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ATTESA DEL MESSIA...

 
IL REGNO DEI CIELI

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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PARABOLA DEL GRANELLO DI SENAPE
La parabola del granello di senape è raccontata da Gesù nei vangeli sinottici Matteo 13,31-32: Marco 4,30-32, Luca 13,18-19 e nell'apocrifo di Tommaso.

La parabola mette a confronto il Regno dei Cieli con un granello di senape. "Il Regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami". (Matteo 13,31s)

L'immagine dell'albero sui cui rami gli uccelli fanno il nido la Bibbia di Gerusalemme la pone in parallelo a quanto dice Ezechiele 17,22-24 "Dice il Signore Dio: lo prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami coglierò un ramoscello e lo pianterò sopra un monte alto, imponente; lo pianterò sul monte alto d'Israele. Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all'ombra dei suoi rami riposerà."

Questi uccelli sono i popoli pagani che verranno al monte Sion al tempo del Messia.


Il granello di senape, veramente piccolo, 1-2 mm di diametro, ha suscitato da sempre tanta curiosità per la sua virulenza considerato che da questo può venire fuori un arbusto alto anche fino a tre metri d'altezza.

Provo a prendere la questione un poco alla lontana considerato che antichi rabbini e cabalisti ebrei hanno fatto considerazioni ricordando quel seme pur se questa pianta l'Antico Testamento non la menziona anche se coltivata e nota in Palestina, oggi detta "teradel" .

Vi fu una questione rabbinica sul voto di nazireato in cui si parla del seme di senape in base al quale ne viene questo rigoroso parere: "Se qualcuno ha fatto voto di nazireato a cesto pieno - cioè di osservare il nazireato tante volte quanti sono gli oggetti che un cesto può contenere - si consideri allora che il cesto sia pieno di semi di senapa: in questo caso sarà nazireo per tutta la vita".

C'è poi una considerazione più importante che si connette alla creazione.
Non sappiamo quante e quali siano tutte le dimensioni della realtà; per contro, limitati in questo mondo, ne conosciamo solo le quattro dimensioni spazio-temporali.
Dio, prima della Creazione, con la propria presenza e luce riempiva ogni disponibilità, insomma, era il tutto e occupava il tutto.
Per creare qualcosa che esistesse fuori di Lui allora ecco l'idea cabalista registratata nel medioevo dal Nachmanide, ossia Rabbi Moses ben Nahman onde il suo acronimo Ramban (Girona, 1194-1270), studioso ebreo medievale, catalano, rabbino, filosofo, medico, cabalista e commentatore biblico nella "derashah" (sermone) "Toràt Hashem Temimah" (La Torah dell'Eterno è perfetta), dopo aver respinto le teorie dell'eternità del mondo adducendo varie prove, scrive quanto riportando non una propria teoria, ma elementi che da per scontati e noti che fanno parte della cultura biblica degli ebrei anche di tempi antichi:

«...la Torah ci ha rivelato il mistero della creazione e che i filosofi non sanno della creazione quello che sa l'ultimo tra gli israeliti. Costui ne sa di più sulla creazione perché dalla Torah ha imparato cosa fu creato nel primo e nel secondo giorno. E se vorrà approfondire le sue conoscenze da un Maestro che conosce la tradizione, imparerà che ogni elemento della creazione è più effimero di quello che segue e che ne è un'emanazione. E che all'inizio Dio creò la materia - "tohu" in ebraico, "hyle" in greco - dal nulla assoluto, iniziando con la creazione di entità più piccole di un granello di senape, una costituente la materia prima dalla quale si sviluppò il cielo e un'altra dal quale si sviluppò la terra. Da quel momento non fu creato più nulla e il Creatore generò il resto da quello che era stato creato nel primo istante. Per questo la parola "bar'à" - creò - appare all'inizio e non è usata per il resto della creazione. È invece seguita dalle espressioni "Ci sia il firmamento" (Genesi 1,6), "Si raccolgano le acque" (Genesi 1,9), "Ci siano astri illuminanti" (Genesi 1,14). La forma delle cose create varia ma la materia è quella dell'inizio della creazione. L'uso della parola "bar'à" nel caso dell'uomo si riferisce alla creazione dell'anima che non appartiene né al cielo né alla terra. E riguardo alla creazione dell'uomo è scritto che fu creato "a Nostra immagine e somiglianza" (Genesi 1,26), perché il corpo assomiglia alla terra in quanto è caduco e l'anima assomiglia al Supremo in quanto non è corporea e non è soggetta a disgregazione, come spiegò R. Yosef Qimchi (Spagna, 1105-1170).»

Poi, Rabbi Itzhaq Luria, vissuto in Palestina nel XVI secolo sviluppò la teoria per cui la luce infinita di Dio, almeno nell'ambito delle dimensioni del campo spazio temporale, si sarebbe contratta ritirata al "centro dell'infinito" e tale ritirarsi e/o contrarsi è la teoria del "tzimtzum" o della "contrazione" fino alle dimensioni di un puntino, il seme di senape di Ramban, che in un certo senso è la fase prima del big-beng; e poi lo spazio tempo lasciato libero lo riempì inviando la sua luce a modo di ampolle dette "zefiro" di che aprendosi operarono la creazione come si troverebbe traccia in Genesi 1.

Nello spazio tempo privo di sé la creazione ha così potuto aver luogo il creato ed è mantenuto da una forza al contorno chiamata "Shaddai" "Onnipotente" o "Dio del campo", "un fuoco che dice basta non oltre", che fa sì che non venga di nuovo invaso.
Con tale nome di "Shaddai" Dio si manifestò ai patriarchi (Vedi: Esodo 6,3) e si trova molte volte in Genesi (17,1; 28,3; 35,11; 43,14; 48,3; 49,25) e in Giobbe.
Questa forza si contrappone per volontà di Dio a se stesso un perpetuo atto divino, nel corso del tempo, per consentire l'esistenza del creato.
(Vedi: "Tensione dell'ebraismo ad una Bibbia segreta")

Gerald L. Schroeder, un fisico ebreo ortodosso contemporaneo statunitense e teologo che insegna allo Aish HaTorah College of Jewish Studies in Gerusalemme ha ripreso l'idea dell'universo creato inizialmente più piccolo di un granello di senape, che ancora si espande.
Ecco che il seme di senape può ben rappresentare in questo contesto di ricerca "midrashica" l'idea del Regno di Dio.
È da ricordare il richiamo contenuto nell'intervento del 10 Dicembre 2000 dell'allora cardinale Joseph Ratzinger durante il convegno dei catechisti e dei docenti di religione in cui, tra l'altro, sulla tentazione dell'impazienza nel cercare grande successo con l'evangelizzazione ha ricordato la parabola del granellino di senape:

"Per il regno di Dio e così per l'evangelizzazione, strumento e veicolo del regno di Dio, vale sempre la parabola del grano di senape (Marco 4,31s). Il Regno di Dio ricomincia sempre di nuovo sotto questo segno. Nuova evangelizzazione non può voler dire: Attirare subito con nuovi metodi più raffinati le grandi masse allontanatesi dalla Chiesa. No - non è questa la promessa della nuova evangelizzazione. Nuova evangelizzazione vuol dire: Non accontentarsi del fatto, che dal grano di senape è cresciuto il grande albero della Chiesa universale, non pensare che basti il fatto che nei suoi rami diversissimi uccelli possono trovare posto - ma osare di nuovo con l'umiltà del piccolo granello lasciando a Dio, quando e come crescerà (Marco 4,26-29). Le grandi cose cominciano sempre dal granello piccolo e i movimenti di massa sono sempre effimeri."

Nei Vangeli sinottici - Matteo 17,20 ripreso in 21,21, in Marco 11,23 e in Luca 17,5-6 - Gesù fa anche un altro parallelo tra il seme di senape e la fede.
In Luca 17,5-6, dopo che Gesù aveva parlato del perdono dovuto a un fratello il passo propone questo episodio: "Gli apostoli dissero al Signore: Accresci in noi la fede! Il Signore rispose: Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: Sradicati e vai a piantarti nel mare, ed esso vi obbedirebbe."

Negli altri Vangeli si parla di un monte che sarebbe spostabile se si avesse fede come quella di granello di senape.
In definitiva Gesù dichiara la potenza della fede che essendo divina è capace svellere ciò che è consolidato, di trapiantare in mare quanto è radicato in terra.

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