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RICERCHE DI VERITÀ...

 
L'UOMO SI MASCHERA

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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IL TEATRO NELL'ANTICO TESTAMENTO »

L'IPOCRISIA
L'ipocrisia, da cui ipocrita, deriva dal greco "ypo", cioè "sotto", e "krités" dal verbo "kríno" di "passare al setaccio", onde il "krités" è chi passa al setaccio un discorso, ne coglie gli aspetti di verità e lo valuta per prendere una decisione, quindi, è un decisore, un critico, che stima un qualcosa, ma quel "ypo" rende riduttivo l'operato, di quel decisore che sottovaluta, sottostima, non valuta a pieno o addirittura svaluta quanto invece col suo atteggiamento pare voler sostenere.
In definitiva l'ipocrisia è una bugia e l'ipocrita è un bugiardo, uno che si maschera, un simulatore, portatore di un comportamento che intende far credere, o che vuole suggerire agli altri di possedere credenze, opinioni, virtù, ideali, sentimenti, emozioni o addirittura fede religiosa che invece non possiede.
In ultima analisi un ipocrita non si comporta spontaneamente, ma è un attore.

Dai greci, infatti, "ypocrites" era chiamato l'attore che con la voce, il gesto e se necessario con una maschera rappresentava un personaggio a lui estraneo.
Persona viene, in effetti, da un termine teatrale, dal greco "prosopou", che in effetti è maschera dell'attore, termine entrato in Italia tramite l'etrusco "phersu" e/o dal latino "personare", parlare attraverso, appunto, attraverso le maschere che nel teatro antico erano in genere evidenti e scostate un poco dal viso onde alteravano e ampliavano le voci.
La maschera, infatti, serviva a dare le sembianze del personaggio, ma anche a permettere alla voce dell'attore di andare lontano e venire udita dagli spettatori.

Oggi con il detto "parlare con prosopopea" s'intende un discorso enfatico rispetto al tema trattato o atti, parole e atteggiamenti superbi.
La maschera, poi, secondo lo psichiatra e psicanalista C.G. Jung indica quella parte di personalità con cui l'individuo, senza rivelare le proprie strutture profonde, si presenta nell'ambiente usuale quotidiano.
Alla base dell'ipocrisia c'è la finzione, figlia di una paura, quella di farsi vedere come si è veramente onde per il desiderio di essere accettati si è disposti a presentarsi con aspetti che l'altro pensiamo possa desiderare nascondendone altri che riteniamo per lui disdicevoli, ma insiti nella nostra vera personalità.
Pur senza entrare nella situazione di gravi conflitti in cui esistono fronti che rivestono ruoli contrapposti, di fatto, anche negli usuali, semplici rapporti, pacifici e sociali, si può rilevare il verificarsi che ciascuno ha comportamenti diversi, secondo chi è presente, insomma, siamo un poco tutti alquanto camaleontici, ossia ci adattiamo alle circostanze.
Se sono solo due i presenti, i due hanno un loro modo di colloquiare e di interagire, ma se entra in scena un terzo, deviano un poco per adattarsi al nuovo venuto e questi è disposto a stare al gioco e cerca di adeguarsi agli altri.
Le mutazioni così proseguono anche al sopraggiungere di altri ancora per trovare un sistema di minor conflittualità possibile e il tutto prosegue più o meno pacificamente finché la sfera di minima libertà individuale resta garantita.

In definitiva, è insito nell'uomo di cercare di presentare al meglio il proprio io nella misura che uno ritiene di conoscersi, compatibilmente al grado di accettabilità da parte dell'altro, se lo si vuol mantenere nella propria cerchia.
Chi più e chi meno, tutti siamo comunque dei simulatori, anche se d'intensità diversa, accade così che ogni essere umano ha più facce, una per le persone più vicine, altre che usa in situazioni sociali e alla presenza di conoscenti generici e altre ancora per gli sconosciuti, ma la vera faccia rimane nascosta ai più e forse anche a se stesso!
Certi modi di essere, che sappiamo essere negativi, pur se solo per educazione vengono evitati, spesso però in privato sono invece adottati.
Tanto più, chi esce dal seminato, nasconde ipocritamente il proprio agire.
Ecco che il rapportarsi con gli altri è condizionato da quanto si è disposti a sacrificare del proprio egoismo a vantaggio di una certa coesistenza.
Ciò porta all'opportunismo ed è evidente che, minore è l'interesse per l'altro, minore è il sacrificio che è fatto nel limitarsi a non essere il vero se stesso.
Uscire dai binari con comportamenti limiti e peccaminosi avviene spesso più facilmente con o in presenza di sconosciuti che con gli intimi.
Tutto questo deviato stile di comportamento nasconde una triste realtà, soprattutto per l'uomo religioso specie se cristiano, l'essere peccatore la cui base è l'egoismo che sopravaluta il proprio personale benessere rispetto all'amore senza limiti per Dio e per il prossimo.

I comandamenti di Dio passano in un secondo piano, sono perciò sottovalutati, "ypo" - "krités" e ne consegue che per la definizione data all'inizio di questo paragrafo, sotto tale aspetto si diviene ipocriti e anche apostati, in quanto, di fatto è rinnegata per un momento la propria religione.
L'apostasia, infatti, dal greco "apò" lontano e "stàsis" o "ìstemi" stare, indi un collocarsi fuori, è l'abbandono formale e volontario dalla fede, anche momentaneo e si può considerare una degenerazione dalla virtù.

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