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EREDITÀ E AMORE

di Alessandro Conti Puorger
 
 

EREDI DEGLI ANTENATI
L'eredità è l'insieme del patrimonio personale che alla morte per successione passa nella titolarità giuridica di altri soggetti.
Oltre i beni materiali, ossia l'asse ereditario per i legittimi eredi, ognuno alla morte lascia il corpo da restituire alla terra e il proprio ricordo con varia intensità e angolature diverse a coloro che l'hanno conosciuto, odiato o amato.
Questo ricordo se non alimentato diviene sempre più evanescente.
L'uomo però è di più di tutto quello che lascia!
Non sono trasmessi, infatti, a pieno il suo io, il suo senso della vita, il suo intelletto, i propri desideri, le sue esperienze, il bagaglio della sua conoscenza, i suoi progetti, le sue aspirazioni, la profondità dei sentimenti, insomma, il suo spirito e il suo "animus"; tutto ciò, infatti, in grande misura pare perdersi.
Eppure, per ciascuno, ad essere la persona che è o è stata hanno contribuito in grande misura i lasciti, non solo dei beni, ma sotto tutti gli aspetti, da parte di genitori e progenitori, maestri e di padri della fede, insomma di chi ha incontrato nella vita che in qualche modo ha influito nella formazione del suo carattere e sulle scelte principali.

Si trova però nella Bibbia in Qoelet 1,11: "Non resta più ricordo degli antichi, ma neppure di coloro che saranno si conserverà memoria presso coloro che verranno in seguito" e al riguardo, Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) scrisse "Vita enim mortuorum in memoria vivorum est posita", vale a dire "la vita dei morti è nel ricordo dei vivi", nel senso che la memoria dei morti tende rapidamente a sparire se non viene supportata dal ricordo dei viventi.

La sensazione però che resta in chi rimane è che, in definitiva, con la morte dei propri cari e degli uomini in generale, soprattutto se illustri, di fatto, si perpetra uno "spreco", generale e incomprensibile, assurdo se valutato in termini di stretta economia umana.
Ecco che è nato il pensiero religioso dell'Oltretomba, luogo sacro ove lo spirito dei propri antenati morti, vale a dire quanto pare perdersi, viene però accolto e conservato.
Un luogo del genere è l'Ade, l'Orco o Averno, il cui signore era il dio Pluto dei romani e Pluton dei greci, l'Osiride per gli Egizi, ma che ogni cultura ha con varianti e chiama in modo diverso.
Per gli antichi greci e romani gli spiriti dei morti si portavano nella Piana degli Asfodeli, luogo nebbioso, ma i migliori raggiungevano i Campi Elisi e chi aveva offeso gli dei andava nel freddo e buio Tartaro.
A chi interessava, in tale Oltretomba poteva attingere ai ricordi di quanto riteneva restato utile e necessario di loro, almeno per un certo tempo.
Ivi, peraltro, si dissolveva quanto non essenziale o non ricercato.
Ecco per ripescare quanto possibile da tale ambito i medium, gli oracoli, le divinazioni, i negromanti, gli indovini e le aberrazioni della magia bianca o nera, che tanto hanno spazio nel mondo dei miti classici, ma tutte condannate dalla Bibbia.

Nei miei articoli sulla Bibbia uso anche un particolare metodo di spiegazione di parole ebraiche con l'uso dei significati grafici delle 22 lettere di quel alfabeto in quanto un tale modo di operare, ho constatato, apre la comprensione di aspetti non immediati.
Quelle lettere, infatti, sono anche icone in grado di trasmettere messaggi.
Al riguardo, si vedano:
Con tale peculiarità delle lettere ebraiche si possono ottenere seconde facce d'interi versetti e capitoli, sempre relative al Messia, che è il soggetto nascosto di tutta la Sacra Scrittura giudaica.

Nel mondo ebraico dell'Antico Testamento un tale luogo, che la Bibbia dei LXX traduce "Ade", è chiamato lo "She'ol" o e .

Tali termini sono ivi citati oltre 60 volte, di cui 7 nello zoccolo duro delle Sacre Scritture, ossia nella Torah, in Genesi 37,35; 42,38; 44,29.31; Numeri 16,30.33 e Deuteronomio 32,22.

Il libro dei Numeri in 16,30-33 informa che per il comportamento empio di tre leviti - Core, Datan e Abiram - avvenne che Mosè disse: "Ma se il Signore opera un prodigio, e se la terra spalanca la bocca e li ingoia con quanto appartiene loro, di modo che essi scendano vivi agli inferi, allora saprete che questi uomini hanno disprezzato il Signore. Come egli ebbe finito di pronunciare tutte queste parole, il suolo si squarciò sotto i loro piedi, la terra spalancò la bocca e li inghiottì: essi e le loro famiglie, con tutta la gente che apparteneva a Core e tutti i loro beni. Scesero vivi agli inferi essi e quanto loro apparteneva; la terra li ricoprì ed essi scomparvero dall'assemblea."

Da Deuteronomio 32,18-22 si apprende che nel pensiero biblico lo "Sheol" è un posto ove opera il fuoco divino, infatti: "La Roccia, che ti ha generato, tu hai trascurato... Sono una generazione perfida, sono figli infedeli. Mi resero geloso con ciò che non è Dio... Un fuoco si è acceso nella mia collera e brucerà fino alla profondità degl'inferi; divorerà la terra e il suo prodotto e incendierà le radici dei monti."

Dal complesso delle due precedenti citazioni pare indubbio potersi ritenere che questo luogo finale per gli empi sia immaginato sotto terra ove è presente comunque il fuoco del Signore, come dicono le lettere di , ove, infatti, c'è "il fuoco per i maledetti " e un fuoco si presenta fisicamente sulla terra come la lava dei vulcani.
Non a caso, Efesto o Vulcano, il dio del fuoco, si diceva vivesse nell'Etna.

Per l'Oltretomba ebraico è usato anche il termine "'Abadon" che si trova in Giobbe 26,6; 28,22 e 31,12, nel Salmo 88,11, poi in Proverbi 15,11 e 27,20.
Tale termine deriva dal radicale di "perdersi", nel senso che ivi ognuno è abbandonato, ossia "uno da solo " o anche "l'Unico dentro gli esseri impuri () invia ".

È, quindi, un luogo di perdizione, un poco, come accennavo, ove avviene la perdizione e si consumano gli spiriti e i ricordi dei morti.
Dalla C.E.I. tale termine è tradotto come "abisso" e in Giobbe 26,6 è citato assieme al regno dei morti: "Davanti a lui nudo è il regno dei morti e senza velo è l'abisso" e paiono essere due luoghi distinti.

Solo Dio sa dove questi luoghi si trovino.
Sono pensati comunque come luogo sotto la volta dei cieli come si deduce da Giobbe in 28,22-24: "L'abisso e la morte dicono: Con i nostri orecchi ne udimmo la fama. Dio solo ne discerne la via, lui solo sa dove si trovi, perché lui solo volge lo sguardo fino alle estremità della terra, vede tutto ciò che è sotto la volta del cielo."

In Giobbe 31,12, poi, quel termine è tradotto come "distruzione".
La stringente logica umana si domanda: possibile che non vi sia nessuna diversità tra chi in vita si comporta in modo "giusto" e chi in modo "empio", tra chi cerca la saggezza e chi è e resta stolto?

Ancora il libro del Qoelet in 2,15s su tale questione commenta: "Allora ho pensato: Anche a me toccherà la sorte dello stolto! Allora perché ho cercato d'esser saggio? Dov'è il vantaggio? E ho concluso: 'Anche questo è vanità'. Infatti, né del saggio né dello stolto resterà un ricordo duraturo e nei giorni futuri tutto sarà dimenticato. Allo stesso modo muoiono il saggio e lo stolto."

In pratica una domanda del genere si fa anche il Salmo 49 in 11-15 quando recita, "Vedrai infatti morire i sapienti; periranno insieme lo stolto e l'insensato e lasceranno ad altri le loro ricchezze. Il sepolcro sarà loro eterna dimora, loro tenda di generazione in generazione: eppure a terre hanno dato il proprio nome. Ma nella prosperità l'uomo non dura: è simile alle bestie che muoiono... Come pecore sono destinati agli inferi, sarà loro pastore la morte; scenderanno a precipizio nel sepolcro, svanirà di loro ogni traccia, gli inferi saranno la loro dimora", ma al versetto 16 conclude: "Certo, Dio riscatterà la mia vita, mi strapperà dalla mano degli inferi."

Ecco allora che quei luoghi, sono perlomeno due.
I migliori sono innalzati fino al confine del cielo con la divinità, ma non vanno ancora oltre; sono, comunque, in un luogo privilegiato.
Da lassù possono vedere tutto, ma non possono fare nulla.

Ecco che nel tardo giudaismo, in libri apocrifi dell'Antico Testamento come l'Apocalisse di Sofonia e il IV libro dei Maccabei, viene coniato il termine "seno di Abramo".
È questo una regione mitica non celeste, ma più alta dello Sheol o Inferi - dice Tertulliano (155-230 scrittore romano e apologeta cristiano) - nel quale luogo riposerebbero le anime dei giusti certi di un premio quando avverrà la risurrezione dei morti.

Il libro apocrifo di Enoch parla della sorte dei giusti e degli empi nel giudizio finale, infatti, questi sente in cielo una voce che dice: "Allora i morti risorgeranno, quando l'Eletto legherà i buoni ai buoni e costruirà così un tempio di giustizia. Allora Enoch riprese: Potranno risorgere proprio tutti i morti? E i corpi di coloro che sono ridotti in polvere nelle sabbie del deserto o dissolti nel profondo dei mari saranno recuperati? La voce riprese: Tutti, proprio tutti risorgeranno perché nessuno scompare per sempre davanti al Signore; nessuno può essere distrutto, la vita è eterna. Fu allora che Enoch udì la voce del Signore: Il Mio Eletto scenderà sulla terra e nessuno dei superbi, dei potenti lo riconoscerà. Aprite bene gli occhi, voi che temete il potere, quando lo vedrete, se sarete capaci di riconoscerlo, fate un segnale al cielo, date fiato alle trombe. Mai il silenzio, sulla terra, sarà più profondo! Eppure sul vostro mondo, nel vostro paese, tra voi sarà venuto il Re vero, Colui che regna su tutto ciò che era nascosto. Fino dall'inizio, il Mio Eletto, il Figlio dell'Uomo è stato nascosto."

Gesù stesso nella parabola detta del "ricco epulone" (Luca 16,19-31) usa lo stesso termine "seno di Abramo" ove pone il povero Lazzaro.


Capitello del XII secolo "Il seno di Abramo"

È il caso di ricordare tale parabola per chiarire quanto vado dicendo: "C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi." (Luca 16,19-26)

In tale "midrash" si trova, infatti, il luogo speciale ove sta Abramo, gli inferi con i tormenti e il grande abisso che li separa.
Per la Mishnà e per il Talmud a Gerusalemme, tra Il Tempio e il Monte degli Ulivi, nella Valle di Giosafat vi sarà il giudizio finale nella Geenna "ge-hinnom" che significa, appunto, "valle dell'Hinnom" ove si bruciavano i rifiuti, sarà il luogo della distruzione dei malvagi nel giorno della risurrezione dei morti.
Tale luogo era stato reso "maledetto", dal re Giosia in quanto vi si praticava il culto a Molok cui erano dati in olocausto i bimbi dopo averli sgozzati in suo nome per ingraziarsi quel demone, infatti: "Giosia rese impuro il Tofet, che si trovava nella valle di Ben-Innòm, perché nessuno vi facesse passare il proprio figlio o la propria figlia per il fuoco in onore di Molok." (2Re 23,10)
Gesù ricorda spesso questa Geenna che si trova citata per 12 volte nel Nuovo Testamento, spesso avvicinata alla parola "fuoco" che viene precisato essere inestinguibile.

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