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LE PAROLE EBRAICHE, REBUS PARLANTI, PORTANO AL MESSIA
di Alessandro Conti Puorger

LA PAROLA EBRAICA
Particolarmente intuitivi sono i segni rabbino quadrati che identificano le 22 lettere dell'alfabeto ebraico usate nei testi liturgici della sinagoga.

Alfabeto ebraico

1° riga dalla 1a alla 12a lettera e 2a riga dalla 13a alla 22a.


      senso di lettura

Questi 22 segni, che peraltro sono solo consonanti, sono stati fissati in questa veste nel VI secolo a.C. rivisitando segni molto più antichi.
Con la loro particolare forma paiono volere ostentare una caratteristica, quella di porre in evidenza la propria grafica atta a produrre immagini che mi spinse a verificare se non si potesse fare una lettura degli antichi testi sacri utilizzando anche tale aspetto.
Il completo sistema vocalico fu, peraltro, introdotto solo dopo Cristo e fino al V secolo d.C. gli ebrei, in effetti, scrivevano i testi soltanto con le consonanti mentre le vocali le mettevano a senso.
Molti però nelle sinagoghe non riuscivano più a leggere bene il testo onde fu necessario introdurre le vocali nei testi biblici.
Quelle consonanti, insomma, solo dal V-VI secolo d.C. furono dotate di "niqqud", ossia di segni diacritici per fissare la vocalizzazione più usuale di ciascuna parola, onde è lecito immaginare che all'origine più che fonemi, in effetti, le lettere fossero considerate proprio degli ideogrammi.
Nell'introdurre le vocali fu usato, infatti, il criterio di non toccare le lettere del "sacro" testo biblico e le vocali furono indicate con lineette e puntini, sopra o sotto le consonanti.

Di fatto quelle lettere mi si sono manifestate proprio come delle icone che aiutano a evocare le immagini originarie delle parole cui si riferiscono, onde le parole stesse, lette grazie a quegli ideogrammi, si comportano come dei rebus da risolvere in base alle figure richiamate dalle lettere della parola in esame nel contesto dell'intero discorso.
In questo mio Sito, cliccando sui simbolo delle singole lettere sulla colonna a destra delle pagine, si trovano le 22 schede in cui ho riportato la mia succinta opinione sulla loro origine ed evoluzione assieme ad alcune note ed ai significati grafici che attribuisco alle stesse, onde utilizzando tali caratteristiche, nello spirito di quanto ho scritto in "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche" e con le regole e con i criteri fissati prima di iniziare a tappeto il mio impegno, e mai cambiati, di cui in "Parlano le lettere", pervengo anche alla decriptazione di testi, di cui ho detto in una "Scrutatio cristiana del Testo Masoretico della Bibbia".

La definizione di "parola" in italiano e per le lingue indoeuropee è l'unità linguistica costituita da un insieme di suoni rappresentabili graficamente che, articolati e organizzati secondo le leggi della lingua, rimandano a un significato.
La parola è, quindi, il complesso di suoni convenzionali, per un insieme di persone che si servono di quella stessa convenzione cui corrisponde l'immagine di una nozione o di una azione, la manifestazione o comunicazione di un pensiero o di un sentimento, di una opinione o di un precetto.
In definitiva la parola produce un'immagine nella mente e crea delle idee.

In ebraico "parola" si dice "debar" e si scrive , dal radicale DBR e riguarda non solo l'atto del parlare, ma anche l'enunciato, il messaggio, il discorso, la richiesta, la domanda, la risposta, l'ordine e il suo contenuto, il rapporto, l'informazione, il tema, la ragione e l'argomento, la questione, il caso, ma significa anche condotta, atto, gesto, conversazione, accordo, condizione, indica pure il modo di compierla o di attuarla, il suo contenuto, il compito, la faccenda, un prodigio, la normativa, il problema, il lavoro come pure il fatto, l'evento, la vicenda, l'avvenimento, indi la causa, l'occasione, la condizione e per astrazione passa a essere il generico "cosa o qualcosa" e può essere pronome "ciò" e "lo", mentre con il negativo davanti quel qualcosa risulta essere il "nulla".
Ecco che questa rosa di concetti che chiamano "debar" lo si può vedere come un rebus con tre figure, quante sono le lettere, da interpretare che diano un buon "predicato - immagine" del significato.
È in primo luogo da tener conto che le tre immagini riguardano:
  • la lettera D "dalet" è una porta, infatti, tale è il significato del nome ebraico, un'anta che può essere aperta o chiusa, una mano aperta la quale può essere un aiuto e anche un impedimento come "l'alt" di una guardia e, come vedremo, può avere significati allegorici a questi connessi;
  • la B "bet" fornisce il concetto di abitazione, casa o tenda, e di "dentro";
  • la R "resh" è proprio la forma di una testa di profilo, quindi è "mente e corpo", ed ha la stessa forma della "bet" , ma senza la base, infatti, è la tenda mobile dello spirito dell'uomo che è di più del corpo che abita.
Prima di analizzare il rebus di "debar" mi soffermo sul bi-letterale . Si trova "dob" per "orso" che si scrive sia sia (in 1Samuele 17,24) e come immagine base a sostegno del termine immagino una caverna, una tana, ove non si può entrare, perché occupata da questo animale che "impedisce d'abitarvi " o "impedisce il portarsi dentro ".

Abbiamo poi un altro termine "doboe'" usato per "forza, energia, vigore" come in Deuteronomio 33,25, in cui si può pensare che "impedisce la casa a uno " o "impedisce l'ingresso ()" dato che "bi'ah" , appunto, è ingresso o anche "l'aiuto che da dentro ha origine " o "aiuta l'ingresso ()".

Perché questa disgressione?
Cosa c'entra tutto questo con la "parola" "debar" ?
Serve a far comprendere che lettera "dalet" ha la duplice capacità di parlare sia di aiuto, sia d'impedimento.
Al riguardo, infatti, mentre nella parola "dob" di "orso" è da considerare l'aspetto impedimento, in "doboe'" di vigore possono aver valenza i due valori, in "debar" di "parola", invece, è da dare prevalenza all'aspetto dell'aiuto; infatti, la parola è proprio un aiuto per ricevere dei concetti da un altro.

Si può proprio concludere che l'idea di fondo della parola "debar" è fornire il concetto d'essere "un aiuto dentro la testa ".
Tenuto, inoltre, conto che un altro radicale, molto prossimo che muta per una sola lettera, il , è relativo a "insinuarsi, penetrare", tanto che "dibbah" è anche "maldicenza, calunnia", perché "si insinua" e si può pensare come l'intimo, il "dentro dentro " di una persona.
Si può, allora, anche ritenere che la parola "debar" con le lettere suggerisca "s'insinua () in testa ", come di fatto accade.
Si trova anche, pur se per una sola volta, "doberot" in 1Re 5,23, tradotto come "zattere" per il trasporto degli alberi di cedro che Chiram da Tiro invierà per le costruzioni di Salomone "I miei servi lo caleranno dal Libano al mare; lo avvierò per mare a mo' di zattere al luogo che mi indicherai. Là lo slegherò e tu lo prenderai".

Visto che la lettera "waw" è un bastone, una congiunzione, quindi, collega porta, reca, conduce e "taw" è in corsivo una croce , il finire, il termine, quelle lettere di "doberot" le possiamo vedere come rebus con 5 figure e leggere "aiutano dentro i corpi a portare a termine " e descrivono così un mezzo quale può essere una zattera di tronchi d'albero come vuole il testo.
Con le stesse lettere di "deber" si ha anche "doeboer" per peste, pestilenza, epidemia, morbo ed ecco che anche questa si spiega con "un impedimento dentro al corpo " e con "s'insinua () nel corpo ".
C'è anche una parola che è molto vicina a "deber" ed è "deborah" che è anche il nome di donna (una fu nutrice di Rebecca Genesi 35,8 e una fu giudice in Israele Giudici 4 e 5) e significa di solito ape, forse alcune volte anche vespa (Deuteronomio 1,44 e Isaia 7,18) e con l'aggiunta di "zebub", mosca (salmo 118,12 e Siracide 11,3).
Ciò che si coglie in quel termine è l'idea centrale "bor" che significa pozzo, cisterna e anche "cella" ove "dentro si porta il corpo"; infatti, la cella del Tempio si dice "debir" .
Mi pare di poter concludere che l'immagine del rebus "deborah" che si deduce da quelle cinque lettere è quella di un insetto che "dalla porta di una cella esce ", quindi, un'ape, una vespa od altro.

PAROLE E IMMAGINI
In ogni lingua del mondo la parola evoca immagini alla mente e viceversa le immagini e le parole degli altri recepite, per essere comunicate evocano la parola, proprio come suggerisce quella scansione appena fatta delle lettere ebraiche del rebus della "parola" "debar" .
Immagini e parola sono due realtà strettamente interdipendenti che implicano un ragionamento circolare come quello dell'uovo e della gallina, soltanto che nel caso specifico è certo che prima c'è l'immagine e poi la parola.
La parola nella lingua del luogo in cui è pronunciata è un messaggio vivo che spunta dal passato, insomma spesso è un reperto archeologico, perché ci informa della storia della lingua del posto.
Ecco che spesso lo studio etimologico è una forma di archeologia con cui si tenta di arrivare a capire come e perché un termine s'è in quel modo formato.

Come nei siti archeologici si leggono le stratificazioni, dove più gli scavi scendono in profondità più gli eventuali reperti sono antichi, così le parole sono reperti spesso adattati di più antiche locuzioni, alcune autoctone, altre portate da altre culture, con annessi, prefissi e mutazioni vocali d'influsso locale.
Certo è che si va in profondità in siti diversi dell'area mediterranea si trovano affinità e anche comunanza di alcune radici che si spiegano con mutui apporti tra lingue indo europee e semitiche.
Faccio il caso di termini derivanti dal radicale semitico BRK che ha in sé l'immagine di ciò che si flette, che si piega.
In ebraico quel radicale è ove la lettera è la forma di fine parola della lettera K, la "kaf" ossia la che è un vaso, una conca.
Abbiamo poi la lettera R "resh" che è una testa, un corpo e la B la "bet" , un corpo con la base, quindi fisso, onde è una casa, una tenda e indica abitare e dentro.
Questo radicale BRK è relativo all'inginocchiarsi, all'inchinarsi, al benedire e ringraziare.
Ciò che accomuna il tutto è l'idea semitica immagine alla base di qualcosa di concavo o cavo, "dentro un corpo cavo " o "dentro il corpo si fa cavo " per inginocchiarsi, il ringraziare e il benedire, infatti, si ha:
  • "berek", ginocchio, grazie a cui la gamba si piega;
  • "berekah", cisterna, piscina, lago, quindi, un corpo cavo in cui si accumula acqua;
  • "berakah", benedizione, dono, fortuna;
  • "baruk", benedetto;
Nei paesi toccati dai fenici nel loro commerciare si trovano tante tracce di questo radicale:
  • forse il "brachium", il braccio romano, in quanto si piega si curva;
  • nomi toponomastici come Barcellona, "dono""berakah""del nostro dio" "'elohenu";
  • il nome Barca, il benedetto, di Amilcare, padre di Annibale;
  • il nome del lago di Bracciano, lago rotondo, un misto di "berekah" e "anus" anello;
  • il termine barca come natante, "si abita - dentro un corpo cavo ".
Come nelle lingue semitiche il lessico in genere si sviluppa da gruppi bi o triconsonantici di base, da cui deriva tutto un complesso di vocaboli esprimenti concetti simili, anche nelle lingue indoeuropee si può notare qualcosa del genere, pur con le variazioni spiegabili col molteplice metamorfismo consonantico cui sono soggette.

Ad esempio in latino si verifica in alcuni casi intercambiabilità tra B e F, F e P, P e T, T e D, D e S, R e L, C e G, V e G e ciò fa si che alcune radici che sono diverse in semitico, in effetti, tenendo conto di ciò, risulta che in effetti sono usate anche in latino.
Se a titolo d'esempio si considera la bi - consonante semitica BR i può osservare che ha molti degli stessi significati del latino FR.
A base di tutto ciò c'è certamente un'unica e unificante motivazione originaria, la causa della formazione stessa, cioè le immagini che hanno prodotto le prime radici dei fonemi nelle varie aree che poi si sono mischiate in vario grado per eventi storici, migratori e commerciali.

All'origine del tutto, senza dubbio, ci sono le immagini.
Le immagini certamente furono ciò che colpirono gli antichi delle varie famiglie umane che le ripetettero con suoni e costituirono la base dei fonemi più importanti, la prima stratificazione locale.
Le immagini di base associate a suoni vocali poi furono i segni che furono rappresentati in alcune scritture riportando la base che ricordava i suoni che erano state associate.
Le variazioni fondamentali tra i vari ceppi linguistici forse si possono spiegare proprio con scelte d'immagini diverse adottate per descrivere uno stesso fatto.
Ad esempio, senza alcun riferimento a termini concreti, per il fortuito innesco di un incendio si potrebbe essere colti da un "inizia il fuoco" o da "un albero che brucia" ed ecco che avremmo in partenza due diverse forme di suoni associati a fuoco o a tizzone per descrivere lo stesso fenomeno dell'incendio e nei due idiomi messi a confronto non si troverebbe alcuna vicinanza, mentre invece è a monte, proprio nelle diverse immagini evocatrici relative ad uno stesso evento.
Faccio un ulteriore esempio tornando alla parola "lago", in latino "lacus".

Ora, in ebraico per dire lago si trova anche "'aegam" e se si pone una come avverbio di direzione per dire "verso" si ha un termine "l'agam" che porta ad un suono simile o che ricorda quello di "lago".
Dallo stesso radicale deriva "'agemon" col significato di canna, giunco, lacustri, che appunto nascono vicino agli acquitrini.
Ecco che in questo caso l'immagine di base che pone in evidenza il termine non è più che il bacino d'acqua sia concavo, usato invece come abbiamo visto nel radicale BRK di "berekah", fatto che ora in "'aegam" si da come implicito, ma che vi possa scorrere l'acqua, infatti, "inizia a scorrervi l'acqua ", o dove "ha origine lo scorrimento dell'acqua ".

Vediamo, ora, come esempio come si potrebbero spiegare con i significati grafici delle lettere ebraiche alcuni radicali.
I seguenti tre radicali sono molto vicini tra loro ed hanno due delle tre lettere in comune la e la .
La lettera è relativa all'udire, al vedere e al sentire.
La lettera è relativa al fuoco, all'accendere, alla luminosità.
I radicali che vado a esaminare sono i seguenti.
  • usato per "gridare, chiedere aiuto, chiedere soccorso, invocare aiuto, alzare la voce, chiamare ad alta voce", da cui:

    "shua'" e "shoewa'" grido, clamore, supplica,
    "shoa'" ricco, nobile, principe, forse è sottinteso uomo, ossia uomo di grido.
    "ieshua'h" e "teshua'" salvezza, liberazione, salute, aiuto, vittoria.

    La lettera congiunge onde regge "il portare, il recare, il condurre".
    Si potrebbe pensare come "ad acceso portare il sentire "; si pensi ad esempio a uno che grida "al fuoco!", infatti "un al fuoco si porta all'udito ."
    Per "shoa'" ricco, nobile, principe le lettere spiegano come "luminoso - splendido si porta alla vista ".
  • relativo a "salvare, tirar fuori sano e salvo, mettere in salvo, liberare, soccorrere, aiutare, proteggere, preservare, esimere", da cui:

    "iesha'", salvezza, liberazione, salute, aiuto, vittoria;
    "Ieshua'", Gesù, nome proprio.

    La lettera è un pugno chiuso, una forza, dimostra l'essere e lo stare per cui ad accendersi ascoltando ", "è ad accendersi per agire ".
    È da tener conto che in ebraico le due lettere valgono per "esserci, c'è".
    Ne consegue che ci dice che "c'è chi ascolta ".
    Il nome di Gesù si può scrivere e , ossia "è chi Ascolta " o "c'è al grido di aiuto ".
    Tenuto conto che è il radicale di "essere simile, essere uguale" si ha anche "è i simili () ad ascoltare " o "è per i simili () ad agire " cioè agisce in favore dei simili.
    Infine: "è una luce alla vista ";
    "saranno luminoso a vederlo ".
    "sarà a illuminare con l'agire ".
  • usato per "ascoltare, udire, esaudire, dar retta, comprendere, prestare attenzione, annunciare comunicare", da cui:

    "shoema'", sonoro, risuonante;
    "shema'", notizia, rapporto, relazione, dichiarazione;
    "shoma'", fama, celebrità.

    La lettera è relativa a vita, vivente, madre, acqua.
    Le lettere, allora, aiutano a spiegare come "accendere di un vivente l'udito " o "accendere un vivente al sentire ".
    Considerato che "sum" , con la lettera "sin" e non "shin", ma che entrambe si scrivono , è il radicale di "porre", visto che allora = è il participio "posto", ecco che si può considerare come uno che è ha "posto l'udito ".

IL SANGUE DELL'UOMO VECCHIO E DELL'UOMO NUOVO
In ebraico le tre lettere :
  • indicano il termine "'adam", parola che non ha femminile e non ha plurale, che vuol dire sia l'uomo, sia l'umanità, come pure gente e uno qualsiasi;
  • secondo il libro della Genesi formano il nome della prima coppia umana "Dio creò l'uomo ("'adam" ) a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" (Genesi 1,27), considerato quale nome proprio del maschio della coppia dopo che Dio stesso da "'adam" estrasse la donna (Genesi 2,23s).
  • sono il radicale del verbo "rosseggiare", "essere rosso" e simili.
Ne consegue che "'adam" si può considerare anche che significhi "il rosso", infatti "'adamah" è la terra rossa, cioè lavorata, arata.
Che cosa collega quei vari concetti e pensieri relativi a quelle tre lettere e li rende spiegabili?
Di certo è che in ebraico "dam" sta a indicare il "sangue" che appunto è rosso, infatti, un qualsiasi bimbo all'atto della nascita è coperto di sangue materno.
Nasce però la domanda: quale immagine sta dietro alla bi-consonante DM, perché sia in grado in modo palese d'evocare il colore rosso e quindi il sangue o viceversa?
Posso pensare per DM il predicato di "aiuta la vita ", "aiuta per vivere " ma questa, che pure è una lettura possibile di quel termine, visto che la mancanza di sangue provoca la morte, pare accettabile solo come corollario, ma non spiega l'immagine alla base del fatto che sia rosso?
Viene allora l'idea che stia a indicare un altro fatto, ossia che è ciò che viene: "dalla porta della vita - della madre - della matrice - delle acque " e che allora altri non è che "uno - originato dalla porta della madre ".
Quale è questa porta?
La porta della vita, della madre, della matrice e o delle acque, sottinteso del parto, insomma, è quella da cui nascono tutti gli uomini.
Questa porta, allora, non è forse la "pudendo muliebre" o vulva?
È una porta allegorica che si apre, dall'interno per la nascita di un bimbo o per l'uscita del sangue delle mestruazioni e dell'acqua del parto, e dall'esterno da parte dell'organo sessuale maschile che è come una mano che bussa a una porta.
Da questa "porta" in periodi regolari esce, infatti, il mestruo, da "menstruus", perché torna ogni "mensis" - mese, il sangue che segnale la morte dell'ovulo che avrebbe portato un nuovo vivente, sangue che del pari esce per la rottura del cordone ombelicale e per le locazioni di sangue che si hanno nella donna nei giorni dopo il parto e che rendono impura la donna secondo i sacri testi biblici, in quanto è stata a contatto con l'ovulo "morto"?

In questo modo, come "dalla porta della madre " è spiegato il sangue con le immagini delle lettere ebraiche, ecco che si apre anche il tri-lettere ed è così chiarito perché quel radicale si può riferire sia a uomo, sia a rosso, infatti, ci parla di uno nato: "originato dalla porta della vita, della madre, della matrice e o dell'acqua ", insomma uno "nato da donna".

A rafforzare quanto detto sta il fatto che, egualmente, in ebraico il radicale del verbo che è usato per "partorire, dare alla luce, mettere al mondo, avere un figlio, generare" contiene la lettera "dalet" .
Ancora una volta le lettere sono congruenti con l'immagine usata per i termini di cui sopra tenuto conto che la lettera "lamed" è come un serpente che in sé ha l'idea anche che guizza e ne discendono i termini seguenti che propongo con la lettura della relativa immagine suggerita dalle lettere che le formano ricordando l'allegoria della "dalet" per il sesso della madre:
  • "ledah" , "la nascita, il nato", onde si legge "guizzato dalla porta nel mondo ";
  • "iloedoet", , "puerpera, partoriente, madre", perciò "è del guizzare dalla porta al termine ";
  • "loedoet" , "il nascere, il parto", indi, "del guizzare dalla porta il termine ";
  • "ioeloed" e "ioloeddah" (maschile e femminile), "bambino, creatura, neonato, prole", "è guizzato dalla porta ", "è guizzato dalla porta nel mondo ".
Si potrebbe obiettare che quanto detto per l'uomo vale in genere anche per i mammiferi, specie per i primati.
Quelle stesse lettere però hanno anche un'altra lettura applicabile in modo specifico all'uomo "'adam" visto che è "l'unico dalla mano viva - vivace " o "primo (primate) dalla mano viva - vivace ".
Intendo dire che, a differenza degli altri primati, la mano dell'uomo ha acquistato la capacità di opporre il pollice all'indice e alle altre dita così che consente di usare utensili anche piccoli e sottili, tenendoli fra il pollice e l'indice e collabora in maniera essenziale alla presa di forza con le altre dita aprendogli tante attività altrimenti impossibili che lo fanno evolvere ed eccellere sugli altri animali.

Stando al racconto biblico, l'immagine principale che richiama l'uomo in quanto rosso non varrebbe però per la prima coppia umana che, come ci riferiscono i racconti di Genesi 1 e 2, non è nata da donna, ma è stata direttamente formata da Dio.
Quel medesimo testo, infatti, intende spiegare che "'adam" fu formato a immagine di Dio, a Sua "demut" che viene da radicale di "somigliare, sembrare", termine in cui è preponderante il bi-letterale "dam" di sangue, quindi "'adam" ci propone la stessa Bibbia è "all'Unico simile ()", come avessero lo stesso sangue.
Ciò implica un sangue associato a Dio.

Quale sarebbe allora il sangue di Dio?
Tutto ciò non è irrilevante e ai cristiani profetizza che l'Unico si farà uomo, nascendo da donna, e che l'uomo - Dio, Gesù di Nazaret sarà proprio a esprimere la Sua somiglianza quando "il sangue porterà dalla croce = " onde genererà un'umanità nuova.

È altresì quello stesso nome di Adamo a fornire l'idea dell'intenzione di Dio Padre di dare all'umanità la vita eterna, perché vivrà con Dio oltre le nubi del cielo in cui s'immaginava la sede della divinità; nube, infatti, si dice anche "'ed", quindi, "'adam" "sulla nube vivrà " ove "l'Unico lo proteggerà per la vita ".
Sappiamo che nelle culture primitive e non solo, ogni onta comporta la vendetta, ogni errore ha bisogno di un contrappeso per bilanciarlo in una visione di "giustizia".
La legge di "occhio per occhio" è biblica (Levitico 24,19s), ma col tempo è invalso anche il principio di compensazione pecuniaria cioè un "prezzo del sangue", con cui è possibile evitare il ricorso all'occhio per occhio pagando risarcimenti in denaro.

Sappiamo poi bene che Satana, quale pubblico ministero nel nostro processo davanti a Dio (idea di quella funzione di Satana si deduce dal libro di Giobbe), esige la sentenza di morte, il che vale per ciascun uomo.
Il nostro sangue, infettato dal peccato, non è sufficiente per pagare il riscatto del male compiuto; insomma, non abbiamo come pagare l'offesa per riottenere la vita, non c'è denaro che tenga capace di ripagare l'offesa volontaria, il rifiuto al datore della vita.
Al riguardo, è però da tenere presente che i cristiani credono che in Gesù Cristo "Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe... perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce." (Colossesi 2,14s)

Torniamo a "sangue"; questo termine nell'ebraico biblico assume anche un significato etico giuridico che consegue all'atto di sangue, quindi, concorre a definire il colpevole, il cercare la responsabilità e la retribuzione per evitare la vendetta di sangue.
In alcuni passi biblici la parola "dam" al plurale "damim" e "demei" , paiono assumere il significato di un controvalore in denaro di ricompensa per i fatti di sangue.
Credo che in questo c'entri molto anche il radicale relativo al "tacitare" del verbo "damam" di acquietare, ammutolire, ossia come ripagare un "sangue per la vita ".
Oggi, tra gli ebrei, in campo giuridico, l'espressione "Ha o non ha dei 'dammìm'", ha preso il significato di chiedersi se c'è oppure non c'è la possibilità di solvibilità della controparte per un risarcimento in denaro del danno.
Un modo di definire in ebraico il denaro nel Talmud e nella tradizione cabalistica, infatti, è "damim" o "dammim" da di risarcire, che evoca sangue al plurale.

Ecco che si trova il detto talmudico "tarte mashma damim" nel senso che l'uomo ha due tipi di sangue, il primo quello vero e proprio della natura umana e il secondo il denaro, come se il valore del denaro fosse un'energia vitale al pari del sangue, in quanto, entrambi hanno la capacità di circolare e il "dam" come il denaro "aiuta a vivere ."
È quindi il denaro, il sangue dell'uomo vecchio destinato alla morte non sufficiente per pagare il prezzo di un'onta infinita come rifiuto al Creatore e rimeritarci la vita eterna cui il Creatore ci voleva destinare.
Haim Baharier, noto studioso di ermeneutica biblica e di sacre scritture, infatti, ha affermato circa il rapporto che c'è tra l'etica ebraica e il denaro "Direi un rapporto molto complesso, che invece nel mondo esterno viene percepito in maniera monolitica. Nel linguaggio del Talmud, il denaro è chiamato "damim", che ha contemporaneamente due significati diversi. Denaro e sangue. Al pari del sangue, i soldi sono conduttori di vita, ma soltanto se circolano nel modo giusto. Altrimenti, il denaro porta alla morte. In altre parole, quando i soldi diventano un idolo e vengono utilizzati in maniera sbagliata, hanno un effetto letale."

Si fa presente in tutto il suo peso l'ammonimento di Gesù "non potete servire a Dio e a mammona." (Matteo 6,24b; Luca 16,13) ove "mammona" è una parola aramaica che indica la ricchezza, ossia la stabilità economica che da potenza e sicurezza, ciò in cui l'uomo di questo mondo ripone tutta la propria fiducia.
La radice di "mammona", infatti, è "'amen" radicale ebraico di "credere, fidarsi, essere fedele", da cui deriva la parola "fede" e Gesù è "l'Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio". (Apocalisse 3,13)

Il fedele è così chiamato a considerare bene che è Dio che gli dona il sangue "dam" ossia il vero "aiuto per vivere " e non è il denaro "dammim"?
Al proposito della fede dice il profeta Isaia "Se non crederete, non avrete stabilità" (Isaia 7,9) nonostante tutta la vostra ricchezza.
La ricchezza e in particolare il denaro altro non è se non lo sterco del diavolo e le stesse lettere ebraiche chiamano a tale parallelo in quanto in ebraico un modo di dire sterco, concime è "domoen" come in 2Re 9,37, Geremia 8,2; 9,21; 16,4; 25,33 e Salmo 33,11.
Sono da porre, infatti, in antitesi i termini:
  • "'amen", la fede, che ci fa volare verso nuovi orizzonti, perché è in grado di "originare la vita angelica ";
  • "domoen", lo sterco, in cui vi sono anche le lettere di sangue e che richiamano il denaro "il sangue dell'angelo (ribelle)" che "impedisce la vita angelica " e ci dimostra che quello che siamo, vale a dire polvere della terra.
Basilio di Cesarea, Padre della Chiesa del IV secolo, diceva "il denaro è lo sterco del diavolo".
Questo parallelo in cui mi sono inoltrato tra il sangue e il denaro porta a un importante episodio che ci propone il Vangelo di Giovanni al momento della morte in croce di Gesù che l'evangelista tende a evidenziare in modo speciale come testimone verace: "Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate." (Giovanni 19,33-35)

Ciò che uscì dal fianco di Gesù, il nuovo Adamo che "originò sangue ", "originò un aiuto ai viventi ", in quanto, in effetti, sortirono sangue ed acqua che sono i residui di un parto, quelli di una nuova creatura, la Chiesa, madre dell'uomo nuovo, "originò in aiuto la Madre " che ci propone i sacramenti del battesimo e dell'eucaristia.
Il testo proprio con quel "ne uscì sangue e acqua" suggerisce anche un'altra realtà, altrettanto importante nell'economia della salvezza.

L'evangelista pare proprio aver anche sottolineato un fatto ben noto anche ai tempi di Gesù in quanto nella tradizione orale ebraica della Torah viva, ma riportata solo più tardi negli scritti del Talmud, cioè del parallelo tra il denaro "dammìm" e il sangue.
Se dividiamo la parola "dammìm" in "dam" = "sangue" e "mim" = "maim" = "acqua", ecco che quella fuoriuscita di sangue ed acqua diceva all'ebreo di quel tempo che dal fianco di Gesù era uscito il prezzo del risarcimento del riscatto a Dio Padre, il denaro dell'uomo nuovo.

Si legge nel Salmo 49:
  • Salmo 49,8 - "Certo, l'uomo non può riscattare se stesso né pagare a Dio il proprio prezzo."
  • Salmo 49,16 - "Certo, Dio riscatterà la mia vita, mi strapperà dalla mano degli inferi."
Risponde il libro dell'Apocalisse: "Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e hai fatto di loro, per il nostro Dio, un regno e sacerdoti, e regneranno sopra la terra." (Apocalisse 5,9s)

Si trova, infatti, nel canto liturgico del preconio pasquale o "laus cerei", lode del cero, detto "Exultet" fatto risalire al IV secolo e completato nel XII "Egli (Gesù) ha pagato per noi all'eterno Padre il debito di Adamo, e con il sangue sparso per la nostra salvezza ha cancellato la condanna della colpa antica" e in latino si parla di cauzione "Exultet Qui pro nobis aeterno Patri Adae debitum solvit, et veteris piaculi cautionem pio cruore detersit."
Del resto San Tommaso d'Aquino nell'Opus 57 per la festa del Corpus Domini tra l'altro scrive: "Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo purificati da tutti i peccati."
Questo testo è usato quale seconda lettura nelle lodi mattutine di quella festa e il responsorio tra l'altro dice: "Per non disgregarvi, mangiate questo vincolo di unità; per non svilirvi, bevete il prezzo del vostro riscatto: poiché ora siete membra di Cristo".

LA CONOSCENZA E L'ETERNITÀ
Proseguo nell'esame che mi ha portato all'immagine con cui ho provato a spiegare la parola "sangue" "dam" e di "nascere" .
Il passo successivo è considerare il bi-letterale che da luogo alla parola "mano", "è una mano ", usata anche per "braccio" in senso proprio e figurato, anche per "manici" e "anse" di un vaso Isaia 45,9, ma pure per "cippo" (Ezechiele 21,24), "monumento, stele, obelisco" (Esodo 17,16; 1Samuele 15,12; 2Samuele 18,18) "tenone o asse" (Esodo26,17-19 e 36,22-24), quindi, ha in sé anche l'idea della mascolinità che "sta (davanti) alla porta " nel senso figurato di organo sessuale femminile come ho prima detto.

In appunto si vede chiaramente la lettera "iod" che è come un pugno di una mano, e indica "forza" il quale pugno da raccolto così , si apre così , quindi, manifesta tutti i poteri di una mano che può chiudersi e lottare, ma anche aiutare e contrastare essendo come un'anta di una porta che può opporsi o lasciare entrare o infine anche sbattere, quindi, battere e scuotere. Se le lettere di mano, "iad" sono disposte al contrario accade che la mano si è contratta in un pugno , accade cioè o che si è spazientita e passa ad una azione di forza o che nel chiudersi ha preso quanto doveva, voleva o desiderava, quindi, in qualsiasi modo è come se dicesse basta!
E in ebraico, infatti, "dai" sta a significare quanto basta, sufficiente, abbastanza... solo il necessario.

Torniamo alla lettera "iod" che è come un attrezzo che "forza la porta ", come un batacchio sulla stessa.


Per il misticismo cabalistico Ebraico, la lettera "iod" , il numero perfetto dieci, rappresenterebbe l'organo sessuale maschile a riposo, in quanto il segno può apparire loro come quello di una mano contratta con il dito indice piegato che sporge.
La "iod", quindi, sarebbe indice di potenza, che lancia il seme fecondante, simbolo della creazione della vita fisica.
In Isaia 57,8-10 si parla di una porta, di un letto, di un trescare e di una mano che è un eufemismo per termine diverso che nasconde potenza e soprattutto il membro virile dell'amante metaforico di Israele infedele, che verso il suo Dio i profeti hanno spesso paragonato a una donna adultera.
Appare, allora, opportuno estendere l'esame ai radicali che contengono lo stesse lettere .

Comincio con due radicali molto istruttivi e , entrambi con le stesse lettere, ma permutate da cui si vedrà bene che l'ordine di presentazione delle icone del rebus ha grande rilevanza nel definire il significato in relazione alla direzione di lettura della strisciata che, ricordo, in ebraico va da destra verso sinistra.
Il primo radicale di quei due, è essenzialmente relativo a "conoscere, sapere" che non è solo con "la mano sentire ", ma molto di più.
Il verbo conoscere è quello che la Torah usa per indicare le relazioni sessuali.
Al riguardo basta ricordare i seguenti versetti del libro della Genesi:
  • Genesi 4,1 - "Adamo conobbe Eva sua moglie che concepì e partorì Caino."
  • Genesi 4,17 - "Ora Caino conobbe sua moglie, che concepì e partorì Enoc."
  • Genesi 4,25 - "Adamo di nuovo conobbe sua moglie, che partorì un figlio e lo chiamò Set."
  • Genesi 24,16 - Rebecca "La giovinetta era molto bella d'aspetto, era vergine, nessun uomo si era unito a lei" ove, nel testo ebraico in effetti è scritto "nessun uomo l'aveva conosciuta ".
Si trova ancora in Numeri 31,17 e Giudici 11,39 e 19,25.
Il Vangelo di Luca, poi, pur se scritto in greco, richiama tutto il significato biblico di "conoscere" quando Maria ricorda la sua verginità, come in Rebecca, con queste parole "Allora Maria disse all'angelo: Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?" (Luca 1,34)

Prevale evidentemente nella formazione l'immagine di "dalet" come porta della donna, quindi conoscere è "aver forzato la porta con l'azione " o "aver forzato la porta col sentire ", ma estendendo il significato il sentire è di ogni tipo, udire, vedere, toccare, odorare, gustare, quindi il cogliere con la mente e col cuore ecc..

Questo conoscere e sapere s'estende così ad ogni scibile e implica molto di più del memorizzare, ma soprattutto un aver provato, verificato, accertato.
La porta è vista come un primo ostacolo superabile da chi voglia non fermarsi, ma occorre aprirla e andare oltre fino all'essenza.
Le lettere permettono di esprimere tale concetto e per questo interessa la loro posizione; infatti, il vedere, sentire, udire è dopo la porta , onde quel radicale si può sintetizzare in "essere dalla porta a vedere " sottinteso quello che c'è oltre, "l'essenza oltre la porta vedere ", implica l'atto di aprire l'ambito nascosto.

In Osea 2,22 si legge, parla il Signore "Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore" da cui si profila che il rapporto sarà un conoscere completo come quello tra due sposi, molto più del solo rapporto fisico, ma totalizzante al massimo livello.

Questo conoscere l'aveva già assaggiato Mosè quando ebbe a dire al Signore: "Vedi, tu mi ordini: Fa salire questo popolo, ma non mi hai indicato chi manderai con me; eppure hai detto: Ti ho conosciuto per nome, anzi hai trovato grazia ai miei occhi. Ora, se davvero ho trovato grazia ai tuoi occhi, indicami la tua via, così che io ti conosca e trovi grazia ai tuoi occhi; considera che questa nazione è il tuo popolo. Rispose: Il mio volto camminerà con voi e ti darò riposo." (Esodo 33,12-14)

Con ciò Mosè dice che l'essere conosciuti da Dio implica il riconoscere che è da attribuire a Lui il proprio nome, infatti, Dio gli dice "Ti ho conosciuto per nome", nome che vuol dire "salvato" visto che è il radicale di salvare, infatti, Dio lo ha salvato e, appunto, questo fatto implica per conseguenza l'aver trovato grazia ai suoi occhi, espressione che si trova tante volte nel testo biblico.
Mosè, infatti, ha un rapporto speciale con Lui, sul monte per due volte 40 giorni e 40 notti; si è inoltrato nella conoscenza di Dio, conoscenza che si dice, appunto, "dea'" o e "dea't" "(oltre) la porta vedere ", "dalla porta vedere entrando " o "(oltre) la porta vedere tutto ."

Conoscenza = Oltre la porta vedere


L'occhio, ovviamente è quello del soggetto, un omino che cammina lungo la riga del testo da destra verso sinistra.
Il secondo radicale di quei due, è relativo a:
  • indicare, stabilire, costituire il tempo, il luogo o la pena;
  • adunarsi, convenire con qualcuno;
  • essere collocato, essere posto, essere drizzato.
Se si cerca porta della città si trovano ben 25 citazioni nella Bibbia; era questo il luogo convenuto di solito con uno slargo o piazza (2Cronache 32) ove si riunivano gli anziani e avvenivano i giudizi e le riunioni.
Dalla porta della città si vedeva chi entrava e usciva e si coglievano tutte le possibili notizie sulle novità interne e che potevano venire dall'esterno; ed ecco, allora, l'immagine di base del radicale "saremo a vederci alla porta ".
Da tale radicale derivano sia:
  • comunità, assemblea, "e'dah" , in genere di persone, ma il termine è esteso anche ad animali per dire mandria, sciame, stormo, nel senso "si vedono (quelli dalla stessa) porta Usciti ";
  • incontro, accordo, appuntamento, "moe'd" e convocazione, chiamata, appello, "moa'd" oppure designazione "moa'dah" "viventi che si portano in assemblea ".
Altro radicale che ritengo sia un derivato di è che riguarda il rendere testimonianza, testimoniare, deporre "si fa sentire portandosi alla porta ", sottinteso della città, dove c'erano gli anziani.

Ne discende il termine "testimone" "e'd" , colui che "avendo visto aiuta " vale anche per testimonianza, prova, garanzia, notaio in quanto attestatore, certificato e credenziale.
Si pensi però che quelle stesse due lettere lette come "a'd" in Genesi 49,27 e in Isaia 33,23 starebbero a significare "preda o bottino" e l'immagine che penso possa riferirsi a questo termine è il prendere a man bassa, quindi "azione di mano " essendo la lettera corrispondente a un segno egiziano che indica un avambraccio teso e sta per azione.

Interessante poi è una parola usata dal profeta Isaia quando scrive "Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento" (Isaia 64,5), in quanto, per immondo si trova "i'ddim", plurale di "i'ddah" che vari vocabolari traducono "mestruo", quindi panno dei mestrui; e torna in gioco la porta come organo del sesso femminile, "vedo dalla porta uscito ".

Il che fa comprendere che resta traccia comunque dell'idea di una porta della vita in senso fisico di nascita di un figlio, di un aborto o addirittura del mestruo.

Altro modo molto più usato per scrivere e dire mestruazione invece è "niddah" che vale anche per immondizia, spazzatura lordume, impurità, ossia "inviato dalla porta fuori " ove la "dalet" assume i due significati di porta della donna per il mestruo e della porta di casa per la spazzatura.
Esiste poi "o'd" per ripetizione, durata e come avverbio "ancora" nel senso di "vedere portarsi alla porta " un portarsi e un riportarsi, implica il concetto di durata, onde, per traslato, un continuare di ripetizioni porta al pensiero di eternità che è "a'd" "vedersi alla porta ".
L'eternità "a'd" , quindi è un continuare, è stare per sempre davanti ad una porta, sottinteso della conoscenza, "dea'" ossia vedere sempre una nuova porta.

Sarà l'esperienza dell'amore, un eterno protrarsi di quello del Cantico dei Cantici che, infatti, si conclude così "Fuggi, mio diletto, simile a gazzella o ad un cerbiatto, sopra i monti degli aromi!" (Cantico 8,14), ove grazie alla comunione con l'Amore, si avranno continue esperienze ciascuna appagante, ma sempre nuove.

Eternità = Vedo sempre avanti una (nuova) porta


Che farà il fedele, infatti, per l'eternità?
Crede che sarà per sempre in comunione col Signore inoltrandosi nella sua conoscenza per essere sempre più conforme a come Lui vuole.
Essendo l'Essere infinito e onnisciente per ottenere la sua conoscenza "dea" piena ci sarà l'eternità, quindi, ci sarà di continuo una porta da superare.
Questi pensieri fanno venire in mente il brano del Vangelo di Giovanni, quando Gesù si definisce sia il pastore sia la porta delle pecore; lui "chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce" e qui ribadisce "In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Io sono la porta : se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo." (Giovanni 10,1-9)

Lui, Gesù è la porta che sta davanti a loro che lo ascoltano e lo vedono.
La situazione che si crea è quella di un , questi, infatti, vedono e ascoltano Lui è l'Eterno, come lo stesso Vangelo aveva fatto notare quando Pietro disse "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Giovanni 6,68), ma se passeranno attraverso di Lui, cioè supereranno la porta col suo aiuto, vedranno i pascoli, quelli celesti, per cui pare tratteggiarsi la parola conoscenza .
Le pecore evidentemente cercano i pascoli eterni, l'Eden , "e'doen" o Paradiso che ci parla di una "eternità con gli angeli ".
Il fatto che Gesù ha voluto porre più volte l'attenzione sul fatto che è la porta e attraverso lui si è salvati porta proprio a ricordare come si dice e si scrive in ebraico la parola "porta", ossia "dalet" .
In questo le prime due lettere ci ricordano il radicale di "liberare, trarre fuori", infatti, il secchio, con cui "si tira fuori" di dice "deli" (Numeri 24,7 e Isaia 40,15) quindi in modo allegorico grazie a quel radicale nascosto la "dalet" porta al concetto che libererà, tirerà fuori.
Quel Vangelo ha poi altri versetti importanti collegati a questo tema, infatti, al versetto 11 dice "Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore..." e lo ripete al versetto 15, "...do la mia vita per le pecore" e in quella parola "porta" "dalet" c'è anche quel = di fine parola che profeticamente pare proprio avvertire che tale liberazione avverrà grazie al sacrificio della croce.
Ecco che "Io sono la porta delle pecore" in ebraico evoca le seguenti lettere:
  • io sono
  • la porta
  • delle pecore
Con la decriptazione si ottiene:

"Io sono nel mondo per liberarvi (); dalla croce risorgerete potenti , uscirà dai corpi la malattia dei viventi ". Libererà della causa della la malattia dei viventi ossia dal "nascosto serpente che c'è " nei viventi.

C'è poi verso la fine di quel capitolo 10 di Giovanni il versetto 28 che recita "Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano." che rende giustizia a quella interpretazione fatta con le lettere da cui si concludeva sull'eternità e sulla conoscenza che sono appunto la prerogativa del Messia.

Certamente i fedeli cercano la porta per entrare e Gesù ha lasciato in questo mondo la sua Chiesa, "ianua coeli", la "Porta del Cielo" titolo appellativo alla Vergine Maria dalle Litanie Lauretane, attributi che le vengono dalle parole della Scrittura quali, "Sollevate, porte, i vostri frontali" (Salmo 23,7), "Aprì le porte del cielo" (Salmo 78,23) e "Questo luogo non è altro che la porta del cielo" (Genesi 28,17) onde questa è l'aiuto che guida nei cieli.

Un simile discorso di completo cambiamento di significato all'inversione delle lettere si presenta con la lettera "dalet" quando è unita con la lettera "'alef" .
A seconda della posizione nei due bi-letterali e si ha:
  • il radicale per "volare, librarsi, lanciarsi in volo" come in Deuteronomio 28,49, Geremia 48,40 e 49,22 e in Levitico 11,14 ove il "daa'h" è l'uccello detto nibbio, onde l'immagine che pare alla base del significato è della "dalet" interpretata come un'anta che sbatte, "battendo origina l'uscita ", cioè, battendo le ali, se ne va.
  • la bi-lettrale "'ad" , invece fa pensare a qualcosa che "origina un impedimento - una porta ", infatti, alcuni traducono nuvola, vapore che nasconde, appunto, il soggetto, da vedere, come in Giobbe 36,27 "Egli attrae in alto le gocce d'acqua e scioglie in pioggia i suoi vapori" e in Genesi 2,6 egualmente si parla di vapore che sale dalla terra.
Un altro radicale interessante è IDH per quei segni e con la "he" che indica entrare, uscire, aperto.
Questo radicale è da guardare con attenzione, per scorgere se si rinviene il significato legato ad un'immagine che si ritiene motrice.
Ed è proprio così.
Il significato di questo radicale è duplice:
  • "lodare", tessere le lodi, elogiare, riconoscere, proclamare, celebrare e simili, onde l'immagine base del rebus è "stare con le mani aperte ", come un orante:
  • scagliare, lanciare, espellere onde l'immagine diviene "è dalla mano a uscire ".

GLI INNAMORATI
I Vangeli sinottici, secondo la traduzione C.E.I. del 2008, riportano che una voce dal cielo chiama Gesù "l'amato" da Dio Padre, precisamente al momento:
  • del battesimo al Giordano, " Ed ecco una voce dal cielo che diceva: Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento". (Matteo 3,17; Marco 1,11; Mrco 4,22)
  • della Trasfigurazione sul monte Tabor, "Ed ecco una voce dalla nube che diceva: Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo." (Marco 17,5)
Quel "l'amato" è l'equivalente di "il prediletto" della traduzione C.E.I. del 1975.
Lo stesso termine di "prediletto", comunque, è conservato dall'ultima traduzione C.E.I. nell'ambito del seguente versetto del libro del Deuteronomio che riguarda quelli di Beniamino nelle benedizioni di Mosè alle 12 tribù: "Per Beniamino disse: Prediletto del Signore, Beniamino, abita tranquillo presso di lui; egli lo protegge sempre e tra le sue spalle dimora." (Deuteronomio 33,12)

Nel testo ebraico quel "prediletto", che poi sarà detto da Dio Padre nei riguardi di Gesù è "iedid" o "iadid" .
Gesù è veramente il nuovo Adamo, l'Unigenito, il prediletto, l'amato dal Padre.
Quel termine di prediletto in ebraico comporta una mano o un braccio con una mano o un braccio , insomma, sono proprio due per mano o due abbracciati.
L'immagine, pertanto, che sottende quel rebus di "iadid" è "sono con la mano a stare nella mano ", ed è quella di due persone che sono innamorate uno dell'altro.

Il Vangelo di Giovanni propone chiaramente che a quel rapporto d'amore esclusivo tra Gesù e il Padre sono chiamati a partecipare tutti gli uomini come Gesù stesso ebbe a dire: "Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore." (Giovanni 15,9)
Nell'affrescare il Giudizio Universale della Cappella Sistina ben ha interpretato Michelangelo l'atto di amore nel momento della formazione di Adamo col presentare e porre in evidenza le due mani, di Dio e dell'uomo, a cui Dio stesso sta passando tutto il proprio vigore.


La mano di Dio e la mano di Adamo - Cappella Sistina

Adamo, l'uomo, infatti, è l'amato da Dio e Dio non ha mai abbandonato il suo progetto d'amore nei suoi riguardi nonostante la risposta negativa, infatti, nel libro del profeta Isaia si trova che il Signore ha detto "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani..." (Isaia 49,15s)

Ed ecco che si trova che "dod" , da cui il nome proprio David "la mano che ti conduce per mano ", è l'amato, il diletto, il fidanzato, l'amore.
Significa anche zio, e al femminile "dodah" vuol dire anche zia.
E "dodi" è amore mio, mio amore, amato mio, il mio amato, come in Cantico dei Cantici 1,13-14 ove dice "L'amato mio è per me un sacchetto di mirra, passa la notte tra i miei seni. L'amato mio è per me un grappolo di cipro nelle vigne di Engàddi."

In quel Cantico l'amato mio è invocato, esaltato, lodato tante e tante altre volte in 1,16; 2,3.8.9.10.16.17; 4,16; 5,2.4.5.6.8.10.16; 6,2.3.11.12.14, 7,14 e 8,14.

Si trova anche come in Cantico dei Cantici 7,13 ove canta "Di buon mattino andremo nelle vigne; vedremo se germoglia la vite, se le gemme si schiudono, se fioriscono i melograni: là ti darò il mio amore! " e del pari la C.E.I. del 2008 traduce "tuo amore" quanto nello stesso poema si trova scritto per due volte al 4,10 inteso come il mio amore, tuo , per te.

Potrebbe però non essere giusto tradurre per "mio amore" perché la finale di "dodi" potrebbe non valere come pronome "mio", bensì come plurale generico, allora starebbe per atti amorevoli, atti d'amore... passaggi con le mani.

La precedente traduzione C.E.I. per "dodi" , infatti, scriveva carezze: "Quanto sono soavi le tue carezze, sorella mia, sposa, quanto più deliziose del vino le tue carezze. L'odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi."

Da mani a manici il passo è breve ed ecco che gli oggetti che si prendono per manici, come le pentole, i canestri, le ceste, i paioli, le marmitte, "i manicati" sono ancora tutti , ma si pronuncia "dud" e l'immagine è "con le mani si portano per i manici ".
Le mammelle sono come manici anche perché sono come le ante di una porta che sbattono, quindi, "dad" .
L'immagine della mano che sbatte appare poi chiara nel termine usato per "pesce" "dag" da cui "la pesca" e con l'immagine del rebus che è "sbattendo , cammina ", come fa appunto il pesce muovendo le pinne e la coda nell'acqua.

Tornando al Cantico dei Cantici al versetto 7,14 vi si dice: "Le mandragore mandano profumo; alle nostre porte c'è ogni specie di frutti squisiti, freschi e secchi: amato mio, li ho conservati per te."

Qui, vicini al momento conclusivo d'amore del Cantico sono ricordate le mandragore, i "duda'im" .
Soltanto in un'altra occasione questo termine è richiamato nella Bibbia e per ben cinque volte in un brano del capitolo 30 del libro della Genesi, due volte in ciascuno dei versetti 14 e 15 ed una nel 16.

È l'episodio in Genesi 30,14-17, quando Rachele consente che Giacobbe si corichi nuovamente con la prima moglie, Lia: "Al tempo della mietitura del grano, Ruben uscì e trovò delle mandragore, che portò alla madre Lia. Rachele disse a Lia: Dammi un poco delle mandragore di tuo figlio. Ma Lia rispose: Ti sembra poco avermi portato via il marito, perché ora tu voglia portare via anche le mandragore di mio figlio? Riprese Rachele: Ebbene, Giacobbe si corichi pure con te questa notte, ma dammi in cambio le mandragore di tuo figlio. La sera, quando Giacobbe arrivò dalla campagna, Lia gli uscì incontro e gli disse: Da me devi venire, perché io ho pagato il diritto di averti con le mandragore di mio figlio. Così egli si coricò con lei quella notte. Il Signore esaudì Lia, la quale concepì e partorì a Giacobbe un quinto figlio."

Giacobbe visse anche in Egitto prima della XVIII dinastia dei faraoni.
A questa pianta mandragora o mandragola, appartenente alle solanacee, in effetti, erano attribuite proprietà afrodisiache ed era ritenuta anche utile per la cura della sterilità e dotata di proprietà magiche.
Per le sue radici, con le sembianze antropomorfe che si biforcano come le gambe di un omino, tante sono state le fantasie su questa pianta.


Esempio di radice di mandragore



Donna con in mano frutti di mandragora
Tomba di Nakht

La ninfea azzurra che cresceva sul Nilo associata alla mandragora è presente nella letteratura e nell'iconografia amorosa ed erotica egizia per il suo uso afrodisiaco in riti ben auguranti per le sorti del faraone dopo la morte.
Si riteneva che il faraone potesse entrare nell'altro mondo con una nuova nascita, grazie ad una copulazione "astrale" con l'archetipo delle Grandi Madri protostoriche, la dea Hathor (la dea al tramonto mangia il sole figura di Horus per restituirgli la vita poche ore dopo) e "partoriva" il defunto nell'aldilà.
Questa concezione filosofico-religiosa spiega la frequente presenza di scene erotiche e sensuali raffigurate nelle tombe, in particolare in quelle private della XVIII dinastia 1543-1292 a.C..

Il nome ebraico "duda'im" ricorda l'amore e gli aspetti magici, in quanto, le sue lettere, paiono dire che la mandragora suscita "l'amore che origina un essere vivente ".
In "Vino nella Bibbia: causa d'incesti e segno del Messia" ho riportato la decriptazione con il mio metodo di "Parlano le lettere" di Genesi 30,14-24 di quel brano da cui si evince una bella pagina sul Messia.
L'intero capitolo 30 è costituito da 43 versetti; quelli che mancano rispetto ai precedenti li riporto decriptati in Appendice.

Il famoso Cantico dei Cantici della Bibbia pare proprio avere la veste di un poemetto amoroso sul tipo erotico come i componimenti egizi che sono stati rinvenuti, quali ad esempio, quelli nel Papiro Harris 500 (rotolo di 20 cm x 143 cm) del periodo dei ramseti, XIX e XX dinastia, papiro ora conservato nel British Museum di Londra.
In quel papiro c'è un canto amoroso "La stanza degli amanti", dove peraltro è ricordata più volte anche la mandragora e vi sono commenti sulla bellezza e sulle sensazioni da parte dei due amanti.
Riporto alcuni brevi brani:
  • La fanciulla cerca di trattenere l'amato che vuole andare a pranzo.
    "Tu sei con me e tu fai che il cuore si esalti quando cerchi di accarezzare le mie gambe, allora il mio seno freme... Ma tu vuoi partire perché pensi a mangiare? Sei fino a questo punto schiavo del tuo ventre? Vuoi partire perché vuoi dei panni da indossare? Ho un panno di lino. Vuoi andare perché hai sete? Prendi dunque per te i miei seni, il cui il latte che fluisce ti disseterà. Meglio un giorno nell'abbraccio di mia madre che dieci mila miriadi... È sacro il giorno della nostra unione. Possa esso durare in eternità."
  • La fanciulla si riferisce nel seguente modo al suo amato.
    "Il tuo amore è mescolato alle mia membra come il miele mescolato con acqua come la mandragora mischiata con la gomma della resina o la miscela della farina con il sale. Sbrigati a visitare tua sorella come un destriero corre al campo di battaglia, come un... alle sue piante... mentre il paradiso ti aspetta come quando all'arrivo di un soldato, mio amore."
  • lui elogia la propria donna con paragoni vegetali.
    "Le piante della palude confondono: la bocca di mia sorella è un fiore di loto, i suoi seni mandragore, le sue braccia membra di un albero, le sue... il suo capo una trappola d'amore in legno e io sono l'oca che vi è andata. Di corda è il mio... i suoi capelli sono l'esca nella rete che mi ha intrappolato..."
  • desiderio dell'amplesso.
    "Piante di portulaca sono là. Il mio cuore è in armonia con te e faccio per te ciò che esso vuole. Che io possa essere tra le tue braccia, è la preghiera che trapela dai mei occhi! Il contemplarti illumina i mei occhi mentre ti sono vicina. A rivedere il tuo amore, padrone del mio cuore. È bella la mia ora se essa si prolunga per me in eterno fintanto che io giaccio con te. Riprenditi, cuore mio, nel dolore e nella gioia, non abbandonarmi!"
Il Cantico dei Cantici che si presenta invero come un cantico d'amore terreno inserito tra i libri sapienziali della Bibbia, al primo versetto recita "Cantico dei Cantici, di Salomone", quindi, dice di sé d'essere stato scritto da Salomone stesso che regnò a Gerusalemme, figlio e successore di Davide e da Davide era e dall'ebraismo è atteso, il Messia, quindi è da molti ritenuto come un cantico d'amore, ma sull'attesa messianica.

In questo Cantico si vivono situazioni agresti, vigne, fiori, gigli, nardo, mandragore, mirra, olezzanti, odori e profumi afrodisiaci: "paradiso di melagrane, con i frutti più squisiti, alberi di cipro e nardo, nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo, con ogni specie di alberi d'incenso, mirra e àloe, con tutti gli aromi migliori" (Cantico 513,14).

Sembrano essere tutte esplicite allusioni a rapporti erotici tanto più che vi si parla di seni, di carezze, di un auspicato godimento di lei con "l'amato mio" e il tutto porta a desiderare l'incontro completo nella stanza vuota, la cella del vino:
  • Cantico 2,4 - "...e il suo vessillo su di me è amore" dove si celebra il triplice mistero della conoscenza erotica, psichica e spirituale;
  • Cantico 8,6 - un amore totalizzante che supera la morte "Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l'amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma del Signore!"
Questo amato, in effetti, non è uno qualsiasi, ma è un re come si legge al capitolo 1 del Cantico:
  • Cantico 1,4 - "Attirami dietro a te, corriamo! M'introduca il re nelle sue stanze: gioiremo e ci rallegreremo per te, ricorderemo le tue tenerezze più del vino. A ragione ti amano!"
  • Cantico 1,12 - "Mentre il re è sul suo divano, il mio nardo effonde il suo profumo."
L'amato mio , in effetti, è colui che "da Davide sarà " vale a dire l'atteso Messia.
L'amata è Israele nel suo complesso e nello specifico ogni fedele che attende con fede la sua venuta, l'evento messianico, e Questi le canta "Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!" (Cantico 2,10)
Di lei Lui dice "Come la torre ("migdal" ) di Davide il tuo collo, costruita a guisa di fortezza. Mille scudi vi sono appesi, tutte armature di prodi." (Cantico 4,4)
(Quella torre in ebraico è "migdal" e fa andare il pensiero a Maria di Magdala)

Costei è certamente Israele "...che sale dal deserto, appoggiata al suo diletto?" (Cantico 8,5); sì proprio lui, il Signore in persona, l'ha strappata dalla schiavitù di tutti i faraoni.

L'alcova è coperta di legni di cedro come l'interno del Santo dei Santi ove c'è Lui "Come sei bello, mio diletto, quanto grazioso! Anche il nostro letto è verdeggiante. Le travi della nostra casa sono i cedri, nostro soffitto sono i cipressi." (Cantico 1,16-17)

Vi si parla anche di mura, delle guardie di una città di una mano che entra nella fessura di una porta, di un mancamento, di non trovare e di un non trovarsi, di fughe e di ricerche notturne, di una sfinitezza mortale di un domandarsi dove sei?
"Ho aperto allora al mio diletto, ma il mio diletto già se n'era andato, era scomparso. Io venni meno, per la sua scomparsa. L'ho cercato, ma non l'ho trovato, l'ho chiamato, ma non m'ha risposto. Mi han trovato le guardie..." (Cantico 5,6-7)

Di tutto ciò appare un sottile richiamo nel Vangelo di Giovanni ove la parola chiave che porta al Cantico è proprio il profumo di nardo richiamato in un episodio di un banchetto, ove c'è il Messia, Gesù di Nazaret evidentemente sdraiato sul divano di un triclinio e di una donna che tanto nella sua vita aveva creduto di amare, ma che ora aveva trovato l'amore vero che vince la morte.
Il Vangelo di Giovanni ci parla, infatti, di una festa, quindi come di un re su un divano, di una donna che spande il suo profumo costosissimo di nardo sui suoi piedi e li asciuga con i propri capelli.
L'episodio dell'unzione con il profumo avviene da parte di Maria di Betania e da parte una peccatrice, il fatto avviene a casa di Simone il lebbroso, a Betania, in Giudea (Giovanni 12,1-11 e Matteo 26,6-13) e l'episodio della peccatrice avviene in casa di un Fariseo di nome Simone (Luca 7,36-40).
Non è assodato che Maria di Betania sorella di Lazzaro e Maria Maddalena siano la stessa persona, ma a sostegno dell'ipotesi che si tratti della stessa figura c'è che:
  • nel caso di Maria, Gesù è il festeggiato di una cena in casa di Simone il lebbroso, nel caso della peccatrice Gesù è in casa di uno che si chiama Simone;
  • è improbabile che per due volte in due luoghi differenti Gesù sia stato unto con una quantità di olio di nardo avente esattamente lo stesso valore con stesse critiche da parte dei presenti.
"Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell'aroma di quel profumo." (Giovanni 12,3)

Il nardo in ebraico è il "na'red" estratto dal "Nardostachis jatamansis" che cresce sulle montagne dell'India da cui viene un olio dal profumo intenso ed era considerato un lusso.
Il nardo puro si riconosce per la leggerezza, il colore rosso e l'odore soave.
L'uso più antico che conosciamo fu nell'Egitto dei faraoni per alcune anforette, trovate nelle tombe.
Le lettere di "na'red" possono essere letti in vari modi:
  • da "energia al corpo d'aiuto ";
  • da "energia al corpo alla porta ";
  • è come "una lampada in mano " che ti fa trovare la via giusta;
  • da "energia per signoreggiare/sottomettere ()";
  • e in senso apocalittico "l'angelo (ribelle) sottomettere ()".
Il verbo ebraico che ha per radicale , infatti, serve per definire il "signoreggiare, dominare, sottomettere, soggiogare, assoggettare, asservire" e per la prima volta si trova al momento della creazione della prima coppia in Genesi 1,26 e 28;
  • Genesi 1,26 - "Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra."
  • Genesi 1,28 - "Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra."
Tale verbo riguarda proprio così il signoreggiare auspicato da Dio per l'uomo nuovo, appena creato, di dominare i serpenti di questo mondo che si rivelerà profetico nei riguardi del serpente antico in Gesù di Nazaret in occasione del trionfo manifestato con la risurrezione.
Il Salmo 8, salmo messianico, al versetto 1 fa proprio questa profezia: "Oracolo del Signore al mio signore: Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi."

Gesù stava per affrontare la sua passione che sarebbe terminata con la morte in croce sul monte di Gerusalemme e la "discesa agli inferi" per cercare di aprire una porta di uscita dalla morte come aveva profetizzato il profeta Isaia: "Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti. Eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto; la condizione disonorevole del suo popolo farà scomparire da tutto il paese..." (Isaia 25,7s)

Aprì un varco nel mare nero della morte come a suo tempo nel Mar Rosso aprì la via della libertà agli antichi padri.
Questa volta fece passare con Lui nella definitiva libertà della vita eterna i santi patriarchi in attesa della liberazione di tutti con la definitiva vittoria, infatti: "Con Dio noi faremo prodigi: egli calpesterà i nostri nemici." (Salmo 60,14)

San Paolo in 1Corinzi prevede, in conformità alla profezia di Isaia, una vittoria finale contro i nemici che appunto verranno signoreggiati, sottoposti ai propri piedi, come comportava il segno del profumo di nardo versato dalla Maddalena, non sul capo, ma appunto sui piedi di Gesù Così scrive: "...poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna, infatti, che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi." (1Corinzi 15,24-27)

Il Vangelo di Giovanni, poi al riguardo mette in evidenza che lui, Gesù, morto in croce per amore, fu deposto in un giardino, infatti, "Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto". (Giovanni 19,41)

Il Vangelo di Luca ci informa che dopo la morte e la sepoltura di Gesù "Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e com'era stato deposto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento." (Luca 23,55s)

Il Vangelo di Matteo (27,66), peraltro, informa che i sommi sacerdoti e i farisei "...assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia."

Si parla, quindi, di un'uscita all'alba fuori della cinta della città per andare in un luogo fuori delle mura: "Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio..." (Giovanni 20,1) cercava il corpo del Maestro per ungerlo di nuovo.
Là, trovò vuota la cella e domandò, accorata, al... guardiano del giardino... ma lo riconosce dalla voce e lui dice che sta fuggendo "sopra monti degli aromi" (Cantico 8,14), infatti, "Gesù le disse: Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va dai miei fratelli e di loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro". (Giovanni 20,17)

Il Cantico, in ebraico, per "sopra monti degli aromi" scrive e si può facilmente leggere "in alto entrerò con il corpo a stare ad abitare nei cieli e nel Vangelo di Giovanni Gesù annunciò alla Maddalena la sua prossima ascensione che San Luca racconta alla fine del suo Vangelo e con cui inizia il libro degli Atti degli Apostoli.

APPENDICE - DECRIPTAZIONE GENESI 30
Riporto la decriptazione con il mio metodo di "Parlano le lettere" i versetti Genesi 30,1-13 e 24-43 completando in tal modo l'investigazione sull'intero capitolo Genesi 30, tenuto conto che i versetti Genesi 30,14-24 si trovano decriptati in "Vino nella Bibbia: causa d'incesti e segno del Messia" da cui evinsi una bella pagina sul Messia.

Riporto il testo C.E.I. del 2008 della traduzione dell'intero capitolo Genesi 30.
Genesi 30,1 - Rachele, vedendo che non le era concesso di dare figli a Giacobbe, divenne gelosa della sorella e disse a Giacobbe: Dammi dei figli, se no io muoio!

Genesi 30,2 - Giacobbe s'irritò contro Rachele e disse: Tengo forse io il posto di Dio, il quale ti ha negato il frutto del grembo?

Genesi 30,3 - Allora ella rispose: Ecco la mia serva Bila: unisciti a lei, partorisca sulle mie ginocchia cosicché, per mezzo di lei, abbia anch'io una mia prole.

Genesi 30,4 - Così ella gli diede in moglie la propria schiava Bila e Giacobbe si unì a lei.

Genesi 30,5 - Bila concepì e partorì a Giacobbe un figlio.

Genesi 30,6 - Rachele disse: Dio mi ha fatto giustizia e ha anche ascoltato la mia voce, dandomi un figlio. Per questo ella lo chiamò Dan.

Genesi 30,7 - Bila, la schiava di Rachele, concepì ancora e partorì a Giacobbe un secondo figlio.

Genesi 30,8 - Rachele disse: Ho sostenuto contro mia sorella lotte tremende e ho vinto! E lo chiamò Nèftali.

Genesi 30,9 - Allora Lia, vedendo che aveva cessato di aver figli, prese la propria schiava Zilpa e la diede in moglie a Giacobbe.

Genesi 30,10 - Zilpa, la schiava di Lia, partorì a Giacobbe un figlio.

Genesi 30,11 - Lia esclamò: Per fortuna! e lo chiamò Gad.

Genesi 30,12 - Zilpa, la schiava di Lia, partorì un secondo figlio a Giacobbe.

Genesi 30,13 - Lia disse: Per mia felicità! Certamente le donne mi chiameranno beata. E lo chiamò Aser.

Genesi 30,14 - Al tempo della mietitura del grano, Ruben uscì e trovò delle mandragore, che portò alla madre Lia. Rachele disse a Lia: Dammi un po' delle mandragore di tuo figlio.

Genesi 30,15 - Ma Lia rispose: Ti sembra poco avermi portato via il marito, perché ora tu voglia portare via anche le mandragore di mio figlio? Riprese Rachele: Ebbene, Giacobbe si corichi pure con te questa notte, ma dammi in cambio le mandragore di tuo figlio.

Genesi 30,16 - La sera, quando Giacobbe arrivò dalla campagna, Lia gli uscì incontro e gli disse: Da me devi venire, perché io ho pagato il diritto di averti con le mandragore di mio figlio. Così egli si coricò con lei quella notte.

Genesi 30,17 - Il Signore esaudì Lia, la quale concepì e partorì a Giacobbe un quinto figlio.

Genesi 30,18 - Lia disse: Dio mi ha dato il mio salario, perché ho dato la mia schiava a mio marito. E lo chiamò Ìssacar.

Genesi 30,19 - Lia concepì e partorì ancora un sesto figlio a Giacobbe.

Genesi 30,20 - Lia disse: Dio mi ha fatto un bel regalo, questa volta mio marito mi preferirà, perché gli ho partorito sei figli. E lo chiamò Zabulon.

Genesi 30,21 - In seguito partorì una figlia e la chiamò Dina.

Genesi 30,22 - Dio si ricordò anche di Rachele; Dio la esaudì e la rese feconda.

Genesi 30,23 - Ella concepì e partorì un figlio e disse: Dio ha tolto il mio disonore.

Genesi 30,24 - E lo chiamò Giuseppe, dicendo: Il Signore mi aggiunga un altro figlio!

Genesi 30,25 - Dopo che Rachele ebbe partorito Giuseppe, Giacobbe disse a Labano: Lasciami andare e tornare a casa mia, nella mia terra.

Genesi 30,26 - Dammi le mogli, per le quali ti ho servito, e i miei bambini, perché possa partire: tu conosci il servizio che ti ho prestato.

Genesi 30,27 - Gli disse Labano: Se ho trovato grazia ai tuoi occhi... Per divinazione ho saputo che il Signore mi ha benedetto per causa tua.

Genesi 30,28 - E aggiunse: Fissami il tuo salario e te lo darò.

Genesi 30,29 - Gli rispose: Tu stesso sai come ti ho servito e quanto sono cresciuti i tuoi averi per opera mia.

Genesi 30,30 - Perché il poco che avevi prima della mia venuta è aumentato oltre misura, e il Signore ti ha benedetto sui miei passi. Ma ora, quando lavorerò anch'io per la mia casa?

Genesi 30,31 - Riprese Labano: Che cosa ti devo dare? Giacobbe rispose: Non mi devi nulla; se tu farai per me quanto ti dico, ritornerò a pascolare il tuo gregge e a custodirlo.

Genesi 30,32 - Oggi passerò fra tutto il tuo bestiame; tu metti da parte ogni capo di colore scuro tra le pecore e ogni capo chiazzato e punteggiato tra le capre: sarà il mio salario.

Genesi 30,33 - In futuro la mia stessa onestà risponderà per me; quando verrai a verificare il mio salario, ogni capo che non sarà punteggiato o chiazzato tra le capre e di colore scuro tra le pecore, se si troverà presso di me sarà come rubato.

Genesi 30,34 - Labano disse: Bene, sia come tu hai detto!

Genesi 30,35 - In quel giorno mise da parte i capri striati e chiazzati e tutte le capre punteggiate e chiazzate, ogni capo che aveva del bianco, e ogni capo di colore scuro tra le pecore. Li affidò ai suoi figli

Genesi 30,36 - e stabilì una distanza di tre giorni di cammino tra sé e Giacobbe, mentre Giacobbe pascolava l'altro bestiame di Labano.

Genesi 30,37 - Ma Giacobbe prese rami freschi di pioppo, di mandorlo e di platano, ne intagliò la corteccia a strisce bianche, mettendo a nudo il bianco dei rami.

Genesi 30,38 - Mise i rami così scortecciati nei canaletti agli abbeveratoi dell'acqua, dove veniva a bere il bestiame, bene in vista per le bestie che andavano in calore quando venivano a bere.

Genesi 30,39 - Così le bestie andarono in calore di fronte ai rami e le capre figliarono capretti striati, punteggiati e chiazzati.

Genesi 30,40 - Quanto alle pecore, Giacobbe le separò e fece sì che le bestie avessero davanti a loro gli animali striati e tutti quelli di colore scuro del gregge di Labano. E i branchi che si era così formato per sé, non li mise insieme al gregge di Labano.

Genesi 30,41 - Ogni qualvolta andavano in calore bestie robuste, Giacobbe metteva i rami nei canaletti in vista delle bestie, per farle concepire davanti ai rami.

Genesi 30,42 - Quando invece le bestie erano deboli, non li metteva. Così i capi di bestiame deboli erano per Labano e quelli robusti per Giacobbe.

Genesi 30,43 - Egli si arricchì oltre misura e possedette greggi in grande quantità, schiave e schiavi, cammelli e asini.

Come esempio riporto la prova della decriptazione del primo versetto e poi tutto di seguito il testo dei 43 versetti compresi gli 11 decriptati in "Vino nella Bibbia: causa d'incesti e segno del Messia".

Genesi 30,1 - "Rachele, vedendo che non le era concesso di dare figli a Giacobbe, divenne gelosa della sorella e disse a Giacobbe: Dammi dei figli, se no io muoio!"




Porterà il Crocefisso nel corpo all'Unico le pecore rette , che erano per il serpente nei guai , rinate , per il serpente spazzato () dal ventre (). Porterà alla fine a versare nei pascoli () le pecore . Dentro dell'Unico nel chiuso tutte entreranno . e finalmente ricomincerà a vivere nei corpi la divinità che fu per il fraudolento a uscire . Da dentro , uscito il serpente , saranno da figli a stare a vivere i portati all'Unico . Dai viventi l'origine dell'opprimere () tra i morti entrerà ; l'Unigenito a ucciderlo () sarà .

Genesi 30,1 - Porterà il Crocefisso nel corpo all'Unico le pecore rette, che erano per il serpente nei guai, rinate, per il serpente spazzato dal ventre. Porterà alla fine a versare nei pascoli le pecore. Dentro dell'Unico nel chiuso tutte entreranno. E finalmente ricomincerà a vivere nei corpi la divinità che fu per il fraudolento a uscire. Da dentro, uscito il serpente, saranno da figli a stare a vivere i portati all'Unico. Dai viventi l'origine dell'opprimere tra i morti entrerà; l'Unigenito a ucciderlo sarà.

Genesi 30,2 - E sarà arso dall'ira che spazzerà il maledetto nei corpi. Ad ammalare lo porterà la forza dell'Unigenito. Dell'essere ribelle finalmente strapperà la maledizione che c'è nei viventi dall'origine. Ucciso sarà dall'Unigenito che brucerà il verme dell'angelo che nei viventi da piaga dal frutto abitò nei cuori l'energia.

Genesi 30,3 - Porterà a finire l'Unigenito l'amarezza entrata per l'angelo (ribelle) nel mondo all'origine. Per gli uomini fu dell'invecchiare ad entrare dentro l'origine; maledetto fu per la perversità a segnare i nati. Agendo, nei cuori la fiacchezza fu a recare. Del Padre l'energia uscì a scorrere dai viventi. L'originaria energia, che per la rettitudine stava nei viventi, dai viventi per l'angelo uscì.

Genesi 30,4 - Porterà a finire del drago la potenza, portata a venire ad abitare con il serpente nel mondo. Uscirà l'arroventato soffio strappato via dalla potenza dell'Unigenito per la risurrezione che al mondo porterà. Sarà dentro dell'Unico la divinità che sarà a rientrare nell'esistenza in azione rovesciandosi dentro.

Genesi 30,5 - E finalmente rientrerà nei corpi ad abitare la potenza che uscì per la perversità. Tutti rinasceranno per la potenza che avrà spazzato il maledetto angelo (ribelle).

Genesi 30,6 - E finirà l'Unigenito l'essere ribelle che i corpi ammala sbarrando l'energia che inviata è da Dio. A rientrare sarà la vita; la riporterà a scorrere nei viventi la risurrezione che in seno dentro riverserà la potenza che c'era e sarà a finire dell'angelo (ribelle) la potenza. Risaranno figli per l'azione potente della rettitudine che energia verserà nei corpi. L'Unico, per l'uscita risurrezione, ai viventi riporterà la sbarrata energia.

Genesi 30,7 - E finalmente uscirà il cattivo che portò l'essere impuro. Finirà la potenza insinuata dal serpente nel mondo. Uscirà per bruciare in una fossa. Dai corpi, (ove è) chiuso nei cuori, l'angelo (ribelle) bruciato sarà dall'energia che sarà con potenza a spazzarlo rovesciandosi dentro.

Genesi 30,8 - E finirà l'Unigenito l'essere ribelle che i corpi ammala con l'energia che soffia. A finire porterà il serpente che fu maledetto stando nei viventi; nel combattimento completamente lo spazzerà dai viventi. L'Unigenito strapperà chi affligge i viventi che sarà in tutti finito. Sarà portato alla fine a rovesciarsi dai corpi il peccatore e dell'angelo (ribelle) finito il soffio potente sarà.

Genesi 30,9 - E finirà nei corpi l'originaria maledizione che uscirà per la rettitudine che sarà con la risurrezione entrata. I viventi a rinascere tutti porterà. Alla fine rovesciatisi dalle tombe verranno questi potenti per il soffio rientrato. Il bruciante soffio a strappare avrà portato completamente il drago. Verrà il serpente spazzato, distrutto dal fuoco entrato.

Genesi 30,10 - E la generazione di questi dal potente soffio uscirà bruciata. Il Verbo strapperà via il potente dalla tenda. Sarà spazzato il maledetto angelo.

Genesi 30,11 - E finirà per l'Unigenito di vivere nei corpi il serpente. L'amore riscorrerà con la legge divina che riverserà nei corpi. Dall'Unigenito verrà il fuoco nei viventi che porterà aiuto.

Genesi 30,12 - Ed alla fine rinasceranno questi per il potente soffio entrato della risurrezione. Il soffio strapperà via il serpente; l'amore che l'angelo bruciò inviato risarà. La potenza sarà ad agirà versandosi dentro.

Genesi 30,13 - Ed alla fine l'originaria vita nei corpi con la potenza dell'amore l'Unigenito riaccenderà nei corpi. Ci risarà la rettitudine che c'era alle origini che la risurrezione dei corpi avrà recato e per l'energia saranno figli riportati tutti. Ed alla fine chiamati verranno dal Nome portati alla felicità. Parte già in "Vino nella Bibbia: causa d'incesti e segno del Messia".

Genesi 30,14 - Portati saranno in cammino; nel corpo l'Unigenito porterà i figli a casa. I giorni alla fine saranno. Con i corpi, chiusi nel cuore, sarà i viventi a riportare. Saranno vivi a salire all'Unico. Con l'amato Unigenito saranno a vivere a casa. Il demonio, che nel mondo portatosi s'era ad abitare all'origine, per cui venne ai viventi la maledizione per il rifiuto uscito per l'Unico, nei viventi avrà bastonato, portandolo a finire. Dall'origine, vivendo nei corpi, i corpi ammala il maledetto serpente (ma) dal mondo uscirà finito. Figli di Dio risaranno i viventi avendo l'amato Unigenito nell'esistenza dentro inviata la rettitudine.

Genesi 30,15 - E finita l'origine d'essere ribelli per il serpente uscito, entrando in seno nei cuori rovesciandosi a strapparlo via la rettitudine, verranno gli uomini ad essere riportati potenti. Presi anche verranno dall'amore per l'Unico. Agirà nei viventi la rettitudine entrata con la potenza. Risaranno per il serpente uscito sotto l'amore dell'Unico. Risaranno figli che saranno portati tutti dall'Unigenito a vivere con il corpo nel corpo del trafitto; così retti saranno (in quanto) la forza della risurrezione avrà spento dentro l'angelo con la rettitudine.

Genesi 30,16 - E saranno a casa dell'Unico (ove) saranno per vederlo versati dentro i viventi; tra gli angeli entreranno nella luce. Dalla porta entreranno dentro. Si vedranno le moltitudini recate dal Crocifisso su da Dio. Della tenda (del convegno) li verserà alla vista tutti; li porterà finalmente dall'Unico a vivere con il corpo. Da Dio saranno tutti a casa recati dall'Unigenito retti. L'essenza dell'agnello risorto, (cioè) la rettitudine, dal corpo in croce, (quando) fu spento, con l'amore dell'Unico, che c'era dentro, a inviarla fu e sarà a risorgere, la rettitudine che l'abitava i popoli del mondo, che dentro di notte entreranno in Lui.

Genesi 30,17 - E saranno i risorti nel seno di Dio a entrare per starvi a vivere. La divinità con la potenza dell'Unico, al mondo recata dal Crocifisso, a rigenerarli li porterà. Tutti rinasceranno potenti. Spazzato il maledetto angelo, che nascosto nei viventi è, risorti saranno.

Genesi 30,18 - Portò il Crocifisso per l'Unico all'essere ribelle il rifiuto nel mondo. Inviato in croce dall'angelo maledetto fu alla vita risorto per la rettitudine che nel corpo gli stava. L'Unigenito libererà dall'angelo tutti alla fine. Sarà della risurrezione il soffio nelle tombe di tutti a stare che la potenza agli uomini sarà a riportare, da tutti riversandosi dai corpi il peccatore, che portano, sarà bruciato; risorgeranno retti i corpi.

Genesi 30,19 - E finito nel mondo il cattivo, li porterà liberi all'Unico. Dal mondo riporterà tutti con il potente aiuto a casa degli angeli. Da risorti, nella luce saranno; del Potente staranno alla vista versati in casa.

Genesi 30,20 - E finirà l'originaria amarezza che per il serpente entrò. Questo solo angelo fu maledetto. Saranno i viventi a venire a stare per dono nel bene. Entreranno il Volto a vedere da vivi; staranno nella dimora degli angeli essendo gli uomini esseri retti, essendo rinati tutti. Furono (infatti) dal serpente portati nel sesto (giorno), e a casa dell'angelo fu la morte ad abbattere i corpi. L'Unigenito verrà a risorgere i viventi e (lo) colpirà nella casa (ove) li accompagnò l'angelo.

Genesi 30,21 - Portò dei fratelli nel corpo la forza per il serpente bloccare nel mondo; in casa la fine gli porterà ed alla fine rovesciarlo si vedrà. Verrà con la risurrezione in un vivente ad entrare per punirlo nel mondo.

Genesi 30,22 - E sarà a rendere puri i corpi dal maledetto che sta nei viventi, che venne nei corpi l'ammalare a recare. Sarà a bruciarlo in seno. Il maledetto sarà ad uscire. La divinità a rientrare sarà nei viventi e sarà a liberarli. Verrà dai corpi il nascosto nei viventi a uscire.

Genesi 30,23 - E al segno, al mondo in un corpo si portò. E finalmente nacque il Figlio che portò per finirlo l'Unico. In una matrice nel corpo originò con pienezza il Verbo la divinità. Nel mondo fu nella madre a venire a chiudersi nel corpo. Il Verbo completamente ci fu.

Genesi 30,24 - E l'indicazione che si versava nel corpo l'Unigenito venne ad illuminare la Madre; anche a Giuseppe il Potente parlò. Sarebbe stato in pienezza il Verbo ad essere nel mondo ed entrerà la potenza a stare nel Figlio primogenito; gli si chiuderà nel corpo.

Genesi 30,25 - E fu nel mondo a stare così dell'Unico il principe. In un fanciullo entrò nel corpo. Vi chiuse la potenza l'Unigenito. Venne di Giuseppe a portarsi a stare da primogenito della matrice nel corpo. Fu per agire a versare la divinità in un cuore. L'energia accese con il vigore di un angelo. Fu portata nel primogenito la potenza della rettitudine. Al mondo in silenzio per lo sperare dei viventi fu a portarsi. Il Potente in terra fu.

Genesi 30,26 - Angeli ad indicarlo al mondo vennero inviati; una luce furono a recare. Vennero dal fanciullo (dove) stava con la donna. Con il corpo si vedeva tra i lini. Il segno era: veniva la rettitudine in una casa nel mondo per il rifiuto del serpente per i lamenti che dai retti erano a venuti. Era d'aiuto nel tempo a venire il Servo, che indicato era stato dall'Unico, per bruciare il cattivo in casa per legge divina con la forza della rettitudine.

Genesi 30,27 - A portarsi fu l'Unigenito tra i viventi alla vista del serpente. Fu a recare in un cuore l'energia per patto con l'Unico. Dalla Madre che giù scelse, fu di nascosto un inviato a casa; alla vista era un angelo. Era (la casa) di un retto che la guidava a cui la scelta fu a recare. Furono benedetti dall'angelo. Sarà il Signore da (quella) casa - famiglia a rivelarsi nel cammino.

Genesi 30,28 - A portarsi fu l'Unigenito in vita tra i canti che si riversarono sulla casa. Uscì alla luce l'agnello retto dell'Altissimo e venne un angelo nel mondo.

Genesi 30,29 - E fu dell'Unico a vivere in un corpo la divina esistenza, a recare venne una forza per aiutare nel tempo. Venne da una donna nel corpo per servire tutti. La forza della rettitudine a portare venne l'Unigenito per liberare chi sta al mondo nella putredine, (ma) dall'angelo afflitto, in croce sarà.

Genesi 30,30 - La rettitudine era in seno al cuore dell'Unigenito che n'accese in un corpo l'esistenza. In cammino dal serpente in persona fu a portarsi. Fu a crescere in potenza nel corpo in (quella) casa che era stata benedetta. Fu una calamità a venire con la rettitudine al serpente in un corpo. (Poi) a rivelarsi fu, portando per un tempo apertamente agli uomini; che era per l'Unico che agiva illuminò il mondo. In cammino i viventi incontrava. Della rettitudine che gli stava nel cuore la forza ad indicare era.

Genesi 30,31 - A portare è l'Unigenito dai viventi il verme ad uscire che venne per l'angelo (ribelle che) in cammino si portò. (Ciò) fu l'inizio dell'amarezza nelle esistenze (in quanto) agisce rovesciando la distruzione. Alla fine un drago potente sta nei viventi (in quanto) desidera vivere nel mondo. L'Unigenito, da uomo, all'opera dal serpente fu al mondo. Con la parola uscì Questi per iniziare il convertire. Usci a pascolare un gregge con rettitudine che l'Unigenito custodiva.

Genesi 30,32 - L'Unigenito tra gli Ebrei abitava. A tutti si abbassava a incontrare. A chi si perdeva d'animo era a riportare la vita. Uscivano dalla ribellione, salvava dalle piaghe del serpente illuminandoli, rientravano puri gli esseri impuri nel cuore. Accompagnava chi desiderava la rettitudine. Una potente luce entrava nelle assemblee. Si portava da chi viveva nel pianto. La prigionia ove erano caduti per il serpente che li aveva portati alla malvagità rovesciava, aiutandoli. Dentro la forza era ai viventi a riportare nell'esistenza, ad Accendere la rettitudine nei corpi era.

Genesi 30,33 - E si vide apostoli scegliere che entrarono a casa a stare con (quel) giusto. Gli scelti che gli erano in casa erano stati portati da viventi che nelle midolla fiacchi erano; tutti dentro portò l'Unigenito a rialzarsi riaccendendo la rettitudine nei corpi. Era la potenza nelle persone a riesserci; così che tutti raddrizzò, annullando la figliolanza versata dall'essere impuro nei cuori. Con potenza portavano del Padre la forza; erano ai viventi a recare l'annuncio. A chi viveva nel pianto per la schiavitù di scudo erano loro, che dell'Unico indicavano l'esistenza.

Genesi 30,34 - Ed era l'Unigenito l'amarezza nei cuori per l'angelo (ribelle) entrata a finire. A recare era al mondo l'esistenza della rettitudine con una parola retta.

Genesi 30,35 - Ed era in giro. Le moltitudini di giorno in campo aperto a Lui venivano. Tutti era a illuminare. Erano i viventi a uscire dall'oppressione per l'aiuto. Era dai viventi a portare fuori dai cuori il serpente, che guai nella vita portava. Veniva in tutti a rientrare la forza. Era nei viventi a rientrare l'energia rovesciata dall'essere impuro che completamente portava a uscire dai cuori la potenza. Rivenivano tutti felici. Al Potente i figli a casa riconduceva e la rettitudine il vigore riportava ai viventi dentro. Agnelli era i viventi a portare, essendo finito l'angelo (ribelle) che dentro s'era insinuato, per l'energia che era a riportare.

Genesi 30,36 - Portato fu alla distruzione il corpo per la rettitudine. Nel terzo (giorno) dalla croce rifù tra i viventi. Fù da vivo a casa, (ove) stavano gli apostoli, a portarsi. E dentro furono gli apostoli che c'erano a rivederlo; (questi) abbattuti in casa si portavano, (in quanto) spazzato, seppellito l'avevano visto. Uscito, rivenne giù per incontrare in potenza a casa gli apostoli. Nel mondo l'angelo gli portò a crocifiggere il corpo in croce.

Genesi 30,37 - E fu rovesciato nella tomba dai potenti che gli portarono forte oppressione, (in quanto) dentro dei viventi con voce potente i cuori guidava. In prigione lo portarono i potenti e colpi gli portarono, per un astuto che si portava tra gli apostoli che fu a parlare nell'ombra di (quando) da casa usciva con gli (altri) apostoli. Parlò che su l'accompagnavano su un colle (Monte degli Ulivi). Dentro l'apostolo portò un segno. Viventi nascosti con luci qui guizzarono dentro. L'apostolo l'Unigenito illuminò. Ai cattivi dai potenti usciti con viva voce portò il segno.

Genesi 30,38 - E fu fermato. Venne con bastoni portato all'arsenale delle guardie. Alla luce (alba), indebolito, lo scesero da un potente per decidere. Per amore dell'esistenza dei viventi (era l'unica colpa!) con vergogna lo rovesciarono in croce e lo crocifissero in campo aperto. Fu tra i morti a entrare per l'angelo del mondo. Giù, per incontrare il serpente, per bruciarlo alla fine si portò, (ma) su un colle, ucciso, nella tomba entrò. Giù all'Unigenito l'angelo (ribelle) portò forte ira. Dell'angelo entrò in casa, dentro v'incontrò i potenti che l'innalzarono portandolo in croce.

Genesi 30,39 - Portato fu dalla prigione vivo ed in capo aperto innalzato. All'Unigenito, con energia il maledetto un asta gli portò in croce, e dal crocifisso per la potenza della mano l'energia uscì. Giù dall'Unigenito, l'energia per l'oppressione di (quella) mano dalla (parte) destra versò. L'aiuto fu ai viventi a recare dal cuore. A guizzare dall'Unigenito fu con l'acqua.

Genesi 30,40 - Ed uscì la rettitudine alla luce che dentro stava, con l'acqua uscì. Il frutto per aiutare nell'oppressione da dentro portò stando in croce. L'energia dalla persona fu a uscire. Scese dall'Unigenito l'energia della divinità. All'oppressione, in aiuto, portò della rettitudine il vigore, e ai viventi da dentro giù l'Unigenito inviò dal cuore l'energia; recò la forza per risorgere dalla croce che li accompagnerà per sempre. L'irrigazione ai viventi dal cuore per aiutarli recò. Ed il rifiuto accese dalla croce al male operare; giù l'Unigenito l'invio di cuore all'angelo (ribelle).

Genesi 30,41 - E nell'esistenza dentro in tutti concepirà nel mondo scendendo giù dall'Unigenito. L'energia entrando nella putredine a liberare porterà tutti recando la risurrezione in vita che a spazzare rovesciandosi dentro verrà la putredine del serpente. Portò sul colle una sorgente di forza nel mondo a scendere l'Unigenito. L'energia da dentro il corpo gli uscì dal cuore con la forza dell'acqua che a guizzare fu dal chiuso con la vita. L'energia uscì da dentro per un asta porta al crocifisso.

Genesi 30,42 - E da dentro uscì in azione dal cuore. Fu al soffio a uscire giù dall'Unigenito l'energia del Potente che agli uomini sarà la vita a riportare. Nell'esistenza entrò in azione dal cuore del Verbo la forza della vita. Guizzò nel cuore degli apostoli che al mondo la portarono a versare per liberare l'esistenza dei viventi che stanno nell'oppressione ad abitare.

Genesi 30,43 - E fu nel Verbo nel corpo giù a entrare dell'Unico la forza della risurrezione che la forza gli riportò. Fu entrare a ristare la potenza e si rialzò l'Unigenito. L'energia nel corpo dentro si riportò totale e risorse il Verbo. Dalla tomba si riporto con i segni. E il Servo rifù in vita. Si riportò in cammino tra i viventi. Il Potente fu con la Madre, si porta nelle assemblee di Maria.

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