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ALZATI, RIVESTITI DI LUCE

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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LUCE DEL MONDO »

LA CORONA DELL'ETERNITÀ
La prima coppia umana dei nostri progenitori, l'Adamo biblico aveva ricevuto dal Creatore il soffio del suo Spirito e il "midrash" dei primi capitoli del libro della Genesi (ossia il prodotto a forma di parabola di una ricerca "daresh" suggerita dal pensiero divino) riferisce che quei due parlavano "faccia a faccia" col Signore.
Dopo aver peccato Adamo aveva però perso il vestito che Dio gli aveva donato nel crearlo, come si deduce dai primi capitoli del Genesi della Torah e come ho evidenziato in "Il vestito di Dio".

Il Signore Dio, in quella occasione, infatti, chiamò l'uomo che rispose: "Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo ("e'irom" ), e mi sono nascosto. Riprese: Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?". (Genesi 3,9ss)

Adamo, solo dopo il peccato si sente "nudo"; se ne deduce che era svanito il suo vestito di luce.
Nudo è "e'irom" , mentre il serpente come precisa in Genesi 3,1 era "astuto" "a'rum" e i due termini sono molto vicini come lettere ebraiche.
Quell'astuto "a'rum" riferito al serpente nasconde che un nemico si porta ai viventi " e il risultato c'è stato, lo denuncia quel nudo di Adamo, "e'irom" infatti, "guai nel corpo del vivente ".

Dice l'Apocalisse:

  • Apocalisse 3,18 - "Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista."
  • Apocalisse 16,15 - "Beato chi è vigilante e custodisce le sue vesti per non andare nudo e lasciar vedere le sue vergogne."
I progenitori fecero come il figliol prodigo della parabola di Luca 15,11-32 che, pretesa l'autonomia, uscì dalla casa del Padre.
La tensione di Dio per la discendenza di Adamo, peraltro, è simile a quella del padre di quella parabola che attende il ritorno del figlio per integrarlo in famiglia e in tale racconto pure c'è un vestito che è segno di dignità: il padre, infatti, ordinò ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi." (Luca 15,22)

L'allontanamento dal Paradiso ci fu quando la prima coppia cadde nell'errore di non credere all'amore di Dio che l'aveva formata e, pur ancora inesperti nella scuola della vita vera, presero la decisione di disporre a proprio modo dell'esistenza, avendo mangiato dell'albero della conoscenza mescolando il male al bene, senza però ancora il discernimento per la scelta.
Tutte le Sacre Scritture con i fatti accaduti narrati nella Tenak o Bibbia ebraica sono poi testimonianza della storia di salvezza che il Signore Dio ha portato avanti per ogni uomo, storia che è proseguita con la "Buona Notizia" dei Vangeli e poi con le vicende storiche della Chiesa e del cristianesimo.
Il libro dell'Esodo e i successivi della Torah riferiscono che il Signore sancì una prima alleanza con i figli d'Israele, ma questi, come Adamo, inciamparono col grave peccato d'idolatria del "vitello d'oro", che di tutti i peccati d'Israele è considerato il peggiore, tanto che la sofferenza e l'esilio dei tempi successivi la tradizione ebraica e gli stessi rabbini li fanno risalire a tale errore. (Vedi: Voce "Vitello d'oro" nel Dizionario di usi e leggende ebraiche di Alan Unterman - Laterza 1994)

Il Signore Dio per intercessione di Mosè perdonò quel peccato e continuò a curare quel popolo in forza dell'alleanza solo da Lui rispettata, ma i cieli per il ritorno definitivo, purtroppo, restarono ancora chiusi.
Si sarebbero aperti solo al momento in cui Dio avrebbe mandato il Messia.

In occasione dell'episodio del vitello d'oro il Signore disse a Mosè: "...Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione" (Esodo 32,9s).

Quanto in grassetto sui testi della Tenak o Bibbia ebraica è "ecco un popolo dalla dura cervice (è) lui",



"hinneh a'm qesheh o'roef hu'"

ove "a'm" è popolo, "qesheh" è "duro - dura" e "o'roef" è "cervice".
Il versetto, in sintesi dice, questo popolo, "ecco" "hinneh", è in quel certo modo, vale a dire è di "dura cervice"; che significa tale espressione?

È da porre l'attenzione che "popolo" "a'm" è da distinguere da "goi" che è usato per definire un "popolo straniero, un gentile, un pagano".

Per capirne di più è da provare ad arricchire quelle parole con quanto si può dedurre dai significati grafici delle singole lettere dell'alfabeto ebraico indicati dalle schede sulla colonna a destra delle pagine di questo mio Sito, cliccando sui vari segni e nell'articolo "Parlano le lettere" ove vi sono anche le regole del metodo che porta alla decriptazione dei testi biblici capace di fornire dalle Sacre Scritture pagine di secondo livello riferite alla epopea messianica.
(In Appendice riporto la decriptazione di Isaia 60 che inizia con "Alzati, rivestiti di luce...")

Il proprio popolo è "a'm", è la nazione dove uno nasce, è il luogo ove "vede (gli altri essere) dei viventi ", altri come è se stesso per educazione e credo, ove "agisco vivendoci ", mentre un popolo straniero "goi", quello di un gentile o pagano è di qualcuno che si porta verso di noi o dove ci si reca uscendo dal proprio popolo, spesso in esilio, un popolo straniero, appunto "goi", ove "camminando ci si porta a stare " o "in cammino si portano a stare ".

Dio chiama "popolo" quelli fatti uscire dall'Egitto prima che abbiano una terra, perché Dio stesso è il loro unico bene, la loro terra e il loro cemento; insomma da parte di Dio il chiamarlo "popolo" "a'm" rivela il sentimento e l'intima e immutabile decisione che in quel popolo v'intende "agire da Vivente ".

Passiamo ora a "qesheh" le cui lettere sono il radicale di "essere difficile, duro, gravoso, ostinato, divenire acuto, persistere ostinatamente", come sono acuti e pertinaci per una donna i dolori del parto (Genesi 35,17).
Ivi la lettera "qof" pare un vaso che versa e per forma è una "resh" , ossia un corpo che si piega, una testa che vomita, v'è perciò insito il senso di piegarsi, ma non di spezzarsi e di rovesciare qualcosa, come si contorcono le donne quando perdono le acque nei dolori del parto, indi "qesheh" è "un piegarsi per il bruciore - fuoco che esce " e qesh è "paglia, stoppa, erba secca", che "si piega al fuoco ( iniziale di "shamoesh","sole" ).

Prova che c'è il concetto che si piega e non si spezza si trova nella parola "arco" "qoeshoet" che per la prima volta si trova in Genesi 9,13 "Il mio arco ("qashoetti") pongo sulle nubi ed esso sarà il segno dell'alleanza tra me e la terra" che molti interpretano come arcobaleno e da arco viene arciere "qesshat" che "rovescia brucianti segni ".

Abbiamo poi la parola "o'roef" "cervice o nuca" ove graficamente la lettera "pe" = è il profilo di una testa rappresentata dalla lettera "resh" con davanti disegnate le narici di un naso e/o l'apertura della bocca e con i significati grafici delle lettere si spiega in questo modo: "si vede la testa - corpo di chi parla ", cioè si è dietro di lui e se ne vede il corpo, quindi, la nuca, oppure, ancor peggio, questi ha girato le spalle in modo offensivo.
Accade, allora, che si può considerare come + , vale a dire questi diviene un nemico di chi parla, delle sue parole e del suo parlare .

Questa del resto è anche l'interpretazione di Rashi (Rabbi Shlomo Itzchaki 1040-1105) commentatore della Bibbia per cui l'espressione di dura cervice sta a significare che quegli volge la "parte dura" della cervice, la nuca, ossia volge le spalle a coloro che lo rimproverano, rifiutandosi di ascoltarli e del pari Ovadia Sforno (1475-1550) commentatore del significato letterale del testo biblico sostiene che "popolo di dura cervice" è metafora della caparbietà in riferimento a chi ha il collo rigido per girarsi che, quindi, se prende una via non si volgerà mai indietro; stessa interpretazione in "Ibn 'Ezrà".

Torniamo all'episodio del colloquio di Mosè col Signore dopo il peccato del vitello d'oro in cui s'accese l'ira del Signore; in tale occasione Mosè in Esodo 32,11-13 espose quattro pensieri per cercare di placarne l'ira:
  • il popolo non era di Mosè, ma del Signore e se quella gente fosse scomparsa la perdita non sarebbe stata per Mosè, ma per il Signore stesso;
  • liberandoli dalla schiavitù d'Egitto erano diventati una bandiera per il mondo che indicava che IHWH era potente e sovrano ancor più del faraone;
  • perché allora rinunciare e far vincere il faraone?
  • ricorda i meriti dei patriarchi e il giuramento che il Signore aveva fatto loro.
Ecco, allora, che il versetto Esodo 32,14 fa conoscere l'esito ottenuto, "Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo", ossia revocò il male con cui intendeva affliggere il Suo popolo.

Il testo poi racconta di come Mosè scende dal monte, distrugge le tavole della testimonianza che Dio aveva scritto col proprio dito e punisce a proprio modo il popolo con una punizione dura che si conclude anche con l'uccisione di 3.000 uomini da parte di Leviti (Esodo 32,28).
Mosè poi se tornò sul monte per altri quaranta giorni e quaranta notti.

Questo dire da parte del Signore di "un popolo dalla dura cervice", in effetti, nel libro dell'Esodo si ripete per altre tre volte; vediamo come.
Nel successivo brano Esodo 33,1-6 tale appellativo appare due volte.
Il Signore qui si manifesta già acquietato in una qual certa misura dalle preghiere e dall'agire riparatorio condotto da Mosè e per la prima volta dopo il peccato del vitello d'oro tramite lo stesso Mosè riparla al popolo che chiama per nome e non come precedentemente aveva detto "il popolo" o "il tuo popolo", ma li definisce come gli Israeliti e nel testo ebraico i "figli d'Israele".

La risposta del Signore a Mosè fu la seguente: "Su, sali di qui tu e il popolo che hai fatto uscire dalla terra d'Egitto, verso la terra che ho promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, dicendo: La darò alla tua discendenza. Manderò davanti a te un angelo e scaccerò il Cananeo, l'Amorreo, l'Ittita, il Perizzita, l'Eveo e il Gebuseo. Va' pure verso la terra dove scorrono latte e miele. Ma io non verrò in mezzo a te, per non doverti sterminare lungo il cammino, perché tu sei un popolo di dura cervice. Il popolo udì questa triste notizia e tutti fecero lutto: nessuno più indossò i suoi ornamenti. Il Signore disse a Mosè: Riferisci agli Israeliti: Voi siete un popolo di dura cervice; se per un momento io venissi in mezzo a te, io ti sterminerei. Ora togliti i tuoi ornamenti, così saprò che cosa dovrò farti. Gli Israeliti si spogliarono dei loro ornamenti dal monte Oreb in poi." (Esodo 33,1-6)

Come si comprende da tale testo nel Signore ci sono ancora delle remore, infatti, con polemica dice a Mosè di salire con il popolo che "che hai fatto uscire dalla terra d'Egitto" al paese ove scorre latte e miele che ha giurato ad Abramo, Isacco e Giacobbe, di darlo alla loro posterità, che manderà davanti a se un angelo e caccerà i popoli che vi abitano, ma non li accompagnerà direttamente, perché è un popolo di dura cervice e lo potrebbe distruggere per via.

C'è in questo brano tutta una questione sugli "ornamenti", ricordati 3 volte, come ho evidenziato in rosso, chiamati dal testo "oe'diu" ai versetti 4 e 5 ed "e'deiam" nel 6, termini che possono essere tradotti anche "con gioielli", "monili" o "abiti di gala", ma la tradizione o "qabalah" e il "Talmud" preferiscono considerarli come "corona - corone". (Targum Yonatan e Rashi, - Shabbat 88°)

Dopo l'enunciazione in Esodo 20 delle dieci parole, in Esodo 24,1-10 al momento dell'alleanza accadde però che Mosè e una parte scelta del popolo videro il Signore e rimasero in vita, infatti: "Il Signore disse a Mosè: Sali verso il Signore tu e Aronne, Nadab e Abiu e settanta anziani d'Israele; voi vi prostrerete da lontano, solo Mosè si avvicinerà al Signore... Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme... Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d'Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l'altra metà sull'altare. Quindi prese il libro dell'alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto. Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole! Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani d'Israele. Essi videro il Dio d'Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffìro, limpido come il cielo. Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la mano: essi videro Dio e poi mangiarono e bevvero."

Il discorso degli ornamenti di Israele è da riferire a questo momento e proprio a quel dire "lo eseguiremo e vi presteremo ascolto".
In tale occasione, in effetti, ci fu un'irruzione di vita eterna sull'umanità, in quanto, una parte di questa poté vedere Dio e restare in vita, ma poi in Esodo 33,21 Dio stesso dirà a Mosè sull'Oreb "...Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo".

In quel dire da parte del popolo "eseguiremo e vi presteremo ascolto" c'è una tensione particolare; nel testo è "na'shoe venishema'" che Rashi interpreta come "eseguiremo e obbediremo".

In "nishema'" , infatti, c'è il radicale che nella liturgia ebraica e nelle preghiere individuali (assieme al Kaddish) è la più recitata ed è formata da vari brani ed inizia con "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze..." (Deuteronomio 6,4-9; 11,13-21 e Numeri 15,37-41)

"Shema' Israel IHWH 'Oelohenu IHWH 'oechad..."

Nella Tenak quel versetto è scritto come qui di seguito con quelle due lettere ingrande che paiono proprio ricordare l'eternità "e'd" cui aspira chi desidera assolvere quel comandamento.



Vi si trova citato 3 volte il Santo Nome, di cui due come IHWH oTetragramma sacro, unito a "'Oelohenu" "Dio Nostro" .
Ora, per la tradizione giudaica il Tetragramma IHWH, che gli ebrei leggono con "Signore" o "Eterno" o 'Adonai", indica la "Middath ha-rachamim", ossia la qualità divina della misericordia, mentre "'Oelohenu" riguarda la "Middath ha-din", ossia la giustizia divina e quelle della Giustizia e Misericordia sono le due qualità ritenute principali della maestà divina.

Con "'Oelohenu" "Dio Nostro" è quello che la Genesi presenta quale "'Elohim " , vale a dire Dio "'El " con tutta la sua corte angelica, "gli usciti da Lui che sono viventi ", i suoi ministri, vale a dire l'assemblea del concilio della corona in cui presente c'è ovviamente anche la giustizia e dal libro di Giobbe s'evince come se la funzione d'avvocato d'accusa fosse delegata a Satana (ivi nominato 15 volte in 1,6.7*.8.9.12* e 2,1.2*.3.4.6.7.13 negli * 2 volte).

Che nella preghiera dello "Shema'" si trova due volte il nome IHWH che sottende l'idea della misericordia e una sola volta "'Oelohenu" che ricorda la giustizia, aggiunge un perché anche sotto l'aspetto numerico al motivo per cui è detto che "la misericordia ha sempre la meglio nel giudizio". (Giacomo 2,13)

Mosè nella sua supplica successiva al peccato del vitello d'oro chiese a Dio di tornare sulla propria decisione e di camminare col popolo dicendo: "Vedi, tu mi ordini: Fa' salire questo popolo, ma non mi hai indicato chi manderai con me Rispose: Il mio volto camminerà con voi e ti darò riposo. Riprese: Se il tuo volto non camminerà con noi, non farci salire di qui. Come si saprà dunque che ho trovato grazia ai tuoi occhi, io e il tuo popolo, se non nel fatto che tu cammini con noi? Così saremo distinti, io e il tuo popolo, da tutti i popoli che sono sulla faccia della terra." (Esodo 33,12-16)

In pratica la richiesta fu che quel "Dio nostro" "'Oelohenu", come dicono le lettere fosse veramente a spezzarsi, vi fosse comunione totale con compartecipazione della storia e "Dio nel mondo abiti ()", insomma che la Giustizia si piegasse alla Misericordia.

La risposta del Signore sull'Oreb fu positiva, infatti, "Disse il Signore a Mosè: Anche quanto hai detto io farò, perché hai trovato grazia ai miei occhi e ti ho conosciuto per nome." (Esodo 33,17), ma c'era da risolvere ancora un ma!

Dio pare che voglia aderire, ma poi dirà a Mosè "...vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere" (Esodo 33,23) e questo dire rende noto che è ancora in atto una punizione, perché il popolo è di dura cervice .

In pratica dice Dio, il popolo mi ha voltato le spalle e, allora, anche di me non si potrà vedere altro che le spalle, come dirà il profeta Zaccaria: "Ma essi hanno rifiutato di ascoltarmi, mi hanno voltato le spalle, hanno indurito gli orecchi per non sentire. Indurirono il cuore come un diamante per non udire la legge e le parole che il Signore degli eserciti rivolgeva loro mediante il suo spirito, per mezzo dei profeti del passato. Così si accese un grande sdegno da parte del Signore degli eserciti. " (Zaccaria 7,11s)

In Esodo 33,17 Dio, in effetti, come ho evidenziato in grassetto, ha usato il futuro, "io farò"; si tratta perciò di una profezia che si compirà almeno dopo 1000 anni, dopo dato che "...davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo." (2Pietro 3,8)

Lì il Signore ammette d'avere un volto e non va interpretato come discorso allegorico antropomorfico, ma che proprio Lui stesso si presenterà proprio con un volto che assumerà con l'incarnazione, quello del Messia.

Di fatto, quella , di "Dio nostro" "'Oelohenu" tra Dio e noi della preghiera dello Shema', deve dilatarsi fina a diventare "Dio con noi" l'Emmanuale, "I'mmanu 'El" "col popolo abiterà () Dio " quello poi profetizzato da Isaia in 7,14 "...il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele", profezia che si avvera XII secoli dopo con Gesù Cristo.

Il nome Emmanuale, "I'mmanu 'El" è profetico anche dell'agire del Messia in quanto "opererà in un vivente per il rifiuto (per esautorare) il serpente (antico)", Lui è il volto = del Padre cui voltarono le spalle essendo di dura cervice.

Gesù, infatti, dirà "Chi ha visto me, ha visto il Padre." (Giovanni 14,9)

Tornando a "eseguiremo e vi presteremo ascolto" per le regole della "gematria", che se usata come criterio ebraico per l'analisi dei testi afferma che parole e/o frasi con valore numerico identico sono in qualche modo tra loro correlate, sostituendo a quelle lettere i relativi numerali, si ottiene:


Valore pari a "uscita dall'Egitto" "yetziat mitzrayim", infatti:


C'è, in definitiva, una certa equivalenza tra l'accettare l'alleanza col Signore, di cui la Torah è l'atto "notarile", e l'uscire dalla schiavitù d'Egitto.
Shabbat 88°-b del Talmud dice che quando Dio sentì "eseguiremo e obbediremo" esclamò: Chi ha rivelato ai miei figli questo segreto, il segreto che usano per sé gli angeli i quali sono "coraggiosi esecutori dei Suoi ordini, ubbidienti alla voce della Sua parola? (Tehillim 103,20).

Poi, come accennavo, Targum Yonatan e Rashi, basati sul Talmud - Shabbat 88a sostengono che quando i figli d'Israele dissero "faremo e obbediremo" seicentomila angeli scesero e deposero sul capo di ciascun figlio d'Israele due corone "oe'diu" dello splendore divino, una per faremo e una per obbediremo, ma al peccato del vitello d'oro le tolsero loro.
Le due corone sarebbero lo studio della Torah e l'osservanza delle "mitzvot".

Il testo Esodo 33,4 dice "Il popolo udì questa triste notizia e tutti fecero lutto: nessuno più indossò i suoi ornamenti", ossia gli Israeliti volontariamente si spogliarono di una sola delle due corone, quella della "mitzvot" profanate col peccato, ma intendevano tenere ancora quella della Torah per studiarla, ma il Signore, sostengono i rabbini, non approvò e tolse gli ornamenti, al plurale, come risulta col dire "Ora togliti i tuoi ornamenti, così saprò che cosa dovrò farti" (Esodo 33,5); lo studio della Torah, com'è scritto in Tehillim 50.16, non ha valore, infatti, al malvagio Dio dice: Chi sei tu per parlare dei Miei statuti?

Da'at Mikrà suggerisce che Mosè disse "Vi siete tolti le corone per lutto, tuttavia non indossatele di nuovo. Il vero gioiello d'Israele e la presenza divina e quando questa è assente non indossare nessun altro gioiello."

In questo modo spiegano perché da quel testo pare che gli Israeliti si spogliarono due volte, infatti, ripete gli "Gli Israeliti si spogliarono dei loro ornamenti dal monte Oreb in poi." (Esodo 33,6)

Quest'ultimo versetto nei testi della Tenak si trova così tradotto: "I figli d'Israele di spogliarono degli ornamenti (ricevuti) sul monte Oreb."

Ora quegli ornamenti "oe'diu" o "e'deiam" contengono le lettere del bi-letterale "e'd" che in ebraico sono usate per ricordare il concetto di "eternità", onde ne discendono i pensieri:
  • "oe'diu" "nell'eternità saremo condotti ";
  • "e'deiam" "per l'eternità saremo a vivere ".
Erano queste le attese del popolo per l'alleanza col Signore quando ai suoi potenziali comandi avevano subito risposto "lo eseguiremo e vi presteremo ascolto" e tale, invero, era il risultato che il Signore intendeva concedere; era in gioco la vittoria sulla morte, in Esodo 24,9s solo intravista dagli anziani d'Israele come fulgore di un'alba, avendo scorto il Signore senza morire subito dopo.
Tale fatto indirettamente è prova che sull'Oreb il popolo era stato rivestito di quelle corone d'eternità che poi persero col peccato d'apostasia.

Rashi nel Talmud in Shemot Rabba 42.3 cerca di salvare i figli d'Israele dando la colpa di quel peccato solo alla massa di gente promiscua che s'era aggregata, ma l'accusa del Signore era stata chiara e concisa, non qualcuno, ma tutto il popolo era caduto in quel peccato, ivi compresi i meglio, Aronne e i Leviti che poi fecero i puritani, ma che avevano lasciato che il popolo si "sfrenasse": "Mosè vide che il popolo non aveva più freno, perché Aronne gli aveva tolto ogni freno, così da farne il ludibrio dei loro avversari." (Esodo 32,25)
Il Signore, infatti, in tale occasione non aveva fatto distinzioni e aveva detto a Mosè: "Va', scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d'Egitto, si è pervertito" e poi "è un popolo dalla dura cervice." (Esodo 32,7.9)

Solo Mosè che era sul monte a colloquio con IHWH non era colpevole, prova n'è che subito dopo al versetto 10 Dio gli disse: "Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione."
Mosè allora mostrò le doti di leader e supplicò il Signore in favore di tutti, quelle corone però, pur con il perdono concesso, restano in sospeso fino a quando il Messia porterà come dono per tutti la risurrezione.

Parla il Salmo 61,10 dell'aspirazione di ciascuno del popolo di Dio d'essere riconosciuto come una sposa fedele al patto per essere da Lui sopravvestiti.
Queste sono le parole che usa quel Salmo: "Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli" e Dio che vede nei cuori, sa evidentemente premiare certamente ogni suo fedele.

I cristiani credono nella venuta nella carne del Signore che morendo in croce ha perdonato i peccati di ciascuno e con la sua risurrezione ha aperto i cieli e offre con la sua Chiesa in terra il vestito per entrarvi, come dice San Paolo, e questo abito è la caparra dello Spirito Santo che viene dall'intima adesione al "Kerigma".

Proprio di quella veste, infatti, evidentemente parla San Paolo, veste necessaria per entrare nella dimora eterna nei cieli, quando dice: "...noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. E chi ci ha fatti proprio per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito." (2Corinzi 5,2-5)

L'Ebraismo, appunto, si basa sugli scritti della Tenak che prevede il Giudizio Finale da parte di Dio dopo la risurrezione degli uomini d'ogni tempo e dopo il premio della vita eterna in cielo o la punizione nel fuoco eterno.
(Vedi: il paragrafo "La vita oltre la morte nell'ebraismo" dell'articolo "Dallo She'ol, inferi o Ade, al regno dei risorti")

Alla morte, secondo l'Ebraismo, l'anima lascia il corpo e raggiunge le altre anime che riposano nello "Sheol" (o "gehinnom" da cui Geenna), ove soggiornano i defunti, luogo indeterminato che nella versione greca dell'Antico Testamento dei Settanta è tradotto con Ade, "infernus" in latino e inferi in italiano.

Ai margini dello "Sheol" o regno dei morti, ma pur sempre negli inferi, c'è quello che è definito "il seno di Abramo" ove le anime dei "giusti" o di quanti saranno giustificati attendono il Messia per essere liberate e portate in paradiso come del resto propone la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro in Luca 16,22s quando "il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui."

Con il sacrificio della croce di Gesù, ossia per i meriti del Messia, i cieli sono stati ormai aperti e sono stati istaurati gli ultimi tempi quelli del giudizio finale, infatti: "Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti " (Matteo 27,51-53)

Il regno dei cieli è stato inaugurato il giorno stesso della morte in croce, infatti, disse al ladrone "In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso." (Luca 23,43) e poi si squarciò il velario del Tempio.

Pur se ebraismo e cristianesimo attendono il giudizio alla fine dei tempi e gli ebrei anche la venuta del Messia mentre i cristiani il ritorno nella gloria del Risorto, la differenza dell'attesa dei due nel frattempo è sostanziale.
Per l'ebraismo i cieli sono ancora chiusi, mentre per il cristianesimo i cieli sono aperti e vi sono confluiti con il Risorto i giusti che attendevano nello Sheol e vi sono accolti non solo i Santi e martiri riconosciuti dalla Chiesa, ma anche i santi incogniti, i fedeli di Cristo, perché ha detto: "In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita." (Giovanni 5,24)

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