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VANGELI E PROTOVANGELI...

 
IL PIÙ UMILE DEGLI UOMINI

di Alessandro Conti Puorger
 
 

SUPERBIA E UMILTÀ
Delle personali ricerche in campo biblico in questo mio Sito riporto quanto sviluppo man mano che mi addentro in qualche argomento dando un ordine in forma di articoli per fermare quanto m'ha colpito nell'addentrarmi in quelle investigazioni.
Nel far ciò uso anche un particolare strumento a me congeniale, appassionante e particolarmente efficace per procedere ad approfondimenti utilizzando il testo in ebraico delle Sacre Scritture, letto pure sotto una particolare angolatura basata sul valore di icone delle 22 lettere ebraiche, capaci, appunto, di trasmettere messaggi grafici.
Per chiarire questo pensiero propongo:
Ciò premesso, entro nel vivo del nuovo argomento.
Per le scienze naturali, che considerano e classificano l'uomo frutto di evoluzione della vita sulla terra nel "regno animale", è implicito che questi come dote atavica abbia le pulsioni definite "istinti".
Sono, infatti, ritenuti innati nel primate uomo gli istinti di sopravvivenza o autoconservazione e di autoaffermazione che lo spingono a primeggiare e dominare per cui, in caso d'insuccessi, sono attese azioni di rivalsa, di rivincita e di vendetta, da cui conseguono inimicizie, faide, odi e guerre con tutto ciò che affligge l'umanità.
Pur senza andare agli eccessi, il ricercare la stima degli altri e l'auto-stima sono insiti alla condizione umana alla stregua dei bisogni naturali tipo aver fame e sonno e di per sé la tendenza a emergere implicita nell'uomo è sia un bene, sia un male:
  • bene, quando è cercare di elevarsi rispetto al mondo animale, razionalizzando i comportamenti e dominando gli istinti;
  • male, quando per raggiungere i propri fini, sono usati gli impulsi dell'istinto, umanizzati e portati così al massimo dell'efficienza negativa, dando luogo a comportamenti che esaltano l'ego e spingono ad atti anche illeciti per affermare la propria superiorità, insomma aprono all'egoismo che separa gli individui.
Da questa pulsione conseguono tutti gli eccessi o vizi della natura umana che senza dubbi pur se lasciano l'uomo a capo indiscusso del regno animale, di cui usa le stesse strategie, impediscono lo sviluppo di facoltà migliori.
Nella morale cattolica questi vizi, frutti dell'egoismo, sono detti peccati capitali, perché distruggono la radice intellettiva e spirituale dell'essere uomo.
Sono: superbia, accidia, lussuria, ira, gola, invidia e avarizia.
Questi vengono a costituire una catena in quanto, purtroppo, uno con sé poi tira dietro anche gli altri.

A questo punto s'inserisce la visione cristiana circa la finalità dell'uomo sulla terra, finalità che ovviamente esce dal campo delle scienze naturali.
Questo essere "uomo", creato da Dio a propria immagine e somiglianza, preferì l'indipendenza, non perseguì a fondo la spinta iniziale e perse perfino l'idea di una natura divina originaria per cui, di fatto, ora è soltanto un animale ragionevole soggetto a malattie, invecchiamento e morte, ma su cui Dio ancora ha un progetto per portare a compimento il Suo disegno e rendere completa immagine e somiglianza all'Autore che voleva sin dalle origini.

Il Catechismo al riguardo ricorda che Dio, però, nella sua divina misericordia gli ha preparato una via di ritorno, incarnandosi nell'uomo Gesù di Nazaret in anima e divinità per redimere l'umanità col sacrificio del Suo Figlio Unigenito che per amore degli uomini si lasciò crocifiggere dai loro peccati, ma è risorto per la loro giustificazione, e per quanti vorranno accoglierlo, con l'invio dello Spirito Santo, ha procurato loro la salvezza e la garanzia di comunione con Dio già in questa vita.

Origine di tutti i peccati, in effetti, è la superbia, ossia l'idea di meritare posizioni di privilegio per cui nell'individuo nasce la radicata convinzione della propria superiorità, reale o presunta, intellettuale, per censo, razza o posizione per i propri meriti e doti con atteggiamenti di distacco o disprezzo verso gli altri che in definitiva hanno il fine palese o non palese di sottolineare direttamente o indirettamente la loro inferiorità.
L'umanità, nel suo svilupparsi però, come autodifesa, ha anche acquisito doti particolari che permettono di imbrigliare gli istinti.
Sono le "virtù umane" - intelligenza e volontà - che si manifestano con attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni abituali che regolano gli atti, ordinano le passioni e guidano la condotta secondo ragione, quindi, elevano l'uomo e lo dotano di virtù intellettuali - sapienza, scienza e intelletto - che, come riconosciuto dagli antichi filosofi, affiancano un comportamento etico al solo sviluppo fisico dell'usuale vivere.

In definitiva s'è venuto a profilare un comportamento atteso e opportuno all'essere uomo, il comportamento virtuoso, come "modo perfetto d'essere" che implica delle virtù morali intese come abitudine e attitudine consolidate a fare il bene, acquistate ripetendo atti buoni per cui ne consegue un giudizio di merito comportamentale nel condurre una vita moralmente buona.
L'uomo virtuoso, insomma, è chi pratica il bene ripetendo atti buoni per se stessi e per gli altri, ed è idea consolidata che le virtù morali si possono acquisire umanamente con la pratica.
Ecco che da ragione, scienza e intelligenza tutti gli uomini sono chiamati a operare al meglio per se stessi e per l'umanità intera.
A questo punto s'innesta la questione "fede" e l'etica assume nuovi risvolti.
Il prendere reale coscienza che l'uomo è creatura e che c'è un Creatore che ha creato ciascuno per amore è la base della fede che comporta d'impostare in modo coerente la propria vita.
L'uomo, allora, nel vivere si rende conto che è disponibile una porta capace di fargli scorgere la sua vera meta e uscire dall'animalesco.
Tale opportunità entrando nel campo della fede può aprire anche a un cambiamento di natura.
Possono sorgere, infatti, alcune virtù cerniera, con due facce, perché possono essere viste quali doti umane acquisibili con la ragione, ma possono anche svoltare in doni connessi al nascere di un inizio di luce sul Dio Unico.
Queste sono quelle chiamate le "virtù cardinali" - prudenza, giustizia, fortezza e temperanza - dette nella religione cattolica anche virtù umane principali, dedicate al bene, che aprono al dono delle "virtù teologali", che appunto riguardano Dio - fede, speranza e carità - capaci regolare la condotta umana con la ragione illuminata dai sette doni dello Spirito Santo: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio.
Attenzione!

Sapienza, intelletto e scienza, che sono le doti umane intellettuali e della ragione vengono così a essere dotate di un ulteriore motore che appunto è e la "Fede", non in contrasto con la ragione stessa.
Grazie a questa "l'animale uomo" o "uomo vecchio" (Romani 6,6; Efesini 4,22; Colossesi 3,9) vira verso "l'uomo nuovo" (Efesini 2,15; 4,24) e si avvera quanto scrive San Paolo apostolo ai Filippesi in 4,18: "Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri".

La sintesi dell'insegnamento che si trae dal racconto del "midrash" di Genesi 3 della "caduta" dei progenitori, la coppia Adamo, è che un animale, il serpente, suggerisce all'umanità nascente di ribellarsi a Dio, che in definitiva era il loro padre e la loro madre.

Questo serpente, il "nachash" , come dice Genesi 3,1 "era il più astuto di tutti gli animali selvatici" e in ebraico si dice "haiah a'rum miccol chaiait hassadoeh" ed è scritto in questo modo:



Come denunciano le lettere, in tale animale selvatico si nascondeva il demonio, in ebraico chiamato "shed" e questi era "a'rum" "il più astuto" e ancora le lettere ci dicono "agiva per innalzarsi ", insomma, era un superbo.
Le lettere di "nachash" poi suggeriscono "l'angelo che nasconde la luce " e questa pare proprio essere la sua funzione cercare di nascondere il fulgore dell'amore di Dio all'uomo.

Era il primo bivio, la scelta di libertà che l'uomo doveva compiere, ossia voler essere quello che Dio intendeva creare o no.
D'altronde per avere una creatura a propria immagine e somiglianza la creatura lo doveva volere e compartecipare alla propria creazione altrimenti sarebbe stata soltanto un fantoccio.
Ne consegue che il peccato originale fu mosso da uno spirito che tendeva a primeggiare e fu essenzialmente un peccato di superbia.

Sant'Agostino, infatti, sostiene "È stato l'orgoglio che ha trasformato gli angeli in diavoli; è l'umiltà che rende gli uomini uguali agli angeli."
Nella lettera alla Chiesa di Tralle di Sant'Ignazio di Antiochia si legge: "Ho bisogno di umiltà con la quale si sconfigge il principe di questo mondo. Vi scongiuro, non io ma l'amore di Gesù Cristo: nutritevi solo della sana dottrina cristiana e tenetevi lontani da ogni erba estranea, qual è l'eresia. Ciò avverrà e non vi lascerete gonfiare dall'orgoglio e non vi separerete da Gesù Cristo Dio e dal vescovo e dai comandi degli apostoli...Rivestitevi di umiltà e rinascete nella fede che è la carne del Signore. Rinnovatevi nella carità che è il sangue di Gesù Cristo."

Il contrario esatto della superbia e il rimedio per superarla e questo è l'umiltà, il modo di essere più difficile da conquistare, la radice di tutte le virtù.
Grazie a questa l'uomo riconosce i propri limiti e prova a rifuggire da ogni forma di emulazione o sopraffazione e di orgoglio.
Dio, come si legge nella Bibbia (Genesi 3,14), maledisse il serpente.
Come se prima della maledizione il serpente potesse stare in posizione eretta, così ritengono i Rabbini, lo condannò a strisciare: "Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita."

Poi, nel "Magnificat" di Maria, icona della Chiesa, la Donna che schiaccerà la testa del serpente, è detto: "Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili." (Matteo 1,51s)

L'umiltà è il modo di essere dell'uomo nuovo, essenziale per rientrare nella grazia di Dio, riconoscendosi creatura di Lui, eletta dalla sua misericordia alla dignità di figlio, grazie ai meriti di Gesù Cristo.
L'umiltà è il companatico di tutte le virtù ed è alla base del cercare di sapere e di conoscere, in quanto, è un continuo prendere atto di aver bisogno e di non meritare nulla.
Tutto gli viene in definitiva per la Fede come dono da Dio e non può pretendere nulla.
L'uomo è una creatura in braccio al suo Creatore che a tutto pensa per lui e per tutti gli altri uomini che sono suoi fratelli.
Del resto tutto quello che ha per il credente è un dono e non può pretendere null'altro.

Santa Madre Teresa di Calcutta al proposito ha detto "C'è chi crede che tutto gli sia dovuto, ma non è dovuto niente a nessuno. Le cose si conquistano con dolcezza e umiltà."

L'umile è una persona modesta, nel senso che si mantiene nei giusti limiti, che non giudica o presume d'essere migliore degli altri pur se si trovano in posizione d'oggettiva inferiorità per una qualsiasi motivazione, insomma, non si inorgoglisce per le proprie virtù, né si esalta per i meriti o successi personali.
Del resto, come sostiene la Bibbia, l'uomo fu creato dalla terra.
"Il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo" (Genesi 2,7) e l'etimologia fa derivare umile e umiltà dal latino "humus" "terra" o "poco elevato da terra".
Umile è chi prende coscienza di sé e dei propri limiti e difetti col massimo di obbiettività senza sopravalutare meriti che se ha gli vengono solo come dono e comprende le difficoltà degli altri senza usarle a proprio profitto.
Eppure, da tempi immemorabili, chi si comporta con umiltà è considerato un depresso, un servile, un perdente, insomma, un tapino ossia un "tapeinos" come è definito l'umile in lingua greca.
La vera umiltà non menziona mai se stessa e le qualità dell'umile si manifestano tramite le sue azioni e non dalle sue parole.

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