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NUTRIRSI DI RICORDI
Caratteristica permanente de l'Homo Sapiens, ritrovata dai ricercatori, è il suo atteggiamento fin dai tempi più remoti nei riguardi dei morti dei propri clan.
L'Homo Sapiens ha da sempre sepolto i propri morti, il che fa pensare che i quei nostri lontani antenati praticassero riti funebri e avessero elaborato credenze sul destino dei defunti e sull'aldilà.
Del resto il "culto dei morti" è indice del senso di pietà che gli esseri umani provano per i propri defunti e della speranza in una vita futura.
Questo culto si manifesta con:

  • i riti funebri, presenti in ogni società;
  • la presenza di luoghi dedicati, "i cimiteri";
  • l'elaborazione di credenze sul destino dell'anima e sull'aldilà;
  • com'è conservata la memoria dei morti.
Il tentativo e il desiderio di ricordare al meglio i propri defunti ha spinto gli antenati di tutte le culture a realizzare forme di arte con sculture, costruzione di tombe e mausolei, erezioni di cippi e statue, dipinti e incisioni fino a produrre le prime forme di iscrizioni per immagini, evolutesi poi nelle scritture che conosciamo.
In tale ambito, ossia nel più profondo dell'antichità, è da relegare la "negromanzia" con i vari tentativi attraverso medium di evocare i morti e cercare di avere un contatto con loro.

Nei tempi antichi le cose importanti o ritenute tali, infatti, non potevano che essere trasmesse che per via orale, quindi erano conservate nella memoria delle persone.
Ora, il modo di vivere di gran parte dell'umanità è stato influenzato in modo sensibile dall'uso della scrittura che ha facilitato la possibilità di attingere informazioni e dati su documenti esistenti e conservati, ma ha ridotto l'uso della memoria personale che prima era essenziale per la trasmissione d'informazioni da una generazione all'altra.
Si pensi ai miti, alle leggende, alle imprese eroiche degli antenati da cui sono venute le storie degli antichi che sono nient'altro che il pervenirci di notizie e informazioni, riportate oralmente, fino a quando qualcuno le ha sigillate in forma scritta come gli erano arrivate di solito con aggiunte personali.
Cercare di cogliere ancora insegnamenti dalle vite di chi ci ha preceduto è un modo per crescere e meditare per cercare di evitare errori del passato e per cogliere insegnamenti che spesso mentre vivevano sono stati disillusi per superficialità.
Del resto gli atti rivisitati assumono aspetto di memoriale, quindi, implicano un religioso rispetto e di essere riconosciuti come autorevole lezione.

Non certamente a caso la parola ebraica che noi traduciamo "memoria" o "ricordo" è il cui radicale di origine indica il "pensare, ricordare, commemorare" ha le stesse lettere, "zakar", con cui si definisce l'essere "uomo" e in particolare il "maschio" e, nel contempo memoriale si dice "ziccaron" .
L'uomo e il ricordo, di fatto, tra loro per le lettere ebraiche sono sinonimi :
  • il maschio "questi ha liscio il corpo ";
  • ricordare " si colpisce con mano piatta la testa ".
E come se l'uomo, il maschio "questi avesse un vaso nella testa " e da questo e in questo con il memoriale "porta energia ", per cui l'uomo si arricchisce se e quando ricorda.

È interessante il fatto che sulle tombe ebraiche in genere vengono depositati dei sassi, il che è segno di frequentazione e prendono posto in modo ben più duraturo dei nostri dei nostri fiori.


Cimitero di Gerusalemme

Quando i patriarchi, e poi Israele uscito dall'Egitto vivevano come nomadi nelle steppe e zone aride, accadeva che per ritrovare, segnalare e ricordare i luoghi dove erano stati sepolti i propri morti erigevano dei tumuli di pietre ed ecco che sulle tombe dei cimiteri gli ebrei depongono pietre al posto dei fiori per ricordare i loro cari defunti.

C'è anche un motivo, che pietra in ebraico è "'even" = + quindi, padre + figlio e allude alla trasmissione delle tradizioni che non vogliono essere perdute, ma ricordate e sono più forti della morte il che allude comunque all'amore.

Norma importante per l'ebreo e per il cristiano è del ricordo e di fare memoriale, essenzialmente della Pasqua:
  • Esodo 13,3 - "Mosè disse al popolo: Ricordati di questo giorno, nel quale siete usciti dall'Egitto, dalla condizione servile, perché con mano potente il Signore vi ha fatti uscire di là..."
  • Luca 22,19s - "Poi (Gesù), preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi."
Tutti i popoli hanno riti specifici oltre che per deporre i resti mortali dei loro morti anche per ricordarli in giorni particolari durante l'anno.
Rimanendo negli ambiti delle nostre più immediate conoscenze, etruschi, romani e greci per tali occasioni preparavano anche cibi particolari.
Nell'immaginario collettivo per consuetudine arcaica al mondo dei defunti sono associati cibi come ceci, fave, legumi e semi, perché crescono sotto terra, quindi, sono ritenuti connessi in qualche modo col mondo dell'Oltretomba.
Anche oggi fave e ceci sono cibi tipici del giorno dei morti.
Per Aristotele, per i neo-platonici e i pitagorici le fave grazie agli steli privi di nodi, tramite la terra erano veicolo delle anime dei morti, quindi, mezzo di comunicazione privilegiato con l'Ade.
Le popolazioni ioniche credevano che durante la festa delle Antesterie in onore di Dioniso in febbraio e marzo, i morti tornassero sulla terra.
In epoca greca e romana ecco poi i banchetti funebri, detti "refrigeria", che i romani consumavano vicino alle tombe dei loro "manes" specialmente nel giorno Feralia, l'ultimo delle festa dei Parentalia, tra le idi e il 21 febbraio, o feste dei morti della famiglia, dedicate agli avi.
In tale occasione tutta la famiglia si recava alle tombe dei defunti e vi mangiava cibi preparati in casa, in genere grosse pentole di ceci, fave e fagioli, e pregavano per loro.

Sant'Agostino di Ippona nel suo libro "La città di Dio" IX,11 riporta che "(Apuleio) afferma inoltre che anche l'anima umana è un demone e che gli uomini divengono Lari se hanno fatto del bene, fantasmi o spettri se hanno fatto del male e che sono considerati dei Mani se è incerta la loro qualificazione."

In diverse parti d'Italia i legumi sono protagonisti della tavola del 2 novembre e in tali occasioni si moltiplicano i racconti che evocano i cari defunti di tali ricordi.
Di fatto, in quel giorno ci si ciba anche di quelli.
Esaù vendette a Giacobbe la propria primogenitura, il che è divenuto proverbiale "la vendette... per un piatto di lenticchie" una minestra rossastra, fatta a base di quei legumi.
(Vedi: "L'elezione di Dio passa per la Madre")

Le lenticchie in ebraico si dicono "a'dashim"
, termine usato solo in Genesi 25,34, in 2 Samuele 17,28 e 23,11 poi in Ezechiele 4,9.
Il Talmud, in Bereshit Rabbà 63,11-12 precisa che un cibo del genere era preparato in occasione di un lutto e suggerisce che in quella occasione fosse morto proprio il nonno Abramo alla bella età di 175 anni, quando i due ragazzi, Esaù e Giacobbe, avevano solo 15 anni.

In effetti, le lettere ebraiche del termine lenticchie, "a'dashim" si prestano ad essere divise in + , da cui discende un augurio per il morto, che "nell'Eterno (sia) riposto ( = )" o "dell'Eterno nella luce sia a vivere ", una specie del nostro augurio che facciamo a Dio con la preghiera detta dello "eterno riposo".

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