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IL PADRE DI GESÙ CRISTO
di Alessandro Conti Puorger

L'INTIMO DELLA TORAH
Ebrei e cristiani credono che i libri della Torah, dalla tradizione ritenuti scritti da Mosè, indipendentemente da chi e quando siano stati portati alla redazione definitiva, siano stati in verità ispirati da Dio, l'Unico che, come ha scritto il sommo Dante Alighieri nell'ultimo versetto del Paradiso della sua Divina Commedia, altri non è che:

"L'amor che move il sole e l'altre stelle" (Paradiso XXXIII,145).

L'amore è proprio il numero 1, il motore primo dell'Universo, l'"alef" che ha creato il mondo e tutto ciò che contiene e cui tutto è subordinato.
Ne consegue che in modo misterioso nella Torah circola il suo Santo Spirito.
In senso stretto ne consegue che quello che chiamiamo il Pentateuco, come del resto in tutta la Sacra Scrittura, che a quei cinque libri si intona e da cui è mossa, è stata scritta per Lui e discende da Lui come il n° 2 è strettamente connesso al n° 1 tanto che il 2 senza l'1 non potrebbe esistere e viceversa.
Fa parte intima del mistero del disvelarsi della Sua presenza anche il corpo del testo in cui il suo Spirito circola.
La presenza del divino diviene poi intensa e parla in modo particolarmente espressivo se il testo è scritto nel modo e con la forma dei segni con cui suggerisce la stessa tradizione che furono dati per la prima volta con le famose due Tavole della Testimonianza.

A proposito delle lettere che hanno formato tali Scritture dobbiamo, infatti, non dimenticare quanto dice in Esodo 32,16 la Torah stessa di quelle Tavole: "Le Tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita sulle tavole."

Per questo motivo la tradizione sostiene che i segni delle 22 lettere dell'alfabeto ebraico, che sono solo consonanti e anche numeri, con cui fu scritta la Torah tutta intera, ispiratrice delle intere Sacre Scritture della Tenak o Bibbia ebraica, scrittura evoluta poi fino alla forma detta Rabbino Quadrata, usata anche ai tempi di Gesù in sinagoga, ha proprio tutte le caratteristiche di quella di allora sulle Tavole, in quanto, almeno nell'essenzialità, conserva gli implicanti messaggi grafici oltre che fonemici e numerici.
Le prime Tavole tagliate da Dio furono rotte e solo quelle poi tagliate da Mosè sono un documento valido, perché Dio desidera l'adesione volontaria dell'uomo.

Ho trovato che "Rav Mordechai Elon, asseriva che se si venisse a sapere, non sia mai che un rotolo della Torà è stato scritto senza l'intenzione che questo fosse un Sefer Torah, anche se ci sono tutte le lettere e non c'è errore alcuno, esso è invalido. Per questo i nostri Saggi hanno imposto agli scribi d'Israele di pronunciare all'inizio della scrittura: Io scrivo questo Sefer per la Santità del Sefer Torah (Sh.Ar. Yorè Deà 474,1) e di ripetere tale affermazione ogni volta che scrivono il Nome di Dio."

Anche le seconde tavole però sono state scritte da Dio: "...il Signore scrisse sulle Tavole le parole dell'Alleanza, le dieci parole." (Esodo 34,28)

È chiaro che il messaggio è legato alla singola lettera e non soltanto alle parole e che Dio che ha scritto le Tavole ha ispirato con le stesse lettere la Torah scritta ed è anche implicito che quelle lettere, ideate da Dio per la creazione tutta intera, come ritiene la tradizione, hanno il potere di rivelare la verità tutta intera e vanno soppesate, ammirate, amate, ed ascoltate in quanto già da sole parlano con la loro grafica.
L'importante però è che chi scrive e chi legge sappia che è un Sofer Torah cioè il soggetto è Dio e il suo Messia altrimenti le lettere non riferendole a Lui danno altri significati!

Al proposito richiamo i tanti articoli in questo mio Sito che portano all'idea e poi al metodo di "Parlano le lettere" per ottenere per decriptazione pagine di secondo livello sul Messia.
Il Messia, infatti, è lo scopo unico e nascosto della Tenak, con i significati delle lettere ebraiche di cui alle schede a destra della Home:
Tornando al Creatore, è da tenere conto che in ebraico il termine "padre" si dice "'ab" e si scrive , ed è costituito dal numerale 1 = cui segue il numerale 2 = , mentre la "madre" è "'am" e il "figlio" è "ben" o anche, soprattutto in aramaico, "ber" .
I segni ebraici delle lettere con le loro intrinseche proprietà grafiche aiutano a dare perifrasi chiarificatrici delle parole che sottendono.
Ecco, che il Padre "'ab" è "l'origine, il primo della casa ", quindi, della famiglia e la madre "am" è "l'origine della vita ", mentre il figlio "ben" ha dei "due (padre e madre) l'energia " e, se è detto "ber" , dai "due (padre e madre) un corpo .
Nonostante l'attenzione che l'ebraismo pone alle lettere, com'è noto, accade che la prima lettera con cui inizia in Genesi 1,1 la Torah, non è la lettera 1 = "'alef", bensì la lettera 2 = , "bet", infatti: "In principio...", "Ber'ashit"...

Questa scelta per l'inizio degli scritti di Mosè pare proprio voluta e molti sono gli interrogativi che ha destato tra i rabbini.
A seguito di tale scelta della lettera "bet" per l'inizio della Torah ne discende la seguente idea, forse non tanto peregrina... a modo di parabola.
Quale è la risposta che può dare un fedele alla tradizione a questo fatto?

Tutta la Torah, e quanto in essa evocato poi nella Tenak o Bibbia ebraica, inizia con la lettera B = , perché... perché è un messaggio del Dio Unico, il numero 1, "l'alef" da cui tutto proviene.
Se dall'1 = esce al il 2 = o si apre al 2 si potrebbe scrivere anche il motivo di questa uscita.

Tenuto conto, infatti, che la lettera "he" = ha in sé l'idea grafica di aperto, di uscire e simili, per 1 che si apre ed esce = al od il 2, si avrebbe la sequenza da destra a sinistra come si legge l'ebraico delle seguenti tre lettere che danno luogo al radicale di un verbo che in quella lingua significa amare, onde "'ahab" è amore e "'oheb" è amico, amante, alleato.

Il motivo di questa apertura dell'1 al 2 è quindi l'amore come del resto abbiamo visto conclude anche la Divina Commedia.
Quindi ciò che circola nelle Sacre Scritture è lo Spirito di Amore per risvegliare l'umanità dal suo sopore e chiamarla a interagire con chi ha voluto che esistesse.
E l'amore vero comporta una stretta intesa di spirito, anima e corpo e di conseguenza un'alleanza sigillata in un patto come nel matrimonio secondo Dio.

Ora, l'idea che tutto ciò che ha un'origine ha una causa che in termini umani è definibile come il "padre" di ciò che è originato, fa pensare che la Torah è un messaggio del Padre, dello "'Ab" celeste, "l'origine in principio del "ber'eshit" ossia del ", ossia " la causa prima" il che, in definitiva sta a dire che in quella Torah "l'Unico vi abita ".
Tutto quello che dirà poi con la Torah lo suggerirà per amore, ma questo messaggio va compreso perché e come la missiva di un amante alla sua amata, solo con l'amore che corre tra i due si può comprendere, senza un vero sentimento di reciproca devozione il colloquio resta chiuso e addirittura sembra incomprensibile o addirittura assurdo.
Occorre insomma che i due entrino in una propria intimità.

Non basta una lettura affrettata e sporadica, ma occorre un venire rapiti e approfondire, certi che se abbiamo ancora vivo un poco di Spirito di Dio in noi questi si orienterà cogliendo volta per volta ciò che in quel momento ci occorre da quelle Scritture che si stanno scrutando.
Questo "Padre" con cui può chiamarsi in realtà l'autore che ispira la Sacra Scrittura è sì un termine molto umano, ma in effetti è l'estrapolazione di un logico ragionamento.
Il Dio Unico nella creazione non si è manifestato solo come Padre, ma l'ha realizzata con la sua "Parola" come ricorda il Salmo 33 e col suo Spirito, quindi come che i cristiani definiscono quale Santissima Trinità, unica sostanza divina in tre persone coeterne chiamate Padre, Figlio e Spirito Santo.

Quel Salmo 33 frutto di meditazione degli eventi della creazione recita infatti: "Dalla Parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera. E gli parlò e tutto fu creato." (Salmo 33,6-9)

Nel versetto 6, il primo dei due che ho sopra riportato, come ho evidenziato in grassetto, si trovano presenti le tre Sante Persone:
  • "la Parola" "Debar", il Figlio, infatti, + "per mano del Figlio ";
  • il Signore, IHWH, quindi il "Padre";
  • il "soffio della sua bocca", ove il soffio è il "Ruach" che vuol dire anche spirito, viene dal Signore ed esce dalla bocca della Parola del Figlio, quindi. Lo Spirito, il "Ruach", lo Spirito Santo.
Per questo motivo, in effetti, la Torah è trattata come una persona vivente ed è onorata come un Re tanto che il suo rotolo nell'ebraismo è incoronato ed è vestito con un mantello regale si che nel giorno della "Simchat Torah" o "Gioia della Torah", al termine della festività di "Succot" o delle Capanne, quel rotolo, considerato abitato dal Santo, è portato in processione.
Quanto scritto nella Torah è stato proprio interpretato quale messaggio di "'Ab", ossia del Padre celeste, dallo stesso Rabbi Gesù di Nazaret.

Questi, infatti, ai Giudei del suo tempo, ricordando il Salmo 82,6 ebbe a dire: "Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dei? Ora, se essa ha chiamato dei coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio - e la Scrittura non può essere annullata - a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre." (Giovanni 10,34-38)

In un altro passo lo stesso Rabbi Gesù aveva detto: "...le opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti, non credete a colui che egli ha mandato. Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me." (Giovanni 5,36-39)

La Torah parla di Lui in modo esplicito e implicito in ogni versetto e ogni parola e, infine, anche con ogni lettera il cui significato grafico si può riferire a Lui.
Come una pur minima parte del corpo umano contiene il DNA con tutta l'informazione genetica del soggetto, anche quei sacri testi scritti con i segni originali ci dicono di Lui che è l'abitatore della Parola di Dio essendo la Parola stessa e sotto tale aspetto il Verbo, Figlio di Dio.

La Parola ha due nature, divina, perché viene da Dio e umana perché deve avere un supporto fisico per essere recepita un rotolo, degli occhi per leggerla, una voce, orecchie, menti e un cuori per riceverla.
Questa Parola per secoli ha nutrito generazioni e generazioni di lettori finché quello Spirito oltre 2000 anni fa si è fatto carne.
Lui, Gesù, pur stando con noi resta pur sempre nella casa del Padre, perché è la Parola che riempie la propria tenda, che è la stessa Torah; infatti, dirà: "Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero." (Giovanni 8,35s)

Ed è la verità intrinseca alla Torah che Lui annuncia, vale a dire l'incarnazione di Dio che apre all'umanità il Regno dei Cieli.

In definitiva perché la Torah?
Proprio per annunciare e preparare l'avvento del Messia, scopo ultimo dell'intera creazione, "che geme e soffre fino ad oggi in attesa del parto" (Romani 8,22) con cui si attua il desiderio divino di avere una dimora nel mondo materiale dove rivelarsi, come interpreta un passo del Midrash (Tanchuma su Nasso' 7,1): "Lo scopo della creazione del mondo era che il Santo e Benedetto desiderava una dimora nel mondo inferiore."

L'Unico stava preparando una casa ...per la sposa per il matrimonio del figlio che avrebbe sposato l'intera umanità.

Al capitolo 2 del libro della Genesi, dopo la creazione di "'Adam", la prima coppia, e dopo la celebrazione del primo matrimonio, si legge "Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un'unica carne. Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, e non provavano vergogna." (Genesi 2,24s)

In trasparenza si legge un altro evento: il Figlio, la Parola, esce dal Padre, quindi, per amore, e vuole sposarsi con una moglie fedele, la Chiesa, per essere con lei una carne sola, il corpo di Cristo in terra.
Questo era il disegno!
Ma perché quel versetto ci dice che i due ancora nel matrimonio perfetto, infatti, prima della caduta, erano nudi, ma senza vergogna!
In quest'allegoria tra Cristo e la Chiesa, che senso ha tale idea?

Al riguardo, a mio parere è da sondare bene la parola usata nel testo per "nudi", "a'rummim" ed è da confrontare col primo versetto del successivo capitolo che inizia dicendo: "Il serpente era il più astuto...", ove per "astuto" è scritto "a'rum" .
È, quindi, voluto dall'autore tale accostamento di parole simili in ebraico "a'rummim" e "a'rum" .

Il primo "a'rummim" della fine del capitolo 2 del libro della Genesi si riferisce alla coppia ancora Santa ed è da considerare come una profezia di cosa accadrà alla fine della fine, quando finalmente vi sarà la conclusione dell'Apocalisse e la visione della sposa, i due uniti" vedranno - sentiranno Alta la loro esistenza di vita ".
Certo, il rapporto finale pieno di Cristo con la Chiesa in prospettiva prevede la vittoria sulla morte e sul negativo, tutti saranno riconciliati con Dio.

Il secondo "a'rum" , che si trova all'inizio di Genesi 3, il capitolo della caduta, riguarda il serpente tentatore, parla di "un nemico che si porta nel vivere " ove si comprende l'intenzione proditoria di uno scalare la vita per portarsi al primo posto, vale a dire "un agire per innalzarsi ", il contrario di amare, che invece comporta un uscire da se stesso e portarsi all'altro, mentre il secondo comportamento distingue l'egoismo, causa di tutti i peccati.
Nell'ebraismo, in effetti, quel termine "'ab" oltre il significato stretto di "padre" ha anche vari altri:
  • lato di "nonno, antenato, progenitore, avo",
  • aggettivale di "paterno",
  • figurato di colui che da origine, che inizia, il fondatore, l'ideatore, indi il patrono e il protettore.
"Padre", "madre" e "figlio" sono concetti universali dell'ambito delle famiglie umane, termini terreni che in primo luogo riguardano la generazione e la parentela della carne e che sono usati anche in modo allargato quali stereotipi; infatti, la famiglia è una struttura sociale.
È nota però l'attitudine delle Sacre Scritture di cui parliamo d'indicare la divinità con termini antropomorfici.
Dio, quindi, ha mani braccia, un volto, un trono, angeli che lo servono e in quei libri antichi della Bibbia è presente la dizione "figli di Dio".
Questi sono i "beni 'Elohim" , precisamente nei seguenti versetti:
  • Giobbe 1,6; 2,1 - "Un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi davanti al Signore e anche satana andò in mezzo a loro."
  • Giobbe 38,7 - "...mentre gioivano in coro le stelle del mattino e plaudivano tutti i figli di Dio?"
  • Salmo 29,1 - "Date al Signore, figli di Dio, date al Signore gloria e potenza."
  • Sapienza 5,4s - "Ecco colui che noi una volta abbiamo deriso e che stolti abbiam preso a bersaglio del nostro scherno; giudicammo la sua vita una pazzia e la sua morte disonorevole. Perché ora è considerato tra i figli di Dio e condivide la sorte dei santi?"
  • Sapienza 12,7 - "...perché ricevesse una degna colonia di figli di Dio la regione da te stimata più di ogni altra."
In definitiva nel parallelo antropomorfico nell'Antico Testamento sono considerati figli "benim" di Dio gli esseri angelici in cui circola il suo Spirito, ossia in cui "dentro la Sua energia è viva ", in cui circola ancora l'energia dello Spirito Santo, tra cui vi sono anche angeli non ancora scacciati, perché non ancora divenuti espressamente ribelli.
(Circa il brano" difficile" dei figli di Dio e delle figlie degli uomini di Genesi 6,1-4 si veda il paragrafo "La rivolta degli angeli" di "L'arcangelo Michele lotta con basilisco e leviatano")

Si arguisce, infatti, che per il libro di Giobbe lo stesso Satana, di cui ivi palesemente si parla, era ancora un angelo "corretto", insomma compiva l'incarico da parte di Dio di osservatore e non aveva ancora prevaricato, almeno in modo palese, tanto da poter essere accusato con prova incontrovertibile davanti all'assemblea della divinità "'El" , vale a dire di quel "'Elohim" , nome che evoca una pluralità, che la Bibbia pone a presiedere la creazione, l'assemblea di Dio uno e trino e di tutti i suoi angeli. Ma c'è di più.

L'incarnazione, implicando il sorgere della divinità nella carne, comporta in terra la scelta di un padre, di una madre e di un figlio, il "ben" in cui "abita l'energia " dei genitori, ma soprattutto l'energia del Padre celeste che l'ha voluto.
Il prima coppia, l'Adamo della Genesi, nata non da padre e madre terreni, formata da Dio come un vaso d'argilla in cui infuse il Suo Spirito, ebbe a fallire nel proprio compito per l'inganno, a cui i due dettero fede, da parte di chi suggeriva che la loro creazione non era avvenuta per un atto d'amore, ma per essere servi e così divennero schiavi della ribellione.
Occorreva, allora, per proseguire il piano divino, che una nuova coppia desse il proprio "si" incondizionato ad accogliesse lo Spirito di Dio.

Questa coppia, al tempo opportuno, come propongono i Vangeli di Matteo e di Luca, fu scelta nel davidico Giuseppe (Matteo 1,18-25) e in Maria (Luca 1,26-38) che aderirono al progetto di Dio.
(Vedi: "Il primo matrimonio con il Signore")

Dio stesso, il Figlio Unigenito, allora, si fece, figlio di quella coppia.
Il Santo Spirito entrò con tutta la Sua potenza nel seno della vergine Maria che offrì la propria carne e la propria vita per il figlio e Giuseppe offrì il suo nome davidico, il suo aiuto e la sua paternità terrena per inserire ordinatamente il Figlio di Dio nella società come proprio figlio e nella fede ebraica contemporanea.

Il Vangelo di Giovanni, poi, proprio agli inizi, sostiene che anche gli altri uomini di questa terra possono divenire figli di Dio; infatti, recita: "A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi..." (Giovanni 1,12-14)

Secondo il credo cristiano e i Vangeli, Dio, infatti, si è fatto uomo in Gesù di Nazaret "il Figlio Unigenito che è Dio ed è nel seno del Padre, è Lui che lo ha rivelato" (Giovanni 1,18)

A seguito della ribellione e della caduta della prima coppia narrate a modo di "midrash" da Genesi 3, scrive San Paolo nella lettera agli Efesini che "eravamo per natura meritevoli d'ira, come gli altri." (Efesini 2,3)

Quell'uomo venuto da Dio, Gesù di Nazaret, che si sottopose alla morte volontaria sul legno della croce per i nostri peccati, essendo giusto e santo fu risorto per la nostra giustificazione e ha procurato per tutti gli uomini che lo desiderano l'adozione a figli da parte del Padre celeste.

Lui dichiara se stesso fine ultimo della Torah quando nel discorso della montagna dice: "Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto." (Matteo 5,17s)

È il Messia, l'unto di Dio, atteso dall'ebraismo, di cui vi sono palesi profezie nella Torah, infatti, ricordo ancora una volta che ebbe a dire ai giudei del suo tempo: "Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me." (Giovanni 5,39)

Si trova, infatti, scritto nel libro della Genesi che Giacobbe, prima di morire, nelle sue benedizioni disse a Giuda: "Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli." (Genesi 49,10)

Evidentemente questo scettro di cui parla Giacobbe è eterno, perché è di colui a cui "è dovuta l'obbedienza dei popoli", onde Giuda per la profezia di Giacobbe avrà uno scettro eterno, vale a dire dalla sua discendenza nascerà un re che regnerà per sempre, il Messia.

Quel "colui al quale", "shilòh" per i Rabbini è divenuto un nome per definire il Messia, "Shilòh" : "un fuoco ci sarà del Potente nel mondo " che "a bruciare sarà il serpente nel mondo ."

Il personaggio del Messia e la sua attesa nell'ebraismo si fece così sempre più concreta attraverso la liturgia antica, soprattutto tramite i Salmi, tra cui dieci - 2, 16, 20, 22, 45, 72, 89, 101, 110, 132 e 144 - hanno contenuto messianico.
Questi salmi, infatti, erano recitati in varie occasioni dal popolo anche come preghiere individuali giornaliere, rispetto agli altri testi delle Sacre Scritture che avevano una lettura più sporadica.
(Vedi: "Battesimo al Giordano riconoscimento di paternità")

Nel Talmud vari sono commenti su quella benedizione di Genesi 49,10-12:
  • Targum Onqelos - La trasmissione del dominio non cesserà nella casa di Giuda, e neppure lo scriba dai figli dei suoi figli, per sempre, fino a che non verrà il Messia, a cui appartiene il Regno, e a cui tutte le nazioni obbediscono.
  • Targum Jonathan - I re e i governanti non scompariranno dalla casa di Giuda, e neppure gli scribi che insegnano la Torah dalla sua discendenza, fino a che il Messia Re non verrà, il più giovane dei suoi figli, e a causa di lui le nazioni svaniranno... Come è bello il Re Messia destinato a sorgere dalla casa di Giuda... Come sono belli gli occhi del Re Messia, come vino prelibato!
  • Bereshit Rabbah 98 e Sanhedrin 98b - Lo scettro non si allontanerà da Giuda... fino a che Shiloh ('lui') non verrà, questo è il Re Messia... lo scettro di Giuda rappresenta la Grande Sinagoga, il Sinedrio, che è stato colpito ed è crollato... fino a che Shiloh non verrà.
  • Lamentazioni Rabbah 1:16 - Qual è il nome del Messia-Re?... Il SIGNORE (YHWH) è il suo nome, perché Geremia 23,6 dice: Questo è il nome con cui verrà chiamato: il SIGNORE, nostra Giustizia SHILOH è il suo nome; perché è scritto nella Genesi 49,10, fino a che Shiloh non verrà...
Gesù di Nazaret, un discendente della tribù di Giuda, realizzò questa profezia.
Certamente con riferimento a quella profezia Giovanni Battista, ormai in carcere, mandò i propri discepoli a domandare a Gesù "sei tu Shiloh?" in questo modo: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?" (Matteo 11,3)

Gesù rispose dimostrando con i fatti che si stavano attuando le promesse messianiche "Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me".(Matteo 11,4s)

Occorre quindi scrutare le sacre scritture della Torah in cui ogni singola espressione e lettera che la formano ci parlano appunto del Messia, fine ultimo di tutta la creazione.

LA DONNA VESTITA DI SOLE E LE DOGLIE DEL PARTO DEL MESSIA
Nel Deuteronomio 18,15 Mosè ricorda che Dio aveva detto: "Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto" e Dio stesso lo ripete poco dopo al versetto 18,18.

Ed ecco che il Vangelo di Giovanni ci ricorda l'attesa di questo "profeta" che doveva venire quando riferisce: "Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva. Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato. All'udire queste parole, alcuni fra la gente dicevano: Costui è davvero il profeta! Altri dicevano: Costui è il Cristo! Altri invece dicevano: Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice la Scrittura: Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo?" (Giovanni 7,37-42)

Questi, il Figlio di David è l'Unto, il "Meshiach", il Cristo di Dio, su cui è stato versato l'olio "shoemoen" dello Spirito Santo, in cui "del Nome c'è l'energia ", olio che in ebraico ricorda il numerale otto "shemonoeh", (essendo = ), il Figlio amato (David vuol dire amato, amore) che ci porterà alla fine del settimo giorno della presente creazione, vale a dire all'ottavo giorno, il giorno la Domenica Eterna della nuova creazione in cui l'umanità finalmente sarà associata alla divinità.
Nella tradizione rabbinica si parla dei dolori del parto del Messia.

Il "Sefer ha-Zohar" o "Libro dello Splendore" o semplicemente "Zohar", il libro più importante della tradizione o cabala ebraica probabilmente redatto in Spagna attorno al 1275, propone: "Quando i dolori ed i travagli saranno sopra Israele, e tutte le nazioni ed i loro re prenderanno furiosamente consiglio contro di essa, allora una colonna di fuoco sarà sospesa tra la terra ed il cielo per quaranta giorni, visibile a tutte le nazioni. Quando il Messia sorgerà dal Giardino dell'Eden, dal luogo che è chiamato il Nido dell'Uccello... Egli sorgerà alla terra di Galilea... egli rivelerà se stesso in Galilea; poiché in questa parte della Terra Santa la devastazione è iniziata prima, e dunque egli manifesterà se stesso prima là..." (Zohar 3:7b-8a).

Gesù stesso parla di questo "inizio dei dolori" in Matteo 24,8.
L'inizio dei dolori aveva avuto inizio con la sua prima venuta; si era nel tempo della gestazione, nell'ultimo giorno per arrivare al tempo finale della nascita della nuova creazione: "Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno carestie, pestilenze e terremoti in vari luoghi. Ma tutte queste cose saranno soltanto l'inizio delle doglie di parto."(Matteo 24,7-8)

Ciò è rafforzato dai seguenti pensieri, quello di San Paolo in Romani 8,22 e della "Donna vestita di sole" dell'Apocalisse:
  • Romani 8,22 - "...tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto..."
  • Apocalisse 12,1-2 - "...una Donna vestita di sole... era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto."
Questa Donna è vestita di sole "soemoesh" , con il che s'intende che "il Nome la illumina ", e questo è il Nome di tutti i Nomi, il più alto che esista, il Nome di Dio!
Questa Donna è la madre che partorisce l'umanità redenta di cui Maria, la Vergine Madre di Cristo, è figura.
Dal costato d'Adamo, la prima coppia di maschio e femmina della razza umana, mentre dormiva, perché non fossero soli, Dio aveva estratto la donna, la moglie e l'uomo, il marito.

Fu la donna la prima tentata dall'angelo entrato proditoriamente nel giardino e fu scritto: "porrò inimicizia fra te e la donna..." (Genesi 3,15)

Del pari dal costato di Gesù Crocifisso ci furono i segni di un avvenuto parto.
Dall'uomo nuovo uscì una donna nuova.
Le tracce furono sangue e acqua e la nuova Eva uscita dal costato di Cristo si portò con gli apostoli in cammino fino ai confini del mondo per formare la Chiesa del Signore.
In lei e per lei, sempre incinta e nel travaglio del parto, nascono fratelli del Signore che rinnovano nelle generazioni il combattimento che provoca irritazione al nemico.
Ecco alla fine dei tempi il segno grandioso in cielo che profetizza l'Apocalisse 1,1-2 di:
  • "una donna vestita di sole", la luce della risurrezione,
  • "con la luna sotto i suoi piedi", per riflesso bianco argenteo della Colomba, lo Spirito Santo che la porta e la guida,
  • "e, sul capo, una corona di dodici stelle" i 12 apostoli di Cristo,
  • "incinta, e gridava per le doglie", il suo grido è la predicazione del Kerigma, udito in ogni angolo del mondo,
  • "e il travaglio del parto" la predicazione che fa nascere figli nella fede.
Contro di lei si avventa:
  • il "drago rosso" il Leviatano, rosso come il Mare Rosso che evoca, e anche rosso del sangue degli uomini;
  • "con sette teste", sette teste come i 7 rami del foce del Nilo e i 7 vizzi capitali,
  • "e dieci corna e sulle teste sette diademi" che sono titoli blasfemi quali morte, peste, spada, fame, schiavitù fossa o sepolcri, uccisioni che l'accompagnano.
  • Il drago è colui che apparve come serpente nel paradiso terrestre alla donna primigenia, infatti: "Quando il drago si vide precipitato sulla terra, si mise a perseguitare la donna che aveva partorito il figlio maschio. Ma furono date alla donna le due ali della grande aquila, perché volasse nel deserto verso il proprio rifugio, dove viene nutrita per un tempo, due tempi e la metà di un tempo, lontano dal serpente." (Apocalisse 12,13ss)
La prima volta, infatti, che nella Bibbia si trova la parola "padre" e "madre" è nel libro della Genesi al versetto 24, è dopo che Dio unì in matrimonio la prima coppia allorché commenta "Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un'unica carne." (Genesi 2,24)

Per quel "lascerà" è usato "iaea'zab" dal radicale e riguarda un vero e proprio distacco fisico.
In quel radicale, infatti, appaiono come due bi - consonanti e , la prima riguarda il concetto di "o'z" forte, vigore e il secondo in genere è usato per "mestruo", participio di "fluire, sgorgare, dissanguarsi", quindi, è come una forza che defluisce da casa dando luogo ad un'altra casa, figlia della prima se pure indipendente.
In quel versetto il "lascerà" fa da contraltare al "si unirà" "dabaq" che è un "attaccarsi, appiccicarsi, agglutinarsi, amalgamarsi, associarsi" ossia un "fluire, colare" dal radicale e un riversarsi .

Rabbi David Qimhi (1160-1235), insegnante medioevale di Talmud, conosciuto anche con l'acronimo RaDaQ, al riguardo del versetto "l'uomo lascerà suo padre e sua madre", commenta: "non significa che dovrà cessare di servire e onorare i genitori. L'espressione indica solo una separazione fisica, il suo attaccamento alla moglie sarà talmente forte da portarlo a lasciare la casa paterna per fondarne un'altra insieme a lei."

La parola "figli", invece, per la prima volta si trova al versetto 3,16 del libro della Genesi dopo che la prima coppia ebbe mangiato dell'albero della conoscenza del bene e del male, quando Dio "Alla donna disse: Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà". (Genesi 3,16)

In questo versetto alla parola figli è strettamente connessa anche l'dea di "dolore", concetto ivi ripetuto due volte come ho evidenziato in grassetto.
Le parole usate per dolore, afflizione in ebraico sono varie come "maca'ob" di Isaia 53,3, in cui appare "piaga, ferita" , ma anche affliggere e nemico, ma nel caso specifico di Genesi 3,16 in quelle due volte sono usate due parole simili che hanno la stessa radice, sia "oetsoeb", sia "etsabon" che stanno per "dolore, pena, sofferenza, afflizione", ma anche per "fatica"; infatti è pure usato nel versetto successivo Genesi 3,17 ove si parla del lavoro dell'uomo.
Certamente ciò, come dicevo, è volontario come un desiderato riferimento al fatto dell'albero mangiato, infatti, in quei due termini usati per dolore spiccano le lettere che sono quelle "e'ts" che identificano "l'albero e il legno".

Con quella parola dolore, così come è scritta, il pensiero va a colui che "sul legno abita " e per i cristiani questi è Gesù il Crocifisso.
Lui è l'uomo dei dolori!
"Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire..." (Isaia 53,3)

Al riguardo è da considerare che tra il figlio "ben" (tenuto conto che = ) e il radicale di "edificare, costruire, fondare" c'è grande affinità, onde in ebraico "benah" è il mattone, "bonoeh" il costruttore e "biniah" un edificio.
I figlio, insomma, è un mattone della società umana.
Del resto i figli sono delle vere e proprie costruzioni cui entrambi i genitori debbono provvedere ed ogni costruzione porta fatica e dolori, oltre a quelli della madre connessi al travaglio del parto.

Viene in proposito alla mente il Canto delle ascensioni di Salomone: "Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode." (Salmo 127,1)

Gesù, il nuovo Adamo, sulla croce, in effetti, si caricò di tutte le maledizioni dei progenitori ossia di quella prima coppia caduta, sia della parte maschile, sia di quella femminile e saldò col proprio sangue il debito del vecchio Adamo.
Gesù, infatti, nel Getsemani sudò sangue, poi, sul legno della croce, concluse il lavoro di costruire i figli con l'esempio e, emettendo il proprio Spirito, partorì.
Il sangue e l'acqua che uscirono dal costato del nuovo Adamo, squarciato dalla lancia di un soldato romano, furono il segno della nascita della nuova Eva, la nuova madre, la Donna che col Battesimo genererà i figli di Dio, coeredi Di Cristo, che si ciberanno di Lui per arrivare alla dimensione adulta e prendere alla fine possesso del proprio posto preparato da Lui in cielo, nel Regno di Dio, nella Nuova Gerusalemme.
Questa Donna "si vede scendergli da dentro ", frutto del dolore "oetsoeb" sulla croce.

COSTRUIRE BENE
Nella sua vita terrena Gesù aveva insegnato agli uomini che lo seguivano come fondare sul solido la propria esistenza.
La Chiesa, nata dal costato di Cristo, ripropone l'insegnamento del Suo Maestro e Signore.
I capitoli 5, 6 e 7 del Vangelo di Matteo, detti il "discorso della montagna", sono, infatti, l'esplicitazione del disegno del progetto dell'uomo nuovo di cui proprio il nuovo Adamo, Gesù, propone la costruzione.

Quel mirabile brano, peraltro, si conclude con tale parole che colpiscono bene l'immaginazione: "Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande." (Matteo 7,24-27)

Questo insegnamento è quello che Gesù ha ricevuto direttamente dal Padre, "il Padre vostro celeste", "il Padre vostro che vede nel segreto" o semplicemente "il Padre" richiamato tante e tante volte in quel brano del "discorso della montagna (5,16.45.48; 6,1.4.6.8.9.14.15.17.26.32 e 7,11.21 di cui 2 volte nei versetti sottolineati) in cui viene proposto quale dovrebbe essere il comportamento conforme a tale paternità che auspica che tutti i suoi seguaci vogliano assumere proponendo in 6,9-13 la nota preghiera del "Padre Nostro".

La bontà del Padre celeste è messa in contrapposizione alla cattiveria dei padri terreni quando propone "Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!" (Matteo 7,11)

Nel Vangelo di Luca, nel parallelo discorso detto della pianura, si trova invece: "Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!" (Luca 11,13)

Le "cose buone" da chiedere, quindi, al Padre celeste, in definitiva, in estrema sintesi si riducono ad una sola, l'essenziale, "lo Spirito Santo". Perché i padri terreni pur i più bravi, quelli che vogliono veramente bene ai propri figli, sono comunque cattivi?
Perché, comunque, i padri terreni, se in loro non opera la fede dono dello Spirito Santo, sono schiavi, sono alberi innestati dal male.

Il serpente, infatti, li ha segnati col suo verme, sono diventati "razza di vipere" e sono cattivi cioè, come si dice in gergo romanesco, sono dei "coatti" del demonio, dal latino "captivus" imprigionato, come dirà Gesù stesso quando nel Vangelo di Matteo esclama in: "Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l'albero. Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi?" (Matteo 12,33s)

Se si scandaglia, infatti, il libro della Genesi cercando la parola "padre" ci si rende conto che tutti quelli ivi richiamati con vicino la parola "padre" sono tutti personaggi negativi:
  • 4,19-22 - "Lamec si prese due mogli: una chiamata Ada e l'altra chiamata Silla. Ada partorì Iabal: egli fu il padre di quanti abitano sotto le tende presso il bestiame. Il fratello di questi si chiamava Iubal: egli fu il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto. Silla a sua volta partorì Tubal-Kain, il fabbro, padre di quanti lavorano il bronzo e il ferro. La sorella di Tubal-Kain fu Naamà."
  • 9,18 - "I figli di Noè che uscirono dall'arca furono Sem, Cam e Iafet; Cam è il padre di Canaan."
La prima volta che la parola "padre" è collegata a un personaggio positivo e con Abramo in Genesi 17,1-5: "Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: Io sono Dio l'Onnipotente: cammina davanti a me e sii integro. Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò molto, molto numeroso. Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: Quanto a me, ecco, la mia alleanza è con te: diventerai padre di una moltitudine di nazioni. Non ti chiamerai più Abram, ma ti chiamerai Abramo, perché padre di una moltitudine di nazioni ti renderò."

Al riguardo di quest'ultima citazione San Paolo nella lettera ai Romani commenta: "Non, infatti, in virtù della legge fu data ad Abramo o alla sua discendenza la promessa di diventare erede del mondo, ma in virtù della giustizia che viene dalla fede" (Romani 4,13).

Abramo è il Padre della fede e, allora, quei testi portano a poter concludere che solo chi mette la fede in Dio a fondamento delle propria vita imita la paternità perfetta... così si costruisce sulla roccia.
Al riguardo dell'obbedienza della fede di Abramo il "Catechismo della Chiesa Cattolica" insegna:

144 - Obbedire "ob-audire" nella fede è sottomettersi liberamente alla parola ascoltata, perché la sua verità è garantita da Dio, il quale è la verità stessa. Il modello di questa obbedienza propostoci dalla Sacra Scrittura è Abramo. La Vergine Maria ne è la realizzazione più perfetta.

145 - La lettera agli Ebrei, nel solenne elogio della fede degli antenati, insiste particolarmente sulla fede di Abramo: Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava (Ebrei 11,8). Per fede soggiornò come straniero e pellegrino nella Terra promessa. Per fede Sara ricevette la possibilità di concepire il figlio della Promessa. Per fede, infine, Abramo offrì in sacrificio il suo unico figlio."

146 - Abramo realizza così la definizione della fede data dalla lettera agli Ebrei: "La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono." (Ebrei 11,1) "Abramo ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia. (Romani 4,3) Forte in [questa] fede (Romani 4,20), "Abramo è diventato "padre di tutti quelli che credono." (Romani 4,11-18).

C'è una pagina al capitolo 11 del libro della Genesi in cui viene raccontato degli uomini che s'interessano tutti assieme ad una costruzione, ed è quando vi si parla della "Torre di Babele".
Nel mio articolo "Cosa nasconde il racconto della Torre di Babele?" tra l'altro scrivevo quanto segue su quel primo episodio raccontato nella Bibbia (Genesi 11,1-9) dopo il mitico diluvio.

"È noto che la torre fu una specie di sortilegio. Fu, infatti, costruita da uomini spinti dal desiderio di potenza come tentativo superstizioso per arrivare alla divinità. La morale è che Dio punì l'orgoglio, confuse la lingua di quegli uomini megalomani e profondamente pagani nel cuore. Il risultato fu che Dio li disperse e lasciò incompiuta la torre a cui ogni generazione cerca di riporre mano. C'è anche il pensiero d'un peccato sociale per incuria nei riguardi della sicurezza del lavoro, per le "morti bianche", ossia per decessi di lavoratori nello svolgimento di proprie mansioni. Un racconto ebraico, infatti, narra di un precipitato dall'impalcatura che trovò la morte, ma per la frenesia del lavoro e il desiderio di chi guidava l'opera di farsi un nome fu fatta poca attenzione all'accaduto salvo far portar via il cadavere, senza interruzioni del lavoro. Due giorni dopo cadde un muro e i costruttori s'afflissero pensando alle spese. I mattoni persi valevano più dell'operaio morto, e questo fu un ulteriore motivo per punire i costruttori. Ma ciò è tutto? Il disegno di Dio è più complesso."


La costruzione della Torre

Ora, una costatazione del tutto semplice e lineare è che la pagina della Torre di Babele, non certamente a caso, si trova nel capitolo immediatamente precedente al capitolo 12, quello della chiamata di Abramo, soluzione questa che il Signore Dio prepara a rimedio di quel nefasto modo di costruire.
Questo fatto della chiamata di Abramo rende evidente che proprio l'essere "padre" nel senso pieno della volontà di Dio è la soluzione che il Signore intende portare avanti camminando con lui per risolve il problema che aveva colto l'umanità e che si era palesato in modo chiaro nell'episodio della Torre.

Riporto il breve racconto della Torre di Babele che poi commenterò:

Genesi 11,1 - "Tutta la terra aveva un'unica lingua e uniche parole.

Genesi 11,2 - Emigrando dall'oriente, gli uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono.

Genesi 11,3 - Si dissero l'un l'altro: Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta.

Genesi 11,4 - Poi dissero: Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra.

Genesi 11,5 - Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo.

Genesi 11,6 - Il Signore disse: Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un'unica lingua; questo è l'inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile.

Genesi 11,7 - Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro.

Genesi 11,8 - Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città.

Genesi 11,9 - Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra."

Il versetto del precedente capitolo, nel chiudere il racconto del diluvio, fa precisa: "Queste furono le famiglie dei figli di Noè secondo le loro genealogie, nelle rispettive nazioni. Da costoro si dispersero le nazioni sulla terra dopo il diluvio." (Genesi 10,32)

La pagina della Torre intende spiegare il perché, pur se provenivano tutti dalla stessa famiglia, quella di Noè, gli uomini, per volontà divina si divisero e si dispersero.
Il primo versetto del capitolo 11, infatti, è da considerare strettamente connesso con il precedente e da per scontato che si tratta dei discendenti di Noè e il secondo versetto quando dice "Emigrando dall'oriente, gli uomini capitarono...", in effetti il testo ebraico non riporta la parola "uomini" che sono soltanto l'implicito soggetto.

Per trovare finalmente esplicitato nel racconto di chi si parla dobbiamo andare al versetto 11,5 dove si dice de "i figli degli uomini stavano costruendo" in effetti, in ebraico i "benu beni ha'adam" ossia "stavano costruendo i figli dell'uomo

Una lettura di quelle lettere , usando i criteri di decriptazione, portano anche all'idea "dentro , col frutto , l'angelo era entrato nell'uomo ".

Ciò trova la sua forza dal pensiero che l'energia della ribellione, quindi, di fatto, l'angelo ribelle, era entrato nella coppia progenitrice dell'umanità tramite l'immaginario frutto di quell'albero della trasgressione; infatti, frutto, in ebraico porta a suggerire il pensiero "l'energia si porta dentro" o "l'angelo si portò dentro ".

Non dobbiamo, infatti, dimenticare che il motore causa di tutta la vicenda è il nemico dell'esistenza dell'uomo, quello che chiamiamo demonio o satana, che divide l'uomo da Dio, che s'oppone all'ordinato sviluppo dell'uomo medesimo, invidioso della posizione che il Signore ha previsto per lui, perché sopra agli stessi angeli di Dio.

Questa, infatti, è la motivazione che suggerisce il racconto del capitolo 3 del libro della Genesi, immaginando il mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male quale prova di un cambio di scelta di paternità "fin da principio" fatta dall'uomo da quella di Dio a quella del demonio, ossia l'angelo ribelle.

Su ciò Gesù è molto chiaro quando dice: "Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c'è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio." (Giovanni 8,44-47)

Gli uomini seguendo il proprio istinto, condizionato dall'influsso deleterio di chi ormai li teneva in possesso, si trovarono uniti in balia di quel finto amico, che in effetti era un loro nemico che li costringeva al male, perché perdessero l'amore per Dio.
Il nemico traspare dal nome "Shennar" in cui si rinnova la presenza del nemico .
Quegli uomini ormai avevano tutti una sola identica idea, "costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome".
Siamo alla prima globalizzazione!
Tutti d'accordo, ognuno teso a cercare la gloria, mettendola al primo posto a discapito di tutto e di tutti.
L'intento di ciascuno è cercare di affermarsi; infatti, la torre, in ebraico è "migdol" , termine che nasconde la parola "gloria" "gadol" e conseguentemente l'idea di farsi un nome.
Ciò la dice lunga nei riguardi dei rapporti con gli altri; ognuno sgomiterà per arrivare alla propria gloria non curandosi del prossimo.

Ne consegue che il Dio vero è sparito dall'orizzonte e l'uomo si sta facendo un altro idolo; vuole che la "cima tocchi il cielo", ossia vuole arrivare al cielo con le proprie forze.
La chiave che spiega l'intimo del naufragio dell'umanità sta proprio nel fatto di ciò che stavano costruendo i figli dell'uomo o meglio su ciò che non costruivano.
Evidente per me è il voluto accostamento di quel a , vale a dire del radicale di costruire ai figli "beni" .

Al versetto 3 quegli uomini si dissero "Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta."

Ecco che appaiono i mattoni "benim" che, per le stesse lettere che usa il testo ebraico, paiono proprio alludere ai figli "beni" o "benim" .

Quegli uomini, insomma, pensarono solo a se stessi, usarono i mattoni per costruire invece di costruire i figli secondo la volontà di Dio, ormai certi di stare nel giusto, in quanto, su istigazione del "padre della menzogna", avevano concluso che Dio non esisteva e/o comunque non li amava.
È noto nell'ebraismo che per il passaggio delle tradizioni si fa comunemente l'esempio della "pietra" "'aboen" parola che, contenendo fusi assieme i termini ebraici di padre "'ab" e di figlio "ben" ci parla d'una tradizione stabile, perché appunto sulla pietra, da passare da padre a figlio.
Viene al riguardo commentato che Dio consegnò la Torah su un monte, in ebraico "her" , che ha le stesse lettere del radicale di concepire e generare, e questa era scritta solo su pietra, perché quanto detto dal Padre celeste fosse trasmessa ai figli e, quindi, in modo diretto, a voce, da padre a figlio e, di conseguenza, da maestro a discepolo.

Che c'è, infatti, di più duraturo di una tradizione stabile passata in modo "religioso" di padre in figlio?
È questa proprio simile alla pietra.
In tal modo furono educati i patriarchi post diluvio secondo le tradizione conservate dai primogeniti discendenti della famiglia di Sem, quindi, poi Mosè, nella semplice casa ebrea d'origine, quindi Samuele dalla mamma Anna, e Davide nella casa di Iesse a Betlemme, tanto per dire solo alcuni, e così nello stesso modo poi Gesù dai Santi Giuseppe e da Maria.

Gli uomini della Torre, dice il testo al versetto Genesi 11,3, invece di usare della pietra "'aboen" fecero dei mattoni, quindi, dei manufatti di terra, uniti assieme dal bitume "chemar" avente funzione di malta "chomoer", e nel testo entrambi, bitume e malta, sono scritti con le stesse lettere che è anche il radicale proprio di "gorgogliare, ribollire, mugghiare, spumeggiare".

Gesù, come abbiamo considerato, conclude il discorso della montagna raccomandando di fondare la propria casa sulla roccia e la roccia è quanto trasmette il vero Padre al Figlio.
Invece di curarsi di educare i figli secondo le tradizioni nel timore di Dio quegli uomini del "midrash" della Torre di Babele fecero dei loro figli degli esseri solo di terra puramente terreni.

Non si curarono di nutrire il loro spirito, anzi l'indurirono cuocendoli al fuoco e quel "cuociamoli al fuoco" in ebraico pare proprio nascondere un "dimenticarono () di curarli , il serpente buciandoli li curò ", ossia quello che non fecero i padri lo fece il serpente tentatore.
Poi, come ho preannunciato, furono uniti da una stessa malta che li cementava, il , ossia "stretti -costretti - imprigionati dall'essere ribelle ()".

Al riguardo è da ricordare che lo stesso autore ispirato del libro della Genesi aveva scritto "...il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente." (Genesi 2,7) usando il verbo che usano i vasai per plasmare, quindi, l'uomo, invero, è stato plasmato come un vaso di creta, ma dentro di lui Dio ha messo il Suo Santo Spirito che può fuggire come delicato ospite se non curato e desiderato.

Il profeta Isaia, infatti, dice: "Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani..." (Isaia 64,7)
San Paolo poi parlando dello Spirito dirà: "...noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi." (2Corinzi 4,7)

Il mondo va male non perché Dio non esiste o per colpa che non si cura del mondo, ma perché gli uomini si sono allontanati da Dio!
Questa è la sintesi del racconto della Torre, ma Dio tesse comunque la sua storia di salvezza e la visione dell'Apocalisse ci dice che Babele, terra di Babilonia, alla fine sarà distrutta.

" È caduta, è caduta Babilonia la grande, quella che ha fatto bere a tutte le nazioni il vino della sua sfrenata prostituzione." (Apocalisse 14,8)

"MERKABAH" - VISIONE DI EZECHIELE
Il Dio Unico dell'ebraismo e del cristianesimo è padrone e signore della storia, perché, oltre aver creato il mondo e ciascun uomo, li conserva e li guida tanto che "non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello" (Matteo 30,6) e "i capelli del vostro capo sono tutti contati" (Matteo 11,30).

È sapiente, onnipotente, giusto e soprattutto ama ed è misericordioso.
Queste sono le Sue qualità essenziali, manifestate nella visione che si trova nel libro del profeta Ezechiele, qualità deducibili dai quattro cherubini dotati ciascuno di quattro facce che appaiono nelle ruote del suo carro di gloria, detto "la Merkabah".

In sintesi la dice: "Quanto alle loro fattezze, ognuno dei quattro aveva fattezze d'uomo ; poi fattezze di leone a destra, fattezze di toro a sinistra e, ognuno dei quattro, fattezze d'aquila ." (Ezechiele 1,10)

Ciò che più colpisce è che "sulle loro teste apparve qualcosa come una pietra di zaffìro in forma di trono e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane." (Ezechiele 1,26)

La "Merkabah" veniva per annunciare il prossimo ritorno a Gerusalemme degli esuli da Babilonia dopo i settanta anni di esilio, figura questo di un ritorno totalizzante comunque atteso di tutto Israele alla comunione piena col Signore.
La speranza era il Messia, discendete di Davide, che ricostituisse il nuovo Regno eterno e la visione conferma che l'attesa sarebbe stata confermata dai fatti.
Quei cherubini come dice la visione sono tetramorfi, ossia hanno quattro forme, come d'altronde è un tetragramma l'impronunciabile Nome di IHWH.
Quelle figure poi sono state assunte dal cristianesimo per indicare i "quattro esseri viventi" dell'Apocalisse e sono state associate ai quattro Vangeli canonici nel seguente modo:
  • Matteo, con la figura dall'angelo con volto umano perché il suo Vangelo sottolinea la discendenza di Gesù e da cenni sull'infanzia del "Figlio dell'Uomo";
  • Marco, col leone per l'inizio del suo Vangelo con la predicazione di Giovanni Battista che appunto ruggisce come un leone;
  • Luca, col toro o un vitello per l'idea del sacrificio, visto che quel Vangelo in pratica inizia col sacerdote Zaccaria che officia nel Tempio;
  • Giovanni, con l'aquila per le caratteristiche altamente teologiche del suo contenuto.
Perché sono state scelte proprio quelle figure da Ezechiele e che significato avevano queste figure per l'Antico Testamento?
Provo a darmi delle spiegazioni.

Fattezza d'uomo, "'adam"
Il primo aspetto che presenta il profeta Ezechiele - non dobbiamo dimenticarlo - è la faccia d'uomo e come tale si vuole presentare, vista poi la figura che guida il carro, e sta a indicare che tutte le sue qualità sono da interpretare e filtrare attraverso l'umanità e i sentimenti umani.

Questo fatto, a mio parere, intende sottintendere che Dio ha una particolare empatia per l'uomo nella gioia e nel dolore con una particolare attitudine di sentirsi in armonia con lui, cogliendone i sentimenti, le emozioni e gli stati d'animo, quindi, in piena sintonia con ciò che egli stesso vive e sente e prefigura l'intento di essere un tutt'uno con l'uomo stesso, di andargli incontro, ma anche la volontà di portare questi nel proprio mondo.

Essendo il Creatore allora prenderà tutti gli aspetti completi dell'uomo di Padre e Madre e di Figlio; in definitiva la faccia d'uomo è segno dell'amore di Dio in quanto l'uomo è la massima creatura della terra in grado di manifestare in qualche modo questa qualità.
In definitiva prefigura l'attesa dell'incarnazione che si facesse figlio d'uomo.

Secondo San Gerolamo il tetramorfo sintetizza la vita di Cristo, nato come uomo, morì come un vitello sacrificale, fu leone nel risorgere e aquila nell'ascendere - "fuit homo nascendo, vitulus moriendo, leo resurgendo, aquila ascendendo".

Fattezza d'aquila, "noeshoer"
Dietro alla faccia d'uomo c'è quella di aquila.

Nel libro dei Proverbi si trova questo pensiero: "il Signore dà la sapienza, dalla sua bocca esce scienza e prudenza. Egli riserva ai giusti la sua protezione, è scudo a coloro che agiscono con rettitudine..." (Proverbi 2,6s)

Circa i giusti che trovano la sua protezione, il libro del Deuteronomio riferendosi a Giacobbe parla in questi termini: "Come un'aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali..." (Deuteronomio 32,11)

Da questi due versetti si può concludere che l'aquila è usata come immagine per rappresentare la sapienza di Dio che ha un occhio acutissimo e percepisce dall'alto ogni pur minimo dettaglio, quindi la faccia d'aquila dei cherubini di Dio rappresentano la sua sapienza.

Il Signore dona sapienza e forza ai suoi fedeli, infatti, "quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi." (Isaia 40,31)

La sapienza di Dio in primis è trasmessa ai profeti che come aquile del cielo vedono cose che gli occhi e le menti comuni non possono percepire.
In ebraico il profetare è e il profeta "nebi'" ossia "l'energia dntro c'è dell'Unico ".

Ecco che si può associare all'aquila lo spirito di profezia.
Quello spirito fu donato alla Chiesa di Cristo con le "ali della grande aquila" di cui si legge viene dotata la Donna nel travaglio del parto in Apocalisse 12,13ss.

Legata alla sapienza dell'aquila è poi la forza di cui ora parleremo.

Fattezza di toro, "shor"
Per comprendere di più dell'immaginario che c'era sulla figura del toro da parte degli antichi vicini alla cultura egizia è da ricordare che dagli Egizi era adorato il toro Apis considerato figlio di Nun, prima incarnazione in terra del dio creatore Ptah.
Ad Heliopoli era anche adorato come incarnazione di Atun-Ra e la parola "Ka", l'anima di Ra, indica il potere e la forza vitale e definisce l'animale "toro".

Non è da dimenticare che questi pensieri erano vivi nella mente degli ebrei usciti dall'Egitto con Mosè, come attesta l'episodio del vitello d'oro in Esodo 32.
È poi da ricordare l'iconografia del toro Api che portava il sole sulla testa tra le corna.


Il toro Api con il sole tra le corna

Penso che ciò abbia influito proprio sul nome del toro, in ebraico "shor" in cui si ha l'iniziale di sole "shoemoesh" e quel nome si può leggere "la "sh" (di sole) porta sulla testa ".

La potenza di IHWH comunque è unica e particolare, selvaggia in quanto indomabile, si che il profeta Geremia dice: "Nessuno è come te, Signore; tu sei grande e grande è la potenza del tuo nome."

Del pari Isaia 40,25s ne esalta l'onnipotenza e la forza: "A chi potreste paragonarmi, quasi che io gli sia pari? dice il Santo. Levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato tali cose? Egli fa uscire in numero preciso il loro esercito e le chiama tutte per nome; per la sua onnipotenza e il vigore della sua forza non ne manca alcuna." (Isaia 40,25s)

Nel libro di Giobbe lo definisce onnipotente: "L'Onnipotente noi non possiamo raggiungerlo, sublime in potenza e rettitudine..." (Giobbe 37,23)

Lo stesso libro di Giobbe, in altro passo (39,9-12), due capitoli dopo presenta un animale dalla potenza grande e indomabile, un toro di una razza particolare, un bufalo selvatico che ha un nome "io'boe" che ci ricorda la forza del Padre nel mondo " e lo descrive con queste parole: "Forse il bufalo acconsente a servirti o a passare la notte presso la tua greppia? Puoi forse legare il bufalo al solco con le corde, o fargli arare le valli dietro a te? Ti puoi fidare di lui, perché la sua forza è grande, e puoi scaricare su di lui le tue fatiche? Conteresti su di lui, perché torni e raduni la tua messe sull'aia?"

Ecco che nella "Merkabah" della visione di Ezechiele i cherubini hanno una faccia di toro che con la sua leggendaria potenza raffigura l'onnipotenza di Dio.

Il toro, il giovenco, il vitello erano animali preferiti per i sacrifici nel Tempio a memoriale della prima alleanza di Dio col popolo ai tempi di Mosè, come racconta l'Esodo: "Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo! Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d'Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l'altra metà sull'altare. Quindi prese il libro dell'alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto. Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!" (Esodo 24,3-8)

Tale evento prepara a nuova alleanza col corpo e sangue di Cristo Gesù, nostro sacerdote in eterno.
Al riguardo, la lettera agli Ebrei considera: "Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato, gliela conferì come è detto in un altro passo: Tu sei sacerdote per sempre, secondo l'ordine di Melchìsedek." (Ebrei 5,5s)

Con la faccia di toro a mio parere nella visione di Ezechiele viene così presentato l'aspetto "sacerdotale" di chi guida quella "Merkabah" come operazione di tramite verso gli uomini, sia per portarli a Dio, sia come attitudine personale al sacrificio supremo per amore.

Fattezza di leone, "'arieh"
Altra prerogativa essenziale del Signore è la sua giustizia, infatti: "Egli è la Roccia; perfetta è l'opera sua; tutte le sue vie sono giustizia; è un Dio verace e senza malizia; Egli è giusto e retto." (Deuteronomio 32,4)
Antico simbolo di regalità e di giustizia è il leone, re degli animali tutti, la cui effige spesso era posta sui troni dei re, infatti, dice il libro dei Proverbi: "il leone, il più forte degli animali, che non indietreggia davanti a nessuno..." (Proverbi 30,30)

Ecco che il profeta Isaia immagina il Signore, Re d'Israele, come un leone: "Poiché così mi ha parlato il Signore: Come per la sua preda ruggisce il leone o il leoncello, quando gli si raduna contro tutta la schiera dei pastori, e non teme le loro grida né si preoccupa del loro chiasso, così scenderà il Signore degli eserciti per combattere sul monte Sion e sulla sua collina. Come uccelli che volano, così il Signore degli eserciti proteggerà Gerusalemme; egli la proteggerà ed essa sarà salvata, la risparmierà ed essa sarà liberata." (Isaia 31,4s)

In Lui sta il potere supremo che delega agli uomini per governare il mondo, ma invero è Dio che "...regna sui popoli, Dio siede sul suo trono santo". (Salmo 47,9)
In questo modo mi spiego la presenza di una faccia di leone sui volti dei cherubini della "Merkabah", faccia atta a fa intendere la giustizia di Dio che non fa differenza di persone ed è pronta a regnare su tutto e tutti.
Quella faccia di leone parla di un re e del suo regnare.

Si ricava in conclusione l'annuncio del prossimo arrivo glorioso del Messia che, per quelle quattro facce, sarà "un figlio d'uomo" che viene dal cielo come un angelo, "re - leone", "sacerdote - toro", "profeta - aquila", cui spetterà l'oro l'incenso e la mirra doni profetici dei re Magi nel Vangelo di Matteo, colui che l'Apocalisse vede su un cavallo bianco e "Un nome porta scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori. "(Apocalisse 19,6)
Uomo-Dio, re, sacerdote, profeta, è Lui, Gesù di Nazaret, il profeta che è venuto, il sacerdote che è stato sacrificato in croce, il Messia che tornerà nella gloria, il re dell'Universo.

DIO, NELL'EBRAISMO È PADRE
Nel Vangelo di Giovanni, dopo l'episodio della guarigione in giorno di sabato del paralitico alla piscina Betzaeta (con 5 portici), si trova che: "...i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato. Ma Gesù rispose loro: Il Padre mio opera sempre e anch'io opero. Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio." (Giovanni 5,16-18)

Eppure che Dio è Padre è un pensiero vivo nell'ebraismo d'ogni tempo.
Nelle preghiere ebraiche attuali, alcune delle quali hanno antica origine, viene invocato il Padre del cielo come risulta dagli stralci di preghiere che riporto:
  • 5a e 6a benedizione - Facci tornare, Padre nostro, alla tua Torah... Perdonaci, Padre nostro.
  • 2a preghiera prima dello Shema "Ahavah rabbah" - tu hai avuto pietà di noi, nostro Padre, nostro Re... Padre nostro, Padre di misericordia, il Misericordioso, abbi pietà di noi!
  • "Amico dell'anima" (preghiera del mattino) - O amico dell'anima, padre misericordioso, piega il tuo servo a compiere il tuo volere!
  • Il dono della Torah - Con grande amore ci amasti, Signore nostro Dio; hai avuto per noi una grande e copiosa indulgenza. Padre nostro, nostro re, per amore dei nostri padri che confidavano in te e a cui insegnasti gli statuti della vita, sii clemente e insegnali anche a noi. Padre nostro, padre misericordioso, abbi pietà di noi; concedi al nostro cuore di discernere, di comprendere e intendere, apprendere e insegnare, custodire, fare e compiere ogni parola dello studio della tua legge con amore.
Come, infatti, dicevo, che Dio è Padre è un pensiero vivo nell'ebraismo, sia attuale, sia antico, ma il loro credere pare fermarsi all'idea di un allegorismo di una specie di adozione d'Israele, senza spingere l'idea alle conseguenze anche fisiche, infatti, escludono l'idea dell'incarnazione.
Circa "l'adozione" il libro della Torah dice:
  • Esodo 4,22 - " Allora tu dirai al faraone: Dice il Signore: Israele è il mio figlio primogenito."
  • Deuteronomio 14,1-2 - "Voi siete figli per il Signore Dio vostro; non vi farete incisioni e non vi raderete tra gli occhi per un morto. Tu sei infatti un popolo consacrato al Signore tuo Dio e il Signore ti ha scelto, perché tu fossi il suo popolo privilegiato, fra tutti i popoli che sono sulla terra."
  • Deuteronomio 32,5-6 - "Peccarono contro di lui i figli degeneri, generazione tortuosa e perversa. Così ripaghi il Signore, o popolo stolto e insipiente? Non è lui il padre che ti ha creato, che ti ha fatto e ti ha costituito?"
A questo pensiero s'associa Davide in 1Cronache 29,10 quando "...benedisse il Signore davanti a tutta l'assemblea. Davide disse: Sii benedetto, Signore Dio di Israele, nostro padre, ora e sempre."

Eppure, che Dio è "nostro Padre" viene sentito anche quale fatto individuale come mettono ben in evidenza i vari profeti:
  • Isaia 63,16 - "...perché tu sei nostro padre, poiché Abramo non ci riconosce e Israele non si ricorda di noi. Tu, Signore, tu sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore..."
  • Isaia 64,4-7 - "Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si riscuoteva per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci hai messo in balìa della nostra iniquità. Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani."
  • Geremia 31,9 - "Essi erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li condurrò a fiumi d'acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno; perché io sono un padre per Israele, Efraim è il mio primogenito."
  • Geremia 3,4.5.19 - "E ora forse non gridi verso di me: Padre mio, amico della mia giovinezza tu sei! Serberà egli rancore per sempre? Conserverà in eterno la sua ira? Così parli, ma intanto ti ostini a commettere il male che puoi Io pensavo: Come vorrei considerarti tra i miei figli e darti una terra invidiabile, un'eredità che sia l'ornamento più prezioso dei popoli! Io pensavo: Voi mi direte: Padre mio, e non tralascerete di seguirmi."
  • Osea 11,3-9 - "Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d'amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. Ritornerà al paese d'Egitto, Assur sarà il suo re, perché non hanno voluto convertirsi. La spada farà strage nelle loro città, sterminerà i loro figli, demolirà le loro fortezze. Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo. Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele? Come potrei trattarti al pari di Admà, ridurti allo stato di Zeboìm? Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all'ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò nella mia ira; ciò significa che Dio è anche colui che corregge."
  • Malachia 2,10 - "non abbiamo forse tutti noi un solo Padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l'uno contro l'altro profanando l'alleanza dei nostri padri?"
  • Malachia 3,17 - "Essi diverranno dice il Signore degli eserciti mia proprietà nel giorno che io preparo. Avrò compassione di loro come il padre ha compassione del figlio che lo serve."
I Salmi sono concordi con questi pensieri sulla paternità di Dio:
  • Salmo 68,6-7 - "Padre degli orfani e difensore delle vedove è Dio nella sua santa dimora. Ai derelitti Dio fa abitare una casa, fa uscire con gioia i prigionieri; solo i ribelli abbandona in arida terra."
  • Salmo 89,27s - "Egli mi invocherà: Tu sei mio padre, mio Dio e roccia della mia salvezza. Io lo costituirò mio primogenito, il più alto tra i re della terra."
  • Salmo 103,13s - "Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono. Perché egli sa di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere."
Il libro dei Proverbi 3,12 dice: "il Signore corregge chi ama, come un padre il figlio prediletto".

Il deuterocanonico libro del Siracide personalizza al singolo fedele la paternità di Dio e in particolare la ritiene una garanzia di risurrezione come si evince dalla seconda delle seguenti citazioni:
  • 23,1.4 - "Signore, padre e padrone della mia vita, non abbandonarmi al loro volere, non lasciarmi cadere a causa loro Signore, padre e Dio della mia vita, non mettermi in balìa di sguardi sfrontati; e in fondo è padre per tutti coloro che si rivolgono a lui."
  • 51,9-12 - "innalzi dalla terra la mia supplica; pregai per la liberazione dalla morte. Esclamai: Signore, mio padre tu sei e campione della mia salvezza, non mi abbandonare nei giorni dell'angoscia, nel tempo dello sconforto e della desolazione. Io loderò sempre il tuo nome; canterò inni a te con riconoscenza".
Importante infine e per me risolutiva è però la profezia del capitolo 9 di Isaia, sulla venuta del Messia in base alla quale si attendeva un bambino speciale in quanto: "Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace." (Isaia 9,5b)

Quel "Padre per sempre" richiede però un commento.
I titoli in ebraico usati in quel brano per il Messia son formate come segue:
  • "Consigliere mirabile" "poeloe' ioe'ts", "il Verbo dal negativo sarà portato sul legno ", ma non solo, "il Verbo del Potente , l'Unigenito sarà a portare il consiglio " vale a dire il Consolatore, il Paraclito, che Gesù dice che invierà, cioè lo Spirito Santo in Giovanni 14,16s "Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi" e ancora in Giovanni 14,26 "Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto" e poi in 15,26 e in 16,7.
  • "Dio potente" , "'el gibbor" che pare avere poco senso, perché è ovvio che Dio è potente, ma tenuto conto che il termine è traducibile con "uomo forte", quel dire pare proprio tendere a porre in evidenza un fatto piu' importante, che sarà "Dio in un uomo forte " e che "la divinità a scorrere dentro si porterà in un corpo ".
  • "Padre per sempre" , in ebraico è scritto "'abi a'd", che in effetti dice "Mio Padre è (sottinteso) l'Eterno ".
  • "Principe della pace", "shar shalom", "risorgerà il corpo per salvare " e questo principe di pace ci ricorda la figura profetica di "Melchìsedek infatti, re di Salem, sacerdote del Dio Altissimo... cioè re di pace. Egli è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno." (Ebrei 7,1-3)
Quegli epiteti "Padre per sempre" che in effetti, è "Mio Padre è (sottinteso) l'Eterno " e "Dio potente" che dice "Dio in un uomo forte " è importante che siano meditati da chi attende ancora un Messia solo uomo.

Ciò, assieme alla profezia di Natan a Davide, conferma la venuta da lui di un Re eterno che regnerà per sempre: "Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio... Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno... La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre." (2Samuele 7,12-14,16)

IL MIO GRIDO
Questione molto importante su cui è da meditare è che Gesù, come vero uomo, era sottoposto alla legge naturale di tutta la creazione (Romani 8,19s), vale a dire doveva subire la "morte".
Per la teologia cristiana la morte è entrata nel mondo come effetto dell'errore esiziale dei nostri progenitori (Sapienza 2,24) e quale rimedio da parte di Dio affinché l'uomo non restasse in eterno schiavo di chi l'ha ingannato (Genesi 3,22).

Evidentemente nella mente di Dio c'era un piano per il recupero... la risurrezione, piano in sospeso in attesa dei tempi opportuni del Messia o Cristo, come precisa San Paolo nella lettera agli Efesini 1,10: "per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra."

Ora, Gesù, il Cristo, pur essendo giusto, sottoposto al supplizio della croce, risorse e non subì la corruzione, il suo corpo non rimase sulla terra e Lui - corpo anima e spirito - fu innalzato alla destra di Dio Padre; questo è nel "credo" cristiano.

Ecco che nasce la domanda: fu il primo dei risorti perché era Figlio di Dio o per la sua fede e per il suo comportamento?
Certamente molti ingiustamente sono stati uccisi, ma nessuno ha meritato di essere risorto salvo che Gesù il Cristo.
Nessun altro uomo avrebbe, infatti, potuto esserlo perché altrimenti sarebbe stato accettato per sempre il male in lui in quanto nessuno poteva venire colmato a pieno di Spirito Santo, essendo tutti malati alla radice per l'influsso del tentatore entrato come una malattia ereditaria nel DNA attraverso i progenitori, tentatore che avrebbe avuto sempre buon esito.
Occorreva una rifondazione!

Cristo Gesù fu invece il primo degno di risurrezione, non perché era Dio e figlio di Dio, ma perché come uomo nacque senza il peccato d'origine e, come uomo, con le proprie forze, come un primo nuovo Adamo, affrontò con successo le tentazioni del demonio.
Come uomo la sua figliolanza da Dio, peraltro, gli veniva, come del resto a ogni uomo, solo dalla fede che nell'intimo glielo testimoniava e gli dava forza.
In lui lo Spirito Santo che agiva in pienezza lo sosteneva... e pur uomo, si sentiva figlio e chiese a Dio il dono della vita eterna, appunto, con tutte le sue forze.

Di Cristo Gesù si legge, infatti, nella lettera agli Ebrei 5,7: "Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito."

Poi, lo stesso passo prosegue spiegando: "Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l'ordine di Melchìsedek." (Ebrei 5,8-10)

I Vangeli, infatti, riferiscono che Gesù, nel suo ministero terreno passava molti tempi, specie di notte, in preghiera anche prima della sua passione sul Getzemani e sulla croce ove pregava certamente con i Salmi. (Vedi: "I Salmi, conforto del crocifisso").

Del resto recita il Salmo 16,7 "Benedico il Signore che mi ha dato consiglio; anche di notte il mio animo m'istruisce" e notte implica anche tutti i momenti bui.
Sulla croce Gesù gridò a gran voce verso il Padre celeste, come pongono in evidenza i Vangeli:
  • "Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: Elì, Elì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Matteo 27,45s)
  • "Gesù, gridando a gran voce, disse: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito. Detto questo spirò." (Luca 23,46)
Molti di quei Salmi erano attribuiti al suo antenato il Re Davide.
Ora, Gesù, grazie agli insegnamenti del davidico Giuseppe che attendeva alla sua educazione religiosa per portarlo alla maggiore età della fede, è da ritenere che conoscesse bene le profezie di Natan e dell'attesa del Messia dalla propria casata.

Nello stesso Salmo 16 ai versetti 9 e 10 Davide canta "Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione."
(Vedi: "Salmi del Salterio e di Qumran - Gesù e gli Esseni" ove ho riportato decriptato anche il Salmo 16)

Questo brano fu ripreso da San Paolo nel proprio Kerigma che dette nella sinagoga a Perge di Panfilia: "Ora Davide, dopo aver eseguito il volere di Dio nella sua generazione, morì e fu unito ai suoi padri e subì la corruzione. Ma colui che Dio ha risuscitato, non ha subìto la corruzione. Vi sia dunque noto, fratelli, che per opera di lui vi viene annunziata la remissione dei peccati e che per lui chiunque crede riceve giustificazione da tutto ciò da cui non vi fu possibile essere giustificati mediante la legge di Mosè." (Atti 13,36-39)

Davide si trovò a essere perseguitato ingiustamente dal Re Saul cui prestava fedelmente servizio nel nome di Dio e fu salvato dal Signore dalla mano di tutti i suoi nemici e che ascoltò le suppliche elevate a lui con grande grida, come si legge in 2Samuele 22,7: "Nell'angoscia ho invocato il Signore, ho gridato al mio Dio, Egli ha ascoltato dal suo tempio la mia voce; il mio grido è giunto ai suoi orecchi."

Qui due volte è usato il termine "oeqra" sia per " ho invocato", sia per "ho gridato", mentre per "il mio grido" è usato "shava'ti" .
Dal punto di vista profetico leggendo quei termini con le singole lettere si può pensare per:
  • "'oeqra'" , "l'Unico chiamare " e anche "all'Unico piegarsi alla vista ";
  • "shava'ti" , "(in modo) acceso portare a sentire dalla croce con forza " e il grido con le lettere nasconde la stessa richiesta fatta a Dio, ossia "la risurrezione porta nel tempo a me !"
In conclusione quel grido al Signore diviene una parola d'ordine per i discendenti di Davide che sanno che il Signore è fedele e mantiene le sue promesse; infatti, quello stesso brano di 2Samuele dopo aver detto del grido di Davide esclama: "Egli concede una grande vittoria al suo re, la grazia al suo consacrato, a Davide e ai suoi discendenti per sempre". (2Samuele 22,51)

Davide si era un consacrato "Meshiach" e da lui sarebbe nato un consacrato per sempre.
Sapeva bene tutto ciò Gesù che, appunto, con "preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime" si rivolgeva a suo Padre nel cielo.
Del resto di quel grido elevato al Signore per essere liberato dalla mano di tutti i propri nemici si trovano cenni in vari Salmi attribuiti a Davide e precisamente in:
  • Salmo 18,7 - "Nel mio affanno invocai "'oeqra'" il Signore, nell'angoscia gridai "'ashavva'" al mio Dio: dal suo tempio ascoltò la mia voce, al suo orecchio pervenne il mio grido "shava'ti" ." (In "Abdia, libro del servo di Iahwèh" ho inserito decriptato anche il Salmo 18)
  • Salmo 61,2 - "Ascolta, o Dio, il mio grido, sii attento alla mia preghiera." Qui "il mio grido" è "rinnatì" , "il corpo donato è " quasi come se il Crocifisso dicesse al Padre "col corpo per l'angelo (ribelle) in croce sto ".
  • Salmo 66,17-19 - da cui si evince che Dio ascolta il grido di chi evita il male, "A lui ho rivolto il mio grido "qara'ti" , la mia lingua cantò la sua lode. Se nel mio cuore avessi cercato il male, il Signore non mi avrebbe ascoltato. Ma Dio ha ascoltato, si è fatto attento alla voce della mia preghiera."
  • Salmo 86,6s - "Porgi l'orecchio, Signore, alla mia preghiera e sii attento alla voce della mia supplica. Nel giorno dell'angoscia alzo a te il mio grido "oeqra" e tu mi esaudirai."
  • Salmo 102 - "Signore, ascolta la mia preghiera, a te giunga il mio grido "shava'ti" ."
  • Salmo 119,169s-170 - "Tau. Giunga il mio grido "rinnatì" fino a te, Signore, fammi comprendere secondo la tua parola. Venga al tuo volto la mia supplica ("techinnati" ossia richiesta di grazia "chen" ), salvami secondo la tua promessa. (L'intero Salmo 119 l'ho presentato decriptato in "Poemi alfabetici nella Bibbia; messaggi sigillati")
Il Salmo 61 è importante perché Gesù in croce vi ha certamente pensato; infatti, dice in 61,3 "mentre sento che il cuore mi manca: guidami tu" e al 61,5 "Vorrei abitare nella tua tenda per sempre, vorrei rifugiarmi all'ombra delle tue ali"; ho quindi provveduto alla decriptazione dei 9 versetti del Salmo 61 che recitano:

Salmo 61,1 - Al maestro del coro. Per strumenti a corda. Di Davide.

Salmo 61,2 - Ascolta, o Dio, il mio grido, sii attento alla mia preghiera.

Salmo 61,3 - Sull'orlo dell'abisso io t'invoco, mentre sento che il cuore mi manca: guidami tu sulla rupe per me troppo alta.

Salmo 61,4 - Per me sei diventato un rifugio, una torre fortificata davanti al nemico.

Salmo 61,5 - Vorrei abitare nella tua tenda per sempre, vorrei rifugiarmi all'ombra delle tue ali.

Salmo 61,6 - Tu, o Dio, hai accolto i miei voti, mi hai dato l'eredità di chi teme il tuo nome.

Salmo 61,7 - Ai giorni del re aggiungi altri giorni, per molte generazioni siano i suoi anni!

Salmo 61,8 - Regni per sempre sotto gli occhi di Dio; comanda che amore e fedeltà lo custodiscano.

Salmo 61,9 - Così canterò inni al tuo nome per sempre, adempiendo i miei voti giorno per giorno.

Del versetto 2 do la dimostrazione della decriptazione e poi la riporto tutta di seguito per l'intero Salmo.

Salmo 61,2 - Ascolta, o Dio, il mio grido, sii attento alla mia preghiera.



Salmo 61,2 - Sorto da un seno Dio nel mondo sarà l'essere ribelle () dell'angelo a finire . Sarà nel mondo a rovesciarlo . A risorgere sarà . Da dentro uscirà dalla croce . Il Verbo del Potente , (infatti), in croce sarà .

Salmo 61,1 - Il Potente in un vivente l'energia giù racchiuse. Dall'alto all'angelo che nel cammino opprime alla fine un neonato portò per sbarrarlo.

Salmo 61,2 - Sorto da un seno Dio nel mondo sarà l'essere ribelle dell'angelo a finire. Sarà nel mondo a rovesciarlo. A risorgere sarà. Da dentro uscirà dalla croce. Il Verbo del Potente, (infatti), in croce sarà.

Salmo 61,3 - (Ma) Dei viventi alla fine del mondo rientrerà nella terra. Dio era, l'affliggerà lo riverserà dai corpi. Il Padre che sente amore per il Verbo nel cuore gli stava dentro, giù gli portò nel corpo la forza si alzò vivo. La vita angelica rifù nel crocifisso che ad inviare la grazia fu.

Salmo 61,4 - La rettitudine che c'era a rientrare fu. Fu dal crocifisso con l'acqua dal chiuso per un foro ad uscire. La potenza risarà nei viventi. Scapperà battuto il serpente dall'azione. Colpito nei viventi; del Verbo l'energia sarà sul nemico.

Salmo 61,5 - Dall'Unico (l'energia) a scorrere si porterà nei corpi. Rientrerà ad abitarvi lo splendore della rettitudine. Il peccare del serpente che nei viventi è a vivere l'Unico chiuderà in un buco. Entrando dentro riempirà tutti i corpi di rettitudine. L'energia del Verbo sarà così a riempirli di potenza nel mondo.

Salmo 61,6 - Così sarà; riverrà Dio nel mondo con la forza per salvare i viventi dal tempo del serpente. Invierà alle generazioni la forza per l'angelo (ribelle) finire. Di tutti saranno i corpi risorti. Tutti saranno a vederlo. Saranno risorti i viventi dalla rettitudine.

Salmo 61,7 - Dai giorni i viventi innalzati saranno. A vivere saranno nel Regno. Il Crocifisso li porterà nel foro (del proprio corpo). Saranno nel Verbo i risorti ad abitare. Tutti saranno portati retti i viventi. Condurrà generazioni e generazioni.

Salmo 61,8 - Saranno i risorti a casa per sempre dal Potente. In persona staranno con Dio. Ad entrarvi saranno per amore condotti. Con l'Unigenito gli uomini vivranno da figli. Questi nel corpo dal mondo li avrà portati.

Salmo 61,9 - Così con gli angeli canteranno al Nome tutti per sempre. Col potente in pace saranno. Con gli angeli le generazioni staranno. Saranno portate a vivervi un giorno.

Come si può costatare questa decriptazione pone in luce una bella pagina che sinteticamente rivela l'amore di Dio per gli uomini tramite il Messia.
Tramite lui, infatti, gli uomini sono adottati come figli di Dio e ciò per il sacrificio di Cristo che per loro fu re, sacerdote e profeta.
Grazie a lui San Paolo può esclamare nella lettera ai Galati "...siete tutti figli di Dio per la fede in Cristo Gesù." (Galati 3,26)

"ABBA" PADRE
Come ci è noto attraverso i Vangeli Gesù parlava in aramaico, ma celebrava le liturgie ebraiche in sinagoga leggendo e pregando con i testi sacri ebraici.
Nella preghiera individuale pare che si rivolgesse al Padre con il termine familiare aramaico di "'Abb'a", alla stregua che in italiano lo chiamasse papà o babbo.
"'Abb'a" è formato da "padre" e si dice che l'alef post-posta avrebbe funzione di articolo, ma quel raddoppio vocale della lettera "b" porta a immaginare quel "'Abb'a" Come + quasi una richiesta di "ingresso" visto che tale è il valore di .
Tale modo di esprimersi, in effetti, per chiamare il padre non si trova nei testi della Tenak o Bibbia ebraica o nel nostro Antico Testamento.

Il Vangelo di Marco (14,32-36) ci fa però partecipi e coscienti di tale familiarità di Gesù col Padre nel racconto della notte tra il giovedì e il venerdì della sua passione, quando il testo dice: "Giunsero a un podere chiamato Getsèmani ed egli disse ai suoi discepoli: Sedetevi qui, mentre io prego. Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: la mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate. Poi, andato un po' innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell'ora. E diceva: Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu."

Il testo greco di quel Vangelo, infatti, riporta proprio come traslitterazione dall'aramaico.
Il fatto che quel termine aramaico fu traslitterato in greco (come del resto anche altre parole ebraiche quali "Amen", "Osanna", "Alleluia") è segno che quel modo di esprimersi di Gesù era adottato dai cristiani della chiesa primitiva nei rapporti personali con Dio Padre quasi a ricordargli che quel fedele che lo stava invocando era un fratello di Gesù per cui era morto in croce pagando il prezzo di riscatto col suo sangue e come tale per adozione si attendeva di essere stato riscattato e quindi di essere trattato come un figlio dal Padre.

Gesù fin dalla fanciullezza aveva imparato ad avere questo rapporto familiare con il Padre celeste, che evidentemente come uomo aveva imparato nella sua Santa Famiglia; infatti, il Vangelo di Luca ce lo presenta dodicenne dire a Giuseppe e Maria che da tre giorni lo cercavano: "Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Luca 2,49).

Continuamente nella sua vita terrena si rivolge a suo Padre nel colloquiare con gli apostoli e discepoli, quindi in aramaico e quei "Padre" o "Padre mio" certamente spesso erano degli "abba" come ad esempio:
  • "Venite, benedetti del Padre mio..." (Matteo 25,34)
  • alla fine della sua vita, nella preghiera sacerdotale in Giovanni 17, con cui conchiude la sua missione: "Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te" (Giovanni 17,1), "Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato" (Giovanni 17,11) e "Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto..." (Giovanni 17,25).
  • sulla croce pronuncia come ultime parole: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Luca 23,46).
  • risorto annuncia ai discepoli: "E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso" (Luca 24,49).
Questo termine "Abba", infatti, proprio nel senso di un rapporto stretto di filiazione si trova utilizzato da San Paolo in due occasioni, precisamente:
  • Romani 8,14-17 - "...tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre! Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria."
  • Galati 4,4-7 - "Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio."
Entrambe queste pericopi delle lettere paoline pongono in evidenza che:
  • lo Spirito del Figlio "grida: Abbà! Padre!"
  • lo stesso Spirito agisce sui fedeli onde "gridiamo: Abbà! Padre!"
Non a caso comune a questi due testi c'è il fatto del verbo "gridare" che ci riporta a quel grido di Cristo Gesù di cui ho detto nel precedente paragrafo.
Questo "gridare" è espresso in quei versetti di San Paolo dal verbo greco e lo Spirito, in greco il , pare proprio prediligere questa manifestazione in Gesù e nei credenti e lo stesso modo di manifestarsi spontaneo garantisce l'autenticità della filiazione.
Lo Spirito Santo che operava nell'Unigenito Figlio del Padre e che aveva fatto una discesa o "kenosis" nascendo nell'uomo Gesù si esprimeva con un gridare divino identico a quello che opera nei battezzati.

Lo stesso verbo da San Paolo è usato anche in Romani 9,27 ove in effetti Isaia non esclama, ma grida: "E quanto a Israele, Isaia esclama: Se anche il numero dei figli d'Israele fosse come la sabbia del mare, solo il resto sarà salvato; perché con pienezza e rapidità il Signore compirà la sua parola sulla terra."

Qui San Paolo cita la profetizza Isaia 10,20-23 del piccolo resto che accoglie la Parola... nella persona di Gesù venuta sulla terra.
Il Vangelo di Giovanni pare proprio ricordare tale resto: "Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati." (Giovanni 1,11-13)

Il resto, allora, furono i cristiani che accolsero la Parola del Maestro grazie allo Spirito Santo che costruì la Chiesa e oggi sono coloro che ne fanno parte ricevendo da lei gli alimenti necessari, il corpo e il sangue di Cristo, il suo Spirito e la sua vita.
Il cristiano con "Abba" Padre svela l'affinità all'indole del Cristo, Figlio di Dio, che incarnatosi nella fragilità di un uomo si sottopose alla totale sottomissione alla volontà Padre che lo risorse per opera dello Spirito Santo.

Questi, infatti "il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore..." (Romani 1,3s)

Con il chiamare "Abba" Padre il cristiano viene instaurato nella "economia" della risurrezione di Cristo.
Diventa uno, con Cristo, partecipa alle benedizioni di Abramo, riceve la dignità di figlio adottivo di Dio, diviene membro della Chiesa per la presenza dello stesso Spirito che risorse Cristo dai morti, il cui dono viene assicurato col battesimo, che lo associa e da accesso alla vita divina.

Sull'argomento Benedetto XVI nell'udienza generale a Piazza San Pietro del 23 maggio 2012, tra l'altro, ebbe a dire: "San Paolo vuole farci comprendere che la preghiera cristiana, non avviene mai in senso unico da noi a Dio, non è solo un agire nostro, ma è espressione di una relazione reciproca in cui Dio agisce per primo: è lo Spirito Santo che grida in noi, e noi possiamo gridare perché l'impulso viene dallo Spirito Santo. Noi non potremmo pregare se non fosse iscritto nella profondità del nostro cuore il desiderio di Dio, l'essere figli di Dio."

È proprio così, infatti:
  • si trova nel Vangelo di Giovanni al 6,44 "Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno."
  • osserva San Paolo in 1Corinti 12,3 "...vi dichiaro: nessuno che parli sotto l'azione dello Spirito di Dio può dire: Gesù è anatema! e nessuno può dire: Gesù è Signore! se non sotto l'azione dello Spirito Santo."
La parabola del seminatore ci ricorda che supporto all'accoglimento della "Parola", è la terra buona, cioè la risposta alla semina che ci sarà solo se già c'era stato un lavoro all'interno del ricevitore e allora si sveglierà lo Spirito di Dio che era soffocato nell'ascoltatore.
In quella stessa udienza Benedetto XVI disse anche:

«Da quando esiste, l'"homo sapiens" è sempre in ricerca di Dio, cerca di parlare con Dio, perché Dio ha iscritto se stesso nei nostri cuori. Quindi la prima iniziativa viene da Dio, e con il Battesimo, di nuovo Dio agisce in noi, lo Spirito Santo agisce in noi; è il primo iniziatore della preghiera perché possiamo poi realmente parlare con Dio e dire "Abbà" a Dio. Quindi la sua presenza apre la nostra preghiera e la nostra vita, apre agli orizzonti della Trinità e della Chiesa. Inoltre comprendiamo, questo è il secondo punto, che la preghiera dello Spirito di Cristo in noi e la nostra in Lui, non è solo un atto individuale, ma un atto dell'intera Chiesa. Nel pregare si apre il nostro cuore, entriamo in comunione non solo con Dio, ma proprio con tutti i figli di Dio, perché siamo una cosa sola. Quando ci rivolgiamo al Padre nella nostra stanza interiore, nel silenzio e nel raccoglimento, non siamo mai soli. Chi parla con Dio non è solo. Siamo nella grande preghiera della Chiesa, siamo parte di una grande sinfonia che la comunità cristiana sparsa in ogni parte della terra e in ogni tempo eleva a Dio; certo i musicisti e gli strumenti sono diversi - e questo è un elemento di ricchezza, ma la melodia di lode è unica e in armonia. Ogni volta, allora, che gridiamo e diciamo: Abbà! Padre! è la Chiesa, tutta la comunione degli uomini in preghiera che sostiene la nostra invocazione e la nostra invocazione è invocazione della Chiesa. Questo si riflette anche nella ricchezza dei carismi, dei ministeri, dei compiti, che svolgiamo nella comunità. San Paolo scrive ai cristiani di Corinto: "Ci sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; ci sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; ci sono diverse attività, ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti." (1Corinti 12,4-6) La preghiera guidata dallo Spirito Santo, che ci fa dire Abbà! Padre! con Cristo e in Cristo, ci inserisce nell'unico grande mosaico della famiglia di Dio in cui ognuno ha un posto e un ruolo importante, in profonda unità con il tutto.»

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