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RICERCHE DI VERITÀ...

 
DALLA DESTRA DEL TEMPIO

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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IL MIRACOLO DELLA VISTA AL CIECO NATO
Nel Vangelo di Giovanni, dopo l'episodio al capitolo 8 della "donna adultera" e della discussione con i farisei e con altri che lo contestavano sulla discendenza di Abramo, nel 9° capitolo si trova un ulteriore miracolo di Gesù a Gerusalemme che ha a che fare con l'acqua di una piscina, quella detta di Siloe alimentata da acqua della sorgente Ghicon.
In tale occasione il Signore dona la vista a un "cieco nato".
Dopo l'insegnamento di quel paralitico figura dell'umanità tutta intera che da Adamo in poi è incapace di camminare con Dio, l'uomo, cieco dalla nascita miracolato da Gesù fa pensare alla stessa umanità, pure completamente cieca dalla nascita.
Anche questo miracolo verificatosi nei riguardi di quel cieco nato, rivisitato dalla comunità cristiana in cammino, come per il caso del paralitico, fu riferito dall'evangelista per il significato profetico che veniva ad assumere.
Questo è il testo del Vangelo secondo C. E. I. 2008:

"Passando, vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco? Rispose Gesù: Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo. Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: Va a lavarti nella piscina di Siloe - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva." (Giovanni 9,1-7)

Quest'uomo era nato cieco, non aveva mai visto la luce.
Gesù, subito dopo l'episodio della donna adultera aveva asserito in Giovanni 8,12: "Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" e qui ora riprende il discorso con quel "Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo".

La cecità è non vedere la luce fisica, ma l'episodio allude a qualcosa di più, in gioco c'è anche una cecità totale, che implica di non vedere addirittura la "Luce" che promana da Dio Creatore e da Gesù stesso, il Suo inviato, come faranno poi capire d'essere ciechi i farisei che lo contestano ignorando il miracolo per l'odio che li acceca nei riguardi di Gesù.
Alla fine del l'episodio questi gli diranno: "Siamo ciechi anche noi?" e "Gesù rispose loro: Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane." (Giovanni 10,40s)

Il miracolo intendeva risanare entrambe tali cecità e così avviene proprio per quel cieco che grazie alla vista ricevuta lo riconosce come Messia.

Il Vangelo, infatti, sottolinea: "Gesù... quando lo trovò, gli disse: Tu, credi nel Figlio dell'uomo? Egli rispose: E chi è, Signore, perché io creda in lui? Gli disse Gesù: Lo hai visto: è colui che parla con te. Ed egli disse: Credo, Signore! E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi." (Genesi 10,35-39)

Gesù in occasione di questo miracolo si comporta proprio come il Creatore del racconto del Genesi; le sue azioni, infatti, alludono all'atto creativo della Luce e di Adamo col fango della terra e con la parola.
Ecco che per comprendere il significato profondo degli atti compiuti da Gesù è opportuno andare a pensare la parola "cieco" in ebraico.
Ora, in ebraico le lettere con diversa vocalizzazione danno luogo sia a "cieco, acciecato, non vedente" "i'wwer", sia a "pelle" "o'r".
Ciò si giustifica con le stesse lettere:

  • "pelle", "o'r", "vedo portata sul corpo ";
  • "cieco, acciecato, non vedente", "i'wwer" "sugli occhi si porta un corpo " come fosse una benda sugli occhi; in base all'ordine di quelle lettere si può pure leggere "davanti agli occhi di un bastone - asta il corpo " e ne viene fuori il pensiero che si trova in Matteo 7,3: "Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?"
Quelle lettere vanno poste in confronto con quelle di "'or" "Luce" che sono molto simili; infatti, cambia solo la lettera iniziale.
Insomma, andando dietro a tale aspetto ecco che la tesi sottile che nasconde quella cecità è proprio l'essere indifferenti all'esistenza del Dio Creatore come lo fu il primo uomo che fu "cieco" nei riguardi della Luce della "Creazione": "la luce vera che illumina ogni uomo" (Giovanni 1,9)

La parola "pelle" si trova, infatti, anche nel racconto della caduta di Adamo in Genesi 3,21, quando Adamo che ormai si sentiva nudo fu ricoperto, appunto, di pelle.

Adamo insomma era stato accecato dal serpente ed era caduto negando il "Creatore" dalla sua vita.
Era come fosse divenuto cieco ed aveva perso ogni dignità, era diventato nudo!
Aveva perso il vestito di Luce e si era vestito di pelle e di cecità!
(Vedi: "Il vestito d'Adamo")

Gesù, poi non afferma che il cieco nato e i suoi genitori fossero senza peccato, ma semplicemente che non è per tale motivo che quel poveretto era cieco.
Il cieco nato, infatti, rappresentava tutta l'umanità che attendeva la "Luce".
Era vero che quegli non era cieco fisicamente per i peccati propri o dei genitori, ma era cieco spiritualmente per colpa di Adamo e del peccato originale.
Del resto le lettere di "i'vver" nascondono anche un'atavica schiavitù, quella di "peccare () con il corpo ".

Il nome della piscina in italiano è Siloe, ma anche Siloam.
Il Vangelo propone in latino "Missus", in greco , che probabilmente era il nome del canale adduttore dal Ghicon alla piscina.
In ebraico in effetti era "Shoelach" o "Shilocha", comunque dal radicale del verbo che significa "inviare" come risulta da questi versetti che riguardano tale piscina nell'Antico Testamento:
  • Neemia 3,15 - "Sallùm figlio di Col-Coze, capo del distretto di Mizpà, restaurò la porta della Fonte; la ricostruì, la coprì, vi pose i battenti, le serrature e le sbarre. Fece inoltre il muro della piscina di Siloe ("Shoelach"), presso il giardino del re, fino alla scalinata per cui si scende dalla città di Davide."
    (In Appendice col metodo di "Parlano le lettere" presento decriptati i 38 versetti del capitolo 3 di Neemia che oltre la piscina di Siloe di 3,15 ai versetti 1 e 32 cita "la Porta delle Pecore")
  • Isaia 8,6 - "Poiché questo popolo ha rigettato le acque di Siloe ("Shilocha":), che scorrono piano, e trema per Rezìn e per il figlio di Romelia..."
  • Isaia 22,9 - "Avete visto le brecce della Città di Davide quanto erano numerose . Poi avete raccolto le acque della piscina inferiore..."
San Girolamo (385-419 d.C.) su Isaia 8,5 commenta: "Noi che abitiamo in questa provincia non possiamo nutrire alcun dubbio che la fonte di Siloe si trovi alle falde del monte Sion e che in certe ore e giorni essa ribolla, procedendo da canali sotterranei e caverne scavate nel sasso durissimo."

I gesti di Gesù in quel miracoli di fatto sono ricordati nel Rituale Romanum "De Sacramento Baptismi", in quanto vi prevede che il sacerdote metta un poco di saliva sul pollice, e tocchi le orecchie e le narici dei bambini. (Si omette l'uso della saliva se l'igiene lo richiede per pericolo di contagio, mantenendo però i tocchi rituali e le formule) e:
  • toccando le orecchie, dice a ciascuno singolarmente: "Ephpheta, quod est, Adaperire" Effetà cioè apriti!
  • toccando le narici, dice: "in odórem suavitátis. Tu autem effugáre, diábole; appropinquábit enim judícium Dei", ossia... apriti... ad accogliere il buon odore di Cristo. E tu, demonio, vattene, perché è vicino il giudizio di Dio.
Quel radicale dal verbo ebraico di inviare chiarisce i termini di "Missus" in latino e di piscina dello "inviato" che dice Gesù, entrambi equivalenti a "emissario" della fonte di origine e nel contempo alludono al potere del vero emissario del Padre, Lui, Gesù Cristo che si rivelerà come "Figlio dell'Uomo" e dalla croce emetterà dal costato trafitto l'acqua della salvezza, quella del battesimo.

Una conferma del senso di quel "Missus" o "inviato" si ha nel versetto Giovanni 10,36: "...a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio?"
Qui, oltre che mandato si parla di "colui che il Padre ha consacrato" ossia dell'unto, il Cristo, il Messia.
Questo "colui che", corrispondente a "colui il quale", nel racconto del miracolo alla piscina di Siloe è riferito due volte proprio a Gesù - versetti 4 e 37 - il che mi ha mosso a fare una semplice, ma fruttuosa ricerca, e seguire nei Vangeli, pur se tradotti in italiano, questo "colui che" e vedere quante volte è riferito a Gesù Cristo.
Ho ottenuto i seguenti risultati:
  • Matteo, 26 volte, di cui 11 riferite a Gesù;
  • Marco, 7 volte, di cui 3 riferite a Gesù;
  • Luca, 26 volte, di cui 14 riferite a Gesù;
  • Giovanni, 47 volte, di cui 36 riferite a Gesù.
È evidente in Giovanni la precisa intenzione di usare quel pronome in modo ostentato proprio in modo specifico riferito al Cristo e in particolare ripete per 25 volte "mi ha mandato".

Ora in Genesi 49,10 tra le benedizioni di Giacobbe ai figli si trova la celebre profezia messianica: "Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli." (Genesi 49,10)

Quel "colui al quale" in ebraico di quel versetto è "shilo" o "shila" e le lettere dicono "la Luce - fuoco è del Potente a recare " o "Luce - fuoco è del Potente nel mondo ".

I rabbini considerano "Shilo" come un nome proprio, uno dei vari nomi con cui definiscono il Messia, per dire "colui che deve essere inviato", ossia "finché verrà Shilo", e Shilo, ossia Silo, - ebraico "Shilō" e "Shilōh"; greco - era anche il nome del luogo del primo santuario Israelita dopo la conquista della terra promessa con Giosuè, nella tribù di Efraim, situato presso Bethel a circa 40 km. a nord di Gerusalemme ove ebbe sede stabile l'Arca dell'alleanza che vi rimase fino al tempo Samuele, poi fu distrutta dai filistei.
Corrisponde all'odierna "Khirbet Seilun".
A questo punto ecco spontaneo venire alla mente il perché della domanda, che peraltro in tal modo è chiarita a pieno, che su incarico di Giovanni il Battista proposero i suoi discepoli a Gesù: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?" (Matteo 11,3)

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