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IL PIÙ UMILE DEGLI UOMINI
di Alessandro Conti Puorger

SUPERBIA E UMILTÀ
Delle personali ricerche in campo biblico in questo mio Sito riporto quanto sviluppo man mano che mi addentro in qualche argomento dando un ordine in forma di articoli per fermare quanto m'ha colpito nell'addentrarmi in quelle investigazioni.
Nel far ciò uso anche un particolare strumento a me congeniale, appassionante e particolarmente efficace per procedere ad approfondimenti utilizzando il testo in ebraico delle Sacre Scritture, letto pure sotto una particolare angolatura basata sul valore di icone delle 22 lettere ebraiche, capaci, appunto, di trasmettere messaggi grafici.
Per chiarire questo pensiero propongo:
Ciò premesso, entro nel vivo del nuovo argomento.
Per le scienze naturali, che considerano e classificano l'uomo frutto di evoluzione della vita sulla terra nel "regno animale", è implicito che questi come dote atavica abbia le pulsioni definite "istinti".
Sono, infatti, ritenuti innati nel primate uomo gli istinti di sopravvivenza o autoconservazione e di autoaffermazione che lo spingono a primeggiare e dominare per cui, in caso d'insuccessi, sono attese azioni di rivalsa, di rivincita e di vendetta, da cui conseguono inimicizie, faide, odi e guerre con tutto ciò che affligge l'umanità.
Pur senza andare agli eccessi, il ricercare la stima degli altri e l'auto-stima sono insiti alla condizione umana alla stregua dei bisogni naturali tipo aver fame e sonno e di per sé la tendenza a emergere implicita nell'uomo è sia un bene, sia un male:
  • bene, quando è cercare di elevarsi rispetto al mondo animale, razionalizzando i comportamenti e dominando gli istinti;
  • male, quando per raggiungere i propri fini, sono usati gli impulsi dell'istinto, umanizzati e portati così al massimo dell'efficienza negativa, dando luogo a comportamenti che esaltano l'ego e spingono ad atti anche illeciti per affermare la propria superiorità, insomma aprono all'egoismo che separa gli individui.
Da questa pulsione conseguono tutti gli eccessi o vizi della natura umana che senza dubbi pur se lasciano l'uomo a capo indiscusso del regno animale, di cui usa le stesse strategie, impediscono lo sviluppo di facoltà migliori.
Nella morale cattolica questi vizi, frutti dell'egoismo, sono detti peccati capitali, perché distruggono la radice intellettiva e spirituale dell'essere uomo.
Sono: superbia, accidia, lussuria, ira, gola, invidia e avarizia.
Questi vengono a costituire una catena in quanto, purtroppo, uno con sé poi tira dietro anche gli altri.

A questo punto s'inserisce la visione cristiana circa la finalità dell'uomo sulla terra, finalità che ovviamente esce dal campo delle scienze naturali.
Questo essere "uomo", creato da Dio a propria immagine e somiglianza, preferì l'indipendenza, non perseguì a fondo la spinta iniziale e perse perfino l'idea di una natura divina originaria per cui, di fatto, ora è soltanto un animale ragionevole soggetto a malattie, invecchiamento e morte, ma su cui Dio ancora ha un progetto per portare a compimento il Suo disegno e rendere completa immagine e somiglianza all'Autore che voleva sin dalle origini.

Il Catechismo al riguardo ricorda che Dio, però, nella sua divina misericordia gli ha preparato una via di ritorno, incarnandosi nell'uomo Gesù di Nazaret in anima e divinità per redimere l'umanità col sacrificio del Suo Figlio Unigenito che per amore degli uomini si lasciò crocifiggere dai loro peccati, ma è risorto per la loro giustificazione, e per quanti vorranno accoglierlo, con l'invio dello Spirito Santo, ha procurato loro la salvezza e la garanzia di comunione con Dio già in questa vita.

Origine di tutti i peccati, in effetti, è la superbia, ossia l'idea di meritare posizioni di privilegio per cui nell'individuo nasce la radicata convinzione della propria superiorità, reale o presunta, intellettuale, per censo, razza o posizione per i propri meriti e doti con atteggiamenti di distacco o disprezzo verso gli altri che in definitiva hanno il fine palese o non palese di sottolineare direttamente o indirettamente la loro inferiorità.
L'umanità, nel suo svilupparsi però, come autodifesa, ha anche acquisito doti particolari che permettono di imbrigliare gli istinti.
Sono le "virtù umane" - intelligenza e volontà - che si manifestano con attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni abituali che regolano gli atti, ordinano le passioni e guidano la condotta secondo ragione, quindi, elevano l'uomo e lo dotano di virtù intellettuali - sapienza, scienza e intelletto - che, come riconosciuto dagli antichi filosofi, affiancano un comportamento etico al solo sviluppo fisico dell'usuale vivere.

In definitiva s'è venuto a profilare un comportamento atteso e opportuno all'essere uomo, il comportamento virtuoso, come "modo perfetto d'essere" che implica delle virtù morali intese come abitudine e attitudine consolidate a fare il bene, acquistate ripetendo atti buoni per cui ne consegue un giudizio di merito comportamentale nel condurre una vita moralmente buona.
L'uomo virtuoso, insomma, è chi pratica il bene ripetendo atti buoni per se stessi e per gli altri, ed è idea consolidata che le virtù morali si possono acquisire umanamente con la pratica.
Ecco che da ragione, scienza e intelligenza tutti gli uomini sono chiamati a operare al meglio per se stessi e per l'umanità intera.
A questo punto s'innesta la questione "fede" e l'etica assume nuovi risvolti.
Il prendere reale coscienza che l'uomo è creatura e che c'è un Creatore che ha creato ciascuno per amore è la base della fede che comporta d'impostare in modo coerente la propria vita.
L'uomo, allora, nel vivere si rende conto che è disponibile una porta capace di fargli scorgere la sua vera meta e uscire dall'animalesco.
Tale opportunità entrando nel campo della fede può aprire anche a un cambiamento di natura.
Possono sorgere, infatti, alcune virtù cerniera, con due facce, perché possono essere viste quali doti umane acquisibili con la ragione, ma possono anche svoltare in doni connessi al nascere di un inizio di luce sul Dio Unico.
Queste sono quelle chiamate le "virtù cardinali" - prudenza, giustizia, fortezza e temperanza - dette nella religione cattolica anche virtù umane principali, dedicate al bene, che aprono al dono delle "virtù teologali", che appunto riguardano Dio - fede, speranza e carità - capaci regolare la condotta umana con la ragione illuminata dai sette doni dello Spirito Santo: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio.
Attenzione!

Sapienza, intelletto e scienza, che sono le doti umane intellettuali e della ragione vengono così a essere dotate di un ulteriore motore che appunto è e la "Fede", non in contrasto con la ragione stessa.
Grazie a questa "l'animale uomo" o "uomo vecchio" (Romani 6,6; Efesini 4,22; Colossesi 3,9) vira verso "l'uomo nuovo" (Efesini 2,15; 4,24) e si avvera quanto scrive San Paolo apostolo ai Filippesi in 4,18: "Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri".

La sintesi dell'insegnamento che si trae dal racconto del "midrash" di Genesi 3 della "caduta" dei progenitori, la coppia Adamo, è che un animale, il serpente, suggerisce all'umanità nascente di ribellarsi a Dio, che in definitiva era il loro padre e la loro madre.

Questo serpente, il "nachash" , come dice Genesi 3,1 "era il più astuto di tutti gli animali selvatici" e in ebraico si dice "haiah a'rum miccol chaiait hassadoeh" ed è scritto in questo modo:



Come denunciano le lettere, in tale animale selvatico si nascondeva il demonio, in ebraico chiamato "shed" e questi era "a'rum" "il più astuto" e ancora le lettere ci dicono "agiva per innalzarsi ", insomma, era un superbo.
Le lettere di "nachash" poi suggeriscono "l'angelo che nasconde la luce " e questa pare proprio essere la sua funzione cercare di nascondere il fulgore dell'amore di Dio all'uomo.

Era il primo bivio, la scelta di libertà che l'uomo doveva compiere, ossia voler essere quello che Dio intendeva creare o no.
D'altronde per avere una creatura a propria immagine e somiglianza la creatura lo doveva volere e compartecipare alla propria creazione altrimenti sarebbe stata soltanto un fantoccio.
Ne consegue che il peccato originale fu mosso da uno spirito che tendeva a primeggiare e fu essenzialmente un peccato di superbia.

Sant'Agostino, infatti, sostiene "È stato l'orgoglio che ha trasformato gli angeli in diavoli; è l'umiltà che rende gli uomini uguali agli angeli."
Nella lettera alla Chiesa di Tralle di Sant'Ignazio di Antiochia si legge: "Ho bisogno di umiltà con la quale si sconfigge il principe di questo mondo. Vi scongiuro, non io ma l'amore di Gesù Cristo: nutritevi solo della sana dottrina cristiana e tenetevi lontani da ogni erba estranea, qual è l'eresia. Ciò avverrà e non vi lascerete gonfiare dall'orgoglio e non vi separerete da Gesù Cristo Dio e dal vescovo e dai comandi degli apostoli...Rivestitevi di umiltà e rinascete nella fede che è la carne del Signore. Rinnovatevi nella carità che è il sangue di Gesù Cristo."

Il contrario esatto della superbia e il rimedio per superarla e questo è l'umiltà, il modo di essere più difficile da conquistare, la radice di tutte le virtù.
Grazie a questa l'uomo riconosce i propri limiti e prova a rifuggire da ogni forma di emulazione o sopraffazione e di orgoglio.
Dio, come si legge nella Bibbia (Genesi 3,14), maledisse il serpente.
Come se prima della maledizione il serpente potesse stare in posizione eretta, così ritengono i Rabbini, lo condannò a strisciare: "Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita."

Poi, nel "Magnificat" di Maria, icona della Chiesa, la Donna che schiaccerà la testa del serpente, è detto: "Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili." (Matteo 1,51s)

L'umiltà è il modo di essere dell'uomo nuovo, essenziale per rientrare nella grazia di Dio, riconoscendosi creatura di Lui, eletta dalla sua misericordia alla dignità di figlio, grazie ai meriti di Gesù Cristo.
L'umiltà è il companatico di tutte le virtù ed è alla base del cercare di sapere e di conoscere, in quanto, è un continuo prendere atto di aver bisogno e di non meritare nulla.
Tutto gli viene in definitiva per la Fede come dono da Dio e non può pretendere nulla.
L'uomo è una creatura in braccio al suo Creatore che a tutto pensa per lui e per tutti gli altri uomini che sono suoi fratelli.
Del resto tutto quello che ha per il credente è un dono e non può pretendere null'altro.

Santa Madre Teresa di Calcutta al proposito ha detto "C'è chi crede che tutto gli sia dovuto, ma non è dovuto niente a nessuno. Le cose si conquistano con dolcezza e umiltà."

L'umile è una persona modesta, nel senso che si mantiene nei giusti limiti, che non giudica o presume d'essere migliore degli altri pur se si trovano in posizione d'oggettiva inferiorità per una qualsiasi motivazione, insomma, non si inorgoglisce per le proprie virtù, né si esalta per i meriti o successi personali.
Del resto, come sostiene la Bibbia, l'uomo fu creato dalla terra.
"Il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo" (Genesi 2,7) e l'etimologia fa derivare umile e umiltà dal latino "humus" "terra" o "poco elevato da terra".
Umile è chi prende coscienza di sé e dei propri limiti e difetti col massimo di obbiettività senza sopravalutare meriti che se ha gli vengono solo come dono e comprende le difficoltà degli altri senza usarle a proprio profitto.
Eppure, da tempi immemorabili, chi si comporta con umiltà è considerato un depresso, un servile, un perdente, insomma, un tapino ossia un "tapeinos" come è definito l'umile in lingua greca.
La vera umiltà non menziona mai se stessa e le qualità dell'umile si manifestano tramite le sue azioni e non dalle sue parole.

INORGOGLIRSI, ARROGANZA E SIMILI
Seguiamo nel testo in ebraico delle Sacre Scritture dell'Antico Testamento alcune parole inerenti al tema della superbia.
La superbia e quanto attiene a questa sono descritti con termini che descrivono l'innalzarsi e l'attitudine a primeggiare, in particolare di sopravanzare sugli altri.
Nella Torah o Pentateuco, infatti, si trova:
  • Levitico 26,18-19 - "Se nemmeno a questo punto mi darete ascolto, io vi castigherò sette volte di più per i vostri peccati. Spezzerò la vostra forza superba, renderò il vostro cielo come ferro e la vostra terra come bronzo."
    Qui la parola usata per "superba" e "g'on" e "'on " è forza spesso usata in modo negativo e la lettera esprime il camminare, quindi, uno che procede in modo che si nota, quindi "cammina per primo portandosi con energia ".
    Nel versetto si trova poi la parola "bronzo" che in ebraico ha le stesse lettere del serpente "nachash", quindi, è palesa l'intenzione, il superbo ricorda il serpente di Genesi 3 e come rimedio alla superbia causata da quel serpente che ha portato il suo seme negli uomini e si rivela con la loro superbia viene citato anche il ferro "barzel" le cui lettere forniscono il messaggio che "dentro i corpi colpirà il serpente ".
  • Deuteronomio 17,20 - sul rotolo della Torah che ogni re deve copiare e tenere sempre con sé e leggere continuamente "...affinché il suo cuore non si insuperbisca verso i suoi fratelli..." per insuperbire scrive cioè affinché non sia "alto il suo cuore" vi sono lettere di che ho fatto notare si trovano nell'aggettivo "astuto" "a'rum" dato al serpente in Genesi 3,1 il quale "guarda in alto " e "agisce per innalzarsi ".
Prendiamo ora in esame i seguenti versetti del profeta Isaia:
  • Isaia 2,11-12 - "L'uomo abbasserà gli occhi superbi, l'alterigia umana si piegherà; sarà esaltato il Signore, lui solo, in quel giorno. Poiché il Signore degli eserciti ha un giorno contro ogni superbo e altero, contro chiunque si innalza, per abbatterlo..."
    In cui "occhi superbi" è "a'ini gabehut" ove in pratica essendo il radicale di "essere alto", che serve per designare un'altura, in quanto, pensando alla pioggia che cade da questa "scorre dentro i campi " ed ecco che ne discende "altezza, elevazione", per cui ne consegue che quegli occhi "a'ini" sono altezzosi, arroganti, quindi, superbi, in quanto questi di "altezza portano segno ".
    La "alterigia" è "shach rum" ove è il radicale di "piegarsi, curvarsi, abbattere, inchinarsi, prostrarsi", verbo che Isaia 53,23 in pratica spiega che corrisponde ad un farsi camminare presentando il dorso come suolo, quindi sottomettersi, da cui "shach" in Giobbe 22,29 usato per dire "umile".
    Questo termine unito al suo opposto il radicale "rum" di "alzarsi" sta a rappresentare una persona che pur dovendosi abbassare ostenta l'attitudine di stare ritto e di innalzarsi, quindi, appunto, si presenta altezzoso, insomma con "alterigia".
    Poi il "superbo e altero" di quel versetto "ge'oeh varam" è tradotto da C.E.I. 2008 letteralmente "essere superbo e alto - altezzoso".
    In conclusione l'innalzarsi è segno preciso di superbia che, come abbiamo notato, ripeto, si trova all'interno della parola "astuto", "a'rum" riferita al serpente di Genesi 3,1.
  • Isaia 2,17 - "Sarà piegato l'orgoglio degli uomini, sarà abbassata l'alterigia umana; sarà esaltato il Signore, lui solo, in quel giorno."
    Qui per orgoglio si trova "shach gabahut" che è come in Isaia 2,1 ove al posto di dire alto o innalzarsi c'è con significato analogo.
  • Isaia 10,12 - "Quando il Signore avrà terminato tutta la sua opera sul monte Sion e a Gerusalemme, punirà il frutto orgoglioso del cuore del re d'Assiria e ciò di cui si gloria l'alterigia dei suoi occhi."
    In questo caso per orgoglioso è usato "godoel" "un grandioso", mentre "alterigia degli occhi" lì è "rum a'ini" .
  • Isaia 16,6 - "Abbiamo udito l'orgoglio di Moab, il grande orgoglioso, la sua alterigia, il suo orgoglio, la sua tracotanza, l'inconsistenza delle sue chiacchiere."
    Ove orgoglio è "g'on" e orgoglioso è "g'e" alterigia è "ga'evat" e per tracotanza è scritto "oe'berat" dal radicale di di passare oltre nel senso di trasgredire o violare.
    Le lettere di orgoglioso in ebraico "g'e" , graficamente propongono uno che cammina per essere il primo .
Qualcosa di analogo a quanto in Isaia 16,6 si trova in Geremia 48,29: "Abbiamo udito l'orgoglio di Moab, il grande orgoglioso , la sua superbia , il suo orgoglio , la sua alterigia , l'altezzosità del suo cuore ."
  • 1Samuele 2,3 - "Non moltiplicate i discorsi superbi, dalla vostra bocca non esca arroganza, perché il Signore è un Dio che sa tutto e da lui sono ponderate le azioni."
    Per "superbi" ripete due volte vale a dire come "alti alti" e "arroganza" è "a'taq" , usato anche in Salmo 31,19; 75,6; 94,4, dal radicale che significa muovere, rimuovere spostare e allontanare quindi il soggetto tiene un comportamento che allontana e le lettere dicono "agisce con segni per piegare " ovviamente gli altri, ossia per farli sentire inferiori.
  • 2Samuele 22,28 - "Tu salvi il popolo dei poveri, ma sui superbi abbassi i tuoi occhi."
    I superbi qui sono gli "a'l ramim" , quelli che "al disopra si alzano".
    Le lettere sono tutte allusive "si vede del serpente un verme () stare nel vivente ".
Tra le 22 lettere dell'alfabeto ebraico una sola si alza sopra il livello delle altre, la 12a lettera, la "lamed"


Questa si presta bene ad alludere al Potente o chi si fa potente.
Dio "'El", infatti, è il "primo dei potenti".
Gli "dei" i potenti umani che si fanno "dei" rispetto agli altri simili, come gli antichi imperatori o chi si propone tale per sopravanzare sono anch'essi e "'el" diviene un termine relativo, "un primo per potenza ".
La lettera "lamed", infatti, può essere interpretata come un serpente che alza la testa per colpire, quindi, in senso negativo come superbo, una potenza cattiva, il serpente di Genesi 3, o anche come una testa con una lettera "iod" per diadema, quindi, è un capo, un potente e fa pensare al faraone che rappresenta il cattivo nemico d'Israele nel libro dell'Esodo.

ESSERE UMILE E MITE
Passiamo a vedere nei libri in ebraico della Tenak o Sacre che fanno parte dell'Antico Testamento della Bibbia cristiana alcune parole inerenti il tema della umiltà e simili.
Come i verbi o i termini che servono per descrivere l'azione di "alzarsi" sono impiegati per definire la superbia, quelli che riguardano l'atto che "abbassa"
portano al contrario della superbia, quindi, all'umiltà.

Si è già incontrato "shach" che è uno dei modi in ebraico per dire "umile", derivato dal radicale e/o di "piegarsi, curvarsi, abbattere e soggiogare", forse originariamente connessi al far scemare un fuoco coprendolo "fuoco chiudere " da cui viene anche "umilmente, con sottomissione" "shachucha" e "fossa" "shachute", quindi, un tenere bassi i toni.
Quelle due lettere paiono definire uno che è schivo, che "dalla luce si nasconde " o anche chi il proprio intimo "fuoco nasconde " e sono le stesse lettere finali di "nachash" , ma invertite.

Un radicale importante che apre al concetto di umiltà poi è "ove le lettere ci parlano di un "fuoco che da una bocca guizza " e provoca terra bruciata tutto intorno e, allora, ciò che resta è veramente una miseria perché ha perso tutto il suo precedente vigore e, appunto, è un radicale che si usa per "essere basso, abbassare, essere abbattuto", ma anche per "essere umiliato", infatti "shafal" è basso, abbassato, spianato, umile e modesto.
Del resto è il radicale di "distinguere, separarsi" per cui porta all'idea di "col fuoco separare - dividere ()".
C'è anche un radicale che con:
  • la lettera "shin" per è il radicale di "essere brullo, mettere a nudo, mettere allo scoperto" e conferma il fatto di un "fuoco soffiato su un campo ";
  • la lettera "sin" per da luogo alla parola "sefah" il cui significato è labbro, per traslato "linguaggio e lingua", ma si usa anche per bordo, margine, orlo e porta pensare l'umile come quello che è messo a "margini () dai potenti ".
Al riguardo propongo i seguenti esempi:
  • Giobbe 5,11 - "Egli esalta gli umili e solleva a prosperità gli afflitti;" ove umili sono gli "shefalim" , e a fine versetto quel dare "prosperità" è scritto con le lettere del nome di Gesù .
  • Isaia 57,15 - "Poiché così parla l'Alto e l'Eccelso, che ha una sede eterna e il cui nome è santo. In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi".
    Qui gli oppressi o miserabili sono i "dakka'" "dalla polvere originati " e gli umiliati sono gli umili di spirito "i shefal ruach" , ossia gli abbassati di spirito, quelli delle beatitudini del "Discorso della montagna" i "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli." (Matteo 5,3)
  • Salmo 137,6 - "Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l'umile; il superbo invece lo riconosce da lontano." Qui, trattandosi del Signore è tradotto come "eccelso", ma si fosse trattato di un uno qualsiasi sarebbe "altezzoso"; ad esempio il nome Abram può anche voler dire di "padre eccelso" per dire di alto lignaggio, ossia di nobili origini.
Altro termine che riguarda la sfera dell'umiltà è dell'essere mite si trova nel radicale che ha due rami di significati:
  • rispondere, replicare, intervenire e simili, usato anche in campo legale per ribattere, accusare, denunciare in cui è compreso "o'nah" per definire i "diritti coniugali" e la "coabitazione";
  • essere sventurato, essere afflitto, essere umiliato, sottomettere, assoggettare, dominare... fino a fare penitenza.
Il secondo di tali modi poi presta il fianco a difficoltà d'interpretazione, in quanto, verbo e derivati sono simili, sia se si considera l'aspetto spirituale - umiltà e mitezza, sia se si guarda quello economico e/o sociale - miseri e poveri che sotto tale accezione divengono definibili col termine "oe'bion" per "povero, indigente, bisognoso", sinonimo di "chaser" per mancante.
Al riguardo, propongo i seguenti versetti a conferma di quanto sopra:
  • Salmo 22,25 - "...perché egli non ha disprezzato né disdegnato l'afflizione del povero, il proprio volto non gli ha nascosto ma ha ascoltato il suo grido di aiuto" ove quel povero di C.E.I. 2008 nella traduzione del 1975 era "misero" e traduce l'ebraico "a'ni" .
  • Salmo 37,11 - "I poveri invece possederanno la terra e godranno di una grande pace" e questi poveri di C.E.I. 2008 nella traduzione del 1975 erano i "miti" e traducono il termine ebraico "a'navim" .
  • 2Samuele 22,28 - "Tu salvi il popolo dei poveri, ma sui superbi abbassi i tuoi occhi" già citato nel dire dei superbi, ove questi poveri di C.E.I. 2008 nella traduzione del 1975 erano "la gente umile" e traducono l'ebraico "a'ni" .
In definitiva quel radicale presenta i seguenti termini:
  • "a'navah" per umiltà, modestia, moderazione;
  • "oe'nut" per afflizione, come sopra in Salmo 22,25;
  • "a'nau" e "a'ni" termini ambigui, intercambiabili, entrambi interpretabili come umile, mansueto, mite, sottomesso, paziente, ma pure oppresso, bisognoso, povero, indigente, bisognoso. Si ha anche "a'nai per afflizione, disgrazia, oppressione e miseria.
È bene far chiara distinzione tra i due concetti di povero e di umile.
Al riguardo è da premettere che i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, ebbero grandi ricchezze, insomma non erano "poveri" e Giobbe, ricchissimo, divenuto povero e malato, paziente, riebbe da Dio ricchezza e salute, ciò per dire che nell'Antico Testamento c'è grande tensione verso la dote dell'umiltà perseguita dal soggetto e non verso la povertà che è uno status dell'esistenza non voluta dal soggetto.
Come vedremo tale tensione è passata nel Nuovo Testamento e per i cristiani base essenziale della santità è divenuta l'umiltà che si esplica chiaramente riconoscendosi peccatori davanti a Dio e agli uomini.
Ne consegue che non tutti i poveri sono santi né che tutti i santi sono poveri.

La ricchezza può essere un impedimento al "passare dalla cruna dell'ago", come è chiaro nell'episodio del giovane ricco (Matteo 19,16-22; Marco 10,17-22; Luca 18,18-23), ma la conclusione è che molti sono i Santi e le Sante di famiglie facoltose e rimasti tali pur se prodighi.
Al giovane ricco "Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò..." (Marco 10,21), e l'amore è eterno.
Quando quegli se ne andò triste agli apostoli che gli chiedevano "allora chi può essere salvato?" Gesù ebbe a replicare "a Dio tutto è possibile".

La povertà che si assume a umiltà non sta nell'avere o meno possibilità e un ruolo di successo, ma restare fedele nella dedizione a Dio operando secondo la Sua volontà nel proprio ruolo, come attestano re e regine diventati santi al pari di altri poveri e perseguitati.
Le lettere ebraiche usate come mini geroglifici ci possono spiegare la differenza d'interpretazione ad esempio dello stesso termine "a'ni":
  • povero "si sentono i lamenti ";
  • umile "agisce da angelo nell'esistenza ".
L'umile si porta all'altezza dell'altro e cerca di metterlo a suo agio.
Occorre passare per la porta stretta.
Ciò è chiesto dal comandamento dell'amore al prossimo "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa, infatti, è la Legge ed i Profeti. Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!" (Matteo 7,12-14)



La porta stretta della Basilica della Natività
a Betlemme per evitare di entrarvi a cavallo

L'UMILE MOSÈ
Nel rotolo della Torah, che la tradizione attribuisce come scritta da Mosè, nel IV libro, quello dei Numeri, in 12,3 si trova nelle traduzioni C. E. I. del:
  • 1975, "Ora Mosè era molto più mansueto di ogni uomo che è sulla terra."
  • 2008, "Ora Mosè era un uomo assai umile, più di qualunque altro sulla faccia della terra."
(Si veda "L'acqua di Miriam" in cui tra l'altro si trova la decriptazione di Numeri 12)

Quel termine tradotto come umile o mansueto nel testo in ebraico è .
Con ciò in pratica è asserito che la rivelazione di Dio avvenne tramite la persona, Mosè, che fu ritenuto il più idoneo a riceverla essendo il più umile o mansueto.
Del resto IHWH, il Signore "Dei beffardi egli si fa beffe e agli umili concede la sua benevolenza." (Proverbi 3,34) I beffardi qui sono i "letsim" e le lettere portano di per sé con la propria grafica del "serpente che si alza sugli esseri viventi ", mentre l'umile e il mansueto, di fatto, è uno che non s'inorgoglisce, insomma tiene bassi i toni ed è un evangelico "povero di spirito" che si affida solo al sostegno di Dio.
Questo inciso di Numeri 12,3 poi prova che nel testo originario della Torah furono apportate delle aggiunte, visto che nessuno può autodefinirsi in quel modo, considerato che la dichiarazione di grande umiltà annulla di per sé l'asserzione stessa.

L'annotazione di Numeri 12,3 è preceduta da due versetti che intendono chiarire l'episodio: "Maria e Aronne parlarono contro Mosè, a causa della donna etiope che aveva preso. Infatti, aveva sposato una donna etiope. Dissero: Il Signore ha forse parlato soltanto per mezzo di Mosè? Non ha parlato anche per mezzo nostro? Il Signore udì." (Numeri 12,1-2)

La donna etiope è Zippora, la figlia di Ietro sposata da Mosè in terra Madian, infatti, i madianiti erano insediati sulle due sponde del Mar Rosso, quindi, oltre che nel Sinai anche in terra di Kush o Etiopia.
In sostanza, il fratello e la sorella di Mosè, dicevano male di lui, perché aveva sposato una straniera, ma invero pare proprio che fossero diventati gelosi del suo ruolo di capo.
Per questo motivo il testo di Numeri commenta circa la mitezza di Mosè, che certamente era a conoscenza dei loro discorsi, ma sopportava e restava in silenzio.
Il versetto 3 fa comprendere tutto ciò con quel "Il Signore udì", ossia pur se Mosè faceva finta di non sentire il Signore era attento.
E il Signore prese l'iniziativa, infatti: "Il Signore disse a un tratto a Mosè, ad Aronne e a Maria: Uscite tutti e tre verso la tenda del convegno. Uscirono tutti e tre." (Numeri 12,4)

Lui, il Signore, prese direttamente in mano la questione e difese l'umile come del resto sostengono i testi sapienziali nella Bibbia.
Nei seguenti versetti i poveri e miseri sono gli lo stesso termine usato per definire la dote di Mosè che non era certamente né povero, né bisognoso:
  • Proverbi 22,22b-23a - "...non affliggere il misero in tribunale, perché il Signore difenderà la loro causa "
  • Salmo 140,13 - "So che il Signore difende la causa dei poveri , il diritto dei bisognosi ."
Una colonna di nube che segnalava la "Shekinah" o presenza del Signore scese davanti alla porta della tenda del convegno e chiamò Maria e Aronne.
Nei tre versetti successivi Numeri 12,6-8 il Signore disse loro le seguenti parole: "Ascoltate le mie parole! Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò con lui. Non così per il mio servo Mosè: egli è l'uomo di fiducia ("Amen" ) in tutta la mia casa. Bocca a bocca parlo con lui, in visione e non per enigmi, ed egli contempla l'immagine del Signore.

"Perché non avete temuto di parlare contro il mio servo, contro Mosè?"
Non negò che anche Aronne e Maria fossero profeti, ma chiarì che il Suo rapporto con Mosè era speciale e parlava con lui faccia a faccia, insomma Mosè era il suo uomo di fiducia l'"Amen" , quindi, figura dell'uomo finale, appunto Amen, che doveva venire come coglie l'Apocalisse, ove tale termine è ricordato 8 volte.
Del resto la decriptazione del testo ebraico del versetto 7, "Non così per il mio servo Mosè: egli è l'uomo di fiducia in tutta la mia casa " suggerisce:



"il Potente affermò che invierà un Servo che sarà a salvare a casa tutti , dentro stando in croce sarà a inviare l'originaria vita angelica di Lui ."

Ciò detto si accese l'ira del Signore, se ne andò e Maria divenne lebbrosa. Se si guarda il testo ebraico del versetto Numeri 12,1 "Maria e Aronne parlarono contro Mosè..." ci si rende conto che in verità è solo Miriam, che viene nominata per prima parla per tutti e due, infatti, per il verbo è usata la forma singolare, onde se ne deve dedurre che Aronne si nascondeva dietro a Miriam.
Questo fatto spiega il perché, poi, solo Miriam fu punita, divenendo "lebbrosa come neve" mentre Aronne ne rimase indenne.

C'è anche la tesi che, essendo Aronne sacerdote, per esercitare il suo compito non poteva diventare lebbroso, onde la sua vera punizione sarebbe stata di guardare Maria e condannarla lui stesso come lebbrosa facendola uscire dall'accampamento come da regola.
Quel versetto 12,1 poi non dice parlarono a Mosè, ma contro Mosè, il che fa intuire che non fu un colloquio faccia a faccia tra fratelli, ma una lite che ebbe altri testimoni e ciò, ritengo, sia il motivo della reazione del Signore, in quanto infrangeva l'unità del cerchio di comando davanti al popolo, già soggetto a tanti dubbi e propri tentennamenti.

A questo punto Aronne si rivolse al fratello, intendendo attraverso di lui parlare col Signore, visto che ne era la bocca, e riconobbe e confessò il proprio peccato: "Aronne disse a Mosè: Ti prego, mio signore, non addossarci il peccato che abbiamo stoltamente commesso!" (Numeri 12,11) e chiese al fratello d'intercedere verso Dio affinché la guarisse.

Il confrontarsi tra fratelli non è peccato, ma lo è il mettere in cattiva luce con gli altri un fratello e Aronne con quel dire confessa il suo peccato.
Mosè provvide immediatamente all'intercessione per Maria "Ti prego, Dio: guariscila!" (Numeri 12,13)
Ecco, che questa richiesta suscitò una risposta strana del Signore Dio: "Se suo padre le avesse sputato in viso, non ne porterebbe lei vergogna per sette giorni?" (Numeri 12,14)

Come a dire non preoccuparti Mosè io amo Maria e le sono per padre, ma occorreva una palese punizione.
Nel caso specifico c'è una chiara connessione tra una punizione, sia pure momentanea da parte di Dio, con un ammonimento paterno, quindi una questione che resta in famiglia, il che rafforza l'idea che in tali termini il Signore voleva fosse contenuta la questione.
Maria rimase dunque isolata, fuori dell'accampamento, per sette giorni.
Il popolo però non riprese il cammino finché Maria non fu riammessa il che fa trapelare per lei, da parte della sua gente l'ammirazione e il rispetto rimasero integri.

Al riguardo, osservano i rabbini, che Miriam ha meritato di essere "aspettata" quale ricompensa per avere aspettato sulle rive del Nilo, finché la vita di Mosè non fosse in salvo nelle mani della figlia del faraone, infatti "Miriam attese un'ora... e Dio fece attendere a causa di lei, nel deserto, l'arca e la Shekinah (la Presenza divina), i sacerdoti, i leviti e tutto Israele, con la nube della gloria per sette giorni".

In quella occasione per Mosè si fece concreta questa esclamazione che si trova nel libro del profeta Geremia: "Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso, per questo i miei persecutori cadranno e non potranno prevalere". (Geremia 20,11)

DOVE MOSÈ RIVELA LA PROPRIA UMILTÀ
Sul profeta Mosè appena nato in Esodo 2,2 è riferito questo commento sulla madre che era una figlia di Levi: "La donna concepì e partorì un figlio; vide che era bello e lo tenne nascosto per tre mesi".

La mamma si chiamava Iochebed "Iokoboed" che "fu a portarne il peso - la gloria ".
Quel "vide che era bello" che in ebraico è , "vatteroe' 'oto ki tob", si potrebbe tradurre anche che era buono in quanto il termine "tob" lo consente.

Tale dire fa ricordare il momento primo di quando Dio disse "Sia la luce" e in Genesi 1,4 "Dio vide che la luce era cosa buona".
Sorgeva veramente una luce pensata da Dio per rivelarsi nella storia dell'umanità; era l'aurora di un giorno nuovo.

Leggendo poi della storia della chiamata al roveto ardente, degli eventi che portarono Mosè alla guida del popolo fuoriuscito miracolosamente dall'Egitto per intervento divino e dei quaranta anni nei deserti e nelle steppe del Sinai alla guida di gente spesso riottosa e ribelle, si conclude che grandi erano la sua fede in Dio, il suo coraggio e le sue capacità di comando.
Del pari, come abbiamo visto nell'episodio delle mormorazioni di Maria e Aronne contro di lui, quel leader era umile e mansueto, attitudine che manifestò in varie occasioni.

Nel libro dei Numeri al capitolo 11 che precede l'episodio delle mormorazioni di Maria e Aronne contro di lui, si ha un'altra manifestazione di umiltà da parte i Mosè in un breve racconto che si trova prima dell'invio da parte di IHWH delle quaglie "selav" sull'accampamento.
Il popolo era stanco di mangiare solo manna e il Signore, che aveva udito le mormorazioni, disse a Mosè che avrebbe mandato carne in quantità e ordinò di riferirlo al popolo.
Mosè allora radunò settanta tra gli anziani (embrione del futuro Sinedrio) davanti alla tenda del convegno e "il Signore scese nella nube e gli parlò: tolse parte dello spirito che era su di lui e lo pose sopra i settanta uomini anziani; quando lo spirito si fu posato su di loro, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito." (Numeri 11,25)

Domanda: perché ciò accade proprio appena prima che da Dio venissero inviate le quaglie?
Le quaglie evidentemente erano anche il segno profetico di un evento che avrebbe portato lo Spirito Santo a tutto il popolo e, come vedremo, anche ai lontani; erano ad annunciare la venuta della "carne".
In pratica annunciava "colui che doveva venire" dal cielo che, col suo sangue, prendendo la carne, incarnandosi, e facendosi mangiare dagli uomini, avrebbe ridato dignità a tutta l'umanità riportando nuovamente alla pienezza l'esistenza dell'uomo.

Del resto, un nome riconosciuto dall'ebraismo per il Messia è "shilu" , "colui che" che si trova nella profezia messianica di Genesi 49,10, le cui lettere in ebraico sono simili a quelle di quaglie.
Il profeta Gioele in 2,28 riprende questo evento di Numeri 11 col dire "io (il Signore) spargerò il mio spirito su ogni persona: i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri vecchi faranno dei sogni, i vostri giovani avranno delle visioni".

Il racconto di Numeri 11 continua riferendo che due degli anziani "Eldad e l'altro Medad" ("'Oeledad" "da Dio amato" e Meddad "che è amato") iscritti ad andare erano rimasti nell'accampamento, ma anche loro su di loro si posò lo Spirito e si misero a profetizzare nell'accampamento.
La cosa si riseppe nei pressi della tenda ove erano riuniti e "Giosuè, figlio di Nun, servitore di Mosè fin dalla sua adolescenza, prese la parola e disse: Mosè, mio signore, impediscili!" (Numeri 11,28)
In tale occasione Mosè manifestò la propria umiltà assieme a lungimiranza e fede e gli rispose: "Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!" (Numeri 11,29)
(Vedi: "Un seme della Torah nella Torah!" in cui c'è la decriptazione di Numeri 11)

È poi da ricordare quanto riporta Esodo 18,13-27 di come in tale occasione: "Mosè diede ascolto alla proposta del suocero e fece quanto gli aveva suggerito." (Esodo 18,24)

Era accaduto che dopo lo scontro con gli Amaleciti di cui è detto in Esodo 17, Ietro, il suocero di Mosè avendo saputo della glorioso miracolo del mare per cui gli Israeliti erano sfuggiti al faraone e alla loro successiva vittoria su Amalek, era venuto da Madian con la figlia Zippora e i due figli di Mosè dove erano accampati gli Israeliti e si incontrò con il genero.
Ietro "...venne da Mosè nel deserto, dove era accampato, presso la montagna di Dio." (Esodo 18,5b)

Ietro era un sacerdote di una divinità, attento ai segni del cielo, conoscitore della scrittura proto sinaitica e dell'animo umano e particolarmente aperto alla novità, come si coglie dal racconto.
Sappiamo che Ietro, era sacerdote di Madian (Esodo 3,1), di un clan definito Kenita in Giudici 1,16, ma non è detto esplicitamente di quale dio fosse sacerdote.
L'unico modo per vivere in quelle zone semi-desertiche è avere degli ovini, ma in quantità` ridotta, in quanto scarsa è la vegetazione bassa vicino ai wadi, torrenti stagionali, in genere sempre in secca, e per l'acqua si scavavano pozzi per cui la vita viene dalla riproduzione degli animali che così forniscono latte, carne, pelli, ossa, unghie, materiale corneo, lana da tessere... e di questi greggi si interessavano le figlie di Ietro che le portavano al pascolo.

In Esodo 2,18 però in luogo di Ietro si trova il nome Reuel, "Rooe'-'ail", forse un aggettivante di Ietro per dire "pastore del dio", ma anche sacerdote di RA MONTONE , forse anche il nome della località`, quindi, era sacerdote di un dio locale in un Nomo o distretto Arabico di cui era il capo.
Era in una zona molto orientale rispetto all'Egitto, ma ancora sotto la sua influenza, vicino evidentemente all'Oreb, il monte inciso, dove Mosè andava a pascolare il gregge, un'altura da cui si poteva osservare prima che rispetto alle steppe circostanti eventi che interessavano legati alle stelle e che era ritenuto sacro anche da Ietro, ma per motivi diversi rispetto a quello per cui lo sarà per gli Israeliti.

Qui si può fare un'ipotesi suscitata da quel riferimento a Ra-Montone, che porta al dio SePDu e alla dea SePDeT, emanazioni d'Ammon-Ra, manifestazione particolare di Horus, la stella Sirio, "Sotis" per i greci, che ogni anno, dopo essere rimasta invisibile, quando avveniva la levata eliaca all'aurora nella costellazione del "cane" si credeva che provocasse l'inondazione del Nilo in Egitto.
In concomitanza di tale evento, infatti, a memoria d'uomo si verificava la grande piena del Nilo che usciva dall'alveo e portava la terra nera, il limo fertile lungo la sua valle e consentiva la vita a tutto il popolo della terra d'Egitto, che appunto, si chiamava la terra nera, "Chemet".
Il segnalare prima possibile quell'evento era importante perché consentiva ai contadini, appena avvertiti dell'inondazione, di predisporre l'apertura dei canali di derivazione, tagliavano le dighe provvisorie delle piane intorno al Nilo per far arrivare le acque anche lontano onde allagassero così le zone basse lontane e depositassero il limo fertilizzante sulle più vaste aree possibili.
Ciò porta a dire che Ietro era un sapiente, attento e uso a scrutare le stelle per anticipare al massimo l'evento; inoltre era in comunicazione con l'Egitto e con i popoli circostanti visto che aveva precise notizie sugli eventi che accadevano tanto che s'era spostato con figlia e nipoti per andare a trovare il genero.
Era anche un ascoltatore attento, cristallino e in buona fede forse critico dell'aumento a dismisura della cosmogonia egizia che non era così vasta ai tempi dei suoi antenati, quindi, avrà meditato sull'esistenza di un Creatore e si sarà fatto domande nelle lunghe chiacchierate col genero ai tempi dell'esilio presso la sua casa.
Ietro, però, non era monoteista, ma quando va per incontrare il genero presso la montagna di Dio, sentito il racconto di Mosè di come il Signore ha liberato il popolo d'Israele e le prodigiose vicende accadute per farlo uscire dall'Egitto "Disse Ietro: Benedetto il Signore, che vi ha liberato dalla mano degli Egiziani e dalla mano del faraone: egli ha liberato questo popolo dalla mano dell'Egitto! Ora io so che il Signore è più grande di tutti gli dei: ha rivolto contro di loro quello che tramavano." (Esodo18,10s)
Si legge poi "Ietro, suocero di Mosè, offrì un olocausto e sacrifici a Dio. Vennero Aronne e tutti gli anziani d'Israele, per partecipare al banchetto con il suocero di Mosè davanti a Dio." (Esodo18,12)
Ietro evidentemente non era venuto a mani vuote, ma aveva portato anche del bestiame di cui offrì alcuni capi in olocausto al Dio d'Israele e alcuni in sacrificio di pace.

Su Talmud Berakhot 64a; Rashi (acronomo di Rabbi Shlomo Yitzhaqi, XI secolo, commentatore della Bibbia) propone: "Al cospetto di Dio, da ciò si impara che colui che consuma un pasto a cui partecipano dei saggi è come se godesse della luce della Presenza Divina."
(Vedi: "Mosè Nascosto" e "Tracce di geroglifici nel Pentateuco - I Parte" e "II Parte")

Ietro, in ebraico che dal radicale vuol dire "più che abbastanza, sovrabbondanza" e anche "eccellenza" viene, quindi, a rappresentare profeticamente i pagani che accoglieranno il Dio Unico e per contro la grande attenzione del profetismo, che poi si riscontrerà in tutti i profeti propensi a considerare la Torah dono di Dio per tutti i popoli dell'umanità, chiamati a uscire dalle tenebre dell'ateismo o dell'idolatria.
La Torah - e Ietro dal punto di vista della gimatria delle lettere ebraiche hanno lo stesso valore, quindi tra loro vi è secondo i criteri esegetici ebraici un grande connessione tra i due nomi, infatti:
  • - = ( = 5) + ( = 200) + ( = 6) + ( = 400) + ( = 5) = 616
  • = ( = 6) + ( = 200) + ( = 400) + ( = 10) = 616
Certo è che se qualcosa fu scritto da Mosè nel XIII secolo a.C. a base della Torah che c'è pervenuta, quanto scritto fu con segni proto sinaitici di una scrittura alfabetica consonantica di tipo lineare-pittografico, una trentina di segni scoperti circa un secolo fa presso Serabit el-Khadin, una miniera di rame e turchese della penisola del Sinai.
Secondo le informazioni che si deducono dalla Torah stessa Mosè certamente le poté acquisire nel suo esilio in Madian, forse proprio dallo stesso Ietro, i cui nome del resto con i valori grafici delle lettere fornisce anche la seguente decriptazione, Ietro "fu i segni nella mente - testa a recare " e se così certo avrebbe avuto un grande ruolo.

Tornando al racconto di Esodo 18, accadde che dopo l'incontro: "Il giorno dopo Mosè sedette a render giustizia al popolo e il popolo si trattenne presso Mosè dalla mattina fino alla sera" (Esodo 18,13)
Ietro si rese conto dell'oneroso lavoro che incombeva sul genero che impiegava molto del suo tempo in giudizio per dirimere questioni giuridiche che sorgevano tra gli individui del popolo e fu molto esplicito: "Il suocero di Mosè gli disse: Non va bene quello che fai!" (Esodo 18,17)
Suggerì a Mosè di delegare parte dei suoi poteri a persone che avesse scelto per i giudizi meno importanti e disse in conclusione "Ora ascoltami, ti voglio dare un consiglio e Dio sia con te!", ossia osserva Rashi in Mekhilta', "che il Nome sia con te mentre ti consiglio; prima di metterlo in pratica chiedi il Suo parere e il Suo consenso."
Mosè accolse con molta umiltà quel consiglio perché lo ritenne buono e da Dio ispirato "...diede ascolto alla proposta del suocero e fece quanto gli aveva suggerito." (Esodo 18,24)
Fu così che scelse "i capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine". (Esodo 18,25b)

Rashi, propone questo conteggio "...poiché gli ebrei nel deserto erano 600.000, vi erano 600 capi di migliaia. Il gruppo di 1000 persone era a sua volta suddiviso in dieci gruppi da 100; i gruppi da 100 erano suddivisi in 2 e vi erano quindi12.000 capi di cinquantine; infine questi ultimi gruppi erano divisi in 5 con dieci persone in ognuno di essi; vi erano quindi 60.000 capi di decine."
(In Appendice riporto decriptati i 27 versetti di Esodo 18.)

Poi, non è detto quanto tempo dopo, il suocero tornò in Madian, e se anche il testo in questo momento non lo dice lasciò i congiunti, figlia e nipoti, con Mosè.

Ora in Numeri 10,29-33 si trova: "Mosè disse a Obab, figlio di Reuèl il Madianita, suocero di Mosè: Noi stiamo per partire verso il luogo del quale il Signore ha detto: Lo darò a voi in possesso. Vieni con noi e ti faremo del bene, perché il Signore ha promesso del bene a Israele. Ma egli replicò: Io non verrò; anzi tornerò alla mia terra e alla mia parentela. Mosè rispose: Non ci abbandonare, ti prego, poiché tu conosci i luoghi dove accamparci nel deserto e sarai per noi come gli occhi. Se vieni con noi, tutto il bene che il Signore farà a noi, noi lo faremo a te. Così partirono...", evidentemente Ietro si era portato con se anche il figlio, fratello di Zippora, cognato di Mosè, Obab il cui nome "Chobab" in ebraico dal radicale o di "nascondere" vorrebbe dire favorito "nascosto nell'intimo ".

Perché Mosè lo disse a Obab e non a Ietro?
Ciò fa presumere che Ietro fosse ormai troppo vecchio, quindi, Ietro con Obab tornò al proprio paese, ma Ietro, morì presto, e Obab tornò dagli Israeliti.
Si legge, infatti, nel libro dei Giudici sui figli di Ietro, Obab a cui sono associati i figli di Mosè che ebbero una terra vicino a Gerico:
  • Giudici 1,16 - "I figli del suocero di Mosè, il Kenita, salirono dalla città delle palme con i figli di Giuda nel deserto di Giuda, a mezzogiorno di Arad; andarono e abitarono con quel popolo."
  • Giudici 4,11 - "Cheber, il Kenita, si era separato dai Keniti, discendenti di Obab, suocero di Mosè, e aveva piantato le tende alla Quercia di Saannàim, che è presso Kedes."
Mosè aveva fatto un grande servizio e subito tante pene per assolvervi nei 40 anni e più che erano trascorsi dal momento della visione al roveto ardente di cui Esodo 3, eppure dice Deuteronomio 34,7: "...aveva 120 anni quando morì. Gli occhi non gli si erano spenti e il vigore non gli era venuto meno."

Con la propria morte prestò l'ultimo servizio pur se sembrava una punizione e non poteva entrare nella Terra Promessa fisica che ormai era prossima.
Il Signore lo fece salire sui monti detti degli Abarim o dei "transiti", la cui cima più alta è il Nebo (802 metri), gli fece vedere da lontano la Terra Promessa e gli annunciò che sarebbe stato riunito ai padri e non avrebbe potuto entrarvi.
A chiarimento il Signore in tale occasione ricordò i fatti accaduti a Meriba (Numeri 20,1-13) e come Mosè irritato dal popolo andò oltre il comando di parlare alla roccia perché scaturisse acqua, ma la batte due volte col bastone lasciando il dubbio che non fosse un prodigio del Signore, ma un fatto fisico, il ritrovamento di una sorgente.
Mosè accettò tutto ciò senza presentare i propri meriti e il Signore lo usò come esempio per accrescere il riverenziale scrupolo nei fedeli ad assolvere sempre con attenzione le parole del Signore senza modificare alcunché.
Il Signore aveva preparato per Lui però un posto migliore... vicino a Lui.

Lo spirito di servizio, la grande umiltà, unita all'amore per il popolo, indusse Mosè a pregare Dio per avere un successore con queste accorate parole, "...disse al Signore: "Il Signore, il Dio della vita di ogni essere vivente, metta a capo di questa comunità un uomo che li preceda nell'uscire e nel tornare, li faccia uscire e li faccia tornare, perché la comunità del Signore non sia un gregge senza pastore." (Numeri 27,15-17)

Il Signore propose Giosuè: "Trasmetti i tuoi ordini a Giosuè, rendilo intrepido e incoraggialo, perché lui lo attraverserà alla testa di questo popolo e metterà Israele in possesso della terra che vedrai." (Deuteronomio 3,28)

Mosè fece così e: "Giosuè, figlio di Nun, era pieno dello spirito di saggezza, perché Mosè aveva imposto le mani su di lui." (Deuteronomio 34,9)

L'UOMO CHE FU ESALTATO
I Vangeli annunciano che l'Unigenito, il Verbo di Dio, è venuto tra noi.
Si è fatto uomo in Gesù di Nazaret.
È sceso dai cieli e si è incarnato nel seno della Vergine Maria.
Lui, che era Dio, si abbassò in modo totale.
Preferì scendere in terra e umiliarsi svuotandosi della divinità e assumendo la nostra umanità per amore dell'uomo, per servirlo e salvarlo tutta l'umanità dei figli di Adamo, dalla schiavitù del peccato e della morte.
L'uomo per risposta l'esaltò, innalzandolo sulla croce, ove morì, ma il Padre lo glorificò con la risurrezione e l'esaltò veramente portandolo in cielo col suo corpo trafitto e ora quel uomo che è anche Dio siede alla destra di Dio Padre.

San Paolo nella lettera ai Filippesi in 2,5-11 coglie queste verità con il seguente inno detto della "Kenosi" o "svuotamento": "Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò (, "ekénōse" o "kenosi") se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini.
Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: Gesù Cristo è Signore!, a gloria di Dio Padre." (Filippesi 2,5-11)

Gesù si abbassò da sua condizione oggettivamente elevata, in modo radicale, rinunciando a tutte le proprie prerogative per vivere la condizione dell'uomo nel peccato pur essendo senza colpa alcuna.

La filosofia contemporanea invero considerava la divinità imperturbabile, non suscettibile di sofferenza alcuna, come riassume Achille nell'Iliade XXIV, 525-6 quando dice: "Questo destino hanno dato gli dei ai mortali infelici, vivere afflitti, ma loro sono immuni da pena" eppure, Gesù dalla Sua condizione divina, mosso da amore pieno e gratuito, quindi dalla carità, fece ciò che era inatteso e incomprensibile all'uomo ... scese in terra, si fece integralmente uomo e prese sulle proprie spalle tutti i lati sfavorevoli dell'umanità, subendo sofferenze e morte, atroci e ignominiose.
Servì gli uomini fino alla fine, come atto di grande umiltà, lavò i piedi agli apostoli e perdonò i suoi uccisori, quindi, tutta l'umanità.
Quanto gli accadde coincide in modo impressionante con l'intuizione filosofica di Platone, tanto che ci si domanda se Platone non avesse letto Isaia e i Canti del Servo del Signore, infatti, dice "...il giusto sarà flagellato, sarà torturato, posto in ceppi sarà, gli si bruceranno gli occhi, da ultimo, sottoposto a ignominia estrema, sarà impalato." (Platone, La Repubblica)

Di questo giusto scrive, infatti, Isaia: "Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti." (Isaia 53,3-5)

Ne consegue che "carità" e "umiltà" sono due facce della stessa medaglia.
La carità è umile e l'umiltà è caritatevole!
Amica stretta dell'umiltà è la semplicità, quindi, carità, umiltà e semplicità vanno a braccetto.
A tale riguardo basta pensare che l'umiltà da spazio al prossimo.

Scrive san Paolo nel famoso inno in 1Corinzi 13: "la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse..."

L'invito che fa San Paolo "Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:" comporta un abbassamento da una posizione "negativa", vale a dire da una altezza falsa ove ci siamo innalzati per orgoglio e vanità, facendo una discesa necessaria per rinnegare qualcosa di cattivo che c'è in noi.

La raccomandazione che l'apostolo delle genti fa poco prima di questo inno è: "Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso..." (Filippesi 2,3)

Il Vangelo di Matteo 11,28-30 riferisce che Gesù ebbe a dire di sé: "Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio peso leggero."

È vero, se uno dice di sé "sono umile" pare proprio non essere umile!
Quel dire di Gesù però è pura verità e tale auto-dichiarazione va contestualizzata.
Gesù intendeva ricordare quanto la Torah aveva detto di Mosè in Numeri 12,3.

In Deuteronomio 18,15s, poi, c'è questa profezia: "Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto. Avrai così quanto hai chiesto al Signore tuo Dio, sull'Oreb, il giorno dell'assemblea, dicendo: Che io non oda più la voce del Signore mio Dio e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia." Che Gesù intende ricordare ricordando che è come Mosè, mite e umile di cuore, e che Dio come con Mosè parla faccia a faccia.

Gesù, infatti era oggetto di contestazioni come falso profeta da molti farisei, scribi e dottori della legge.
Poco prima ai versetti 11,3-6 aveva detto agli apostoli di Giovanni, ormai in carcere, che gli mandava a chiedere, "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?", ossia sei proprio tu lo "Shilu" della profezia di Genesi 49,10 che la tradizione attribuisce a Mosè, il che rivela come anche loro s'interrogavano visto che i sapienti non riuscivano a cogliere quanto in effetti avrebbero dovuto attendere e sperare.

Gesù in tale occasione rispose loro: "Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo! " vale a dire si stanno realizzando tutte le profezie che si trovano nelle Sacre Scritture anche se molti si scandalizzano.

Quindi proseguendo il discorso con i contemporanei e come dicesse non siate ciechi credete al vostro maestro.
Il Signore stava ricordando Mosè che, come abbiamo visto, la Torah in Numeri 12,3 definisce come il più umile degli uomini, a cui i suoi interlocutori, a parole erano tanto ossequiosi e rispettosi; del resto per gli Ebrei Mosè è "rabbenu" vale a dire il "nostro maestro", il primo e più importante.

Al proposito in Matteo 23,1-12 Gesù rivolto alla folla e ai suoi discepoli poi dirà: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano, infatti, fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filatteri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati "rabbi" dalla gente."

Questi in tal modo già hanno avuto la loro ricompensa (Matteo 6,3.5.16) e lì prosegue con: "Ma voi non fatevi chiamare "rabbi", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare "guide", perché uno solo è la vostra Guida (Maestro), il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato."

Gesù pronunciò quella frase con cui dichiarava di essere umile e mite proseguendo un paragone con il profeta Mosè che era malamente interpretato ed esaltato, mentre Lui era contestato dalla sua generazione di fratelli ebrei, ciechi di fronte alle profezie che si stavano attuando davanti ai loro occhi e che dicevano di essere fedeli a Mosè e a IHWH e al giogo della Torah, ma invero lo rifiutavano pur se era inviato dal Padre.

Gesù, appunto, ricorda il fatto del "giogo" che allude proprio alla Torah, in quanto la recitazione del primo versetto della preghiera dello "Shemà" che l'ebreo osservante deve fare mattina e sera è detta "l'accettazione del giogo della regalità di Dio" "kabalat ol malchut shamayim" - Mishnah "Berachot" 2,5.

La stessa conclusione: "chi si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato" si trova in un altro episodio, narrato dal Vangelo di Luca che serve a sottolineare cosa Gesù intendesse con umiltà.

Questo è il racconto: "Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisia. Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: È lecito o no guarire di sabato? Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. Poi disse loro: Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato? E non potevano rispondere nulla a queste parole. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e chi ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto! Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va a metterti all'ultimo posto, perché quando viene chi ti ha invitato ti dica: Amico, vieni più avanti! Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato."

La stessa frase si ritrova anche in Luca 18,14 nella parabola del fariseo e del pubblicano esposta in Luca 18,10-14 che riporto: "Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato."

Il Vangelo sottolinea l'esaltarsi anche in modo fisico con quello "stando in piedi" del fariseo, il suo farsi alto, ossia il vedersi innalzare come dicono le lettere dello "astuto" serpente in Genesi 3,1.
Il riconoscersi peccatore in definitiva per l'uomo è il fondamento dell'umiltà.
C'è poi un proverbio che recita: "La superbia va a cavallo e torna a piedi" e questo pensiero esprime in modo popolare proprio qualcosa di simile all'evangelico "chi si esalta sarà umiliato".

LA MULA DI DAVIDE
Prima di iniziare questo paragrafo è proprio necessario ricordare ancora una volta l'antica profezia che si trova nelle benedizioni di Giacobbe sul Messia che viene da Giuda.

Si tratta di quella che precisamente è in Genesi 49,10-12, profezia che ho già ricordato in un paio di occasioni e che recita: "Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli. Egli lega alla vite il suo asinello e a scelta vite il figlio della sua asina, lava nel vino la veste e nel sangue dell'uva il manto; lucidi ha gli occhi per il vino e bianchi i denti per il latte."

I cavalli hanno iniziato a essere addomesticati più tardi rispetto ad altri animali, in Asia attorno al 5.000 a.C. e in Europa nel III millennio a.C., quindi, in epoca relativamente recente.

Nella Torah non si trovano cenni di cavalli usati dagli Israeliti salvo che questa raccomandazione in Deuteronomio 17,14-17: "Quando sarai entrato nella terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti e ne avrai preso possesso... il Signore, tuo Dio, avrà scelto... sopra di te come re uno dei tuoi fratelli... non dovrà procurarsi un gran numero di cavalli né far tornare il popolo in Egitto per procurarsi un gran numero di cavalli, perché il Signore vi ha detto: Non tornerete più indietro per quella via! Non dovrà avere un gran numero di mogli, perché il suo cuore non si smarrisca; non abbia grande quantità di argento e di oro", questioni non rispettate dal re Salomone che si dotò di una quantità considerevole di mogli e cavalli.

Si apprende poi che la carne degli equini è ritenuta impura e non può essere mangiata, in quanto, non ruminano e non hanno unghia bipartita, infatti, Levitico prescrive: "Potrete mangiare di ogni quadrupede che ha l'unghia bipartita, divisa da una fessura, e che rumina."
Nella Bibbia il cavallo indiscutibilmente è associato alla guerra e si legge in:
  • Proverbi 21,31 - "Il cavallo è pronto per il giorno della battaglia, ma al Signore appartiene la vittoria."
  • Osea 1,7 - "Invece io amerò la casa di Giuda e li salverò nel Signore, loro Dio; non li salverò con l'arco, con la spada, con la guerra, né con cavalli o cavalieri."
Carri e cavalieri sono l'arma che il faraone scaglia contro l'eletto di Dio, il ribelle popolo d'Israele che fugge dalla sua oppressione e rappresentano la superbia dell'oppressore.
Al riguardo è celebre il famoso" cantico del mare" il cui ritornello fu cantato Maria, la sorella di Mosè, in Esodo 15,21 e dice: "Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: Cavallo e cavaliere ha gettato nel mare."

Il cavallo, insomma, animale superbo e solenne, nei Salmi 20,8; 33,17; 76,7; 147,10 non è mai usato per i lavori dei campi, ma come arma pesante, specie se unito al carro da guerra, ed esprime la potenza di chi attacca.
Si trova nel libro dei Giudici che i capi d'Israele e i loro figli non andavano a cavallo:
  • Giudici 5,9s - "Il mio cuore si volge ai comandanti d'Israele, ai volontari tra il popolo: benedite il Signore! Voi che cavalcate asine bianche, seduti su gualdrappe, voi che procedete sulla via, meditate..."
  • Giudici 10,3s - "Dopo di lui sorse Iair, il Galaadita, che fu giudice d'Israele per ventidue anni; ebbe trenta figli che cavalcavano trenta asinelli e avevano trenta città, che si chiamano anche oggi villaggi di Iair e sono nella terra di Galaad."
  • Giudici 12,14 - Il giudice d'Israele Abdon: "Ebbe quaranta figli e trenta nipoti, i quali cavalcavano settanta asinelli. Fu giudice d'Israele per otto anni."
L'asino è animale da soma, necessita per il lavoro e per trasportare carichi e persone, ma in pace; è bestia da lavoro e non è mai usato per la guerra.
Il cavallo invece si usa soprattutto per correre, per essere rapidi negli attacchi e nei cambiamenti di fronte e per travolgere con l'impeto della cavalleria e con i carri da guerra.

Il popolo d'Israele, in genere, combatteva a piedi, fidandosi nell'aiuto del Signore, come canta il Salmo: "Ora so che il Signore dà vittoria al suo consacrato; gli risponde dal suo cielo santo con la forza vittoriosa della sua destra. Chi fa affidamento sui carri, chi sui cavalli: noi invochiamo il nome del Signore, nostro Dio." (Salmo 20,7s).

Quando il popolo voleva un re come avevano le altre nazioni Signore aveva messo in guardia dicendo tra l'altro "Queste saranno le pretese del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli, li farà correre davanti al suo cocchio." (1Samuele 8,11)

Davide, celebre per tanti motivi, oltre che essere stato un grande poeta, autore di tanti salmi, suonatore d'arpa e cantore, fu un valoroso guerriero, di certo andava a cavallo e lo usava nelle sue scorrerie, quando fuggiva da Saul.
In 2Samuele 8,4 si legge che sconfisse Hadad-Èzer, figlio di Recòb, re di Zobà e "gli prese millesettecento combattenti sui carri e ventimila fanti: tagliò i garretti a tutte le pariglie di cavalli, riservandone soltanto cento", quindi per gli usi del regno.

Più avanti poi si legge in 15,1 che il figlio "Assalonne si procurò un carro, cavalli e cinquanta uomini che correvano davanti a lui."

Anche Adonia fratello di Assalonne "...insuperbito, diceva: Sarò io il re. Si procurò carri, cavalli e cinquanta uomini che lo precedessero." (1Re 1,5)

Il re Davide manifestò però in tutta la sua vita dedizione e fedeltà a IHWH e da più occasioni riportate nei sacri testi si riconosce anche la sua umiltà:
  • ebbe a chiedere perdono per proprio peccato di omicidio e di adulterio nei riguardi di Uria (2Samuele 12);
  • non si vergognò di ballare senza gli abiti davanti all'arca che veniva portata a Gerusalemme (2Samuele 6,12-23), riportando per questo fatto il disprezzo della moglie, figlia di Saul;
  • nell'accettare gli insulti di Simei in 2Samuele 16,5-14;
  • a Gerusalemme, città della pace, cavalcava una mula e non un cavallo.
Questo fatto della mula si evince da 1Re 1,33-35 quando il re Davide, in vecchiaia, disse al sacerdote Sadoc, il profeta Natan e Benaià: "Prendete con voi la guardia del vostro signore: fate montare Salomone, mio figlio, sulla mia mula e fatelo scendere a Ghicon. Ivi il sacerdote Sadoc con il profeta Natan lo unga re d'Israele. Voi suonerete il corno e griderete: Viva il re Salomone! Quindi risalirete dietro a lui, che verrà a sedere sul mio trono e regnerà al mio posto. Poiché io ho designato lui a divenire capo su Israele e su Giuda."

Si trovano poi in 2Samuele i seguenti riferimenti ai muli come cavalcatura usuale anche dei figli di Davide:
  • 2Samuele 13,29 - dopo che Assalonne figlio di Davide uccise il fratellastro Amnon che aveva abusato della sorellastra Tamar "... tutti i figli del re si alzarono, montarono ciascuno sul proprio mulo e fuggirono."
  • 2Samuele 18,9 - "Ora Assalonne s'imbatté nei servi di Davide. Assalonne cavalcava il mulo; il mulo entrò sotto il groviglio di una grande quercia e la testa di Assalonne rimase impigliata nella quercia e così egli restò sospeso fra cielo e terra, mentre il mulo che era sotto di lui passò oltre."
Ci doveva essere stato un ordine dato ai figli da parte del re Davide stesso, in Gerusalemme e dintorni non cavalcate cavalli, per manifestare la volontà di pace da parte del re e della sua famiglia.
Ora, com'è noto, il "mulo" e un ibrido che nasce da una cavalla e un asino, mentre il "bardotto" è il figlio di un'asina e di un cavallo; questi si dice sia meno robusto del mulo, ha le orecchie più piccole, nitrisce, mentre il mulo che raglia, comunque sono molto simili.

Se si ha un mulo, essendo questi un ibrido sterile, inevitabilmente c'è stato l'incrocio di un asino e un cavallo.
In ebraico il mulo o il bardotto è detto "feroed" dal radicale di "essere fertile" unito alla lettera "dalet" che vuol dire "porta" che graficamente è una mano che dice alt o aiuta, e questa volta indica impedimento, quindi "fertilità () impedita " in contrapposizione a "feroesh" usato alcune volte per riferirsi al cavallo.

Chi possiede vari muli vuol dire che deve avere anche cavalli, come certamente aveva Davide; del resto si legge in 1Re 5,6 che Salomone aveva un gran numero di scuderie, carri e cavalli, pur se ciò era in contrasto a quanto dettava Deuteronomio 17,14-17, che ho prima riportato.

Si legge poi in 1Re 5,8: "Portavano l'orzo e la paglia per i cavalli e i destrieri, nel luogo ove si trovava ognuno secondo il suo mandato." Ove fa distinzione tra i cavalli da tiro i "rachoesh" di carri da lavoro e trasporto e di carri da guerra i "sus" .




In nome "sus" e espressivo graficamente e porta al pensiero di una biga formata da due ruote unite da un asse .
Con quel segno della mula perciò Davide veniva a segnalare che essendo ormai re di Gerusalemme, città della pace, voleva esserlo a pieno, quindi, non intendeva usare la forza, che certamente aveva, ma la mitezza e che questa sarebbe stato il segno alla base anche del regno di Salomone, nel cui nome la pace "Shalom" era appunto ricordata.

La profezia fatta dal Signore a Natan in 1Cronache 17,11-14 (2Samuele 7,11-17): "susciterò un discendente dopo di te, uno dei tuoi figli, e gli renderò saldo il regno. Costui mi costruirà una casa e io gli assicurerò il trono per sempre. Io sarò per lui un padre e lui sarà per me un figlio; non ritirerò da lui il mio favore come l'ho ritirato dal tuo predecessore. Io lo farò star saldo nella mia casa, nel mio regno; il suo trono sarà sempre stabile."

Il regno di Davide però dopo la morte di Salomone non rimase stabile, ma si divise nel regno del Sud e del Nord, quindi, quella promessa rimase irrisolta e era attesa si concretasse con la venuta del Messia.

Il profeta Isaia ad esempio critica aspramente il re Ezechia che nel 702 a.C cercò di allearsi con l'Egitto contro l'Assiria ed esclama: "Guai a quanti scendono in Egitto per cercare aiuto, e pongono la speranza nei cavalli, confidano nei carri perché numerosi e sulla cavalleria perché molto potente, senza guardare al Santo d'Israele e senza cercare il Signore." (Isaia 31,1)

Del resto è da ricordare che re di Giuda e re di Israele, Acab, Ieoram, Acazia e Giosia, furono feriti a morte sul loro carro da guerra come si trova in 1Re 22,34-38; 2Re 9,21 e 24,27; 2Cronache 18,33s e 35,23s.
In vari passi anche altri profeti si pronunciano in modo duro nei riguardi dei cavalli da guerra:
  • Osea 1,7 - parla il Signore: "Invece io amerò la casa di Giuda e li salverò nel Signore, loro Dio; non li salverò con l'arco, con la spada, con la guerra, né con cavalli o cavalieri."
  • Osea 14,4 - "Assur non ci salverà, non cavalcheremo più su cavalli, né chiameremo più dio nostro l'opera delle nostre mani, perché presso di te l'orfano trova misericordia."
  • Michea 5,9 - "In quel giorno - oracolo del Signore - distruggerò i tuoi cavalli in mezzo a te e manderò in rovina i tuoi carri..."
Il profeta Zaccaria, vissuto dopo l'esilio babilonese, attendendo con ansia il nuovo regno di Davide, ebbe a profetizzare in 9,9 del libro omonimo: "Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile ("a'ni" ), cavalca ("rokeb" ) un asino ("a'l chamor" ), un puledro ("vea'l a'ir" ) figlio d'asina ("boen 'atonot" )".

Subito dopo, nel versetto successivo, spiega perché: "Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l'arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni..." (Zaccaria 9,10)

Quel dire "un asino, un puledro figlio d'asina", sta indicare che rispetto al vecchio regno di Davide questo re, il Messia, regnerà su un regno ove non ci sarà più nemmeno l'ombra di un cavallo, non sarà a cavalcare né un mulo, né un bardotto, ma un asino puro, ossia sarà integralmente mite e pacifico.
Gesù incarna questa profezia sul Messia del profeta Zaccaria quando, sette giorni prima della Pasqua, prima della sua passione, da Betfage sul versante orientale del monte degli Ulivi in un tragitto di un miglio a dorso di un asinello entrò a Gerusalemme accolto trionfante dai suoi discepoli osannanti con rami di palme.
Avendo colto il significato teologico di quell'evento, tutti e quattro i Vangeli canonici, i tre i sinottici - Matteo 21,1-11; Marco 11,1-11 e Luca 19,29-40 - e da Giovanni in 12,12-15 lo riportano.

Sia Matteo che Giovanni citano Zaccaria 9,9 e Luca in 19,30 precisa che su quella cavalcatura "nessuno è mai salito prima" e Giovanni nel suo Vangelo annota: "I suoi discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte." (Giovanni 12,16)
(In "Profezie nei Vangeli: il protovangelo di Zaccaria" e in "Aggeo e Zaccaria - protovangeli del Messia" si trovano decriptati tutti i capitoli del libro del profeta Zaccaria)

D'altronde Lui, il Messia, è il Principe della pace come lo definisce il profeta Isaia 9,5s: "...Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre."

È insomma definitivamente assodato che nel pensiero biblico l'asino è simbolo d'umiltà, di servizio e di pace, mentre il cavallo è simbolo di superbia e di spirito guerresco.
Nei Vangeli non una sola volta si trova il termine "cavallo".

Il profeta Zaccaria profetizza in 10,3 che: "il Signore degli eserciti visiterà il suo gregge e ne farà come un cavallo splendido in battaglia."

Questo cavallo splendido è impersonato dalla "Parola di Dio sul cavallo bianco".
E il libro dell'Apocalisse ecco che cita "cavalli" da entrambe le parti per la battaglia finale tra le armate di Gog e Magog contro il gregge del Signore che cavalca cavalli bianchi: "Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava Fedele e Veritiero: egli giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all'infuori di lui. È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è: il Verbo di Dio. Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro. Dalla bocca gli esce una spada affilata, per colpire con essa le nazioni. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell'ira furiosa di Dio, l'Onnipotente. Sul mantello e sul femore porta scritto un nome: Re dei re e Signore dei signori." (Apocalisse 20,11-16)

APPENDICE - DECRIPTAZIONE ESODO 18
Riporto il testo C. E. I. 2008 di Esodo 18.

Esodo 18,1 - Ietro, sacerdote di Madian, suocero di Mosè, venne a sapere quanto Dio aveva operato per Mosè e per Israele, suo popolo, cioè come il Signore aveva fatto uscire Israele dall'Egitto.

Esodo 18,2 - Allora Ietro prese con sé Sippora, moglie di Mosè, che prima egli aveva rimandata,

Esodo 18,3 - con i due figli di lei, uno dei quali si chiamava Ghersom, perché egli aveva detto: Sono un emigrato in terra straniera,

Esodo 18,4 - e l'altro si chiamava Eliezer, perché: Il Dio di mio padre è venuto in mio aiuto e mi ha liberato dalla spada del faraone.

Esodo 18,5 - Ietro dunque, suocero di Mosè, con i figli e la moglie di lui, venne da Mosè nel deserto, dove era accampato, presso la montagna di Dio.

Esodo 18,6 - Egli fece dire a Mosè: Sono io, Ietro, tuo suocero, che vengo da te con tua moglie e i suoi due figli!

Esodo 18,7 - Mosè andò incontro al suocero, si prostrò davanti a lui e lo baciò; poi si informarono l'uno della salute dell'altro ed entrarono sotto la tenda.

Esodo 18,8 - Mosè raccontò al suocero quanto il Signore aveva fatto al faraone e agli Egiziani a motivo di Israele, tutte le difficoltà incontrate durante il viaggio, dalle quali il Signore li aveva liberati.

Esodo 18,9 - Ietro si rallegrò di tutto il bene che il Signore aveva fatto a Israele, quando lo aveva liberato dalla mano degli Egiziani.

Esodo 18,10 - Disse Ietro: Benedetto il Signore, che vi ha liberato dalla mano degli Egiziani e dalla mano del faraone: egli ha liberato questo popolo dalla mano dell'Egitto!

Esodo 18,11 - Ora io so che il Signore è più grande di tutti gli dei: ha rivolto contro di loro quello che tramavano.

Esodo 18,12 - Ietro, suocero di Mosè, offrì un olocausto e sacrifici a Dio. Vennero Aronne e tutti gli anziani d'Israele, per partecipare al banchetto con il suocero di Mosè davanti a Dio.

Esodo 18,13 - Il giorno dopo Mosè sedette a render giustizia al popolo e il popolo si trattenne presso Mosè dalla mattina fino alla sera.

Esodo 18,14 - Allora il suocero di Mosè, visto quanto faceva per il popolo, gli disse: Che cos'è questo che fai per il popolo? Perché siedi tu solo, mentre il popolo sta presso di te dalla mattina alla sera?

Esodo 18,15 - Mosè rispose al suocero: Perché il popolo viene da me per consultare Dio.

Esodo 18,16 - Quando hanno qualche questione, vengono da me e io giudico le vertenze tra l'uno e l'altro e faccio conoscere i decreti di Dio e le sue leggi.

Esodo 18,17 - Il suocero di Mosè gli disse: Non va bene quello che fai!

Esodo 18,18 - Finirai per soccombere, tu e il popolo che è con te, perché il compito è troppo pesante per te; non puoi attendervi tu da solo.

Esodo 18,19 - Ora ascoltami: ti voglio dare un consiglio e Dio sia con te! Tu sta' davanti a Dio in nome del popolo e presenta le questioni a Dio.

Esodo 18,20 - A loro spiegherai i decreti e le leggi; indicherai loro la via per la quale devono camminare e le opere che devono compiere.

Esodo 18,21 - Invece sceglierai tra tutto il popolo uomini validi che temono Dio, uomini retti che odiano la venalità, per costituirli sopra di loro come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine.

Esodo 18,22 - Essi dovranno giudicare il popolo in ogni circostanza; quando vi sarà una questione importante, la sottoporranno a te, mentre essi giudicheranno ogni affare minore. Così ti alleggerirai il peso ed essi lo porteranno con te.

Esodo 18,23 - Se tu fai questa cosa e Dio te lo ordina, potrai resistere e anche tutto questo popolo arriverà in pace alla meta.

Esodo 18,24 - Mosè diede ascolto alla proposta del suocero e fece quanto gli aveva suggerito.

Esodo 18,25 - Mosè dunque scelse in tutto Israele uomini validi e li costituì alla testa del popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine.

Esodo 18,26 - Essi giudicavano il popolo in ogni circostanza: quando avevano affari difficili li sottoponevano a Mosè, ma giudicavano essi stessi tutti gli affari minori.

Esodo 18,27 - Poi Mosè congedò il suocero, il quale tornò alla sua terra."

Prima di presentare la decriptazione completa dal testo ebraico di questi 27 versetti presento a titolo d'esempio, giustificata, quella del versetto 14 che recita:

Esodo 18,14 - Allora il suocero di Mosè, visto quanto faceva per il popolo, gli disse: Che cos'è questo che fai per il popolo? Perché siedi tu solo, mentre il popolo sta presso di te dalla mattina alla sera?





Portati saranno stati nel corpo dal fratello , il Crocifisso , tra gli angeli i viventi risorti nel mondo venuti () dalla prigione nel risorto corpo . Da Lui in azione della risurrezione uscì la potenza che agì sui viventi portando a resistere l'originaria vita nei corpi da dentro uscita . Dal mondo s'insinuarono () nel corpo aperto da un colpo - ferita . Uscì la Donna () dal corpo del primogenito Crocifisso aperto , si vide alla luce . Uscì guizzando in azione con l'acqua , la Madre ; in aiuto La portò . La videro dall'Unigenito in croce uscire . Fu a recare a chi sta in esilio () dal cuore l'aiuto . La rettitudine recò con la sposa . In azione tra i viventi con gli apostoli scese . Da dentro dell'innalzato () fu la rettitudine della vita angelica . Da dentro la versò dal corpo . L'eternità aprì con l'agire alle moltitudini .

Ecco la decriptazione tutta di seguito.

Esodo 18,1 - A portarsi fu il Nome in azione, c'era stata l'indicazione che in un corpo si porterà per spegnere l'angelo (ribelle) nei viventi. Il giudizio (è) di strappare via l'angelo per salvarli venendo nella prigione per bruciare il male. Risorti ne usciranno, la divinità a rientrare sarà nei viventi, perché la risurrezione la perversità del serpente sarà a bruciare nei corpi. La divinità in azione nei viventi riporterà la rettitudine. Entrando li porterà a rialzarsi. Saranno a ricominciare col Signore. Venuti retti, la divinità nei viventi rivivrà, riscenderà nei corpi a stare nei viventi.

Esodo 18,2 - E saranno le tombe rovesciate. Saranno tutti nei corpi a riportarsi. Strappato via l'angelo, i salvati verranno ad alzarsi. Del Verbo il corpo uscirà la moglie che ha salvato con i fratelli. Nei corpi per la resurrezione la potenza della vita rientrerà.

Esodo 18,3 - Porterà a venire della risurrezione l'energia. Figlio sarà ad uscire da una donna. Da una povera madre uscirà l'Unigenito di nascosto per aiutare. In cammino in un corpo il Nome così sarà in un primogenito a vivere nel corpo. A camminare con il corpo nel modo sarà. Sarà di un prescelto a stare nella casa. In terra l'energia della rettitudine in un corpo sarà a entrare.

Esodo 18,4 - Porterà il fuoco un vivente nel mondo che i fratelli aiuterà. Dio spazzerà dai corpi con bruciature chi maledetto fu dal Padre. Sarà dentro la forza nei corpi a essere portata. Sarà a liberare dall'angelo (ribelle) che è nella midolla. Dai corpi il soffio del male uscirà.

Esodo 18,5 - A riportare sarà dentro l'Unico a stare in tutti lo Spirito. In tutti l'energia nei viventi accenderà. Entrando porterà dentro all'angelo che c'è bastonate e inizierà a bruciare completamente per la portata divinità. Dai viventi per il fuoco uscirà il maledetto. I viventi per l'aiuto ricreerà risorgendone ii corpi. Dal mondo li porterà l'Unico a uscire. Tra gli angeli entreranno i risorti a vivere rigenerati dalla divinità che entrata sarà nei viventi.

Esodo 18,6 - E saranno a ricominciare a vivere con i corpi con Dio. I viventi nella luce entreranno di "Io sono". Nell'assemblea con tutti gli angeli tra i retti staranno e saranno completamente saziati a casa dell'Unico. Il maledetto sarà stato da un retto, portata da una donna, finito, arso dal fuoco. L'angelo che c'era, il figlio l'avrà spazzato dai viventi nel mondo.

Esodo 18,7 - Portati saranno su da quel primogenito i salvati. Dal Potente li verserà con i corpi. Verranno strappati via dall'angelo (ribelle) e condotti saranno dal Risorto che in croce la perversità portò. E sarà il Risorto che li verserà accompagnandoli e sarà stato ad accendere la divinità. Portandosi in un uomo la potenza ai compagni avrà portato. Al Potente in pace li condurrà e saranno nella casa dell'Unico condotti dal mondo nello splendore a entrare.

Esodo 18,8 - Condotti saranno alla pienezza dal Verbo. Del serpente uscita la potenza, strappato via, rifiutato, la perfezioni delle origini si riaccenderà. Per il male bruciato dall'esistenza si porterà a rientrare la potenza. Il Verbo i compagni condurrà dal Potente. I viventi a scendere con i corpi gli saranno in seno. Dal Potente Unico li porterà per mano il Crocifisso. La rettitudine divina verra' in tutti. Entreranno nell'appeso Unigenito aperto. Tra i beati i viventi su verranno a vivere. A casa da strada li porterà; saranno a immagine del Signore.

Esodo 18,9 - E saranno nell'assemblea dei retti a stare dal Crocefisso nel corpo recati in alto. Da sposa amata vi porterà gli abitanti del mondo felici. Visto il Risorto aperto, saranno a entrarvi. Li avrà portati dal mondo al Potente da Israele. Nell'Unico risorto con i corpi entreranno. Su sarà ad accompagnare i viventi che gli saranno somiglianti (in quanto) giù con il corpo fu a vivere.

Esodo 18,10 - Portati saranno i viventi con gli originari corpi. Sarà in tutti corpi riportata la benedizione del Signore che dalla donna dal corpo uscì. Per la discesa che ci fu del serpente iniziò l'oppressione nei viventi che nel vivere gli furono somiglianti. Nelle angustie furono a vivere e (il loro) vivere fu impedito. Il soffio del male entrò nella donna, da corpi usciti scendeva l'esistenza del potenza. Vennero i popolo tra i morti, strappata via essendo stata la somiglianza (originaria); a scendere dai corpi fu dei viventi.

Esodo 18,11 - Nel tempo a entrare fu per aiutarli. Nel tempo fu con la retta esistenza in cammino. Dell'essere impuro per la potenza del Signore la piaga del serpente uscì. Il maledetto che stava nei viventi dalla rettitudine fu dentro impedito. Li ricreò. Con la risurrezione nei corpi lo colpì e per l'azione la potenza fu a rientrare nei viventi.

Esodo 18,12 - Per riportare obbedienti i viventi dalla croce lo spirito il Crocifisso inviò. Li salvò l'innalzato portatosi in sacrificio. Fu da un vivente il rifiuto al serpente a uscire. Fu ai viventi recata la forza dentro delle origini dell'Unico. Li rigenerò l'energia e in tutti colpì rovesciando l'angelo (ribelle) che c'era. Saranno risorti i corpi. Della divinità la potenza riarginerà in tutti. Il vigore della vita reagirà nelle midolla di tutti. Con l'energia della vita del Risorto usciranno potenti le persone, essendo uscito il maledetto che stava nei viventi.

Esodo 18,13 - E saranno dal mondo a essere fuori i viventi. Vivranno stretti al corpo del Crocifisso che a portarli sarà stato dallo stare in esilio. I salvati entreranno dal Potente. Dal Verbo dal cuore verranno fuori i popoli e saranno visti vivi aiutati a uscire, si vedranno dal seno guizzare. I salvati entreranno a vivere con gli angeli. Entreranno un mattino eterno. A entrare si vedranno le moltitudini.

Esodo 18,14 - Portati saranno stati nel corpo dal fratello, il Crocifisso, tra gli angeli i viventi risorti nel mondo venuti dalla prigione nel risorto corpo. Da Lui in azione della risurrezione uscì la potenza che agì sui viventi portando a riesistere l'originaria vita nei corpi da dentro uscita. Dal mondo s'insinuarono nel corpo aperto da un colpo - ferita. Uscì la Donna dal corpo del primogenito Crocifisso aperto, si vide alla luce. Uscì guizzando in azione con l'acqua, la Madre; in aiuto La portò. La videro dall'Unigenito in croce uscire. Fu a recare a chi sta in esilio dal cuore l'aiuto. La rettitudine recò con la sposa. In azione tra i viventi con gli apostoli scese. Da dentro dell'innalzato fu la rettitudine della vita angelica. Da dentro la versò dal corpo. L'eternità aprì con l'agire alle moltitudini.

Esodo 18,15 - E sono dal primo essere ribelle salvati col vigore del Crocifisso che gli apostoli recano. La rettitudine è a ristare dentro, ricomincia la divinità. Sono a uscire per l'azione della Madre rinati con le menti illuminate. La divinità ad entrare è dalle acque (del Battesimo).

Esodo 18,16 - La rettitudine è a ristare nell'esistenza. Il serpente esce dai viventi. La Parola dentro origina la divinità che è a recare l'illuminazione. Le parole di amore del Crocifisso sono in mezzo agli uomini e dentro dono dagli apostoli pastori portate e fatte conoscere. Sono a venire dalla prima all'ultima nelle assemblee ove riversate sono. Nel mondo di Dio uscita è la vita e viene la Torah al completamento a essere recata.

Esodo 18,17 - E sono a dire nelle assemblee che il Crocefisso invierà ai viventi la risurrezione. Nel mondo al maledetto sarà a recare il rifiuto. Nei cuori si porterà dentro ad entrare l'aiuto. Li ricreerà risorgendo i corpi. Dal primo all'ultimo del mondo si vedranno risorti uscire.

Esodo 18,18 - Appassirà completamente dentro il serpente, fuggirà per vivere, verrà correndo dai viventi fuori. L'azione nei viventi entrerà a colpirlo. Entrerà dell'Unico il fuoco nei corpi. Per l'azione i viventi retti così saranno. La rettitudine dentro al sangue rivivendo l'avrà spento. Insinuandosi nei corpi il rifiuto finale gli recherà. La rettitudine da potenza agirà per la risurrezione. A entrare si porterà nei cuori l'aiuto della rettitudine.

Esodo 18,19 - Si vedrà dal Crocifisso uscire la risurrezione dal seno. Da dentro riverserà la potenza che c'era dell'Unico. Sarà in azione a scendere la rettitudine e sarà a entrare l'esistenza della divinità. A entrare sarà in seno ai viventi la retta esistenza. Verrà la potenza ad agire nei viventi. Li circonciderà dal maledetto che sarà dai viventi a portarsi fuori. Dentro riverrà l'Unico in tutti. Usciranno per l'aiuto ricreati dal Potente. Nel mondo la divinità entrerà a stare nei viventi.

Esodo 18,20 - E entrerà questa a rigenerarli. Tutti usciranno dall'Unico segnati. Riaprirà la vita dell'Unico a tutti. Entrata nelle tombe, le rovescerà. Saranno in vita riportati dal primo all'ultimo. Rientrerà in tutti e i corpi il Crocefisso porterà allo splendore. Agirà in tutti la potenza rientrata nei viventi. Nel primogenito Crocefisso entreranno. Una strada sarà. In cammino li condurrà. Dentro di Lui tutti entreranno i viventi risorti. Si vedranno entrare felici con i corpi. Saranno alla vista simili ad angeli.

Esodo 18,21 - E verranno nel Crocefisso nel petto. Entreranno dalla piaga che il serpente gli aprì. Vedranno i viventi che in uomo era a vivere il Potente; era in quel primogenito a stare. Dio al mondo era stato a vivere in un uomo. Fu il primo morto risorto. Per l'angelo nemico da cui scese il peccare un fuoco dal morto innalzato uscì. In vita (poi) risorto il corpo fu. La divinità soffiata fu ai viventi per risorgere i corpi. Erano i viventi a desiderarlo. Alla fine la risurrezione dei corpi ci sarà. Dalle tombe, vivi, risorgeranno. Saranno i viventi a riportarsi con luminosi corpi. Saranno alla vista con luminosi corpi (come) il Crocefisso.

Esodo 18,22 - E il giudizio porterà l'Unico alla fine nel mondo ai popoli. Dentro tutti nel tempo i riportatisi nel mondo saranno in un campo aperto. La sposa della Parola ne uscirà gloriosa sarà. A casa a stare l'Unigenito la condurrà da Dio essendo retta e con la sposa della Parola usciranno i "piccoli". E a giudicare si porterà nel mondo i viventi e usciranno rovesciati i potenti. Nei viventi che agirono da serpenti sarà arso l'angelo (ribelle). Alla distruzione lo porterà, verranno retti.

Esodo 18,23 - L'Unico dalla "Madre" venne. La Parola uscì da questa nel mondo. La prescelta vide una luce entrare, giù recò la rettitudine Dio. A entrare fu nella Madre e fu la sposa segnata. Ad agire tra i viventi per aiutare si portò. Dal cammino la piaga del serpente uscirà. Entrò in azione tra i viventi. Entrò per colpirlo nel mondo avendo visto dal serpente la putredine della vita portata. Era dentro dal Padre per la "pace".

Esodo 18,24 - A recare fu ad accendere il seno alla madre. Una luce uscì dal Potente. Una voce di nascosto alla prescelta un angelo recò e fu sentita dall'illuminata sposa. L'Unigenito la luce (da Lei) avrebbe visto, le diceva.

Esodo 18,25 - E fu a chiudersi nel corpo della madre. Ad accenderla entrò dell'Unico l'energia col dono della vita del Potente. La vita retta il Potente fu a sorgerle nel corpo. La divinità recò e fu segnato di bella purezza il corpo della donna (ove). Fu da vivente dall'alto a uscire per agire. Dalla madre alla luce il corpo fu di Dio. Il Verbo fu dalla madre alla luce in un corpo. Fu in vita il primogenito recato al termine. Un fuoco nel corpo stava nascosto per salvare gli esseri viventi e la risurrezione dei corpi, agendo, avrebbe bruciato (il serpente) completamente.

Esodo 18,26 - Porterà la risurrezione. Il Verbo dal cuore la recherà a venire in azione nei viventi. Dentro tutti dal tempo verranno fuori. Il (suo) aiuto dentro i corpi entrerà; vi riverserà la risurrezione. Entrando sarà dentro a ristare l'originaria recata energia di Dio. A salvare porterà la sposa. La Parola, aperta, verserà dal cuore l'energia. Sarà la risurrezione a soffiare e dal cuore porterà a uscire la vita.

Esodo 18,27 - E sarà la risurrezione a guizzare dal costato (quinta costola) aperta. Verrà dal cuore l'energia recata e sarà a guizzare in tutti riportando l'originaria potenza dell'Unico; i corpi ad alzare recherà.

Risulta essere una ulteriore prova che è possibile trovare una seconda faccia dei brani dell'Antico Testamento in ebraico.
È questa decriptazione ottenuta una succinta ma pregnante storia del Messia come le tante che si rinvengono quali seconde pagine dalla decriptazione di brani delle Sacre Scritture.
La decriptazione è resa possibile grazie ai messaggi grafici delle lettere usate che erano quelle mutate nella forma esterna delle scritte sinaitiche dei tempi storici in cui avvenne l'Esodo - XIII secolo a.C. - quelle che la tradizione da come scritte dal dito di Dio sulle due tavole e che furono interpretate, usate e tramandate fino a trasformarsi nelle lettere ebraiche che ci sono arrivate nella forma del rabbino quadrato.
Quelle lettere furono dapprima passate alla scuola di Mosè, ai settanta anziani e la conseguente Torah poi fu in mano dei sacerdoti prima della tenda poi del Tempio, quindi Esdra Neemia, dopo Babilonia e la scuola si consolidò.

A mio parere nel Tempio c'era una scuola ove i più anziani chiedevano ai giovani di scrivere pagine di storia e altro, vere ma anche ben criptate, poi raccoglievano i migliori risultati e facevano antologie - 1 e 2Samuele, 1 e 2Re; 1 e 2Cronache, e libri a se stanti completi come Ester, Proverbi, Qoelet, Salmi.

a.contipuorger@gmail.com

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