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DECRIPTAZIONE BIBBIA...

 
L'UOMO È COME UN ALBERO

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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L'ALBERO CHE CAMMINA
Vari e tanti, peraltro, sono i paralleli tra alberi e uomini che si rinvengono nei libri che compongono la Bibbia.
Del resto complessivamente nelle traduzioni i termini "albero - alberi, pianta - piante e piantare" si trovano per oltre 200 volte e frutto - fruttii o fruttificare per 290, il che rende ampio il campo che è da investigare.
Per le loro varie forme e per specifiche qualità, con la variabilità dei frutti e delle foglie, per la presenza di spine o di resina, per altezza o per forma delle chiome e delle radici, gli alberi, si prestano a commenti e similitudini con le caratteristiche di certi uomini, fruttiferi o non, alti e superbi, come i cedri del Libano o umili come gli arbusti spinosi, ecc..
Si pensi ad esempio al rito del "Lulav", ramo verde di palma, che gli ebrei agitano nella festa di Sukkot.

Per il comandamento in Levitico 23,40-43 "Il primo giorno prenderete frutti degli alberi migliori, rami di palma, rami con dense foglie e salici di torrente e gioirete davanti al Signore, vostro Dio, per sette giorni... Dimorerete in capanne perché le vostre generazioni sappiano che io ho fatto dimorare in capanne gli Israeliti, quando li ho condotti fuori dalla terra d'Egitto" gli ebrei osservanti, nel primo di quei giorni, in sinagoga fanno una processione con in mano quattro specie di rami che la tradizione talmudica in connessione con quel disposto del Levitico indica che debbono essere:

  • "frutti degli alberi migliori", "e'ts hadar" , interpretano un ramoscello con frutti di cedro, allude al cuore dell'ebreo;
  • "rami di palma", "kapet tamarim" , ossia di palma da datteri, allude alla spina dorsale;
  • "rami con dense foglie", "a'naf e'ts a'bot" , e propongono un ramoscello di mirto hadas con foglie a spighetta, che secondo tradizione rappresenterebbe l'occhio;
  • "salici di torrente", "a'rvi nachar" , pioppo di fiume, un ramoscello che dicono stia per la bocca.
Quegli avvicinamenti di quei rametti con organi umani starebbero a dire che nel loro immaginario l'ebreo ideale ha un cuore buono, una spina dorsale che non viene piegata dalle vicende umane, è sempre decorosamente coperto con indumenti particolari e ha una bocca pronta alla preghiera.

Ecco poi che in un "midrash" quei rami rappresentano quattro tipi di uomini:
  • il cedro, l'albero migliore, bello e con frutto, lo "'etrog", saporito e profumato, è come chi studia la "Torah" e compie opere buone;
  • il ramo di palma, il "lulav", dà un frutto dolce, il dattero, ma senza profumo, come un sapiente di Torah, ma che non compie buone azioni;
  • il mirto, ramo con dense foglie che ha profumo, ma non ha sapore, come chi fa buone azioni, ma non studia la "Torah", generoso, ma non sapiente;
  • il salice, non ha né sapore, né odore, rappresenta chi non ha buone azioni e neppure studia la "Torah".
Poi il pensiero si porta alla prima teofania in cui Mosè fu spettatore, riferita in Esodo 3, ove il Signore non lo chiamò da un albero elevato, ma "...apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto", un cespuglio spinoso e ardente, con ci ebbe a dare l'insegnamento che lo Spirito Divino sta in esseri umili.

Cito di seguito alcuni paragoni con gli alberi che si trovano in quei libri:
  • Giobbe 19,10 - "Mi ha disfatto da ogni parte e io sparisco, mi ha strappato, come un albero, la speranza."
  • Giobbe 24,20 - "Il seno che l'ha portato lo dimentica, i vermi ne fanno la loro delizia, non se ne conserva la memoria ed è troncata come un albero l'iniquità."
  • Ezechiele 31,3 - "Ecco, l'Assiria era un cedro del Libano, bello di rami e folto di fronde, alto di tronco; fra le nubi era la sua cima."
  • Osea 14,5-8 - "Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò di vero cuore, poiché la mia ira si è allontanata da loro. Sarò come rugiada per Israele; esso fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano, si spanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell'olivo e la fragranza del Libano."
  • Geremia 17,5-8 - "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo... Egli sarà come un tamerisco nella steppa. Benedetto l'uomo che confida nel Signore... Egli è come un albero piantato lungo l'acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell'anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti." Un commento merita questo "tamerisco nella steppa" "a'ra'r ba'rabah" cui Geremia paragona l'uomo che non confida nel Signore, le lettere spiegano l'esempio, "vi si vede un cattivo tra i molti nemici che abitano nel mondo ".
Celebre poi è il parallelo tra l'uomo e l'albero nel Salmo 1,1-3: "Beato l'uomo che non entra ne consiglio dei malvagi... È come un albero piantato lungo corsi d'acqua, che dà frutto a suo tempo; le sue foglie non appassisco e tutto quello che fa, riesce bene."
(come in Geremia 17,8 e Ezechiele 47,12)

L'eremita Sant'Agatone d'Egitto, uno dei "Padri del deserto" vissuti nel IV secolo nelle steppe di Palestina, Siria ed Egitto, ebbe a dire: "L'uomo è come un albero, la fatica del corpo sono le foglie, la custodia del cuore il frutto. Ora, poiché com'è scritto: 'Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco' (Matteo 7,19), è chiaro che tutto il nostro impegno deve tendere al frutto, cioè a custodire il nostro spirito. Ma è necessaria anche la protezione e l'ornamento delle foglie, cioè la fatica del corpo."

In definitiva, ciò chiarisce la base delle regole monastiche "Ora et labora", per cui occorre, nutrire il corpo e spirito.
Quel pensiero di Sant'Agatone che l'uomo è come un albero è proprio dell'ebraismo che lo considera come un enunciato della Torah, dedotto oltre che dai vari paragoni da una lettura particolare del versetto Deuteronomio 20,19 che la C.E.I. 2008 traduce in questo modo: "Quando cingerai d'assedio una città per lungo tempo, per espugnarla e conquistarla, non ne distruggerai gli alberi colpendoli con la scure; ne mangerai il frutto, ma non li taglierai: l'albero della campagna è forse un uomo, per essere coinvolto nell'assedio?" ove è data una diversa interpretazione che non prevede il "forse", ma un "perché", quindi quanto in grassetto diviene "...perché l'albero della campagna è un uomo..." e allora si trasgredirebbe al comandamento di "non uccidere" visto che non è un nemico specifico da assediare.

Alcuni commentatori ne traggono che addirittura un albero da frutto non si può tagliare per usare il suo tronco come ariete in un assedio.

Levitico 19,23-25 prescrive: "Quando sarete entrati nel paese e vi avrete piantato ogni sorta d'alberi da frutto, ne considererete i frutti come non circoncisi; per tre anni saranno per voi come non circoncisi; non se ne dovrà mangiare. Nel quarto anno tutti i loro frutti saranno consacrati al Signore, come dono festivo. Nel quinto anno mangerete il frutto di quegli alberi; così essi continueranno a produrre per voi. Io sono il Signore, vostro Dio".

Per quel "...ogni sorta d'alberi da frutto" la prescrizione si applica anche alla vite, quindi, all'uva e al suo vino.
Gli ebrei osservanti in analogia alla suddetta prescrizione non tagliano i capelli del loro bambino fino a che compie tre anni.
Del resto nel capitolo 1 del libro del Genesi i 6 giorni - tempi - tappe che portano alla creazione dell'uomo si possono dividere in due serie di 3 e porli in relazione tra loro nel seguente modo:
  • il 1° creazione della luce con il 4°, presentazione degli astri;
  • il 2° firmamento con il 5°, creazione dei pesci e degli uccelli;
  • il 3° crescita degli alberi con il 6°, formazione dell'uomo.
I racconti biblici, nel primo del rotolo della Torah o Pentateuco, dopo i primi due capitoli del libro del Genesi dedicati alla "creazione", presentano, infatti, un episodio, ritenuto un "midrash" (dall'ebraico DRSh "ricercare") vale a dire un racconto istruttivo, in cui avviene una svolta radicale per la storia dell'umanità, quando, la prima coppia dei progenitori, figli di Dio, in quanto, "...il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente" (Genesi 2,7), mangiò di un albero che non doveva mangiare, per cui l'uomo s'è radicato sulla terra, mentre le sue radici erano il cielo.
Da Dio, padre e madre, al primo uomo, infatti, veniva lo Spirito che è linfa vitale, ma l'uomo scelse di alimentarsi di altra linfa, vale a dire dagli istinti "educati" dalla "ragione", ma senza Dio, quindi, esasperati al massimo livello; insomma scelse di evolversi in un animale perfetto e si radicò nella terra.
L'uomo, che fu creato come un albero che cammina, con le radici che attingevano al cielo e spingeva i rami verso la terra, ove doveva portare frutti, invece scelse di capovolgersi, fu così che le radici le impiantò nella terra e innalzò e innalza verso il cielo il proprio orgoglio portando frutti terreni.


Ciò detto, a rafforzare quel paragone uomo - albero un particolare miracolo di Gesù pare confortare quel pensiero.
Si trova nel Vangelo di Marco in 8,22-25, e solo in questi, senza paralleli nei Vangeli sinottici di Matteo e di Luca.
L'esegesi suggerisce che la guarigione in tale episodio è un gesto profetico di Gesù che schiude gradualmente gli occhi dei discepoli sulla Sua messianicità. Questo è il breve racconto: "Giunsero a Betsàida, dove gli condussero un cieco pregandolo di toccarlo. Allora preso il cieco per mano, lo condusse fuori del villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: Vedi qualcosa? Quegli, alzando gli occhi, disse: Vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che camminano. Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa."
Questo miracolo, come quello della creazione, si sviluppa nel tempo come a significare che la fede è un cammino in cui Dio opera sull'uomo in fasi progressive e porta l'illuminazione sulla vita per tappe.

In ebraico "fusto o tronco" di un albero è "geza'" , (come in Giobbe 1,8; Isaia 11,1 e 40,24) e in quelle lettere la prima, la "ghimel" , pare proprio uno che cammina e quel termine ebraico suggerisce proprio quanto dice quel cieco nel riavere i primi bagliori di vista, "camminare questo vedo ", ma anche "a scorrere l'attrezzo (sega) ha agito ", ossia uno segato.
Di questo albero, che è l'uomo, infatti, furono, segate le radici del cielo e fu radicato in terra come si evince da Genesi 3, che cercherò di chiarire.
A Dio in quel momento non restò che porre in evidenza la situazione con parole che paiono una condanna "...polvere tu sei e in polvere ritornerai!" (Genesi 3,19), ma sono solo constatazione del dove aveva portato la scelta volontaria dell'uomo, cui Dio stesso non poteva sottrarsi, perché lo voleva creare simile a sé, quindi, libero, oltre che perfetto e iniziò il tentativo di recupero.

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