasciando un corridoio frammezzo in cui il Signore nel buio fitto della notte come braciere fumante e fiaccola ardente passò come dividendo anche Lui quegli animali, facendo così alleanza, vale a dire, "coret" "berit" con Abramo (Genesi 15,18), alleanza che, di fatto, viene poi rinnovata allargata, in quanto con Mosè resta confermata anche in caso di pentimento di peccati.
Il termine "berit" , molto vicino come lettere a "biriah" che significa cibo, evoca con quel coret il dividere lo stesso pasto, infatti, il radicale comporta "il mangiare" e anche il "decidere"; implica perciò anche che Dio farà preventivamente conoscere le proprie decisioni in modo chiaro al suo popolo.

A conferma di ciò c'è il pensiero esplicitato dal Signore stesso nei riguardi di Abramo e dei suoi discendenti dopo l'alleanza con lui e prima di distruggere Sodoma, infatti: "Il Signore diceva: Devo io tener nascosto ad Abramo quello che sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra? Infatti, io l'ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui ad osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore realizzi per Abramo quanto gli ha promesso". (Genesi 18,17-19)

In definitiva, l'insieme di questo racconto ci dice che la Torah non era ricevibile senza la certezza di un'alleanza con Dio che la gestisse con misericordia e non solo con la giustizia umana.
La Torah, invero, riporta tante norme con la precisazione che il reo è passibile di morte, morte certa, perché il reo si è escluso da Dio, ma va interpretata nell'applicazione.
Occorre distinguere se la Torah è legge degli uomini o è legge divina in cui il giudice è Dio.

Il problema fu che i re l'adottarono anche come legge dello stato e allora i giudici furono gli uomini.
Da parte degli uomini occorre però che chi la volesse applicare dovrebbe essere un giudice giusto; e chi è veramente giusto?
L'applicazione da parte degli uomini così risultò comunque attivata da parte di giudici integralisti, che non tennero conto della possibilità di pentimento e di redenzione o a difesa in oltranza della comunità.
Tutta la comunità, in effetti, dai profeti fu in più occasioni accusata d'adulterio, il che dimostra che la Torah non era stata applicata integralmente.

Al riguardo, riporto un brano dell'udienza generale del 4 gennaio 1991 di papa San Giovanni Paolo II: «Nell'Antico Testamento si parla di una sorta di sponsalità tra Dio e il suo popolo, cioè Israele. Così leggiamo nella terza parte delle profezie di Isaia: "Poiché il tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo d'Israele, è chiamato Dio di tutta la terra" (Isaia 54,5). La nostra catechesi sulla Chiesa come "sacramento dell'unione con Dio" ci riporta a quell'antico fatto dell'alleanza di Dio con Israele, il popolo eletto, che è stata la preparazione al mistero fondamentale della Chiesa, prolungamento del mistero stesso dell'incarnazione... oltre al testo di Isaia citato all'inizio, ne troviamo anche altri, specialmente nei libri di Osea, di Geremia, di Ezechiele, in cui l'alleanza di Dio con Israele è interpretata in analogia al patto matrimoniale degli sposi. Sempre in forza di questo paragone, questi profeti scagliano contro il popolo eletto l'accusa di essere come una sposa infedele e adultera. Così Osea: "Accusate vostra madre, accusatela perché essa non è più mia moglie e io non sono più suo marito" (Osea 2,4). Ugualmente Geremia: "Come una donna è infedele al suo amante così voi, casa d'Israele, siete stati infedeli a me" (Geremia 3,20). E ancora, avendo davanti agli occhi l'infedeltà di Israele alla legge dell'alleanza, e specialmente i ripetuti peccati di idolatria, Geremia aggiunge la rampogna: "Tu ti sei disonorata con molti amanti e osi tornare da me? Oracolo del Signore" (Geremia 3,1). Infine Ezechiele: "Tu però, infatuata per la tua bellezza e approfittando della tua fama, ti sei prostituita concedendo i tuoi favori a ogni passante" (Ezechiele 16,15.29.32). Tuttavia bisogna dire che le parole dei profeti non contengono un rifiuto assoluto e definitivo della sposa adultera, bensì piuttosto un invito alla conversione e una promessa di riaccettazione della convertita. Così Osea: "Ti farò (nuovamente) mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore" (Osea 2,21-22). Analogamente Isaia: "Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore" (Isaia 54,7-8).»

La nuova alleanza istituita da Gesù nell'ultima cena, proponendosi come pane e vino, fu proprio un "coret" "berit" in quanto l'agnello crocifisso mangiato () sarà da tutti .
Lo spezzare del pane ricorda proprio il "coret" della nuova alleanza!

QUARANTA ANNI NEL DESERTO
Dopo la riconsegna delle Tavole dell'Alleanza il popolo sarebbe potuto entrare subito nella terra promessa.
Mosè su consiglio divino mandò 12 uomini, uno per tribù, ad esplorare il paese (Numeri 13,1-16); il racconto commentato dell'esplorazione l'ho riportato nell'articolo Caleb figlio di Iefunne, lo scout amico di Giosuè".
Questi esploratori tornarono, ma dieci su dodici, senza fede nell'aiuto del Signore, terrorizzarono il popolo che pure si manifestò senza fede e provocarono l'ira di Dio che li rimandò tutti indietro per 40 anni nel deserto a girovagare prima di entrare nella Terra Promessa.

In quell'occasione furono riusate nello stesso modo le parole dell'Esodo in occasione del vitello d'oro; infatti, disse Mosè: "Ora, se fai perire questo popolo come un solo uomo, le nazioni che hanno udito la tua fama, diranno: Siccome il Signore non riusciva a condurre questo popolo nella terra che aveva giurato di dargli, li ha massacrati nel deserto. Ora si mostri grande la potenza del mio Signore, secondo quello che hai detto: Il Signore è lento all'ira e grande nell'amore, perdona la colpa e la ribellione, ma non lascia senza punizione; castiga la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione. Perdona, ti prego, la colpa di questo popolo, secondo la grandezza del tuo amore, così come hai perdonato a questo popolo dall'Egitto fin qui." (Numeri 14,15-19)

I verbi ebraici usati nel testo da Mosè sono: "Perdona" "selach" ... "come hai perdonato" "nash'atah" , verbi che ho già commentato.

Questa fu la risposta: "Il Signore disse: Io perdono come tu hai chiesto; ma, come è vero che io vivo e che la gloria del Signore riempirà tutta la terra, tutti gli uomini che hanno visto la mia gloria e i segni compiuti da me in Egitto e nel deserto e tuttavia mi hanno messo alla prova già dieci volte e non hanno dato ascolto alla mia voce, certo non vedranno la terra che ho giurato di dare ai loro padri, e tutti quelli che mi trattano senza rispetto non la vedranno. Ma il mio servo Caleb, che è stato animato da un altro spirito e mi ha seguito fedelmente, io lo introdurrò nella terra dove già è stato; la sua stirpe la possederà. Gli Amaleciti e i Cananei abitano nella valle; domani incamminatevi e tornate indietro verso il deserto, in direzione del Mar Rosso."

La risposta è importante perché assicura, con diretta dichiarazione del Signore nella Torah, che Lui perdona: "Io perdono" "salachetti" .
Occorre però avere timore e giusto rispetto del Signore tenendo presente che il perdono non esclude anche qualche punizione.

Al riguardo è da ricordare il Salmo 130 che ricorda: "Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi ti può resistere? Ma con te è il perdono: così avremo il tuo timore." (Salmo 130,3-4)

Questo perdono appunto è la "selichah" .

Il timore qui è scritto "tora'" in modo tale che ricorda la Torah il cui tentativo di rispetto dimostra il timore del Signore da parte di ciascuno.

Un particolare commento merita quanto detto sul perdono nel versetto Esodo 23,21 che presento però con il testo completo dal versetto 20 al 24, in quanto fa parte integrante dell'alleanza necessaria per entrare in possesso ciascuno della personale Terra Promessa: "Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza, dà ascolto alla sua voce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la vostra trasgressione, perché il mio nome è in lui. Se tu dai ascolto alla sua voce e fai quanto ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e l'avversario dei tuoi avversari. Quando il mio angelo camminerà alla tua testa e ti farà entrare presso l'Amorreo, l'Ittita, il Perizzita, il Cananeo, l'Eveo e il Gebuseo e io li distruggerò, tu non ti prostrerai davanti ai loro dei e non li servirai; tu non ti comporterai secondo le loro opere, ma dovrai demolire e frantumare le loro stele."

Al riguardo i rabbini commentano che "non perdonerebbe la vostra trasgressione", nel testo ebraico, "l'o issha' lepishee'coem", in effetti, è "non tollererebbe la vostra ribellione" e spiegano ciò per il fatto che l'angelo è un inviato per eseguire solo il compito per cui è mandato senza aggiungere o togliere nulla e se Dio gli comanda di castigare non può perdonare (Ibn Ezra).

Questi sarebbe angelo Metratron che corrisponderebbe al patriarca l'Enoch che non morì e fu assunto tra gli angeli del cielo secondo Genesi 5,24.

È questa opinione anche della Chiesa Cristiana Copta che accetta i libri di Enoch ritenuto "apocrifi" dalla Chiesa Cattolica.

Tale angelo è menzionato nel Talmud Babilonese in Hagiga 15a, Sanhedrin 38b, Avodah Zarah 3b e Yevamot 16b.

MAI DISPERARE DELL'AMORE DI DIO
Nei Vangeli è detto dell'apostolo di Gesù, Giuda Iscariota, che per trenta denari tradì con un bacio il suo maestro, ma perseguitato intimamente dalla colpa si suicidò, come racconta il Vangelo di Matteo.

Disperò quindi della possibilità di poter ricevere il perdono.
Eppure la Bibbia propone casi di perdono divino per peccati enormi, come per il noto peccato di Davide che, colpevole di adulterio, si macchiò anche di omicidio provocando in modo proditorio la morte di Uria, il marito di Betsabea, la donna con cui aveva peccato che poi sposò e da cui nacque anche Salomone.

Altra storia poco nota, veramente ai limiti, è quella di Manasse che all'età di 12 regnò su Giuda per 55 anni, successore di Ezechia nel Regno del Sud, prima in una co-reggenza con la madre Chefsiba e poi da solo dal 687 a.C. al 642 a.C..
Il regno di Giuda si trovava in una situazione di estremo vassallaggio nei riguardi degli Assiri, con minima libertà d'azione.

La Scrittura dice che Manasse "Fece ciò che è male agli occhi del Signore, secondo gli abomini delle nazioni che il Signore aveva scacciato davanti agli Israeliti. Costruì di nuovo le alture che suo padre Ezechia aveva demolito, eresse altari ai Baal, fece pali sacri, si prostrò davanti a tutto l'esercito del cielo e lo servì. Costruì altari nel tempio del Signore... Eresse altari a tutto l'esercito del cielo nei due cortili del tempio del Signore." (2Cronache 33,3-5)

Addirittura sacrificò alcuni dei propri figli agli idoli!
Del resto anche il libro 2Re 21,16 conferma tale fatto: "Manasse versò anche sangue innocente in grande quantità...", infatti, "Fece passare i suoi figli per il fuoco nella valle di Ben-Innòm, si affidò a vaticini, presagi e magie, istituì negromanti e indovini. Compì in molte maniere ciò che è male agli occhi del Signore, provocando il suo sdegno. Collocò l'immagine dell'idolo, che aveva fatto scolpire, nel tempio di Dio... spinse Giuda e gli abitanti di Gerusalemme a fare peggio delle nazioni che il Signore aveva estirpato davanti agli Israeliti." (2Cronache 33,6-9)

Il passo parallelo in 2Re 21 informa pure che "...il Signore parlò per mezzo dei suoi servi, i profeti, dicendo: Poiché Manasse, re di Giuda ha compiuto tali abomini, peggiori di tutti quelli commessi dagli Amorrei prima di lui, e ha indotto a peccare anche Giuda per mezzo dei suoi idoli, per questo... Ecco, io mando su Gerusalemme e su Giuda una sventura tale che risuonerà negli orecchi di chiunque l'udrà." (2Re 21,10-12)

Pare che per un atto di ribellione contro gli assiri Manasse nel 648 a.C., fu esiliato e fece diversi mesi di prigionia, ma secondo le scritture si sarebbe convertito, infatti, dice il 2° libro delle Cronache: "Allora il Signore mandò contro di loro i comandanti dell'esercito del re assiro; essi presero Manasse con uncini, lo legarono con catene di bronzo e lo condussero a Babilonia. Ridotto in tale miseria, egli placò il volto del Signore, suo Dio, e si umiliò molto di fronte al Dio dei suoi padri. Egli lo pregò e Dio si lasciò commuovere, esaudì la sua supplica e lo fece tornare a Gerusalemme nel suo regno; così Manasse riconobbe che il Signore è Dio." (2Cronache 33,11-13)

Rientrato a Gerusalemme, Manasse tornò sui propri passi e cercò di riparare agli errori fatti, purificò il Tempio dagli elementi di altri culti che prima proprio lui stesso aveva messo nel Tempio, rimosse gli dei degli stranieri e restaurò l'altare del Signore.
Nulla è impossibile a Dio e mai è da disperare della sua misericordia.

L'antenato Davide era certamente stato d'esempio a Manasse che come lui, nonostante i peccati di morte che aveva commesso, era rientrato nella grazia di Dio, prova ne era ancora il suo regno in qualche modo in piedi oltre tre secoli dopo la sua morte e il Signore ancora si curava del Santuario che il figlio Salomone aveva costruito a Gerusalemme.
Sapeva bene Manasse che non solo se stesso, ma tutto il regno di cui era responsabile e la città di Gerusalemme era in pericolo e si ricordò del suo antenato Davide e del suo Salmo quando dice: "Nella tua bontà fa grazia a Sion, ricostruisci le mura di Gerusalemme. Allora gradirai i sacrifici legittimi, l'olocausto e l'intera oblazione; allora immoleranno vittime sopra il tuo altare." (Salmo 51,20s)

Davide, pentito, aveva, infatti, lasciato un Salmo, il 51, nel cui il 1° e il 2° versetto che fungono da titolo hanno come espresso riferimento quella situazione di grave peccato: "Al maestro del coro. Salmo. Di Davide. Quando il profeta Natan andò da lui, che era andato con Betsabea".

Questo Salmo, in effetti, è come un succinto manuale da seguire per cercare la riconciliazione col Signore.
La speranza di perdono di Davide si fondò sulla certezza che aveva sulla misericordia di Dio.
Per prima cosa, Davide prese coscienza, riconobbe la gravità del proprio peccato davanti a Dio, comprese che giustamente doveva attendersi la correzione e chiese perdono e non solo, ma chiese anche il cambiamento radicale del cuore quindi dei sentimenti e dell'intero modo di pensare per agire secondo la volontà di Dio.

Queste sono le prime parole del Salmo: "Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto: così sei giusto nella tua sentenza, sei retto nel tuo giudizio." (Salmo 51,3-6)

Quel "rendimi puro" nel testo ebraico è "taherini", dal radicale da cui "stato di purità" è "taharah" ove le lettere che la formano con i loro significati grafici e spezzando il termine fanno intravedere la richiesta di "una rigenerazione del cuore ".

Questa rigenerazione è necessaria ed è anche un'attenuante nei riguardi del Signore che attende, appunto, la piena coscienza per intervenire; infatti, subito dopo il Salmo spiega perché serve quella rigenerazione: "Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre." (Salmo 51,7)

La neve con il suo candore è segno di purezza, mentre le pulsioni del sangue "dam" , che è rosso, richiama gli istinti e il peccato, nemico dell'uomo come Edom associato ad Esaù simbolo delle basse pulsioni interiori sull'essere umano è la personificazione del peccato ed è nemico d'Israele.

Ecco che David esclama: "Ma tu gradisci la sincerità nel mio intimo, nel segreto del cuore mi insegni la sapienza. Aspergimi con rami d'issopo e sarò puro; lavami e sarò più bianco della neve." (Salmo 51,8s)

Il profeta Isaia s'esprime proprio nello stesso modo: "Su, venite e discutiamo dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana." (Isaia 1,18)

"Neve" in ebraico è "shaleg" e, osservano i Cabbalisti, due permutazioni di quelle lettere sono "galash" che vuol dire "bollire" e "shegal" che sta per "giacere immoralmente", "violare".

Dal punto di vista letterale si può dire:
  • neve "shaleg" , al fuoco (diviene) liquido "log" e, in modo figurato, vivere in pace () nel cammino ;
  • bollire "galash" globi () al fuoco ;
  • giacere immoralmente, "shegal" infiammato Rivelarsi ().
Osservano i Cabbalisti, che quei tre termini "shaleg" , "galash" e "shegal" hanno tutti il valore di somma delle lettere pari a 333 ( = 3 + = 30 + = 300) pari a quello che si ottiene da "Dor ha plaghah", che sta per "la generazione della dispersione".
Sinteticamente questo processo che pare alchemico, giacere - bollire - neve, è un'allegoria di quello della "Teshuvah", il ritorno salvifico a Dio, in quanto, dal peccato ossia dal giacere sconsideratamente - bollire è il pentirsi interiormente - si perviene alla neve vale a dire purificazione.

David nel Salmo 51 esalta le conseguenze del perdono e rinnova la richiesta di purità collegando il pensiero di questa alla salvezza: "Fammi sentire gioia e letizia: esulteranno le ossa che hai spezzato. Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito. Rendimi la gioia della tua salvezza... con uno spirito generoso." (Salmo 51,10-14)

Davide dice, infine, di sapere che è inutile offrire al Signore sacrifici diversi, ma che Lui accetta solo un cuore veramente affranto e contrito, infatti, continua: "Tu non gradisci il sacrificio; se offro olocausti, tu non li accetti. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio; un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi." (Salmo 51,18s)

IL RITORNO DALL'ESILIO È PROVA DEL PERDONO
In quei 40 anni dopo l'episodio degli esploratori di cui ho detto, però, nonostante la punizione, la misericordia del Signore si manifestò nei riguardi del popolo, come del resto farebbe un padre con il figlio amato che deve ricevere l'istruzione e che pur incorre in qualche inevitabile correzione.

Ben considera ciò questo passo del libro di Neemia: "Ma essi, i nostri padri, si sono comportati con superbia, hanno indurito la loro cervice e non hanno obbedito ai tuoi comandi; si sono rifiutati di obbedire e non si sono ricordati dei miracoli che tu avevi operato in loro favore; hanno indurito la loro cervice e nella loro ribellione si sono dati un capo per tornare alla loro schiavitù. Ma tu sei un Dio pronto a perdonare, pietoso e misericordioso, lento all'ira e di grande benevolenza e non li hai abbandonati. Anche quando si sono fatti un vitello di metallo fuso e hanno detto: Ecco il tuo Dio che ti ha fatto uscire dall'Egitto! e ti hanno insultato gravemente, tu nella tua misericordia non li hai abbandonati nel deserto: la colonna di nube che stava su di loro non ha cessato di guidarli durante il giorno per il loro cammino e la colonna di fuoco non ha cessato di rischiarar loro la strada su cui camminavano di notte. Hai concesso loro il tuo spirito buono per istruirli e non hai rifiutato la tua manna alle loro bocche e hai dato loro l'acqua quando erano assetati. Per quarant'anni li hai nutriti nel deserto e non è mancato loro nulla; le loro vesti non si sono logorate e i loro piedi non si sono gonfiati." (Neemia 9,16-21)

Quell'episodio degli esploratori che provocò la punizione che durò 40 anni fu anche un anticipo di ciò che sarà la punizione del Signore in caso di mancanza di fiducia nei suoi confronti e soprattutto in caso di continuo adulterio.
Certo, infatti, è che nella storia d'Israele quando aumentò il peccato di adulterio, che per quanto riguarda il complesso del popolo è il peccato d'idolatria, perché comporta il tradimento dell'alleanza, dopo gli avvisi inascoltati dei profeti, la punizione fu l'allontanamento dalla terra promessa.
Tale adulterio, pur con tutta la Sua pazienza per Dio divenne insopportabile molti secoli dopo e, in due occasioni, prima gli Assiri nel 722-721 a.C. portarono in esilio Israele del Nord e poi nel 587-586 a.C. i Babilonesi deportarono in esilio quelli del regno di Giuda e Beniamino e devastarono Gerusalemme.
Pur tuttavia in modo sorprendente e imprevisto, com'è narrato nei libri delle Cronache, di Esdra e di Neemia, questo esilio dopo 70 anni ebbe termine.

Il profeta Geremia l'aveva predetto con questi oracoli:
  • "Tutta questa regione sarà distrutta e desolata e queste genti serviranno il re di Babilonia per settanta anni. Quando saranno compiuti i settanta anni, punirò per i loro delitti il re di Babilonia e quel popolo - oracolo del Signore - punirò il paese dei Caldei e lo ridurrò a una desolazione perenne." (Geremia 25,11-12)
  • "Così dice il Signore: Quando saranno compiuti a Babilonia settant'anni, vi visiterò e realizzerò la mia buona promessa di ricondurvi in questo luogo. Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo - oracolo del Signore - progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza. Voi mi invocherete e ricorrerete a me e io vi esaudirò." (Geremia 29,10-12)
Il profeta Daniele nel libro omonimo "Nell'anno primo di Dario, figlio di Serse, della progenie dei Medi, il quale era stato costituito re sopra il regno dei Caldei, nel primo anno del suo regno" (Daniele 9,1-2) tentava di comprendere il numero degli anni di cui il Signore aveva parlato al profeta Geremia e che si dovevano compiere per le rovine di Gerusalemme, cioè i settant'anni, e riesaminata tutta la questione si rivolse al Signore Dio alla ricerca di un responso con preghiera e suppliche, col digiuno e veste di sacco e cenere e fece questa preghiera: "Signore Dio, grande e tremendo, che sei fedele all'alleanza e benevolo verso coloro che ti amano e osservano i tuoi comandamenti, abbiamo peccato e abbiamo operato da malvagi e da empi, siamo stati ribelli, ci siamo allontanati dai tuoi comandamenti e dalle tue leggi ! Non abbiamo obbedito ai tuoi servi, i profeti, i quali nel tuo nome hanno parlato ai nostri re, ai nostri prìncipi, ai nostri padri e a tutto il popolo del paese. A te conviene la giustizia, o Signore, a noi la vergogna sul volto, come avviene ancora oggi per gli uomini di Giuda, per gli abitanti di Gerusalemme e per tutto Israele, vicini e lontani, in tutti i paesi dove tu li hai dispersi per i delitti che hanno commesso contro di te. Signore, la vergogna sul volto a noi, ai nostri re, ai nostri prìncipi, ai nostri padri, perché abbiamo peccato contro di te; al Signore, nostro Dio, la misericordia e il perdono ("racemi" e "selichot" ), perché ci siamo ribellati contro di lui, non abbiamo ascoltato la voce del Signore, nostro Dio, né seguito quelle leggi che egli ci aveva dato per mezzo dei suoi servi, i profeti. Tutto Israele ha trasgredito la tua legge, si è allontanato per non ascoltare la tua voce; così si è riversata su di noi la maledizione sancita con giuramento, scritto nella legge di Mosè, servo di Dio, perché abbiamo peccato contro di lui... Tutto questo male è venuto su di noi, proprio come sta scritto nella legge di Mosè... Signore, ascolta! Signore, perdona! ("selachah" )" (Daniele 9.5-19)

Il "ritornare" è verbo che in ebraico ha il radicale e il "pentimento", è chiamato appunto "ritorno" una "shuvah" o meglio "Teshuvah o Teshuva" , che è il modo di espiare i peccati per raggiungere il perdono collettivo e individuale.

Nel profeta Geremia si trova "Se ritornerai, io ti farò ritornare e starai alla mia presenza..." (Geremia 15,19) e se tornerai è "teshub" "ti farò tornare" "'eshibek" si può anche intendere e "io tornerò a te".

Stesso modo d'esprimersi di Dio è nel profeta Malachia: "Fin dai tempi dei vostri padri vi siete allontanati dai miei precetti, non li avete osservati. Tornate a me e io tornerò a voi, dice il Signore degli eserciti." (Malachia 3,7)

Stare col Signore è stare nella Terra Promessa, il Regno dei Cieli!

L'intenzione di tornare comporta l'idea di riavvicinarsi che in ebraico è espresso dal radicale verbale di "avvicinarsi, accostarsi", ma anche sta a indicare il gesto di chi si avvicina con buone intenzioni per ingraziarsi chi deve incontrare, ossia "di offrire" un dono, da cui viene il termine offerta sacra, una forma di sacrificio il "qarban" ricordato in Marco 7,11.

La "teshuvah" è così un movimento di ritorno che, ha intima connessione con l'idea di sacrificio, il "qorban", che vuol dire proprio avvicinamento.

Secondo il Talmud il pentimento è stato tra le prime cose predisposte da Dio prima della Creazione ("Nedarim" 39b).

Con ciò è indirettamente detto che da quei saggi che scrissero il Talmud era stato recepito che il disegno divino sull'uomo, grazie alla libertà con cui intendeva crearlo, doveva prevedere la possibilità di rimediare agli errori che avrebbe potuto compiere.

La Torah, infatti, prescrive l'osservanza di un giorno particolare, lo "Yom Kippur" "Giorno dell'espiazione" , descritto al capitolo 16 del libro del Levitico e ricordato più volte in Levitico 23,27-31 e 25,9, in Esodo 30,10 e in Numeri 29,7-11.

È quello un giorno di digiuno e valgono le stesse prescrizioni per il Sabato circa il lavoro e altre attività vietate ed è uno degli "Yamim Noraim" vale a dire dei "Giorni terribili" o "Giorni di timore reverenziale" che sono i primi due giorni e l'ultimo dei "Dieci Giorni del Pentimento", che vanno da "Rosh haShana" , il capodanno religioso, a "Yom Kippur", il tempo opportuno annuale per fare "teshuvah", il ritorno, la conversione a Dio.

In quel giorno di Yom Kippur, quando esisteva il Tempio, il Sommo Sacerdote confessava i propri peccati e quelli del popolo sopra un capro che poi veniva fatto condurre nel deserto, come appunto prescrive Levitico 16,21: "Aronne poserà entrambe le mani sul capo del capro vivo, confesserà su di esso tutte le colpe degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li riverserà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di ciò, lo manderà via nel deserto."

In quei tempi il fedele ebreo portava al Tempio i vari sacrifici per i vari tipi di peccato, ma la parte essenziale del rito era che doveva confessare "viddui" i propri peccati, atto essenziale per partecipare alla "teshuvah", collettiva e individuale e godere della redenzione annuale.
Da quando non c'è più il Tempio il rito si compie in Sinagoga con lettura del brano della Torah e il servizio o lavoro "Avodah" dei sacerdoti e i sacrifici sono sostituiti dalla preghiera "Musaf".
La liturgia si conclude con la preghiera "Neilah", che significa "chiusura" con cui c'è un appello diretto a Dio e vi si chiede "suggellaci nel Libro della Vita", perché il destino di tutti gli uomini secondo l'ebraismo è suggellato e deciso negli ultimi momenti del "Giorno di Espiazione".

La preghiera speciale dice fra l'altro: "Tu stendi una mano ai trasgressori, la Tua destra è protesa a ricevere i penitenti; Tu ci hai insegnato o Signore Dio nostro, a confessare davanti a Te tutti i nostri peccati, affinché noi cessiamo di fare violenza con le nostre mani, in modo che Tu possa riceverci alla Tua presenza in assoluto pentimento..."

A ciascuno però spetta la parte del lavoro della "Teshuvah" su se stesso non solo col prepararsi a confessare i propri peccati, ma provvedendo di fare quanto possibile col prossimo eventualmente offeso nell'anno per riparare.
Il pentimento autentico comporta, infatti, che chi vuol ricevere il perdono vada dalla parte lesa e cerchi di correggere il peccato nel miglior modo possibile.
È evidente che in fin dei conti tutti i peccati sono contro Dio, anche quelli contro il prossimo, perché sono comunque una trasgressione della legge divina "amerai il tuo prossimo come te stesso" (Levitico 19,18) il che comporta che l'ebreo si deve rivolgere e confessare pentito questi peccati a Dio.
Il pentimento con purezza di cuore e buone intenzioni e propositi, è sufficiente nel caso dei peccati verso Dio, ma non per quelli verso il prossimo in quanto, appunto, questi comportano il rivolgersi, per quanto possibile, anche alla parte lesa, ossia al prossimo che ha subito per il comportamento del penitente.
La richiesta di perdono ha senso se solo c'è una coscienza della gravità della colpa e l'intenzione di non ricommetterla.
La prova di pentimento è vero è se in circostanze identiche il pentito non ricade.
Ecco che appaiono tre tipi di perdono.

Il primo livello è la "mechilah" , che non è un termine biblico, perché il radicale appare per la prima in ebraico rabbinico e significa "il rimettere" un debito o "rinunciare di un onore", quindi, l'abbandonare un reclamo per indebitamento e, come termine traslato, perdonare.
Questo è il perdono che può dare la persona offesa.
La mancanza c'è stata e rimane, ma il debito è perdonato.
L'autore del reato ovviamente deve essere sincero nel pentimento e nel rimorso, deve astenersi dal ricommettere l'atto e confessare l'atto della mancanza davanti all'offeso.
Poi l'offeso decide, e le regole della comunità per gli offesi della comunità stessa comportano che sono moralmente in obbligo di perdonare.

Il secondo tipo di perdono è la "Selichah" , atto di cuore con cui si raggiunge una comprensione più profonda del peccatore un atto di misericordia.

Il terzo tipo totalizzante del perdono è la "Kapparah" o "espiazione" ed anche "Tahorah" purificazione. Si tratta di una totale pulizia esistenziale concessa solo da Dio, perché nessun essere umano può espiare i peccati di un altro o purificare l'inquinamento spirituale di un altro.

Dal Sefer Mechilah uSlichah veKhaparah: "Libro del perdono, del condono e dell'espiazione" estraggo la seguente invocazione:

Padre nostro, nostro re, "Avinu Malkenu",
Ogni versetto inizia con "Padre nostro, nostro re" che sintetizzo con P...

P... - abbiamo peccato contro di te.
P... - non abbiamo re se non te.
P... - re agisci con noi per riguardo al tuo Nome.
P... - annulla da noi i duri decreti.
P... - rinnova per noi notizie buone.
P... - rinnova per noi un anno buono.
P... - annulla i pensieri di quanti ci odiano.
P... - fa cadere il progetto dei nostri nemici.
P... - manda piena guarigione ai malati del tuo popolo.
P... - trattieni l'epidemia dalla tua eredità.
P... - distruggi la peste, la spada, la carestia.
P... - distruggi la prigionia e l'epidemia dai figli del tuo popolo.
P... - ricordati che noi siamo polvere.
P... - strappa il cattivo decreto deciso contro di noi.
P... - cancella il documento che ci dichiara colpevoli.
P... - perdona e condona le nostre iniquità.
P... - cancella e fa sparire dai tuoi occhi le nostre colpe e i nostri peccati.
P... - facci tornare a te con pentimento perfetto.
P... - non farci tornare a mani vuote dalla tua presenza.
P... - abbi un buon ricordo di noi davanti a te.
P... - iscrivici nel libro della vita.
P... - iscrivici nel libro dei meriti.
P... - iscrivici nel libro delle salvezze e delle consolazioni.
P... - iscrivici nel libro del sostentamento e dell'alimentazione.
P... - iscrivici nel libro del perdono, del condono e dell'espiazione.
P... - fa germogliare presto per noi la salvezza.
P... - ascolta la nostra voce, abbi pietà e misericordia di noi.
P... - accogli con misericordia e gradimento la nostra preghiera.
P... - agisci riguardo a te e non riguardo a noi.
P... - agisci riguardo al tuo Nome grande, forte e tremendo.
P... - agisci riguardo alla tua grande misericordia e alle tue molte grazie.
P... - abbi misericordia di noi e salvaci.

I SALMI E IL PERDONO
Nei 150 Salmi raccolti nel libro omonimo della Bibbia numerose volte risuona la richiesta di perdono.
Proviamo a seguire in questi quella parola.
Cominciamo col Salmo 25 alfabetico di Davide ove si trova:
  • 7 - "Het. I peccati della mia giovinezza e le mie ribellioni, non li ricordare: ricordati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore."
  • 11 - "Lamed. Per il tuo nome, Signore, perdona il mio peccato anche se grande."
  • 17-18 - "Zade. Allevia le angosce del mio cuore, liberami dagli affanni. Vedi la mia miseria e la mia pena e perdona tutti i miei peccati."
Nel Salmo 32 di Davide si legge:
  • 1 - "Beato l'uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato."
  • 5 - "Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa. Ho detto: Confesserò al Signore le mie iniquità e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato."
Il confessare è il primo atto per venire alla luce!
È fase essenziale nel processo penitenziale, non perché il Signore non conosca la situazioni di chi gli si rivolge, ma perché il peccatore così si auto costringe a prendere atto in modo serio della gravità della propria situazione invocando l'aiuto di Dio per uscirne.
Il confessare da un senso di profonda liberazione!
Prima di quell'atto di ritorno liberatorio il Salmo pone in evidenza il malessere giornaliero pesante del senso di colpa prima di confessare:
  • 3 - "Tacevo e si logoravano le mie ossa, mentre ruggivo tutto il giorno."
  • 4 - "Giorno e notte pesava su di me la tua mano, come nell'arsura estiva si inaridiva il mio vigore."
Nel Salmo 65 al versetto 4 e nel Salmo 78 al versetto 38 e nel 79,19 per perdonare è usato il verbo a ricordo del coperchio Koppoeret o propiziatorio sopra l'arca dell'alleanza e indirettamente il giorno di Kippur in cui il Sommo Sacerdote, entrando per quella sola volta durante tutto l'anno liturgico nel Santo dei Santi, invocava il Nome col Tetragramma Sacro e il perdono per i peccati di quell'anno per tutto il popolo se pentito e che avesse fatto penitenza.
  • 65,4 - "Pesano su di noi le nostre colpe, ma tu perdoni i nostri delitti."
  • 78,38 - "Ma lui, misericordioso, perdonava la colpa, invece di distruggere. Molte volte trattenne la sua ira e non scatenò il suo furore."
  • 79,9 - "Aiutaci, o Dio, nostra salvezza, per la gloria del tuo nome; liberaci e perdona i nostri peccati a motivo del tuo nome."
Dal Salmo 85 si evince che di chi torna "iashubu" con "kiselah" speranza fiducia Dio dimentica i peccati:
  • 3 - "Hai perdonato la colpa del tuo popolo, hai coperto ogni loro peccato."
  • 9 - "Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annuncia la pace per il suo popolo per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con fiducia." (Salmo 85,3.9)
Dal Salmo 86,1.5 si ricava che chiunque sia che nella propria oggettiva situazione di creatura si riconosce bisognoso di tutto da parte del Creatore, perché comunque povero e misero e gli chiede di essere perdonato troverà il perdono:
  • 1 - "Signore, tendi l'orecchio, rispondimi, perché io sono povero e misero."
  • 5 - "Tu sei buono, Signore, e perdoni, sei pieno di misericordia con chi t'invoca." (Salmo 86,5)
Il Salmo 103 collega il perdono anche con la guarigione delle infermità, perché non si è ripagati secondo le colpe e addirittura questo fatto è promessa d'eternità, perché dice il Salmo che salva dalla fossa la nostra vita:
  • 3 - "Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità,"
  • 4 - "salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia,"
  • 10 - "Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe."
  • 11 - "Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono;"
  • 12 - "quanto dista l'oriente dall'occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe."
Abbiamo poi il Salmo 130 che fa parte dei Canti delle Ascensioni ed è ricordato col nome di "De Profundis" per le prime parole della vulgata in latino.
Questo Salmo è usato in genere nelle liturgie per i defunti, ma la sua intenzione è tutta pratica, una salita fisica vera e propria e nel contempo è escatologica.
I cantici delle ascensioni, sono i 15 Salmi che vanno 120-134 e costituiscono la preghiera "cantata" per la salita al monte Sion il quando gli Israeliti in pellegrinaggio andavano per le feste comandate dalla Torah a Gerusalemme.
Sono anche detti "salmi graduali", essendo 15, come era il numero dei gradini d'accesso al Tempio di Gerusalemme.
Sant'Agostino il Vescovo d'Ippona su tali Salmi ha scritto:
  • Questi cantici insegnano una cosa sola, fratelli miei: a salire. Ma a salire col cuore, con sentimenti buoni, nella fede, speranza e carità, nel desiderio dell'eternità e della vita che non avrà fine. È così che si sale.
  • È la voce di chi sale e canta: canta amore filiale per la Gerusalemme celeste. Verso questa sospiriamo, mentre continuiamo a salire; in lei ci allieteremo, al termine del nostro cammino!... Non contare sui tuoi piedi per salire e non temere che siano i tuoi piedi a farti allontanare: se ami Dio, sali; se ami il secolo presente, cadi. Quindi questi salmi graduali sono dei cantici d'amore e sono animati da un santo desiderio.
Sul perdono questo Salmo 130 dice:
  • Salmo 130,1 - Canto delle salite. Dal profondo a te grido, o Signore.
  • Salmo 130,2 - Signore, ascolta la mia voce. Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia supplica.
  • Salmo 130,3 - Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi ti può resistere?
  • Salmo 130,4 - Ma con te è il perdono: così avremo il tuo timore.
  • Salmo 130,5 - Io spero, Signore. Spera l'anima mia, attendo la sua parola.
  • Salmo 130,6 - L'anima mia è rivolta al Signore più che le sentinelle all'aurora. Più che le sentinelle l'aurora,
  • Salmo 130,7 - Israele attenda il Signore, perché con il Signore è la misericordia e grande è con lui la redenzione.
  • Salmo 130,8 - Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.
Questo salmo, che è un grido di speranza nei riguardi di un evento, conclude con la fede in una promessa, quella di un riscatto.
Vi si aspetta una nuova redenzione come quella che era attesa in Egitto dagli antenati del popolo d'Israele al tempo di Mosè.
Redenzione "pedut" e redimerà, "ipeddah" sono così parole profetiche, comportano che qualcuno paghi un pegno per riscattare l'umanità dalla schiavitù del peccato e della morte e questo sarà pagato direttamente da IHWH, il Signore.
Il Signore stesso verrà presto a visitarvi!
Questa era l'attesa.

Con il metodo che uso per leggere in altro modo le Sacre Scritture in ebraico facendo parlare le lettere di quell'alfabeto come icone, come ho messo in evidenza in Scrutatio cristiana del Testo Masoretico della Bibbia", secondo l'intuizione in "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche" e con regole e significati delle lettere di "Parlano le lettere" ho voluto scrutare questo Salmo 130.
Riporto il testo ebraico e la dimostrazione lettera per lettera solo del primo versetto e poi riporto la decriptazione tutta di seguito.

Salmo 130,1 - Canto delle salite. Dal profondo a te grido, o Signore



Salmo 130,1 - Risorti che saranno i corpi , entrerà la vita ad agire potente recata dal Crocifisso che con l'acqua dal seno () ai viventi versò . Sarà la putredine vista finire essendoci la rettitudine del Signore .

Salmo 130,1 - Risorti che saranno i corpi, entrerà la vita ad agire potente recata dal Crocifisso che con l'acqua dal seno ai viventi versò. Sarà la putredine vista finire essendoci la rettitudine del Signore.

Salmo 130,2 - Dell'Unico il giudizio sarà sui risorti in vita in vista dell'entrata nella casa sperata del Potente. Sarà per il Crocifisso ad uscire il sia. Saranno con gli angeli a entrare dall'Unico. Questi, angeli saranno per la rettitudine riversata dalla risurrezione da dentro portata dalla croce che la potenza ha portato. Del Potente col Crocifisso nell'assemblea figli saranno.

Salmo 130,3 - L'Unico nei viventi le colpe avrà portato alla fine. Da tutti con la risurrezione l'essere ribelle sarà uscito. Col Signore saranno a vivere per i giorni vi dimoreranno.

Salmo 130,4 - La rettitudine fu in azione. Dalla piaga uscì. Dal foro guizzò dal chiuso. Uscì la potenza dal seno. L'inviò il Crocifisso; portò un corpo ad originare.

Salmo 130,5 - Una corda fu dal Crocifisso ad esistere che sarà dal mondo a portarci fuori. Ci fu una speranza per tutti del mondo per il desiderio di essere portati dal Potente. Li aiuterà. Dentro il corpo li porterà ad entrare e nell'assemblea del Potente tutti staranno.

Salmo 130,6 - Per l'angelo superbo ci sarà il rifiuto col giudizio che ci sarà stato. Salvati dall'essere ribelle saranno i viventi. Il Potente dentro verserà nei corpi la risurrezione. Dei viventi i corpi saranno a rivivere. Il serpente da dentro si rovescerà dai corpi.

Salmo 130,7 - Sarà l'ammalare che c'era ad essere bruciato nei corpi dall'Unico. Per il rifiuto il serpente sarà a uscire e rientrerà la rettitudine che c'era, ri-agirà nei viventi. Dal Signore uscirà la misericordia e del mondo le moltitudini usciranno per l'azione a rivivere avendo portato il soffio dell'essere impuro a finire.

Salmo 130,8 - E Lui sarà col Verbo ad aiutarli nel mondo. Verrà in Israele ad abitare. Tutte le colpe porterà a finire dall'esistenza.

IL PERDONO SI FA CARNE
Il profeta Geremia, vissuto tra il VII e il VI secolo a.C. al capitolo 31,31-34 del libro che porta il suo nome come titolo, aveva pronunciato questa profezia:
"Ecco verranno giorni - dice il Signore - nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. Non come l'alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d'Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Parola del Signore. Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato."

Proprio così: condividerò "karatti" un'alleanza "berit" nuova "chadashah" .

Questa alleanza nuova per l'ebraismo sarà solo il frutto escatologico, atteso quindi nell'ultimo giorno.
Il cristianesimo afferma che questa nuova alleanza è stata promulgata ai suoi apostoli, tutti giudei e israeliti, da Gesù di Nazaret, quando, nella notte in cui fu tradito "...dopo aver cenato, prese il calice dicendo: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi." (Luca 22,20)

Nel Vangelo di Giovanni 3,13-18 Gesù nel colloquio notturno con Nicodemo, tra l'altro, disse "Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato..."

Dio l'ha mandato per salvare quindi è implicito il perdonare.
Il suo primo atto pubblico fu di andare al Giordano ove si era presentato "...Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati." (Marco 1,4)

Gesù nella sua predicazione pose in grande risalto il perdono; basta pensare ai casi della samaritana in Giovanni 4, della donna adultera in Giovanni 8,1-11 e della prostituta in Luca 7, del paralitico in Matteo 9,1-8, Marco 2,1-12 ecc..
Nella predicazione Gesù insegna di essere prodighi nel perdonare, infatti "...Pietro gli si avvicinò e gli disse: Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte? E Gesù gli rispose: Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette." (Matteo 18,21s)
Pur giusto, fu innalzato sulla croce come un malfattore, eppure era l'Agnello di Dio: "Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello..." (Isaia 53,7)

Realizzò nella sua carne la nuova alleanza infatti: " l'Agnello crocifisso fu , dentro il corpo fu dalla croce nella tomba , dalla porta risorto ne uscì ."

E sulla croce prima di morire "Gesù diceva: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno." (Luca 23,34).

Da risorto, ai dieci (mancavano Giuda e Tommaso) riuniti nel cenacolo affidò la missione unitamente con la forza dello Spirito Santo per compierla.
Questa missione comporta il perdono, infatti: "Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi. Detto questo, soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati." (Giovanni 20,21-23)

Sul tema del perdono è poi da ricordare come conclude il Vangelo di Luca:

"Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto. Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio." (Luca 24,46-52)

IL PERDONO, MISSIONE DEL CRISTIANESIMO
Proprio per quelle parole di Gesù risorto il perdono è la missione che ha lasciato all'assemblea raccolta nel Suo Nome, la Chiesa, quindi, a ogni cristiano.
Il cristiano, grazie al soffio dello Spirito Santo, è suo ambasciatore, quindi suo angelo, ed è chiamato a essere luce, sale e lievito per il mondo appartenendo alla Chiesa che è "Lumen Gentium" luce delle genti.
Il Simbolo o Credo degli Apostoli tra i vari articoli pone in evidenza la fede nel perdono dei peccati, come peraltro ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) all'articolo 976.
Il perdono dei peccati si consegue per mezzo del Battesimo, sacramento attraverso cui si diviene cristiani.
La grazia del Battesimo, però, non libera dalla debolezza della nostra natura umana, ma in caso di cadute si può riottenere il dono della grazia di Dio con gli altri sacramenti, in special modo con quello della Penitenza.

San Gregorio Nazianzeno, "Oratio" 39,17 ha giustamente chiamato il sacramento della Penitenza "un Battesimo laborioso".
Sant'Agostino in "Sermo" 214,11, infatti, sostiene che "Per coloro che sono caduti dopo il Battesimo questo sacramento della Penitenza è necessario alla salvezza come lo stesso Battesimo per quelli che non sono stati ancora rigenerati."

Ogni colpa, per grave che sia, può essere perdonata dalla santa Chiesa.
Non si può escludere che un uomo, per quanto infame e scellerato, possa avere con il pentimento il perdono.
Cristo, che è morto per tutti gli uomini, vuole che, nella sua Chiesa, le porte del perdono siano sempre aperte a chiunque si allontani dal peccato. (Vedi articolo 982 del Catechismo della Chiesa Cattolica riportato nel II paragrafo di questo articolo.)

1422 - Quelli che si accostano al sacramento della Penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l'esempio e la preghiera.

Il Sacramento della Penitenza, perché in sé tende a quegli scopi, è anche detto Sacramento della Conversione, Sacramento della Confessione, Sacramento del Perdono e Sacramento della Riconciliazione.
Il recuperare quindi, se possibile, il perdono da parte di quelli che ha offeso da parte del penitente è comunque da ricercare.
Per un cristiano cattolico cinque sono poi i precetti minimi da assolvere secondo il Compendio del CCC:
  • Partecipare alla Messa la domenica e le altre feste comandate e rimanere liberi da lavori e da attività che potrebbero impedire la santificazione di tali giorni.
  • Confessare i propri peccati almeno una volta all'anno.
  • Ricevere il sacramento dell'Eucaristia almeno a Pasqua.
  • Astenersi dal mangiare carne e osservare il digiuno nei giorni stabiliti dalla Chiesa.
  • Sovvenire alle necessità materiali della Chiesa stessa, secondo le proprie possibilità.
Queste sono le basi costitutive, ma al cristiano maturo nella fede è dato il carisma di essere messaggero del perdono.
Questo s'esplica per il fatto che nel cristiano diviene sempre più insito il desiderio di chiedere perdono, considerata la propria situazione, sempre in deficit rispetto a quanto sa essere buono e giusto, perché il perdono l'ha sperimentato proprio grazie ai sacramenti e nei fatti della propria vita.
Essendo stato perdonato, ha ricevuto la capacità interiore di perdonare, essendo stato molto amato dovrebbe poter molto amare!
Il cristiano dovrebbe tende a essere una creatura nuova che Dio continuamente rinnova e porta alla misura perfetta di Cristo.

Al riguardo, scrive San Paolo tratteggiando la missione del cristiano autentico: "...se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio." (2Corinzi 5,17-21)

Il cristiano così è tenuto ad annunciare il perdono, frutto della prima venuta nella carne di Cristo che è morto ed è risorto per il perdono dei peccati degli uomini di tutto il mondo.
A conclusione di questi pensieri sul perdono riporto la seguente pagina di sant'Agostino vescovo, tratta Dal "Commento sui salmi" sul Salmo 95,12-13 "Allora si rallegreranno gli alberi della foresta davanti al Signore che viene, perché viene a giudicare la terra".

"Venne una prima volta, e verrà ancora in futuro. Questa sua parola è risuonata prima nel Vangelo: "D'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo venire sulle nubi del cielo" (Matteo 26,64).

Che significa: D'ora innanzi? Forse che il Signore deve venire già fin d'ora e non dopo, quando piangeranno tutti i popoli della terra?
Effettivamente c'è una venuta che si verifica già ora, prima di quella, ed è attraverso i suoi annunziatori.
Questa venuta ha riempito tutta la terra.
Non poniamoci contro la prima venuta per non dover poi temere la seconda.
Che cosa deve fare dunque il cristiano?
Servirsi del mondo, non farsi schiavo del mondo, ma che significa ciò?
Vuol dire avere, ma come se non avesse, così dice, infatti, l'Apostolo... in 1Corinzi 7,29-32.
Chi è senza preoccupazione, aspetta tranquillo l'arrivo del suo Signore, infatti che sorta di amore per Cristo sarebbe il temere che egli venga?
Fratelli, non ci vergogniamo? Lo amiamo e temiamo che egli venga!
Ma lo amiamo davvero o amiamo di più i nostri peccati?
Ci si impone perentoriamente la scelta.
Se vogliamo davvero amare colui che deve venire per punire i peccati, dobbiamo odiare cordialmente tutto il mondo del peccato.
Lo vogliamo o no, egli verrà.
Quindi non adesso; il che ovviamente non esclude che verrà.
Verrà, e quando non lo aspetti.
Se ti troverà pronto, non ti nuocerà il fatto di non averne conosciuto in anticipo il momento esatto "E si rallegreranno tutti gli alberi della foresta".
È venuto una prima volta, e poi tornerà a giudicare la terra.
Troverà pieni di gioia coloro che alla sua prima venuta hanno creduto che tornerà "Giudicherà il mondo con giustizia e con verità tutte le genti" (Samo 95,13).
Qual è questa giustizia e verità?
Unirà a sé i suoi eletti perché lo affianchino nel tribunale del giudizio, ma separerà gli altri tra loro e li porrà alcuni alla destra, altri alla sinistra.
Che cosa vi è di più giusto, di più vero, che non si aspettino misericordia dal giudice coloro che non vollero usare misericordia, prima che venisse il giudice?
Coloro invece che hanno voluto usare misericordia, saranno giudicati con misericordia.
Si dirà infatti a coloro che stanno alla destra: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo (Matteo 25,34) e ascrive loro a merito le opere di misericordia: Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere" (Matteo 25,35-40) con quel che segue.


A quelli che stanno alla sinistra, poi, che cosa sarà rinfacciato?
Che non vollero fare opere di misericordia.
E dove andranno?: Nel fuoco eterno (Matteo 25,41).
Questa terribile sentenza susciterà in loro un pianto amaro.
Ma che cosa dice il salmo?: "Il giusto sarà sempre ricordato; non temerà annunzio di sventura" (Salmo 111,6-7).
Che cos'è questo "annunzio di sventura?: Via da me nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli" (Matteo 25,41).
Chi godrà per la buona sentenza non temerà quella di condanna.
Questa è la giustizia, questa è la verità.
O forse perché tu sei ingiusto, il giudice non sarà giusto?
O forse perché tu sei bugiardo, la verità non dirà ciò che è vero?
Ma se vuoi incontrare il giudice misericordioso, sii anche tu misericordioso prima che egli giunga.
Perdona se qualcuno ti ha offeso, elargisci il superfluo.
E da chi proviene quello che doni, se non da lui? Se tu dessi del tuo sarebbe un'elemosina, ma poiché dai del suo, non è che una restituzione! "Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?" (1Corinzi 4,7)
Queste sono le offerte più gradite a Dio: la misericordia, l'umiltà, la confessione, la pace, la carità.
Sono queste le cose che dobbiamo portare con noi e allora attenderemo con sicurezza la venuta del giudice il quale "Giudicherà il mondo con giustizia e con verità tutte le genti" (Salmo 95,13).


L'insegnamento del perdono di Cristo è sceso e si è incarnato nella Chiesa, prova ne è che il primo martire cristiano, il diacono Stefano, a Gerusalemme, prima di essere lapidato, mentre pregava, diceva: "Signore Gesù, accogli il mio spirito. Poi piegò le ginocchia e gridò forte: Signore, non imputar loro questo peccato. Detto questo, morì." (Atti 7,59s)

Nel cristiano non può esserci spazio per la vendetta o l'odio verso i nemici, ma solo per il perdono.
Ricordo poi San Paolo Miki giapponese membro della Compagnia di Gesù e i suoi 25 compagni, "santi martiri", crocifissi a Nagasaki nel 1597, canonizzati da Pio IX nel 1862. Prima di morire disse: "Giunto a questo istante, penso che nessuno tra voi creda che voglia tacere la verità. Dichiaro pertanto a voi che non c'è altra via di salvezza, se non quella seguita dai cristiani. Poiché questa mi insegna a perdonare ai nemici e a tutti quelli che mi hanno offeso, io volentieri perdono all'imperatore e a tutti i responsabili della mia morte, e li prego di volersi istruire intorno al battesimo cristiano". (Dalla "Storia del martirio dei santi Paolo Miki e compagni")

L'INDULGENZA PLENARIA
La prima indulgenza cristiana fu applicata da Gesù.
In croce, infatti, prima di morire nostro Signore disse al "buon ladrone": "In verità ti dico: oggi sarai con me in Paradiso" (Luca 23,43).
Se ne ricava che al "buon ladrone" per essere in Paradiso con Lui gli erano rimesse la colpa e la pena.
Il buon ladrone, tra l'altro, aveva riconosciuto la propria colpa dicendo all'altro ladrone "Stiamo ricevendo la giusta pena per le nostre azioni" (Luca 23,41) e, con le sofferenze della crocifissione, aveva anche i requisiti in regola perché la misericordia divina si ai applicasse con giustizia.
Fu quella una vera e propria indulgenza plenaria.

Poi, dal mandato di legare e sciogliere dato da Gesù a Pietro, "A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli." (Matteo 16,19) discende alla Chiesa il potere di concedere anche l'indulgenza.

Dal Codice di Diritto Canonico, 992-4: "L'indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, dispensa e applica autoritativamente il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi. L'indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati. Ogni fedele può lucrare per se stesso o applicare ai defunti a modo di suffragio indulgenze sia parziali sia plenarie."

Dal Catechismo della Chiesa Cattolica:

1471 - La dottrina e la pratica delle indulgenze nella Chiesa sono strettamente legate agli effetti del sacramento della Penitenza. L'indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, remissione che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi. L'indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati. Ogni fedele può acquisire le indulgenze [...] per se stesso o applicarle ai defunti.

E ancora dallo stesso Catechismo dagli articoli 1472-3:

Per comprendere questa dottrina e questa pratica della Chiesa bisogna tener presente che il peccato ha una duplice conseguenza. Il peccato grave ci priva della comunione con Dio e perciò ci rende incapaci di conseguire la vita eterna, la cui privazione è chiamata la "pena eterna" del peccato. D'altra parte, ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato Purgatorio. Tale purificazione libera dalla cosiddetta "pena temporale" del peccato. Queste due pene non devono essere concepite come una specie di vendetta, che Dio infligge dall'esterno, bensì come derivanti dalla natura stessa del peccato. Una conversione, che procede da una fervente carità, può arrivare alla totale purificazione del peccatore, così che non sussista più alcuna pena.

È a questo punto da ricordare il famoso episodio di San Francesco e dell'Indulgenza della Porziuncola o Perdono di Assisi.
Le fonti francescane narrano che una notte dell'anno 1216, san Francesco era immerso nella preghiera presso la Porziuncola, quando nella chiesina sopra l'altare appare un'eccezionale luce con Madre Santissima, circondata da una moltitudine di Angeli e Cristo che gli chiese cosa desiderasse per la salvezza delle anime.

La risposta di Francesco fu immediata: "Ti prego che tutti coloro che, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa, ottengano ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe".

La risposta del Signore fu: "Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande, ma di maggiori cose sei degno e di maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio vicario in terra, da parte mia, questa indulgenza".

Il pontefice Onorio III diede la propria approvazione onde il 2 agosto 1216 San Francesco, insieme ai Vescovi dell'Umbria, annunciò al popolo convenuto alla Porziuncola: " Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso!"
Solo la Chiesa di Cristo ha questo mandato, datole da Gesù, col potere di ricollegare l'uomo al suo Creatore.

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