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GESÙ IL VIRGULTO, IL GERMOGLIO DI DAVIDE
di Alessandro Conti Puorger

"TITULUS CRUCIS"
Viste le molte questioni che si agitano tra gli studiosi attorno al titolo di "Nazareno" dato a Gesù, queste pagine costituiscono il tentativo di approfondire la questione e trarre personali conclusioni sul vero motivo di tale termine che è stato adottato dalla tradizione siccome varie volte è ripetuto nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli.
Per tre volte nei Vangeli è detto Gesù "di o da Nazaret", in greco " - - ", "apò", ex "Nazarèt" - in Matteo 21,11; Marco 1,9 e Giovanni 1,45 - nonché una volta in Atti 10,38, mentre per altre 6 volte nei Vangeli è detto "Nazareno" "", "nazarenòs", nella Vulgata "", "nazarenòs", precisamente in Marco 1,24; 10,47; 14,67; 16,6 e in Luca 4,34 e 24,19.

Gli Atti degli Apostoli ricordano Gesù come "Nazareno" per 5 volte 3,6; 3,10; 6,14; 22,8 e 26,9.
Secondo la tradizione cristiana, in ossequio a quanto a prima vista pare dedursi dai Vangelo di Matteo, l'espressione e l'aggettivo sarebbero riferiti alla città di "Nazaret" d'origine di Gesù.
Ciò che però complica la questione è anche il pensiero assai comune che quella parola porta anche a ritenere che Gesù avesse fatto il voto di nazireato, istituto di consacrazione fissato dalla Torah nel libro dei Numeri al capitolo 6.
Gli studiosi, poi, presentano altri argomenti al riguardo che allargano la prospettiva e la rosa delle possibilità.

Con quel nome di "Nazareno" Gesù era conosciuto perfino dai demoni, come pone in evidenza Marco 1,24 e Luca 4,34, e con tale attributo era annunciato quando passava; come ad esempio a Gerico ove sanò un cieco in Marco 10,47 e Luca 18,37.
I Vangeli canonici, peraltro, tutti e quattro presentano la "passione" del Signore e in tale occasione emerge più volte il titolo di Nazareno:
  • Matteo 27,71;
  • Marco 14,67 e 16,6;
  • Luca 24,19;
  • Giovanni 18,5 e 7 e poi in 19,19.
Ora, dai Vangeli, soprattutto da quello di Giovanni, in occasione della narrazione della "passione" di Gesù e in particolare nell'interrogatorio cui fu sottoposto da parte di Ponzio Pilato si coglie una grande tensione sul titolo di RE che gli viene attribuito.

Il tentativo di Gesù di sobillare contro Cesare e di tentare di scalare il potere, in effetti, risulta che fu la formale falsa accusa suggerita dai maggiorenti dei giudei al tribunale romano per conseguire il risultato, sia di eliminare uno scomodo personaggio, sia per dimostrare in modo palese al ceto benpensante della popolazione l'ingiusto comportamento degli invasori.
Cinque giorni prima della Pasqua, peraltro, una "folla", mossa dai discepoli, come ci dicono tutti i Vangeli canonici - Matteo 21,1-9; Marco 11,1-10; Luca 19,28-38; Giovanni 12,12-19 - aveva preso dei rami di palme, aveva steso a terra dei mantelli e in festa, gridando, uscì verso Gesù che entrava a Gerusalemme su un asinello e il loro grido di acclamazione era "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele!" (Giovanni 12,13)

Ciò, per certo, non era sfuggito ai romani e su questo evidentemente i maggiorenti Ebrei potettero fare leva.
In occasione del processo, invero, Gesù precisò: "Il mio regno non è di questo mondo" (Giovanni 18,36), eppure fu insultato e fustigato e il verdetto fece terminare la vicenda nel peggiore dei modi, con la crocifissione alle porte di Gerusalemme tra due "latrones" nome che i romani davano ai sicari zeloti come del resto era Barabba che il popolo fece liberare al posto di Gesù.

Per la terra di Giudea e di Samaria, su cui gli occupanti avevano messo sul trono Erode Archelao, un loro protetto, un figlio di Erode il Grande, quindi, non completamente indipendente, di fatto tributario di Roma, era veramente un tempo pieno di tensioni tra il mondo ebraico e quello romano.
Cause principali di tale tensione da una parte erano l'inflessibilità e la superbia dei Giudei legati alla tradizione e alle leggi della Torah e dall'altra il rude pragmatismo dei romani, di accettare, se indolori, le usanze dei popoli conquistati, ma inflessibili in caso di rivolte.

Questa attitudine dei romani, infatti, era ben definita dal detto di Virgilio: "Romane, memento: hae tibi erunt artes, pacisque imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos" ossia "o Romano, ricorda: queste saranno le tue arti, e alla pace d'imporre una regola, risparmiare gli arresi e sgominare i superbi."

Veramente una profezia questa di quanto poi nel 70 d.C. accadrà con le atrocità dell'assedio di Gerusalemme da parte delle legioni romane sotto il comando dell'imperatore Tito, assedio che ebbe come conclusione tra l'altro la distruzione del Tempio.
I sacerdoti del Tempio, peraltro, ai tempi di Gesù cercavano di barcamenarsi tra le aspettative del popolo - dal cuore antiromano, tra cui operavano fazioni ribelli come gli zeloti e perfino terroristi come i sicari, separati e critici come gli esseni con i farisei pronti ad avere due facce - e le autorità romane, sempre meno tolleranti e sempre più consci che gli animi venivano sempre più a riscaldarsi e si delineavano e crescevano pericoli di rivolta stante le subdole azioni di guerriglia pur se ancora sporadiche.
I sacerdoti e l'élite del potere ebraico di Gerusalemme erano tutti impegnati a cercare d'evitare occasioni di sommosse, timorosi delle azioni di repressione e di perdere il proprio potere, ormai tentennante, per cui vedevano come fumo negli occhi i nazionalismi messianici che tendevano in quei tempi a fiorire, come ricorda Gamaliele negli Atti degli Apostoli 5,34-39, e che, vista la forza organizzativa e militare degli invasori, avrebbero comportato la fine del mondo giudaico.

Questa situazione palesa come riflesso una mancanza di fede in Dio e nelle Sacre Scritture, infatti, in particolare, proprio loro che dovevano essere i custodi del rispetto di quelle, non tenevano conto che proprio quello era il momento che si stava compiendo l'oracolo del compimento delle promesse nel famoso tempo dei 70 anni della profezia di Daniele.

È poi da ricordare questo episodio riportato nel Vangelo di Giovanni circa la decisione premeditata di far morire Gesù: "Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: Che cosa facciamo? Quest'uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione. Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell'anno, disse loro: Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera! Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell'anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo." (Giovanni 11,47-53)

"È conveniente per voi" in tale occasione Caifa dice agli altri, i capi dei sacerdoti e i farisei riuniti nel sinedrio; gli interessi personali, perciò erano anteposti alla giustizia!

Tale fatto, ovviamente, è da pensare e ritenere che trapelò da parte di... "Giuseppe d'Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù." (Marco 15,43)

Con l'aiuto di un traditore tra gli apostoli quei personaggi erano riusciti a farlo catturare di notte e portarono Gesù davanti a Pilato con l'accusa di sobillare il popolo contro Cesare e fu crocifisso.

Sulla croce fu infisso il "titulus", la tavoletta con l'iscrizione della causa della condanna, fatta incidere da Pilato, su cui era scritto che Lui, Gesù, era Re.
Questa, in effetti, era la pura verità!
Tutta la Sacra Scrittura indica la venuta del Regno di Dio.
Si pensi che il centro dell'alfabeto ebraico, con cui è stata scritta la Torah, profetizza proprio: "il mio RE" "melki".



(Vedi: "Alfabeto ebraico, trono di zaffiro del Messia")

Quel "titulus crucis" è menzionato dai quattro Vangeli canonici con scritte diverse, ma tali libri sono unanimi nell'attribuire al condannato il titolo di Re.
I quattro Evangelisti, infatti, riportano l'indicazione di quella iscrizione in questi termini:
  • Marco 15,26 - "Il re dei Giudei";
  • Luca 23,38 - "Questi è il re dei Giudei";
  • Matteo 27,37 - "Questi è Gesù, il re dei Giudei";
  • Giovanni 19,19 - "Gesù il Nazareno, il re dei Giudei".
Dell'ultima dizione citata da Giovanni, la più completa, come espressamente detto nello stesso Vangelo era in tre lingue: ebraico, latino e greco.
Solo in quest'ultima nel "titulus" appare il termine che è tradotto in italiano come "Nazareno".
Dal testo di quel Vangelo, infatti, si ricava che quella iscrizione era:
  • in latino "Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum", ricordata con le sue iniziali con l'acronimo INRI;
  • in greco " " e traslitterato con l'alfabeto italiano "Iesoûs ho Nazoraîos ho basileùs tôn Ioudaíon".
Per l'iscrizione in ebraico, invece, non si hanno elementi dai Vangeli e si possono solo fare congetture.
Al riguardo, l'erudito ebreo Schalom Ben-Chorin ha avanzato l'ipotesi che la scritta ebraica fosse proprio quella riportata da Giovanni, "Gesù il Nazareno, il re dei Giudei".
Considerato che in ebraico la virgola non esiste e che la lettera "Waw" = sostituisce la virgola e la congiunzione "e", ragionevolmente propone:



quindi, traslitterato "Ieshua Hanozri W(u)melech Hajehudim".

Come si può ben vedere le iniziali delle quattro parole sono proprio corrispondenti al Tetragramma Sacro biblico, IHWH, il nome impronunciabile di Dio nell'ebraismo.
Tale fatto del "Titulus":
  • rafforzerebbe la motivazione della protesta esplicitata dai sacerdoti a Pilato per tentare di fargli modificare il testo della tavoletta (Giovanni 19,21), motivazione che ovviamente espressero in altro modo. (Vedi: "Il giusto cammino della verità")
  • apporterebbe un ulteriore elemento per chiarire il fatto che viene riferito che "Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: Davvero costui era Figlio di Dio!" (Matteo 27,54)
Con i criteri di "Parlano le lettere" le lettere di quelle 4 parole danno questo spunto: "da Gesù uscirà l'energia che a risollevare i corpi sarà e il Regno aprirà ; risarà nello splendore chi fu vivente ."

In questo modo quella dizione il re dei "giudei" , che pare limitativa e settoriale, con quel "risarà nello splendore chi fu Vivente " viene ad esprimere una regalità universale, su tutti i viventi vivi e morti.

Per la tradizione quella tavoletta col cartiglio originale sarebbe stato staccato dalla croce e deposto nel sepolcro col corpo di Gesù, quindi, gelosamente conservato assieme ai lini dalla Chiesa di Gerusalemme.
Per il titolo in ebraico, comunque, possiamo provare a vedere cosa riporta la reliquia della tavoletta del "Titulus" conservato a Roma nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
Questa, secondo la tradizione, assieme alla croce e ad alcuni chiodi sarebbe stata rinvenuta e portata a Roma nel IV secolo da Sant'Elena madre dell'imperatore Costantino.
Vari studiosi considerano che la tavoletta, ritrovata nel 1492 in una nicchia su un arco a Roma in quella basilica, pur se la prova al radiocarbonio C14 ha attestato essere del X-XI secolo d.C., sia almeno copia fedele dell'originale - che i padri della Chiesa attestano di aver visto a Gerusalemme - per la presenza di certi particolari che nessun falsario avrebbe attuato rispetto ai Vangeli.
Quella tavoletta deteriorata ai bordi superiore e inferiore riporta queste lettere:
  • in ebraico (corrotto) () .
  • traslitterate dal greco IS NAZARENUS B [ASILEUS TVN IOUDAIVN]
  • In latino I. NAZARINUS RE [X IVDAEORVM]
In definitiva, mentre per il titolo di Re tutto è pacifico, ciò che lascia perplessi è il termine "Nazareno" che, in effetti, troviamo come:
  • "Nazarenus" in latino nel Vangelo di Giovanni;
  • "Nazoraîos" in greco nel Vangelo di Giovanni;
  • "Nazarenus" in latino nel titulus di Santa Croce di Gerusalemme a Roma;
  • "Nazarinus" in greco nel titulus di Santa Croce di Gerusalemme a Roma;
  • in ebraico nel titulus di Santa Croce di Gerusalemme a Roma;
  • "Notzri" suggerisce Schalom Ben-Chorin.
Al riguardo sono da tenere presenti i seguenti fatti:
  • il termine in esame è ebraico;
  • le lettere sono solo consonanti;
  • nel I secolo d.C. negli scritti le vocali non erano indicate con segni particolari,
  • lo scriba del "titulus" con probabilità era romano,
  • la vocalizzazione è insicura,
  • certo è che nel termine ci sono le consonanti N = e R = e un'intermedia che sembra al suono come una "Zeta" latina e potrebbe essere sia come la 7a lettera ebraica, la "zajin" , o come la 18a, la "tsade" o "tzade" = che hanno suoni confondibili;
  • in greco come in italiano non c'è una lettera specifica che renda la traslitterazione della = , la lettera di "giusto" e si può trovare traslitterata in italiano come "tsadiq", ma anche come "zadiq";
  • l'unico elemento che testimonia la consonante intermedia ebraica pare indicarla come ;
  • altre lettere ebraiche che hanno suoni confondibili con quelle sono anche la 15a "samech" e la 21a la "shin" .
A questo punto l'attenzione si concentra sui termini NZR e NTsR che ovviamente danno luogo a significati ben diversi tra loro.

UN SALTO NEL MONDO EGIZIO
Apro una parentesi.
Alcuni anni fa cercai spunti e collegamenti dei primi scritti dell'ebraismo con la cultura egizia convinto, come sono tutt'ora, che attestando la Torah l'uscita del popolo d'Israele dall'Egitto, vi fossero tracce di quella cultura negli scritti, nella lingua e nei pensieri degli autori materiali e comunque in alcune lettere usate come mini geroglifici o icone dell'alfabeto ebraico, di cui ho accennato nelle schede delle lettere ebraiche a destra della home di questo mio Sito.
Ne scaturirono alcuni articoli tra cui:
Ho quindi rinfrescato quel periodo e ho fatto alcune connessioni con quanto sto ora esaminando.
Ciò premesso torno al Vangelo di Giovanni che com'è noto è ritenuto quello dall'aquila che vola in alto ed è il più tardivo dei Vangeli canonici.
Tali Vangeli, in cui comunque soffia un unico Spirito, sono, infatti, detti tetramorfi con riferimento alla teofania di Ezechiele in quanto San Girolamo vi vide esplicitato in ciascuno in modo specifico la storia di Cristo che: "fuit homo nascendo, titulus moriendo, leo resurgendo, aquila ascendendo".

Tra quei Vangeli quello di Giovanni, pur non negando i precedenti, di sovente, aggiunge particolari interessanti e, appunto, volando alto come un'aquila teologicamente, apre finestre nuove rispetto agli altri Vangeli e presenta una lettura ispirata, frutto per certo del contributo dell'elaborazione da parte di una comunità adulta nella fede.
Ciò premesso, essendo quel Vangelo l'unico dei quattro che nel "titulus" inserisce il termine che è tradotto "nazareno", mi viene spontaneo pensare che tale particolare non indifferente potrebbe essere stato evidenziato perché l'evangelista intende sottolineare elementi interessanti che avvaloravano la figura di Gesù ed il suo essere uomo e Dio e un Re particolare come dice la seconda parte del "Titulus" stesso.
Già il sottolineare quelle 4 parole pare essere un invito a pensare, come abbiamo sottolineato, al Tetragramma Sacro, quindi, al Nome di Dio.

A questo punto l'immaginario dell'epoca, specie in Palestina, era pervaso da un'infarinatura della cultura egizia il cui territorio di fatto gli era confinante.
Per gli ebrei, per contro, era un'aberrazione il come veniva trattata dagli egizi la figura del faraone che si faceva dio e nel contempo era ben chiaro come questi in effetti fosse veramente un emblema di potenza allora insuperabile e che solo Dio, quello vero, aveva vinto, liberando gli ebrei giusta narrazione del miracolo del mare.
Quel "Titulus" del Vangelo di Giovanni, su quella tavola di legno con quelle 4 parole, così, mi ha fatto pensare a un cartiglio e ai nomi e ai titoli di un faraone che aveva almeno 4 "grandi nomi".

In primo luogo il faraone d'Egitto era ritenuto l'incarnazione del dio Horo, figlio di Osiride e di Iside, e tra i tanti titoli che aveva c'era il "nome del trono" o "praenomen", in quanto precedeva il vero e proprio nome del re preindicato da un giunco fiorito e un'ape, il "(i)nesut-bity", simboli, rispettivamente, dell'Alto e del Basso Egitto e significa letteralmente "colui che (regna) sul giunco e sull'ape" come a dire "re di tutto l'Egitto".


(i)nesut-bity

Ora, guardiamo a "(i)nesut"; nel suo intimo c'è l'idea del giunco fiorito che è il simbolo della vita che si sviluppa e sorge, oggettivazione dell'esistenza che nasce dalle acque del caos del dio Nun, l'energia N, e nel suo intimo ha il segno del giunco, ancora non fiorito, simbolo dell'essere, che è la "yod" ebraica e dell'alzarsi che appare nella S di sut.
In definitiva sono evocate le consonanti NSY.

Nel mio articolo "Chi ha scritto l'Esodo conosceva i geroglifici", alla cui lettura rimando per l'esame, evidenziai che NSY è il titolo del faraone, come abbiamo la visto onde Mosè fu definito "è appartenete al giunco", cioè appartenente al Re.
NSY da solo, senza l'ape, ma con la Yod invece del giunco, viene a definire non più il basso Egitto, la zona del delta del Nilo dove vivevano gli ebrei prima dell'esodo, ma l'intera esistenza, onde tende a definire "il re dell'esistenza".
Ecco che con i significati ebraici delle lettere NSY+R verrebbe a indicare "Una testa R di quelli appartenenti al giunco NSY" ossia un principe e se lo riferiamo a Gesù, questi è un NSY+R per eccellenza, l'unico principe il figlio di Dio fattosi uomo, "il capo R degli appartenenti al giunco NSY" il capo di quelli che credono a YHWH.
Un altro aggancio è il termine egizio NcR per indicare il "Potente" il dio sovrano, materializzato con il segno geroglifico di una bandiera su un'asta, in ebraico NS vessillo.


Quella lettera č palatale sorda tipo quella di "ciao" nello "alfabeto Egizio" è caratterizzato da un'icona che dicono indicare una pastoia, ma a me pare una molla, traslitterato di solito con t, quindi N t r.
Quelle lettere richiamano il "natron" (carbonato idrato di sodio) derivato dalla parola "Ntry", che significa puro, divino, appunto da "Ntr" che in pratica significa dio.
Il "natron" era alla base del processo di mummificazione e rendeva bianchi, colore della luce pura del sole, immagine della risurrezione che rende puri... "le sue vesti erano candide"... e agli Egizi faceva presente il divino Osiride, il dio del regno dei morti.

Quel segno che a me pare una molla mi ha portato col pensiero alla visione di Isaia "Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall'altare. Egli mi toccò la bocca e disse: Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato. Poi io udii la voce del Signore che diceva: Chi manderò e chi andrà per noi? E io risposi: Eccomi, manda me!" (Isaia 6,6-8)

Ora, Isaia in ebraico è "Iashia'hu" in cui c'è sia il nome di Gesù e di IHWH (), in croce Gesù è innalzato come una bandiera su un'asta e, chi conosce un minimo di geroglifici se ritenesse che Gesù è Dio penserebbe a "nečer" e a Ntr al "natron", quindi, alla purificazione dai peccati per merito suo in definitiva" avrebbe nella mente una iscrizione del genere:

NčR (Nečer) e anche NSY

Qualcosa si può dire collegato al mondo egizio anche sulle lettere ebraiche N eTs E = .

Si pensi che il bi-letterale "netz" più volte è usato per indicare un uccello, in pratica un falco, uno sparviero, come si trova in Levitico 11,16, in Deuteronomio 14,15 e in Giobbe 39,26 e il pensiero si porta al falco Horus figlio di Osiride di cui il faraone era incarnazione.
La descrizione del falco e dello sparviero è insito in quelle lettere "netz" , pensando alla picchiata di questo uccello sulla preda, infatti, si vede chiaramente che "con energia scende ".
Tutto quanto sinora detto porta a concludere che nel mondo egizio quelle lettere NSY evocano un grande capo, che può volare alto, segno evidente per gli altri da seguire per aggregarsi al carro di un potenziale vincitore.

NAZARENO O NAZOREO
Gesù nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli è definito nazareno, traducendo così dal greco ciò che, in effetti, è detto "Nazoreo", "", "nazoràios", termine cui sono stati attribuiti diversi significati.
Tale parola, riepilogo, si trova in:
  • Matteo 2,23 e 26,71;
  • Marco 1,24; 10,47; 14,66; 16,6;
  • Luca 4,34; 18,37; 24,19
  • Giovanni18,5.7 e 19,19;
  • Atti 2,22; 3,6; 4,10; 6,14; 22,8; 24,5 e 26,9.
La prima citazione, molto importante, è quella nell'ambito del racconto in Matteo 2,19-23, quando il Vangelo riferisce del ritorno dall'Egitto della Santa Famiglia: "Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va nella terra d'Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino. Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d'Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: Sarà chiamato Nazareno (nazoràios)."

Questo Vangelo insomma connette il termine, che la C.E.I. traduce con "Nazareno", con la città chiamata Nazaret.
È da notare però che non si deve cadere nell'errore di pensare che quel "nazoràios" sia strettamente legato al fatto che Gesù nella sua infanzia aveva abitato a Nazaret altrimenti dovevano chiamarlo il nazaretano, "Nazarethenos" o "Nazarethanos" o ancora "Nazorethaios" e non nazareno, ma forse invece era il nome della città di Nazaret che evocava qualche altra cosa.

Ecco che è nata anche l'ipotesi che Gesù fosse un "nazireo", con lo speciale voto detto del "nazireato" di cui parla la Torah in Numeri 6, ma oltre che per vari altri motivi che poi diremo, non torna proprio dal punto di vista dell'uso del termine da parte dell'Evangelista.

Nella traduzione dei Settanta il nazireo, infatti, è chiamato in greco con "" - "naziràios" (1Maccabei 3,49) o "" - "nazir" (Giudici 13,5) e non con "", - "nazoràios" di quel Vangelo.
In quel passo del Vangelo Matteo sostiene il compimento di una profezia di "ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: Sarà chiamato Nazareno."

Premesso che per gli ebrei, quindi è il caso di Matteo, quando si parla dei Profeti nelle Sacre Scritture s'intende la parte dei Nevi'im = Profeti della Tenak, cioè della parte canonica in ebraico del Nostro Antico Testamento, che comprende i libri Giosuè, Giudici, Samuele1 e 2, Re1 e 2, Isaia, Geremia, Ezechiele e i 12 profeti minori, pur tuttavia anche allargando in questo modo il campo della ricerca una profezia scritta esplicita e soprattutto precisa del genere non esiste.

In definitiva, in nessun libro dei "profeti" o "Nevi'im" esiste un riferimento al fatto che il Messia dovesse provenire dalla Città di Nazaret, anzi si parla chiaramente di Betlemme, la città di origine di David (Michea 5,1).

È, allora, da ritenere che quella di Matteo fosse un'interpretazione e/o un'estensione di un'altra profezia, visto che con precisione lo stesso non parla di profezia scritta, ma attribuisce ai "Profeti" quel "detto".

È poi da ricordare che il Vangelo di Giovanni 1,45-48 si trova che l'ebreo Natanaele, di cui Gesù asserì "Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità", poco prima, quando Filippo che gli aveva detto "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret." rispose evidenziando come Nazaret non era citata tra le profezie e "...disse: Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?"

Del resto la cittadina di Nazaret doveva essere un villaggio veramente poco importante, non è citata nei libri dell'Antico Testamento, abitata forse da poche centinaia di persone, comunque il minimo per avere una sinagoga.
Non resta allora che riferirsi allora alla profezia del "virgulto" di cui dice il profeta Isaia in 11,1 "Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici".

In tale citazione la parola germoglio è scritta e si pronuncia "chotoer" mentre "virgulto" è scritta e si pronuncia "netsoer".
Il germoglio "chotoer" "racchiude sigillato il corpo " di ciò che deve spuntare e poi il virgulto "netsoer" "con energia si alza il corpo ".

Quel virgulto profetizza un figlio di Davide, il servo che "...avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente" (Isaia 52,13), insomma, il Messia.

Del resto tutti a causa sua, per il lavoro delle sue mani, diventeranno virgulti - germogli giusti del Signore come lo stesso libro di Isaia proclama in 60,21 "Il tuo popolo sarà tutto di giusti, per sempre avranno in eredità la terra, germogli delle piantagioni del Signore, lavoro delle sue mani per mostrare la sua gloria." ossia tutti saranno fratelli di quel giusto che verrà dalla radice di Iesse e tutti saranno "giustificati".

Fa seguito il profeta Geremia che in 23,5 ove proclama una profezia simile a quella di Isaia: "Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore - nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra", anche se per germoglio impiega il termine sinonimo tsoemach, del resto usato anche da Isaia in 4,2 quando dice "In quel giorno, il germoglio (tsoemach) del Signore crescerà in onore e gloria e il frutto della terra sarà a magnificenza e ornamento per i superstiti d'Israele."

E questo modo di dire germoglio e vicino al virgulto, infatti "tsoemach" con le lettere esprime il pensiero "ai alza la vita nascosta ".

I traduttori, infatti, come abbiamo intraveduto non fanno molta distinzione tra germoglio e virgulto, quindi tutte le profezie che riguardano queste parole sono da considerare con attenzione.
È possibile che la profezia che cita Matteo "sarà chiamato Nazareno (nazoràios)", cioè doveva portare il nome "natzoer" ossia "virgulto" 2,23 in effetti siano quelle messianiche sul "Germoglio", che in effetti è proprio quel "tsoemach" .
Il profeta Isaia 4,2 di cui ho detto, ma anche Geremia e Zaccaria parlano del servo "Germoglio":
  • Geremia 23,5 - "Ecco, verranno giorni - dice il Signore - nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra."
  • Geremia 33,15 - "In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia; egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra."
  • Zaccaria 3,8 - "ecco, io manderò il mio servo Germoglio."
  • Zaccaria 6,12 - "Ecco un uomo che si chiama Germoglio: spunterà da sé e ricostruirà il tempio del Signore."
Tra l'altro, legata al "Germoglio" c'è un'altra profezia che forse Natanaele ha ricordato quando Gesù in Giovanni 2,48 gli disse che l'aveva visto sotto al fico; infatti. la parola Nazaret e il fatto che Zaccaria dopo la profezia di 3,8 del "Germoglio" dice "In quel giorno - oracolo del Signore degli eserciti - ogni uomo inviterà il suo vicino sotto la sua vite e sotto il suo fico" (Zaccaria 3,8) suggerisce che l'evangelista Giovanni volesse ricordare questo accostamento nella mente di Natanaele.

Quelle tre lettere ebraiche sono alla base di due concetti, per:
  • "nètzoer" germoglio, rampollo;
  • fare la guardia, fare da sentinella, da vedetta, quindi custodire, essere custode, infatti, si ha "notzèr" per guardiano, sentinella il custodente, "natzar" osservatore, vedetta onde "notzirim" guardie, guardiani, sentinelle, vedette come in Geremia 31,6 "Verrà il giorno in cui le sentinelle grideranno sulla montagna di Èfraim: Su, saliamo a Sion, andiamo dal Signore, nostro Dio."
Torre di guardia, infatti, in 2Re 17,9 è definita "migdal notzrim".
Nei Salmi è usato "notzrè" , come in:
  • Salmi 25,10 - "notzrè beritò" per dire "custodi del Suo patto", come pare venissero chiamati gli Esseni di Qumran.
  • Salmi 119,2 - "notzrè 'edotav" per dire "custodi delle sue testimonianza".
In Naum poi si trova "natzor" "per monta la guardia" al versetto 2,2 "Contro di te avanza un distruttore. Monta la guardia alla fortezza, sorveglia le vie, cingi i tuoi fianchi, raccogli tutte le forze".

D'altronde il rebus di quelle tre lettere si può sciogliere ricorrendo ai sensi grafici d'icona di quei segni che spiegano entrambi i significati, sia germoglio, sia di guardia con quel predicato che si ricava dalle lettere, "con energia si alza un corpo ".
(Vedi: in questo mio Sito la colonna a destra della Home, ove cliccando su ciascun segno si trovano le schede sintetiche delle 22 lettere dell'alfabeto ebraico con i significati grafici.)

In Gesù poi il senso diviene ancora più forte pensando per N = = energia di Dio, quella attesa, "l'Energia scese sul suo capo ".
I Vangeli concordi al momento del battesimo sottolineano l'evento della discesa sul suo capo della colomba "ionah" .

Questa colomba "ionah" "fu a portare l'Energia (sottinteso di Dio Padre), a entrare " nel figlio che Dio, il Padre stesso, al momento del battesimo nel Giordano e alla Trasfigurazione sul monte Tabor, definisce come il mio eletto, il mio prediletto "davidi" , quindi il "consacrato" come il Suo David, il Messia.

A questo punto Nazaret, che in ebraico è "Natzeret" , viene a significare "città del virgulto", ma c'è nel nome anche il significato di fiorire e di stare in guardia, quindi città di confine "sentinella".
In arabo Nazaret si dice "Nāsirah".
Si trova poi che i demoni riconoscono in Gesù una qualità particolare e lo chiamano in questo modo:
  • in Marco 1,24 - "Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!"
  • in Marco 5,7 - "Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!"
"Nazareno", "figlio di Dio Altissimo" e "il santo di Dio" paiono in tale situazioni termini che si equivalgono come se "nazareno" fosse un chiarimento per gli ignoranti di ebraismo e non per dire che Gesù era di Nazaret; d'altronde Marco scriveva soprattutto per i gentili che non conoscevano l'aramaico e se così fosse equivarrebbe a l'Inviato di YHWH, il Santo di Dio.

I "NATZOREI"
Più volte i testi del Nuovo Testamento parlano di fratelli e sorelle di Gesù:
  • Matteo 12,46 - "Mentre egli parlava ancora alla folla, ecco, sua madre e i suoi fratelli stavano fuori e cercavano di parlargli."
  • Matteo 13,54-57 - "Venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose? Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua."
  • Giovanni 2,12 - "Dopo questo fatto scese a Cafàrnao, insieme a sua madre, ai suoi fratelli e ai suoi discepoli."
  • - Giovanni 7,2-10 - "Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, quella delle Capanne. I suoi fratelli: Parti di qui e va nella Giudea, perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu compi... Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui... Ma quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui."
Abramo in Genesi al 13,8 però chiama "fratello" il nipote Lot e in 29,15 Labano chiama "fratello" il nipote Giacobbe; al riguardo, quindi, è stato fatto notare che nell'aramaico o nell'ebraico il termine "fratello" "'ach" indica sia il fratello, sia il cugino, sia il nipote, sia l'alleato, insomma "uno stretto " come dicono i significati grafici delle due lettere, cioè persone che hanno una "unità che li stringe ", vale a dire che hanno una causa che li accomuna, quindi sono "uniti strettamente ".

La polemica sui "fratelli" di Gesù ha coperto la discussione sui veri rapporti con i suoi parenti e soprattutto fa mettere in secondo piano che era un nobile, un davidico.
Pur se era un nobile di un ramo decaduto era pur sempre uno che rientrava nella profezia del virgulto "nètzer" di Isaia 11,1 e su cui la stessa poteva potenzialmente diventare operante, insomma era uno de "i virgulti", cioè un "davidico", uno che poteva ben chiamarsi in ebraico uno dei "natzorei" , anzi era proprio Lui "il Netzoer", il Virgulto.
Ecco che Nazaret "Natzeret" , calza bene come città di "quelli del virgulto"!

Il villaggio di Nazaret potrebbe avere quel nome proprio dal virgulto, forse perché in esso, nei secoli successivi al ritorno dall'esilio di Babilonia, ma soprattutto dopo la dominazione greca e la rivolta dei Maccabei, vi s'erano man mano raccolti esuli davidici che avevano compreso che dovevano vivere come esuli, la confinati, per evitare di suscitare reazioni dai regimi di Gerusalemme che certamente non vedevano di buon occhio mine al proprio potere per restaurazioni legate a questioni messianiche.

Quel distretto di Galilea delle Genti fu zona fonte di focolai messianici ultimo dei quali fu quello di Simone Bar "Kokeba", figlio "Bar" della "stella" "Kocheba", che assunse il titolo ufficiale di "principe di Israele" - "nasi" e animò una rivolta che diede luogo alla terza guerra giudaica 132-135 d.C. sedata dai romani e che finì con una strage; si parla di oltre 500.000 ebrei morti e la diaspora definitiva dei restanti.
Vi erano anche altre località del nord che poterono raccogliere reduci davidici, come Gamala o Gamla, riconosciuta come sede di molti zeloti, città poi distrutta da Vespasiano nel 66 d.C..


Palestina I secolo d.C.



Città dell'alta Galilea e della Galantide

È da ricordare che i reduci ebrei da Babilonia nei primi tempi furono governati da capi nominati dal Re di Persia.
Il primo fu Zorobabele, un davidico, poi, si dice, gli successe suo figlio Mesciulla, quindi Esra e Neemia.
Il comando di fatto gradualmente passò ai Sommi Sacerdoti, ma per tradizione, poiché il giudicare era compito dei re e non dei sacerdoti, il "Presidente del Sinedrio" di 71 membri, detto "Nasi" era scelto tra i reduci della casa di David.
"Nasi" , infatti, è un titolo che in ebraico biblico significa "principe", quindi, presidente ( è qui una "sin" e non una "shin").

Il famoso Hillel, nato a Babilonia nel 60 a.C. e morto a Gerusalemme il 7 d.C., rabbino, maestro della "Mihnah", ancora ai tempi di Erode il grande per essere "Nasi" del Sinedrio dovette dimostrare d'essere un davidico giustificando la propria discendenza; ecco perché i davidici conservavano memoria dei propri alberi genealogici.
Ai tempi di Gesù il Sinedrio che aveva giurisdizione sul Tempio di Gerusalemme era ormai presieduto dal Sommo Sacerdote.

Il termine "natzoreo", quindi, era un titolo messianico e come tale spesso è citato negli scritti del Nuovo Testamento, non per dire che fosse un nazireo, ossia un separato, o uno che aveva fatto voto da nazireo, né per dire che era di quella particolare città di Nazaret, ma per rimarcare, visti i fatti, che era proprio "il figlio messianico di Davide".
Ecco che il suggerimento in Matteo dell'angelo a Giuseppe al ritorno dall'esilio d'Egitto di rifugiarsi proprio a Nazaret trova un fondamento perché quella non solo era la città in cui, secondo Luca, prima abitavano, visto che Betlemme la citta di origine dei davidici, era insicura, ma perché a Nazaret c'era un gran gruppo di parenti.

In questa situazione s'inserisce il racconto della strage degli innocenti - una ventina di bambini inferiori a due anni di età - che secondo il Vangelo di Matteo fu perpetrata da Erode il grande ai tempi della nascita di Gesù nella stessa Betlemme.
La nobiltà di Gesù, che era un principe, i Vangeli la danno per nota e scontata, infatti, tralasciano di spiegare i perché si trova in quelli che lo chiamavano "Signore", "Adonai", che indossava una tunica pregiata senza cuciture ed era invocato, addirittura dai ciechi, come "figlio di Davide".
La stessa sepoltura di Gesù in una tomba nuova di ampie dimensioni e il trattamento della salma, con unguenti preziosi e l'avvolgimento in un costoso sudario e lini pregiati, sono tutte caratteristiche di un trattamento regale.
Il clan di reduci davidici, conoscevano la genealogia di Gesù e certamente sono stati consultati per avere elementi per le genealogie che sono presentate nei Vangeli di Matteo e di Luca.
È infine da ricordare che ben tre degli apostoli di Cristo erano suoi parenti:
  • Giacomo il minore, figlio di Alfeo, nome grecizzato di Cleofa fratello di Giuseppe;
  • Simone cananeo o zelota (Luca 6,15);
  • Giuda Taddeo autore della lettera detta di Giuda cui è attribuito l'apocrifo Vangelo di Taddeo.
I primi due poi furono rispettivamente il 1° e il 2° vescovo di Gerusalemme.
A proposito di zelota, termine forte che contrasta con la dolcezza dell'annuncio di Cristo, è da ritenere che quel Simone lo fosse stato o almeno fosse stato simpatizzante per quei patrioti. Gli zeloti, in ebraico "qanna'im", da qui anche detti cananei, in effetti, "qananei", veramente zelanti, che operavano con un ideale nazionale teocratico per l'indipendenza politica del regno di Giudea, erano una fazione del panorama giudaico del I secolo d.C., integralisti ebraici, dai romani considerati terroristi.
L'ispirazione del movimento forse è più antica, infatti, Mattatia, padre dei Maccabei raccomandava ai figli di essere "gli zelanti della Torah".

Gesù aveva dodici anni quando Luca racconta del viaggio della Santa Famiglia a Gerusalemme e, più o meno in concomitanza, la Giudea fu infiammata dalla rivolta guidata da Giuda di Gamala contro un censimento imposto dai romani.
Giuda il Galileo di Gamala, della dinastia Asmodea, destituito dalla dinastia erodiana, è riconosciuto essere il fondatore della setta degli zeloti e nel 6 e 7 d.C. guidò due rivolte che i romani che sedarono nel sangue; si parla di 2000 crocefissi, ma nel popolo crebbe smisuratamente l'odio per i romani e preparò il terreno alle guerre giudaiche.
La notazione di Luca 2,41-50 del primo viaggio a Gerusalemme della Sacra Famiglia, unica nota dei Vangeli sulla vita di Gesù prima del ministero terreno, coincide, infatti, proprio come tempistica con quella situazione che si era verificata in Galilea quando nella città di Sefforis, a meno di 5 Km da Nazaret, Giuda di Gamala raccolse il suo esercito per la prima rivolta.

Tra gli zeloti operavano anche i sicari di cui Giuseppe Flavio in Guerra Giudaica II - 12, dice: "In Gerusalemme nacque una nuova forma di banditismo, quella dei così detti sicari (Ekariots), che commettevano assassini in pieno giorno nel mezzo della città. Era specialmente in occasione delle feste che essi si mescolavano alla folla, nascondevano sotto le vesti dei piccoli pugnali e con questo colpivano i loro avversari. Poi, quando questi cadevano, gli assassini si univano a coloro che esprimevano il loro orrore e recitavano così bene da essere creduti e quindi non riconoscibili."

Nel Talmud gli zeloti sono criticati, accusati di non seguire i capi religiosi e sono anche chiamati "Biryonim" "figli violenti ", al singolare ed è da osservare che le lettere in ebraico sono le stesse della parola "colomba" e del nome proprio "Giona".

A questo punto è da ricordare che Gesù cambiò il nome al primo apostolo in questo modo: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa." (Matteo 16,17s)

C'è chi in quel Simone figlio di Giona "Biryonah" legge un'allusione al fatto che anche Pietro prima della conversione fosse stato almeno per tendenza un "Biryon", uno zelota visto il temperamento focoso di Pietro, tanto che con l'episodio della spada narrata dai Vangeli, ricorse alle armi nel momento dell'arresto di Gesù sul Getzemani.
Al sentire parlare di Messia nella mente di un romano in Giudea ai tempi di Gesù era inevitabile che sorgesse un'associazione d'idee con i combattenti messianisti, "chrestianoi" in greco, ossia con gli zeloti e i sicari.
Di ciò è da tener presente nella lettura dei Vangeli, specie dei sinottici che hanno una redazione concomitante con la preparazione delle guerre giudaiche.

Tre sono le guerre che impegnarono i romani contro la nazione giudaica, dette, appunto, "guerre giudaiche":
  • la I, 66-73 d.C., iniziò sotto Nerone e terminò sotto Vespasiano, riguardò l'intera Palestina, nel 70 fu distrutto del Secondo Tempio di Gerusalemme ad opera del comandate Tito, figlio di Vespasiano e si protrasse contro con strascichi fino al 73, ivi compresa la conquista di Masada, e il risultato fu la fine per gli ebrei di una patria;
  • la II, 115-117 d.C., sotto Traiano, detta anche "guerra di Kitos", riguardò le città della Diaspora, in Egitto, Cipro e in Mesopotamia da poco occupata dai romani iniziando:
  • la III, 132-135 d.C., sotto il regno di Adriano, in Palestina contro la rivolta organizzata da Simone Bar Kokeba, che si proponeva Messia.
La scelta degli apostoli da parte di Gesù rispetto alle posizioni socio-politichereligiose del tempo pare essere stata di tipo trasversale.
Tra i dodici, infatti, appare un filo-romano, almeno per interessi, come Matteo, un fariseo come pare presentarsi Natanaele (per molti è il Bartolomeo), tre suoi cugini, come ho prima accennato - Giacomo di Alfeo detto il minore, Simone il Cananeo o Zelota come pure era zelota l'altro cugino Giuda Taddeo - quindi del clan dei davidici, poi quattro pescatori Pietro, Andrea di Betsaida e Giacomo e Giovanni, quest'ultimo già discepolo del Battista, ai quali diede il nome di Boanerges, cioè figli del tuono (Marco 3,17), assieme ad Andrea e probabilmente simpatizzanti per gli ideali esseni, assieme a Filippo pure di Betsaida e infine Giuda Iscariota il cui nome fa ventilare ad alcuni anche l'ipotesi che fosse un "ekariot" ossia un sicario zelota.
Beh quando li scelse non erano proprio tutti stinchi di santi.
Certo che forte in molti degli apostoli era l'idea della restaurazione del regno di Davide auspicato come età dell'oro, senza i romani oppressori.
La predicazione di Gesù doveva perciò procedere con estrema cautela sempre col pericolo di essere frainteso.

L'attesa messianica della pace, della giustizia, della grazia di Dio e del cambiamento del cuore che doveva comportare nonché il regalo dello Spirito Santo senza il quale il cuore non cambia, predicata da Gesù, era diventata per i più l'attesa di una redenzione dall'oppressione romana e anche gli stessi apostoli, e non solo l'Iscariota, ritenevano che in fin dei conti tutti i metodi erano buoni per arrivare al risultato e attendevano in definitiva un esito nel senso del ribaltamento delle autorità esistenti e di un nuovo regno.
Vi sono episodi nei Vangeli che segnalano questa situazione in cui gli apostoli fanno comprendere di seguire dei propri pensieri errati sulla loro missione:
  • quando arrivarono ad un villaggio di samaritani che non li accolsero "...i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? Ma Gesù si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un altro villaggio." (Luca 9,55s) volevano attuare un "incendio" doloso, come facevano gli zeloti;
  • "E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo. Egli disse loro: Cosa volete che io faccia per voi? Gli risposero: Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra". (Marco 10,35-37)
C'è poi la questione di armi in possesso degli apostoli.
Nel racconto dell'episodio sul monte degli Ulivi, nell'orto del Getsemani della cattura di Cristo, unanimi i Vangeli propongono la presenza di una spada in mano di un seguace di Cristo.

Questo è il racconto secondo il Vangelo di Matteo: "Mentre ancora egli parlava, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro un segno, dicendo: Quello che bacerò, è lui; arrestatelo! Subito si avvicinò a Gesù e disse: Salve, Rabbì! E lo baciò. E Gesù gli disse: Amico, per questo sei qui! Allora si fecero avanti, misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù impugnò la spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote, staccandogli un orecchio. Allora Gesù gli disse: Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli? Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire? In quello stesso momento Gesù disse alla folla: Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno sedevo nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti. Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono." (Matteo 26; Marco 14,43-49; Luca 22,47-53; Giovanni 18,3-11)

Come si può vedere il racconto ripete molte volte la parola "spada", perché molti erano gli armati e tra loro anche perlomeno un apostolo.
Non era più il tempo della ragionevolezza, ma della violenza cieca!
Erano tempi duri, zeloti, sicari e soldati romani vestiti da normali cittadini armati si confondevano tra la folla e colpivano di nascosto i più sediziosi, come racconta Giuseppe Flavio fecero per ordine di Pilato perfino gli stessi soldati romani in occasione di una sedizione in Samaria.

Il Vangelo di Giovanni in 18,10 precisa il nome di quell'apostolo armato, addirittura Simon Pietro: "Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco."

Sul tema della spada e sul fatto che alcuni apostoli avevano delle armi è da ricordare questo brano di Luca, quando Gesù dopo l'ultima cena prima di essere arrestato disse agli apostoli: "Quando vi ho mandato senza borsa, né sacca, né sandali, vi è forse mancato qualcosa? Risposero: Nulla. Ed egli soggiunse: Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così chi ha una sacca; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché io vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra gli empi. Infatti, tutto quello che mi riguarda volge al suo compimento. Ed essi dissero: Signore, ecco qui due spade. Ma egli disse: Basta!" (Luca 22,35-38)

Ed ecco, che non solo Simon Pietro era armato.
Gesù fa loro un discorso spirituale e metaforico con l'immagine della spada che provoca divisioni, per dire che si sarebbero divisi con la sua dipartita, come quando, per parlare della divisione che avrebbe portato il Vangelo tra credenti e non credenti, disse "Non sono venuto a portare la pace, ma una spada" (Matteo 10,34).
Gli apostoli non compresero il sottile senso allegorico e tirarono fuori subito due spade e si resta stupiti che alcuni di loro girassero armati.
Sull'uso delle armi in Palestina nel I secolo d.C. lo storico Giuseppe Flavio ricorda che erano portate con sé, per legittima difesa anche di sabato e a Pasqua, evidentemente per la presenza di briganti come ci ricorda la parabola del Buon Samaritano; lo stesso Talmud poi lo consente nei territori di confine.
Gesù, visto che non avevano capito, tronca il discorso con un semplice Basta!
La situazione si concretizza poi al momento dell'arresto, quando "I discepoli, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: Signore, dobbiamo colpire con la spada?" e passarono ai fatti, ferendo un servo del sommo sacerdote.

Cristo di nuovo ripeté quel basta e disse "Lasciate, basta così!" (Luca 22,49-51)

Concludo, ricordando che gli abitanti di Gerusalemme, in definitiva, scelsero non la promessa messianica della pace e dell'attesa fiduciosa di un Messia "...giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina." (Zaccaria 9,9) che pur avevano visto entrare in Gerusalemme alcuni giorni prima, ma di seguire la follia zelota che li portò alla distruzione.

Nel processo, infatti, alla proposta da parte di Pilato di grazia per un carcerato, scelsero di far liberare Barabba che in definitiva era uno zelota.

Il Vangelo di Marco in 15,7 di lui dice "Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio".
Quello di Luca in 23,19 sottolinea, "Questi era stato messo in prigione per una rivolta, scoppiata in città, e per omicidio".

Barabba, insomma era uno zelota e forse anche un sicario."

Papa Benedetto XVI in "Gesù di Nazaret" ha scritto: "In altre parole Barabba era una figura messianica. La scelta tra Gesù e Barabba non è casuale: due figure messianiche, due forme di messianesimo si confrontano. Questo fatto diventa ancor più evidente se consideriamo che 'Bar-Abbas' significa 'figlio del padre'."

QUESTIONI FUORI DAI CANONI
È poi da accennare alla questione della "patria" di Gesù.
I Vangeli sinottici richiamano lo stesso episodio nella sinagoga di Nazaret e viene detta la parola "patria" in:
  • Matteo 13,54 e 57;
  • Marco 2 volte 6,1 e 4;
  • Luca 6,23 e 24.
Il Vangelo di Giovanni in 4,44 non cita direttamente l'episodio, ma ricorda un detto di Gesù che secondo gli altri evangelisti fu espresso in quell'episodio.
La questione sulla vera patria di Gesù sollevata da vari commentatori emerge dalla lettura di quell'episodio nel Vangelo di Luca in quanto l'episodio è riportato con maggiori particolari.

Si tratta di quanto scrive Luca al capitolo 4 quando Gesù "Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere." (Luca 4,16)
Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia e in pratica annunciò che era il Messia in quanto trovò e lesse il brano che dice: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione." (Luca 4,18)

La lo conoscevano e nel racconto è ripetuta la parola patria: "Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: Non è costui il figlio di Giuseppe? Ma egli rispose loro: Certamente voi mi citerete questo proverbio: "Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!" (Luca 4,22s)

E qui disse quanto è ricordato anche dal Vangelo di Giovanni: "Poi aggiunse: In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria." (Luca 4,24)

E fu così i suoi "concittadini" non lo accettarono e lo volevano uccidere "...lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù." (Luca 4,29)

Egli si liberò e il giorno dopo predicò nella sinagoga di Cafarnao.
La descrizione del rotolo letto da Gesù nella sinagoga di Nazaret da cui la sua pretesa messianicità e il tentativo di ucciderlo è materiale relativo al solo vangelo secondo Luca.
Ora siccome Nazaret non è sita su un monte, non è evidente un precipizio, in distanze compatibili col racconto, e non sono stati trovati i resti dell'antica sinagoga, alcuni opinano di collocare l'antica Nazaret nella città di Gamala, pensando che venisse chiamata Nazaret essendo sede di Nazirei.

Sta comunque il fatto che Luca, come dice in 1,3 "anch'io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi" onde varie cose che non dicono gli altri potrebbero essere notizie di parenti e concittadini.

Altra questione è il rapporto dei cristiani nazorei e gli esseni.
Dopo la morte di Gesù dalla predicazione degli apostoli uscirono seguaci che inizialmente furono detti prima nazorei o nazirei e poi cristiani.
Come riferiscono gli Atti degli Apostoli verso il 40 d.C.: "...ad Antiòchia per la prima volta i discepoli furono chiamati Cristiani." (Atti 11,26).

I veri nazorei evidentemente erano un gruppo iniziale vicino ai parenti davidici di Gesù facevano parte della Chiesa di Gerusalemme, ma divennero una frangia sempre più marginale del cristianesimo e man mano fu ritenuta una setta.
Agli inizi della stessa predicazione di Gesù è da ritenere che parenti dei parenti lo seguissero per interesse sperando in una restaurazione della casata.

Epifanio Padre della Chiesa del IV secolo in Panarion 1,18 associa i Nazareni, dopo la morte di Gesù, ad una forma di essenismo "I Nazareni - erano Ebrei per provenienza - originariamente da Gileaditis, Bashaniti e Transgiordani... riconoscevano Mosè e credevano che avesse ricevuto delle leggi, ma non la nostra legge ma altre. E così, essi erano Ebrei che rispettavano tutte le osservanze ebraiche, ma non offrivano sacrifici e non mangiavano carne. Essi consideravano un sacrilegio mangiare carne o fare sacrifici con essa. Affermavano che i nostri Libri sono delle falsità, e che nessuno dei costumi che essi affermano sono stati istituiti dai padri. Questa era la differenza tra i Nazareni e gli altri..."

Questi nazareni avevano un Vangelo particolare, non canonico, da alcuni pensato come una pre-edizione in greco di quello di Matteo.

Lo stesso Epifanio, infatti, sostiene che i Nazareni: "...posseggono il vangelo secondo Matteo, assolutamente integrale, in ebraico, perché esso è ancora evidentemente conservato da loro come fu originariamente composto, in scrittura ebraica." (Panarion, 29.9.4)
Di quel Vangelo parla anche Girolamo: "Matteo in Giudea è stato il primo a comporre il vangelo di Cristo in lingua e scrittura ebraica... il testo ebraico è tuttora conservato nella Biblioteca di Cesarea... Anche a me, dai Nazarei che in Berea, città della Siria, si servono di questo libro, è stato dato il permesso di ricopiarlo." (Girolamo, De viris illustribus 3)

DUE FORME DI MESSIANISMO
Il Vangelo di Giovanni conclude il racconto al capitolo 6 della moltiplicazione di cinque pani e due pesci per cinquemila uomini, miracolo che secondo la tradizione avvenuto in località di Tabga sul lido occidentale del mare di Galilea, a meno di 5 km da Cafarnao, con la seguente annotazione "...la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo! Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo." (Giovanni 6,14s)

Gli zeloti cercavano un capo, un agitatore del popolo e nel caso specifico Gesù era anche un davidico, chi meglio di lui?
Quel "colui che viene nel mondo!" ricorda, peraltro, senza meno la profezia di Giacobbe su Giuda: "Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli." (Genesi 49,10)

Le lettere esatte ebraiche usate nella Tenak o Bibbia ebraica per scrivere quel "colui al quale" sono "shilòh" e tale modo di scriverlo aiuta anche a comprendere il senso di quel nome "un dono del Potente per il mondo ", come d'altronde sarà il Messia; questa è la stirpe "zera'h" che "avrebbe colpito il male del mondo ".
Egli è il Messia, il "Figlio di David" della tribù di Giuda, tante volte ricordato con tale titolo nei Vangeli.
Questo personaggio è certamente un re, in quanto, dice la benedizione di Giacobbe, ha il suo scettro, cui è dovuta l'obbedienza dei popoli onde quel "colui al quale", "shilòh" per i Rabbini, è divenuto un nome per definire il Messia, "Shilòh" che si può anche leggere: "un fuoco ci sarà del Potente nel mondo " che "a bruciare sarà il serpente nel mondo ."

Il personaggio del Messia e la sua attesa nell'ebraismo si fece così sempre più concreta attraverso la liturgia antica, soprattutto tramite i Salmi, tra cui dieci - 2, 16, 20, 22, 45, 72, 89, 101, 110, 132 e 144 - hanno contenuto messianico.
Questi salmi, infatti, erano recitati in varie occasioni dal popolo anche come preghiere individuali giornaliere, rispetto agli altri testi delle Sacre Scritture che avevano una lettura più sporadica.
(Vedi: "Battesimo al Giordano riconoscimento di paternità")

Nel Talmud vari sono commenti su quella benedizione di Genesi 49,10-12:
  • Targum Onqelos - La trasmissione del dominio non cesserà nella casa di Giuda, e neppure lo scriba dai figli dei suoi figli, per sempre, fino a che non verrà il Messia, a cui appartiene il Regno, e a cui tutte le nazioni obbediscono.
  • Targum Jonathan - I re e i governanti non scompariranno dalla casa di Giuda, e neppure gli scribi che insegnano la Torah dalla sua discendenza, fino a che il Messia Re non verrà, il più giovane dei suoi figli, e a causa di lui le nazioni svaniranno... Come è bello il Re Messia destinato a sorgere dalla casa di Giuda... Come sono belli gli occhi del Re Messia, come vino prelibato!
  • Bereshit Rabbah 98 e Sanhedrin 98b - Lo scettro non si allontanerà da Giuda... fino a che Shiloh ('lui') non verrà, questo è il Re Messia... lo scettro di Giuda rappresenta la Grande Sinagoga, il Sinedrio, che è stato colpito ed è crollato... fino a che Shiloh non verrà.
  • Lamentazioni Rabbah 1:16 - Qual è il nome del Messia-Re?... Il SIGNORE (YHWH) è il suo nome, perché Geremia 23,6 dice: Questo è il nome con cui verrà chiamato: il SIGNORE, nostra Giustizia SHILOH è il suo nome; perché è scritto nella Genesi 49,10, 'fino a che Shiloh non verrà...
Gesù di Nazaret, un discendente della tribù di Giuda, realizzò questa profezia.
La profezia, infatti, prevede che la tribù di Giuda avrebbe conservato un potere fino al tempo della venuta del Messia e dopo lo scettro del governo sarebbe passato a questi e quello della tribù sarebbe terminato.

Il libro di Esdra 1,5-8 informa che la tribù di Giuda conservò la propria identità anche nei 70 anni prigionia a Babilonia e poté (con Zorobabele Esdra 2,2 richiamato in Matteo 1,12) ricostruire il Tempio.
La tribù di Giuda poi preservò un certo potere fino al tempo di Gesù e poco dopo, nel 70 d.C., lo perse con la distruzione di quel Tempio.
Torniamo al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, il Vangelo parla di cinquemila uomini, numero veramente considerevole senza contare donne e bambini.

Venivano ovviamente da Cafarnao e di paesi vicini, avevano sentito che c'era qualche cosa di nuovo, uno con un messaggio nuovo, e poi un davidico, i suoi parenti erano conosciuti in zona, quindi come non pensare che anche i facinorosi, ribelli potenziale al potere costituito non fossero interessati, forse era l'occasione buona per cavalcare la tigre della rivolta.
Gesù conosceva bene tutto ciò e "...sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo".

Stava venendo buio e i suoi discepoli invece presero la barca per andare a Cafarnao distante tre a quattro miglia da Tabga "...il mare era agitato"... "soffiava un forte vento". Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: Sono io, non abbiate paura! Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti." (Giovanni 6,18-21)
I dodici avevano visto il vero potere di Gesù, quello di vincere gli elementi, camminare sul mare e rendere salvi dalla paura di morire.
La folla il giorno dopo capì che Gesù era andato a Cafarnao e vi si diresse anche con barche.
Gesù parlò nella sinagoga di Cafarnao.

Intese chiarire la sua missione alla massa ai tanti che lo cercavano: "In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà." (Giovanni 6,26s)

E aggiunse molte cose, sullo spirito e la vita vera, sulla sua missione celeste, ma quelli non credevano, cercavano altro.
Fu un momento importante di chiarimento, un setaccio da cui passarono solo chi era disposto a lasciare i propri preconcetti, almeno momentaneamente considerato poi il comportamento dell'Iscariota, infatti: "Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: Volete andarvene anche voi? Gli rispose Simon Pietro: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio." (Giovanni 6,66s)

Riporto quanto ha detto al riguardo papa Francesco all'Angelus del 23 agosto 2015-08-24 "Si conclude oggi la lettura del capitolo sesto del Vangelo di Giovanni, con il discorso sul "Pane della vita", pronunciato da Gesù all'indomani del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Alla fine di quel discorso, il grande entusiasmo del giorno prima si spense, perché Gesù aveva detto di essere il Pane disceso dal cielo, e che avrebbe dato la sua carne come cibo e il suo sangue come bevanda, alludendo così chiaramente al sacrificio della sua stessa vita. Quelle parole suscitarono delusione nella gente, che le giudicò indegne del Messia, non "vincenti". Così alcuni guardavano Gesù: come un Messia che doveva parlare e agire in modo che la sua missione avesse successo, subito. Ma proprio su questo si sbagliavano: sul modo di intendere la missione del Messia! Perfino i discepoli non riescono ad accettare quel linguaggio inquietante del Maestro. E il brano di oggi riferisce il loro disagio: "Questa parola è dura! - dicevano - Chi può ascoltarla?" (Giovanni 6,60) In realtà, essi hanno capito bene il discorso di Gesù. Talmente bene che non vogliono ascoltarlo, perché è un discorso che mette in crisi la loro mentalità."

ANCORA SUI "NATZOREI"
Già nel Nuovo Testamento il termine "natzoreo" è usato per definire i cristiani, cioè seguace di Cristo, come in Atti 24,5 ove San Paolo è definito loro capo, e poi lo stesso termine servì per indicare alcuni gruppi di giudeo-cristiani (Epifanio "Contro le eresie", 29,7-9).
I cristiani comunque, di fatto, in ebraico moderno sono chiamati "notzirim" e le fonti rabbiniche informano che erano odiati dagli ebrei e radiati come setta eretica dalle sinagoghe.
In un "Talmud" babilonese rinvenuto nella Ghenizah (deposito di vecchi testi sacri) del Cairo in un'antica formula della "Birkat ha - minim", o benedizione per i "minim" nella dodicesima benedizione dell'Amidah, i "natzirim" erano associati ai "minim" e maledetti tre volte al giorno nelle loro preghiere.
La comunità giudeo-cristiana, infatti, fino al 70 d.C, frequentava il Tempio e le sinagoghe, ma furono scomunicati perché proteggevano i "gentili", soprattutto i romani, e non rispettavano il principio della separazione tra circoncisi e i non circoncisi.

Tornando al discorso base, sul monte degli Ulivi, vista la folla con le spade, Gesù "...disse loro: Chi cercate? Gli risposero: Gesù, il Nazareno " ". Disse loro Gesù: Sono io! Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro Sono io, indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: Chi cercate? Risposero: Gesù, il Nazareno " ". Gesù replicò: Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano, perché si compisse la parola che egli aveva detto: Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato." (Giovanni 18,4-9)

Lo stesso Vangelo quando in 1,46 dice "Gesù, il figlio di Giuseppe di Nazaret" scrive " ", ora, invece, al Monte degli Ulivi quelli che lo cercavano dicono per due volte "Gesù, il Nazareno" " ".

Per me questa è una chiara traccia; infatti, se in Giovanni 18,5 e 7 l'autore avesse voluto dire semplicemente Gesù della città di Nazaret si sarebbe dovuto trovare scritto " ", invece ciò non si verifica.

Ora, a quei tempi le persone erano definite o come "Tizio figlio di Caio", come dice in Giovanni 1,46 quando scrive "Gesù figlio di Giuseppe" " ", oppure come "Tizio (sottinteso della città) di X", come s'è visto sopra quando lo stesso versetto 1,46 cita Giuseppe di Nazaret " " o, del pari, in analogia a quando lo stesso autore in Giovanni 19,38 menziona Giuseppe d'Arimatea " ".
Chi lo cercava, invece voleva proprio il , non interessava uno di Nazaret, ma il "virgulto", un davidico preciso di nome Gesù.
In definitiva, dopo tutto ciò precisato, il "titulus" sulla croce avrebbe il massimo di scherno da parte dei Romani per il popolo e la religione ebraica, in quanto sta a dire, guardate che fine fanno fare i romani al vostro Messia, in quanto il senso che pare autentico per la scritta ivi citata da Giovanni sarebbe da leggere:

Gesù il germoglio = davidico, il re dei Giudei.

Il Corano usa il termine al plurale "nazareni" e vi sono 14 citazioni spesso assieme alla parola ebrei, 7 volte nella "sura" della Vacca, 5 in quella della Mensa o Tavola Imbandita, una ne "Il Pentimento" e una ne "Il Pellegrinaggio".

In Mensa, 82 si legge in italiano "Troverai che i più acerrimi nemici dei credenti sono i Giudei e politeisti e troverai che i più prossimi all'amore per i credenti sono coloro che dicono: In verità siamo nazareni (Nasāra), perché tra loro ci sono uomini dediti allo studio e monaci che non hanno alcuna superbia."

Nel Corano tra i 99 attributi di "Allah", spiccano "Rahman" il Misericordioso, "Rahim" il Compassionevole, "Nāsir" a cui è associato il concetto di vittorioso.
Vari califfi presero nel loro l'appellativo onorifico (laqab) anche di "al-Nāsir", cito 'Abd al-Rahmān III che nel 929 in Spagna si proclamò califfo con l'appellativo "al-Nāsir li-din Allāh" ossia "il vincitore per la religione di "Allah".
La città Irachena di Nassiriya, in cui ci fu nel 2003 un attentato suicida in cui morirono 28 persone tra cui 19 soldati italiani, fu fondata nel 1872 e prese il nome dal suo fondatore lo Sceicco "Nāsir al-Sa'dūn".

IL NAZIREATO
Non resta ora che parlare del nazireato, voto al Signore di cui dice la Torah, che ha indotto molti a considerare che Gesù vi avesse aderito e per tale motivo fosse detto nazzareno.
Il nazireato, infatti, è una forma di consacrazione di una persona a IHWH descritta al 6° capitolo del libro dei Numeri, la IV parte del rotolo della Torah e chi si consacra poteva essere uomo o donna come, appunto dice il versetto 6,2.

Il capitolo 6 è formato da 27 versetti, ma l'istituto del nazireato riguarda i primi 21, mentre gli ultimi 6 versetti sono relativi alla benedizione per gli Israeliti che il Sommo Sacerdote pronunciava nominando, una sola volta l'anno, il nome divino del Tetragramma all'interno del tempio di Gerusalemme per la benedizione solenne nel giorno dell'espiazione.
Dell'intero Numeri 6 riporto comunque la traduzione in italiano della C.E.I. 2008.

Numeri 6,1 - Il Signore parlò a Mosè e disse:

Numeri 6,2 - Parla agli Israeliti dicendo loro: Quando un uomo o una donna farà un voto speciale, il voto di nazireato, per consacrarsi al Signore,

Numeri 6,3 - si asterrà dal vino e dalle bevande inebrianti, non berrà aceto di vino né aceto di bevanda inebriante, non berrà liquori tratti dall'uva e non mangerà uva, né fresca né secca.

Numeri 6,4 - Per tutto il tempo del suo nazireato non mangerà alcun prodotto della vite, dai chicchi acerbi alle vinacce.

Numeri 6,5 - Per tutto il tempo del suo voto di nazireato il rasoio non passerà sul suo capo; finché non siano compiuti i giorni per i quali si è votato al Signore, sarà sacro: lascerà crescere liberamente la capigliatura del suo capo.

Numeri 6,6 - Per tutto il tempo in cui rimane votato al Signore, non si avvicinerà a un cadavere;

Numeri 6,7 - si trattasse anche di suo padre, di sua madre, di suo fratello e di sua sorella, non si renderà impuro per loro alla loro morte, perché porta sul capo il segno della sua consacrazione a Dio.

Numeri 6,8 - Per tutto il tempo del suo nazireato egli è sacro al Signore.

Numeri 6,9 - Se qualcuno gli muore accanto all'improvviso e rende impuro il suo capo consacrato, nel giorno della sua purificazione si raderà il capo: se lo raderà il settimo giorno;

Numeri 6,10 - l'ottavo giorno porterà due tortore o due piccoli di colomba al sacerdote, all'ingresso della tenda del convegno.

Numeri 6,11 - Il sacerdote ne offrirà uno in sacrificio per il peccato e l'altro in olocausto e compirà il rito espiatorio per lui, per il peccato in cui è incorso a causa di quel morto. In quel giorno stesso, il nazireo consacrerà così il suo capo.

Numeri 6,12 - Consacrerà di nuovo al Signore i giorni del suo nazireato e offrirà un agnello dell'anno come sacrificio per il peccato; i giorni precedenti decadranno, perché il suo nazireato è stato reso impuro.

Numeri 6,13 - Questa è la legge per il nazireo: quando i giorni del suo nazireato saranno compiuti, lo si farà venire all'ingresso della tenda del convegno;

Numeri 6,14 - egli presenterà l'offerta al Signore: un agnello dell'anno, senza difetto, per l'olocausto; una pecora dell'anno, senza difetto, per il sacrificio per il peccato; un ariete senza difetto, come sacrificio di comunione;

Numeri 6,15 - un canestro di pani azzimi di fior di farina, di focacce impastate con olio, di schiacciate senza lievito unte d'olio, insieme con la loro oblazione e le loro libagioni.

Numeri 6,16 - Il sacerdote le offrirà davanti al Signore e compirà il suo sacrificio per il peccato e il suo olocausto;

Numeri 6,17 - offrirà l'ariete come sacrificio di comunione al Signore, oltre al canestro degli azzimi. Il sacerdote offrirà anche l'oblazione e la sua libagione.

Numeri 6,18 - Il nazireo raderà, all'ingresso della tenda del convegno, il suo capo consacrato, prenderà la capigliatura del suo capo consacrato e la metterà sul fuoco che è sotto il sacrificio di comunione.

Numeri 6,19 - Il sacerdote prenderà la spalla dell'ariete, quando sarà cotta, una focaccia non lievitata dal canestro e una schiacciata azzima e le porrà nelle mani del nazireo, dopo che questi avrà rasato la capigliatura consacrata.

Numeri 6,20 - Il sacerdote le presenterà con il rito di elevazione davanti al Signore; è cosa santa che appartiene al sacerdote, insieme con il petto della vittima offerta con il rito di elevazione e la coscia della vittima offerta come tributo. Dopo, il nazireo potrà bere vino.

Numeri 6,21 - Questa è la legge per il nazireo che ha promesso la sua offerta al Signore per il suo nazireato, oltre quello che è in grado di fare in più, secondo il voto che avrà emesso. Così egli farà quanto alla legge del suo nazireato.

Numeri 6,22 - Il Signore parlò a Mosè e disse:

Numeri 6,23 - Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: Così benedirete gli Israeliti: direte loro:

Numeri 6,24 - Ti benedica il Signore e ti custodisca.

Numeri 6,25 - Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia.

Numeri 6,26 - Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace.

Numeri 6,27 - Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò.

Il voto di nazireato può essere perenne o a tempo e in sintesi riguarda:
  • l'astenersi dal mangiare o bere qualsiasi sostanza che contenga traccia d'uva, vino, aceto di vino, uva, uva passa, distillati d'uva;
  • il non radersi i capelli;
  • l'evitare l'impurità non avvicinando cadaveri e tombe come i sacerdoti, anzi non partecipare a funerali anche di parenti stretti per non diventare impuro.
Famosi esempi di nazirei con voto perenne furono Sansone, Samuele e Giovanni Battista.
(Vedi: "Nella gloria, Sansone - piccolo sole - annuncia il Messia")

Certamente Gesù è da considerare un consacrato a IHWH, ma non in modo formale, ma sostanziale.
Forse per qualche tempo avrà aderito a tale voto, ma ciò non è rilevante per qualificarlo come nazireo, comunque si può escludere che fosse un nazireo aderente a tale forma, almeno nel periodo della sua missione terrena.
Gesù, invece, beveva vino e si avvicinava a tombe e cadaveri.

È da tenere presente "Mosè venne educato in tutta la sapienza degli Egiziani ed era potente in parole e in opere" (Atti 7,22) indi con molta probabilità deriva da un'idea egizia.
L'insegnamento monoteistico della scuola di Mosè è rivoluzionario e contestatario nei confronti del politeismo egizio e di totale opposizione alla classe sacerdotale dei sacerdoti di Ra.
Non dimentichiamoci che uno zampino di concezione ebraica si trova nel culto monoteistico al sole del faraone "eretico" Achenaton che nasconde l'idea di adorazione ad un Dio unico la cui immagine era il sole.
I sacerdoti egizi si radevano il capo e la barba per essere mondi davanti agli dei ed ecco che invece la consacrazione al Dio Unico contempla il non radersi i capelli, infatti, nel libro del Levitico si trova:
  • Levitico 19,27 - "Non vi taglierete in tondo il margine dei capelli, né deturperai ai margini la tua barba."
  • Levitico 21,5 - "I sacerdoti non si faranno tonsure sul capo, né si raderanno ai margini la barba né si faranno incisioni sul corpo."
Ora i raggi del sole, se lo si considera personalizzato, sono come i suoi capelli e portano energia come è evidente l'idea nella iconografia ai tempi di Achenaton.


Il Re, come sfinge, rende omaggio ad Aton

Non a caso il nome di Sansone in ebraico significa piccolo sole "shamesh" , come a dire "del sole porta l'energia ", ma pensando al Dio Unico e al suo Nome , in effetti, l'intento è più totalizzante: "del Nome accesa porta l'energia ".
Il vino "iain" poi è da pensare che porta energia "iain".
La lettera "shin" reca in se sempre l'idea di fuoco, di calore, segno del sole, ma soprattutto del Nome.
I capelli "sha'r" in tale contesto si possono vedere come un segno del Nome, "un fuoco che si vede sulla testa ".
Ora, il vero Re d'Israele era IHWH, quindi consacrarsi a Lui era venire a far parte della sua guardia del corpo.

Del resto Dio aveva detto "Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa." (Esodo 19,6)

Ritengo perciò che l'idea originaria sia da ricercare nel fatto che i nazirei fossero un corpo di principi, consacrati, per salvare la vita del faraone, un corpo di guardia speciale votato alla morte in caso di pericolo del re, forse ancora in vigore ai tempi di Achenaton.

In effetti, il termine "nazir" , si trova già per Giuseppe nel libro della Genesi, infatti, quando Giacobbe benedice i figli a Giuseppe dice: "Le benedizioni di tuo padre sono superiori alle benedizioni dei monti antichi, alle attrattive dei colli eterni. Vengano sul capo di Giuseppe e sulla testa del principe tra i suoi fratelli!" (Genesi 49,26 per dire che era "distinto " tra i fratelli, come del resto preconizzavano i sogni di Giuseppe in Genesi 37.

Lo stesso concetto è ripetuto in Deuteronomio 33,16: "Il favore di colui che abitava nel roveto venga sul capo di Giuseppe, sulla testa del principe tra i suoi fratelli!"

Giuseppe è principe, in quanto, dall'età di 30 anni vice Faraone, è stato come un Faraone: "Tu stesso sarai il mio maggiordomo (il più grande della casa del Faraone) e ai tuoi ordini si schiererà tutto il mio popolo: solo per il trono io sarò più grande di te". (Genesi 41,40)

Rimando all'articolo già segnalato "Chi ha scritto l'Esodo conosceva i geroglifici", ove, nel parlare di Mosè e della sua adozione - riconoscimento come figlio di Faraone, entrano in gioco alcuni geroglifici relativi alla bi-letterale iniziale NZ = NS che indica "appartenente al giunco" cioè alla famiglia del Faraone.

A tale riguardo anche Giuseppe fu associato alla famiglia del Faraone e fu considerato un principe di sangue, visse alla corte per circa 80 anni, e fu onorato dopo la morte con imbalsamazione egizia che veniva attribuita agli appartenenti alla famiglia reale "Poi Giuseppe morì all'età di centodieci anni; lo imbalsamarono e fu posto in un sarcofago in Egitto." (Genesi 50,26)

Del pari, Giacobbe era stato imbalsamato e accompagnato da Giuseppe alla grotta di Macpela a Mamre con un corteo di carri del Faraone (Genesi 50,1-14).

Il libro dei Numeri precisa che di fatto il nazireo "porta sul capo il segno della sua consacrazione a Dio". (Numeri 6,8)

In effetti, una lettura delle lettere ebraiche di "nazir" col metodo dei segni fornisce la seguente idea: "l'energia su questi è in testa "; il che manifesta il particolare pregio della lettura dei singoli segni delle parole ebraiche, capace di dare chiarimenti ai testi biblici.
Le stesse lettere di "nazir" , lette in altro modo, informano sul motivo di quel voto: "l'angelo colpire che sta nel corpo " e questo angelo è l'angelo ribelle che ha invaso l'umanità come esito allargato del "midrash" della caduta dei progenitori di Genesi 3.

La spiegazione si trova in ciò che Gesù spiegò ai suoi discepoli: "Non capite che tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna? Così rendeva puri tutti gli alimenti. E diceva: Ciò che esce dall'uomo è quello che rende impuro l'uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo". (Marco 7,18-23)

Nessuno è esente da questa verità.
Il cuore dell'uomo è come occupato da un invasore, un angelo ribelle che, di fatto, lo consiglia, lo tenta e l'uomo si piega ad atti che non vorrebbe e deplora, ma il proprio corpo disobbedisce.

Lo stesso pensiero con altre parole lo esprime San Paolo nella lettera ai Romani quando scrive: "Io so, infatti, che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra." (Romani 7,18-23)

Occorre, quindi, esercitare la volontà sul proprio corpo e questo pare essere il pensiero a monte del voto di nazireato, quello, cioè, d'avere l'idea costante di cercare di vincere il proprio corpo con atti semplici, non bere vino, farsi crescere i capelli che ricordino il voto ed evitando la "morte" come segno di volontà di stargli lontano.
Circa la benedizione sacerdotale finale di Numeri 6 riporto infine quanto ho inserito in "Torah - Targum palestinesi versetti scelti con commenti":

Numeri 6,24-27
TI BENEDICA IL SIGNORE E TI PROTEGGA, in tutte le tue occupazioni e ti guardi dai demoni di tutte le ore del giorno e della notte.
IL SIGNORE FACCIA BRILLARE IL SUO VOLTO SU DI TE E TI SIA PROPIZIO, quando sarai occupato nello studio della Legge e che te ne riveli i segreti.
IL SIGNORE RIVOLGA SU DI TE li SUO. VOLTO E Ti CONCEDA PACE, faccia risplendere su di te lo splendore mentre preghi e ti dia pace in tutto il tue territorio.
COSÌ PORRANNO la benedizione del MIO NOME SUGLI ISRAELITI E IO, con la mia Parola, LI BENEDIRÒ.


NUMERI 6 - DECRIPTAZIONE
A conclusione di questo articolo riporto la decriptazione col mio metodo di "Parlano le lettere" dei 27 versetti del capitolo Numeri 6.
Tale passo, infatti, ha destato in me grande curiosità e certo di trovare una pagina di secondo livello sulla epopea del Messia mi sono accinto a questa fatica.

A titolo d'esempio di come procedo riporto la dimostrazione della decriptazione del versetto 6,21 mettendo di seguito, testo in italiano, testo in ebraico e dimostrazione della decriptazione parola per parola e lettera per lettera.
Ho scelto di presentare tale versetto, perché conclude tutto il brano vero e proprio sul nazireato prima dei versetti della benedizione solenne, infatti il versetto nasconde l'idea escatologica del ritorno del Messia.

Numeri 6,21 - Questa è la legge per il nazireo che ha promesso la sua offerta al Signore per il suo nazireato, oltre quello che è in grado di fare in più, secondo il voto che avrà emesso. Così egli farà quanto alla legge del suo nazireato.





Questi riverrà () alla fine . Col corpo si riporterà alla fine del mondo . Con gli angeli questi sarà alla vista . A risorgere i corpi sarà delle generazioni . Verserà sulle moltitudini l'energia . Porterà la potenza il Signore dall'alto . L'invierà dalla ferita del corpo che gli portarono i viventi nel cuore . Volando (), i risorti corpi nel Crocifisso risorto saranno a scorrere . Sarà stato l'essere impuro () dalla rettitudine del Verbo oppresso (). Le generazioni si riporteranno con l'originario luminoso corpo essendo dalle generazioni la rettitudine l'angelo (ribelle) ad aver spazzato (). Nel fuoco entrare si vedrà il serpente finito il corpo si porterà del dragone ; di questi si sazieranno ().

Ciò detto, riporto di seguito l'intera decriptazione.

Numeri 6,1 - A recare sarà di aiuto dentro i corpi la forza il Signore Dio per salvare dal serpente origine dell'essere ribelli.

Numeri 6,2 - La Parola - il Verbo di Dio, il figlio suo, fu in Israele a portarsi in un primogenito a vivere nel corpo di una prescelta. Dio entrò a vivere in un uomo che primogenito recò una donna. Con la rettitudine ci sarà con forza il rifiuto al serpente in cui l'angelo (ribelle) sbarrò nei corpi l'energia. Nelle generazioni l'angelo a colpire fu i corpi (onde) la potenza uscì da questi; fu nei corpi del serpente a starvi la perversità.

Numeri 6,3 - I viventi furono oppressi e bruciò la rettitudine nei corpi. Fu per questo che fu il Misericordioso a scendere. Fu da chi opprime a portarsi. A chiudersi in un vivente scese. Accese la rettitudine in un corpo, la potenza in un uomo completa entrò e tutti salverà. Nei corpi completamente agirà l'energia che dentro c'era. La pienezza sarà riaccesa in tutti del mondo e per l'azione dell'energia dentro ci sarà nei viventi il vigore che c'era. Ai viventi porterà la forza dentro della risurrezione; ci sarà la pienezza che c'era all'origine in tutti.

Numeri 6,4 - La rettitudine del Potente che starà in un vivente sarà l'angelo (ribelle) a colpire. In un corpo portandosi a vivere tutta la beatitudine sarà alla vista. Una luce uscirà per i viventi nel cammino. In una persona ci sarà la forza dell'energia nelle midolla. Dal corpo giù l'energia sarà ai viventi a recare. L'Eterno questi rivelerà. Sull'Unico sarà a iniziare tutti.

Numeri 6,5 - Tutti saranno a rivivere. Ci risarà l'energia nelle generazioni dall'angelo colpite, questa dai corpi porterà a finire il nemico, il rifiuto spazzerà da dentro il male. Agendo la potenza nei corpi dell'Unico la risurrezione recherà, per sempre riempirà tutti di vita. I viventi vivranno felici. Sarà in questi lanciata la potenza del Signore. La santità sarà a rientrare. Saranno ad entrare nella gloria. Del Verbo compagni per la risurrezione che agirà con i corpi si vedranno simili.

Numeri 6,6 - Tutti che risaranno vivi saranno ad entrare in Questi per stargli nel corpo e li porterà dal Potente. Saranno gli entrati condotti dal mondo in alto tra gli angeli dal Verbo risorto dai morti. Nel Potente Unico saranno ad abitare uniti.

Numeri 6,7 - Al potente Padre sarà a portarli. Avendo recato il serpente delle origini a recidere, l'originaria vita avrà riportato ed al Potente i fratelli alla fine porterà. Del potente Unico saranno nel cuore le centinaia. Nel Potente entreranno a vivere dentro i viventi integri. Retti saranno tra gli angeli questi. Vedranno il Potente entrando, saranno portati in alto. Nel corpo l'Unigenito risorto li condurrà.

Numeri 6,8 - Tutti saranno i viventi a stare tra gli angeli. Gli stranieri porterà tra i santi; solo per lui, il serpente, sarà una calamità.

Numeri 6,9 - Recata con la rettitudine la forza chi sta nella morte rivivrà. Tutti rialzatisi, saranno a portarsi dentro al Verbo che crocifisso vedranno. Il Verbo dalla croce all'Unico i viventi porterà nel cuore. Da vivi l'Unico vedranno. Rinnovati questi con i corpi condurrà per il portato a scorrere vigore nei corpi che l'Unigenito con la risurrezione avrà recato. Dentro quel giorno l'amore rigenererà tutti. A casa sarà a portare i viventi all'uscita del settimo (giorno della creazione). Sarà nel cammino dal Potente la grazia portata.

Numeri 6,10 - E dentro, nel giorno ottavo, gli saranno a casa in moglie. Sopravvissuti saranno i viventi all'Unico portati, rinnovati, per essere figli in forza della colomba (Spirito Santo) di Dio entrato con la rettitudine. Entreranno tra gli angeli di Dio dall'ingresso della tenda del convegno (di lassù).

Numeri 6,11 - E avrà fatto da sacerdote il fratello che trattili fuori dalle tombe nel cuore all'Unico tutti ha condotto. Il fratello al Potente li ha innalzati e da espiazione per l'Altissimo fu a portarsi. Nei viventi l'origine ha bruciato nei corpi del peccatore che in azione da serpente entrò superbo. Ha portato la santità a rivenire nei corpi. Dell'Unico la risurrezione ha recato dentro. Sarà a portare i viventi fuori dalla perversità Lui.

Numeri 6,12 - E dal mondo questi li lancerà al Potente. Il Signore venne nei giorni, l'energia questi nel corpo recò e in una casa entrò a stare da primogenito per spengere con la risurrezione dentro l'angelo (ribelle) per il rinnovare a tutti recare. Del serpente pagherà la colpa, lo porterà a uscire. Nei giorni i viventi riusciranno con i corpi dell'origine, rinnovati saranno i viventi. Saranno dalla Parola accompagnati, la rettitudine risarà nei cuori. Nei viventi l'originaria energia questi nei corpi riporterà.

Numeri 6,13 - Ma questi verrà in croce portato. Il corpo crocifisso apriranno. Uscirà l'energia da questi per le moltitudini. In quel giorno ai viventi la potenza riverrà, sarà nei viventi con forza l'angelo a colpire nei corpi e sarà dentro a ristarvi l'Unico. Verrà a recare la divinità il Verbo, in tutti racchiuderà lo splendore. Ai viventi recherà l'eternità.

Numeri 6,14 - E al mondo per rovesciare la lite venne in offerta portandosi al serpente il Signore da agnello. Dentro l'energia per rinnovare dalla croce recò. L'integrità fu per i viventi a uscire. Ai fratelli per sbarrare il serpente, da innalzato recò la rettitudine. Dentro la risurrezione entrò nei fratelli. Il crocifisso dentro a tutti della risurrezione inviò il segno. Nel mondo integro fu vivo a riuscire. Il vigore nel cuore gli rivenne portatogli dall'Unico. Ci fu il rifiuto alla tomba. Aiuterà tutti che vissero a ristare in vita. Il Potente in sacrificio fu per i viventi.

Numeri 6,15 - Con un'asta lo forò il serpente. Con l'acqua giù portò il crocifisso dal foro la potenza per tutti che racchiudeva. La potenza del crocifisso a consumare porterà il serpente in tutti. A casa nell'ottavo (giorno) porterà i corpi a riversare essendo stato a versare la forza nei viventi. Su condurrà tutti il Messia; saranno a vivere (con Lui) a casa nell'ottavo (giorno) e i viventi invierà all'assemblea (di lassù) puri, li condurrà tra gli angeli nei gironi, saranno tra i retti ad entrare i viventi.

Numeri 6,16 - E nel mondo rovesciato dai corpi sarà chi li abitava, uscirà per la rettitudine entrata l'angelo (ribelle). Per la potenza che dal Verbo inviata sarà una calamità e sentendosi bruciare uscirà. Verrà il peccatore alla fine portato e verrà in olocausto portato.

Numeri 6,17 - E verranno guai al serpente. Lo spazzerà il fuoco che uscirà. Questi dentro una prigione brucerà, perché fu la causa dell'esistenza della perversità. Dall'innalzato dal foro la potenza uscirà. Con la madre giù la porterà il crocifisso. La porterà ad operare nel mondo con rettitudine. Uscirà con gli apostoli che verranno con la madre a guidare. Ai confini si porteranno e verranno gli apostoli in giro la rettitudine a recare.

Numeri 6,18 - Riportarono a scorrere il vigore nel mondo. Con l'energia di questi ci fu un corpo - popolo - Chiesa per il Verbo nelle assemblee. Lo splendore della vita si riportò per sempre. Verranno a vedere la luce degli apostoli gli stranieri che si porteranno e del Potente nelle assemblee si riverseranno, verranno illuminati. Per l'azione nella mente si vedranno rinnovati. Questi nel corpo - popolo - Chiesa si porteranno e gli apostoli il Crocifisso con energia innalzeranno che quale primo dei risorti di cui l'Unico risorse il corpo del Crocifisso dalla tomba. Il Crocifisso dal sacrificio uscì salvo, fu a rivivere.

Numeri 6,19 - Si riportò la potenza nella tomba, rovesciò l'apertura, per la rettitudine riuscì bello il Crocifisso. Uscì questi col corpo alla vista. Dentro la risurrezione del Potente gli entrò, della vita l'energia rientrò, l'Unico fu la potenza a recargli. Dalla tomba, potente, il Crocifisso vivo si rialzò. Aprì ai fratelli l'indicazione che viveva. Dagli apostoli entrò che in circolo s'accompagnavano, il corpo piegato era. Riversò loro la vita, si sollevarono, uscirono. Quel primo dalla chiusa porta si riportò e donò loro per agire la potenza. La rettitudine dal Verbo fu a uscire, l'energia in questi fu nei corpi. Fratelli col corpo uscirono del Crocifisso per rivelarne l'annuncio, vennero tra gli stranieri a recare.

Numeri 6,20 - Portarono nel mondo gli apostoli con forza le parole che desiderava il Crocifisso che ai viventi uscissero. Da sacerdoti del Crocifisso gli apostoli si portano e del Verbo entra la potenza nelle persone. È del Signore a uscire la santità con loro nel cammino. Esce l'energia che dall'innalzato in questi entrò per il mondo. Del Crocifisso gli apostoli, recandone la parola nel mondo, portano ad innalzare che la risurrezione ha recato e la riverserà nel mondo a tutti. Nel corpo - popolo - Chiesa portano i viventi a Lui. Nelle assemblee le menti sono illuminate dal Crocifisso. Nel mondo entra l'energia. Per questi c'è un corpo - popolo - Chiesa in cui sta l'esistenza angelica.

Numeri 6,21 - Questi riverrà alla fine. Col corpo si riporterà alla fine del mondo. Con gli angeli questi sarà alla vista. A risorgere i corpi sarà delle generazioni. Verserà sulle moltitudini l'energia. Porterà la potenza il Signore dall'alto. L'invierà dalla ferita del corpo che gli portarono i viventi nel cuore. Volando, i risorti corpi nel Crocifisso risorto saranno a scorrere. Sarà stato l'essere impuro dalla rettitudine del Verbo oppresso. Le generazioni si riporteranno con l'originario luminoso corpo essendo dalle generazioni la rettitudine l'angelo (ribelle) ad aver spazzato. Nel fuoco entrare si vedrà il serpente finito il corpo si porterà del dragone; di questi si sazieranno.

Numeri 6,22 - A portarsi fu in aiuto. Da cibo si recò nel mondo Dio per salvare dal serpente, origine dell'essere ribelli.

Numeri 6,23 - La Parola di Dio, l'Unigenito, entrò in un corpo per rifiutare il serpente. Il Figlio fu a portargli il rifiuto a vivere in un corpo. Per spengerlo scelse, dentro un corpo, la rettitudine di recare. Venne in un figlio a stare in Israele. Da primogenito tra i viventi si portò. La potenza entrò nella madre.

Numeri 6,24 - E dentro la casa di un capo retto così il Signore si recò; era (infatti) il custode (di quella casa) un retto.

Numeri 6,25 - Fu del primogenito nel corpo il Signore, nella persona fu a recare la divinità, fu così a recare a esistere la grazia della rettitudine.

Numeri 6,26 - Fu una luce, per quel primogenito, a esistere nel mondo. Recò nel mondo, il Verbo, l'energia. Fu a recare la divinità. Fu la rettitudine a portare. Fu a sorgere il Re che della risurrezione reca la potenza ai viventi.

Numeri 6,27 - E, risorto in vita, si porterà quel primogenito dalla croce e con la risurrezione dai viventi spazzerà il serpente che vi abita. L'angelo ribelle che ci sta, sarà bruciato nei corpi dalla divinità. Portati a incontrare saranno il Padre con il corpo i retti viventi.

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