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VANGELI E PROTOVANGELI...

 
LA VITE VERA

di Alessandro Conti Puorger
 
 

ANTICO EGITTO - VINO, DONO DIVINO
Inizio il presente articolo con l'interessarmi un poco della storia del vino per avvicinarmi con un bagaglio di nozioni al tema relativo a "La vite vera" che ha per motore la famosa parabola del Vangelo di Giovanni in quanto questa attinge alla cultura vinicola che c'era in terra di Canaan formatasi con gli apporti delle civiltà vicine.
La vite, peraltro, è una delle più antiche piante della terra.
La coltivazione della vite per la produzione di uva da tavola e per la vinificazione ha avuto inizio nel Neolitico prima della fine della preistoria.
L'Asia meridionale pare proprio essere stata il suo luogo d'origine.
La Bibbia conferma il fatto, perché nel libro della Genesi si parla di una prima vigna piantata dopo il diluvio in Armenia da Noè alle falde del monte Ararat.
Scritture sumeriche risalenti alla prima metà del III millennio a.C. attestano che la vite già allora era coltivata per produrre vino.
Il nome della vite porta a pensare al dono della vita; infatti, sin dall'antichità furono riconosciuti i poteri vitali di questa pianta.


La pianta si diffuse solo nel continente euro-asiatico, forse, quindi, dopo la deriva dei continenti e solo nei tempi storici si è estesa in Europa da cui fu portata in America nel 1541 da un frate spagnolo Francisco de Carabantes, indi dai Padri Bianchi fu poi introdotta in Africa alla fine del XIX secolo e nel XX emigranti la portarono in Australia.
La parola vino, in francese vin, in inglese "wine", in tedesco "wein", in spagnolo "vino", discende dal latino "vinum", che a sua volta ha origine nel greco "oinos", "".
La teoria più diffusa è che "vino" derivi dal termine sanscrito vena, formato dalla radice "ven", che significa "amare", la stessa radice di "Venus", Venere, oppure dall'ebraico "iin" che attraverso i fenici sarebbe arrivato ai greci come "oinos" e poi ai latini, mentre altri propongono una radice sanscrita "vi" per attorcigliarsi in quanto il vino sarebbe il prodotto finale ottenuto dai frutti di una pianta che si attorciglia. (Cicerone ritiene "vinum" derivato da "vir" "uomo" e "vis" "forza")
Per Greci il dio del vino era Dioniso "", che nella sua possessione estatica era chiamato Bacco, "", il "Bacchus" della religione romana.
Per gli Egizi vigna, uva e vino erano importanti in ambito religioso.
Nella loro iconografia il vino è bevanda del faraone defunto glorificato segno che ha raggiunto la destinazione celeste.
I Testi delle Piramidi, infatti, affermano che i re defunti si nutrono con "fichi e vino che sono nella vigna del dio" e il vino è presente nelle liste di offerte sulle pareti delle tombe e sulle steli funerarie di defunti.
Gli stessi Testi hanno tramandato anche formule che attestano la ritenuta origine divina della bevanda ottenuta dall'uva e la collegano a varie divinità:
  • "...la mia acqua è vino come quello di Ra..."
  • "Il cielo è gravido di vino, Nut ha generato sua figlia l'alba-luce" ove associa il vino al sangue del parto.
  • "Osiri, prendi per te l'occhio di Horus strappato a Seth e metti alla tua bocca (quello) con il quale ti sei aperto la bocca: vino in una giara di pietra bianca."
Il colore rosso del vino evoca il sangue che da la vita e quando è offerta birra al posto del vino questa viene colorata in rosso, perché è sul colore rosso che si fonda l'efficacia del rito.
Osiri, il dio dei morti, è indicato come il signore del vino in testi che vanno dall'epoca delle piramidi fino al tardo periodo greco-romano.
Il vino è associato per il suo colore al sangue e all'acqua vivificante piena d'energia dell'inondazione del Nilo ed entrambi, il vino e l'inondazione, sono simboli della morte e della resurrezione di Osiri.
Per comprenderne un poco di più occorre risalire alla cosmogonia egizia per cui agli inizi della creazione c'era solo un mare d'energia, impersonato dal dio NuN, poi apparve una collinetta primordiale da cui venne tutto ciò che esiste.
In qualche modo, purificata, da scorie politeiste, una situazione del genere si ritrova in Genesi 1,2: "La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque."



Geroglifico del dio Nun

In egiziano antico il plurale... molteplice... era indicato da tre elementi come i tre puntini... del nostro eccetera, quindi, come si può costatare dal geroglifico, questo NuN aveva in sé tutte le energie possibili, infatti, tre orci di tre energie, su un tavolino che indica la sfera elevata, la "Celeste", per distinguerla dalla realtà terrena.
Per il popolo Egizio, la cui vita era dono dell'inondazione annuale del Nilo, che depositava il fertile limo nerastro come sangue pesto, tutto pareva loro nascere dalle acque che però erano speciali, appunto orci di energia.
L'energia primordiale si evolse fino a formare il cielo rappresentato dalla volta celeste con le stelle, la dea Nut e la terra, il dio Geb.



La dea Nut

Dalla loro unione nacquero quattro figli Osiride, Iside, Seth e Nefti.



Geroglifico della dea NuT

Il geroglifico della dea NUT madre di Osiride è come un tavolino che rappresenta la volta celeste su cui c'è un orcio NU e un pane T .
L'orcio NU evidentemente è pieno dell'energia divina N, come un'acqua non materializzata, che è essenza del primo di tutti, il NUN.
(Vedi: "La creazione per gli Egizi")

Vediamo ora un geroglifico egizio determinativo di vigna.


Anche qui vi sono i tre orci sollevati da terra, i grappoli, come se la vigna fosse immagine proprio della dea celeste NUT e negli orci vi fossero le stesse energie di NUT e di NUN.
Quei geroglifici propongono un orcio di vino, un pane e una tavola imbandita il che prova che pane e vino dagli egizi erano interpretati come doni celesti degli dei agli uomini con frutti che nascono dalla terra, uva e chicchi di cereali trasformati dall'intelletto umano che pure è dono divino del dio Toth.
Questa idea è rimasta nell'ebraismo che dice di se d'essere uscito dall'Egitto:
  • con la parola vino "iin" in cui è forte energia o c'è dell'Essere l'energia .
  • con Abramo in Genesi 14,17-20 benedetto da "Melchisedek", re di Salem, ossia di Pace, sacerdote del Dio Altissimo, che gli offrì pane e vino.
Che hanno il pane e il vino in comune?
Il fenomeno della fermentazione.
La fermentazione produce una prodigiosa trasformazione.
In particolare quella dell'uva in vino ricorda le capacità alchemiche capaci di dar luogo secondo gli Egizi alla risurrezione, se si tratta nel modo giusto i corpi come facevano in special modo sul corpo dei faraoni.
In particolare il vino lo considerarono un apporto divino da parte di Osiride, insomma un vero e proprio nettare degli dei.

Secondo Diodoro Siculo del I secolo a.C. fu Osiride a scoprire nei pressi di Nisa la vite e fu "il primo a bere il vino, dopo aver inventato il trattamento specifico richiesto dal frutto della vite; insegnò poi a tutti gli altri uomini la coltivazione della vite, l'uso del vino, l'arte della vendemmia e della conservazione", come pure tutti i segreti dell'agricoltura.
Apparve chiaro che il vino con l'invecchiamento migliorava, mentre il pane non durava, quindi il pane veniva a rappresentare la vita terrena e il vino la celeste, ma entrambe erano in potere del cielo.
La parola egizia che identificava il vino era "irep" IRP ed è presente già durante la II Dinastia (3000 a.C.).

Il geroglifico IRP del vino IRP = vino comprende per la I il loto fioriti, per la R la pietra e per la P la bocca col determinativo con l'orcio di energia, mentre "vite" si diceva "i'areret" con quel determinativo di vigna che abbiamo visto.
Bevanda di tutti era la birra, mentre bevanda di pochi - faraoni, sacerdoti e funzionari - era il vino; infatti, si dice che anche il più comune costasse cinque volte più della birra ed era prodotto soprattutto da vigne reali.
Verso il 1000 a.C. le viti in portate in Grecia e in Italia, forse attraverso i Fenici, fecero spostare l'uso della bevanda alcolica del vino alle masse.
I vini migliori provenivano dalle terre di Tiro e Sarepta, dalla Palestina, dalla Siria e da altre zone dell'Asia Minore onde cominciarono a giungere anche i vini dalla terra promessa, di Engad, Sorek, Elealeh e Eshbon.
La coltivazione preferita secondo l'iconografia era a pergolato e preferibilmente il vino era rosso e il pergolato era a volta com'era immaginata la dea Nut.



Scene di raccolta e conservazione dell'uva
da una tomba di Tebe (1500 a.C.)

La testimonianza più antica è di alcuni semi di "vitis vinifera" del periodo detto Naqada III (2900 a.C.) conservati nel Museo dell'Orto Botanico di Berlino.
I Testi delle Piramidi citano il "vino del nord", "irep mehu", ossia del Delta, ma anche lungo le sponde fertili del Nilo c'era un'importante produzione vinicola.
Sigilli dei tappi di giare trovati ad Abido hanno iscrizioni da cui ad esempio si sa che il re Den - I dinastia - chiamava la sua vigna "Il recinto del corpo di Horus", quella del re Khasekhemui -II dinastia- era detta "Lodate siano le anime di Horus" e quella del re Djoser - della III - "Lodato sia Horus che presiede al cielo", onde la vigna alludeva ai giardini di Aru o dei Giunchi ove i risorti stavano con gli dei.
Quel termine "irep" si trova impiegato, dall'Antico Regno, nelle liste delle offerte, sulle giare, nei Testi delle Piramidi.
Ogni tomba ospitava vasi per il vino che assunse la valenza di bevanda sacra.
L'Egitto produceva vini rossi, bianchi, dolci e anche vini mescolati come si deduce dalle etichette delle giare trovate nel palazzo di Malkata, XVIII Dinastia.
Queste etichette riportavano l'anno di produzione, la qualità, il tipo di prodotto, l'origine geografica, il nome e il titolo del vignaiolo.
Giare vinarie sono state ritrovate anche ad Amarna, l'antica capitale di "Akhenaton" su cui talvolta è specificata anche la qualità del vino come buono ("nefer"), più che buono ("nefer","nefer") ottimo ("nefer","nefer","nefer") una specie del nostro "est, est, est".



Sigilli di giara da el-Amarna

12, 13 - irp nfr nfr n pr itn, ossia, Vino buono buono della Casa dell'Aten;
14, 15, 16, 17, 18 - irp n pr itn, ossia, Vino della Casa dell'Aten;
19 - irp n pr sHt-itn, ossia, Vino della Casa del Pacificare-l'Aten.

Ove irp è vino, nfr è buono, pr è farò quindi faraone e itn è Aten.

Il grano è vita per gli egiziani tanto che nel dialetto egiziano per indicare il pane non si usa la parola araba "khobz", ma "aish", vita.
Ecco che il pane ammuffito da idea della morte e tale pensiero pare essere stato assunto nell'ebraismo con la decisione d'eliminare tutto il pane fermentato per la Pasqua, che viene con la prima luna piena di primavera e usare l'azimo di più lunga durata di conservazione e bere vino nella festa.
Il racconto dei sogni del coppiere e del panettiere del faraone, interpretati da Giuseppe in Genesi 40,5-22, fa intuire l'importanza di quelle funzioni per i faraoni e come il vino ricordasse la vita e il pane la morte.
Questo, di fatto, fu l'esito, dopo tre giorni, per il capo dei coppieri e per il capo dei panettieri come aveva rivelato Giuseppe e come di fatto avvenne, il coppiere fu reintegrato, ma il panettiere fu impiccato.
Del resto le parole ebraiche per coppieri "mesheqim" e panettieri "'ofoeim" contengono già la sentenza, infatti, nella prima c'è anche il concetto di salvare con () e nella seconda di ira "'af" ove = .
Del resto Israele è una vite egiziana sradicata e portata in Canaan, come attesta il Salmo 80,9: "Hai sradicato una vite dall'Egitto"!

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