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ENTRA NELLA TUA CAMERA »
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IL PADRE NELLA FEDE DI GESÙ »
GESÙ RICAPITOLA IN SÉ TUTTI I MISTERI
Il parlare di Dio da parte dell'uomo se non attinge a rivelazione certa è solo un vaneggiamento e porta a false convinzioni pur se si chi lo fa parte con buone intenzioni.
Nulla di cui possiamo dire di Lui è sicuro, pur se tanti ne parlano e ne hanno parlato; infatti, solo se Dio si è inchinato verso l'uomo per farsi conoscere si può asserire qualcosa di vero su di Lui.
Al riguardo, il cristiano è particolarmente scettico, in quanto, conosce bene quanto propone il Vangelo di Giovanni che in 1,18 esordisce con:
"Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato."
La 1a lettera di Giovanni 1,1-3 poi proclama: "Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò, noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi - quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo."
Con Gesù, per i suoi eletti, tutto viene alla luce.
Ai suoi discepoli Gesù parla apertamente ma alle folle che lo seguivano ancora senza piena determinazione: "parlava in parabole, perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo." (Matteo 13,34-35)
Ai suoi discepoli, ai piccoli che credono in Lui, parla apertamente, infatti, dice:
- Matteo 10,26s (Marco 4,22; Luca 8,17; 12,2s): - "non v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti".
- Matteo 11,25 (Luca 10,21): "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli."
- Giovanni 18,20 - Al sommo sacerdote che lo interrogava riguardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina Gesù rispose: "Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto."
Ciò che i suoi discepoli hanno compreso è ora predicato, ma è scandalo dei Giudei e stoltezza per i pagani e per i sapienti di questo mondo.
Viene perciò predicato: "Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini." (1Corinzi 1,23-25)
Il mistero di un Dio disposto a farsi uomo e a farsi crocifiggere per arrivare al loro cuore è rimasto nascosto agli uomini di tutti i tempi in cui c'è l'idolatria della forza e della potenza con l'istinto atavico a primeggiare per cui guardando a se stessi risulta impossibile un comportamento del genere.
Il mistero è quello "della sapienza di Dio... che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo l'ha conosciuta; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria." (1Corinzi 2,7-8)
Erano nascoste le "imperscrutabili ricchezze di Cristo", ed era necessario "far risplendere agli occhi di tutti qual è l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell'universo, perché sia manifestata ora nel cielo, per mezzo della Chiesa, ai Principati e alle Potestà la multiforme sapienza di Dio, secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore." (Efesini 3,8-11)
Ciò detto la seguente Lettera 28 a Flaviano di san Leone Magno, papa fornisce una sintesi sul mistero delle due nature di Cristo Gesù: «Dalla Maestà divina fu assunta l'umiltà della nostra natura, dalla forza la debolezza, da colui che è eterno, la nostra mortalità; e per pagare il debito che gravava sulla nostra condizione, la natura impassibile fu unita alla nostra natura passibile. Tutto questo avvenne perché, come era conveniente per la nostra salvezza, il solo e unico mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, immune dalla morte per un verso, fosse, per l'altro, ad essa soggetto. Vera integra e perfetta fu la natura nella quale è nato da Dio, ma nel medesimo tempo vera e perfetta la natura divina nella quale rimane immutabilmente. In lui c'è tutto della sua divinità e tutto della nostra umanità. Per nostra natura intendiamo quella creata da Dio al principio e assunta, per essere redenta, dal Verbo. Nessuna traccia invece vi fu nel Salvatore di quelle malvagità che il seduttore portò nel mondo e che furono accolte dall'uomo sedotto. Volle addossarsi certo la nostra debolezza, ma non essere partecipe delle nostre colpe. Assunse la condizione di schiavo, ma senza la contaminazione del peccato. Sublimò l'umanità, ma non sminuì la divinità. Il suo annientamento rese visibile l'invisibile e mortale il creatore e il Signore di tutte le cose. Ma il suo fu piuttosto un abbassarsi misericordioso verso la nostra miseria, che una perdita della sua potestà e del suo dominio. Fu creatore dell'uomo nella condizione divina e uomo nella condizione di schiavo. Questo fu l'unico e medesimo Salvatore. Il Figlio di Dio fa dunque il suo ingresso in mezzo alle miserie di questo mondo, scendendo dal suo trono celeste, senza lasciare la gloria del Padre. Entra in una condizione nuova, nasce in un modo nuovo. Entra in una condizione nuova: infatti invisibile in se stesso si rende visibile nella nostra natura; infinito, si lascia circoscrivere; esistente prima di tutti i tempi, comincia a vivere nel tempo; padrone e Signore dell'universo, nasconde la sua infinita maestà, prende la forma di servo; impassibile e immortale, in quanto Dio, non sdegna di farsi uomo passibile e soggetto alle leggi della morte. Colui infatti che è vero Dio, è anche vero uomo. Non vi è nulla di fittizio in questa unità, perché sussistono e l'umiltà della natura umana, e la sublimità della natura divina. Dio non subisce mutazione per la sua misericordia, così l'uomo non viene alterato per la dignità ricevuta. Ognuna delle nature opera in comunione con l'altra tutto ciò che l'è proprio. Il Verbo opera ciò che spetta al Verbo, e l'umanità esegue ciò che è proprio dell'umanità. La prima di queste nature risplende per i miracoli che compie, l'altra soggiace agli oltraggi che subisce. E, come il Verbo non rinunzia a quella gloria che possiede in tutto uguale al Padre, così l'umanità non abbandona la natura propria della specie. Non ci stancheremo di ripeterlo: L'unico e il medesimo è veramente Figlio di Dio e veramente figlio dell'uomo. È Dio, perché "In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio" (Giovanni 1,1). È uomo, perché: "il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Giovanni 1,14).»