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LA SORTE NELLA BIBBIA
Gesù ebbe a dire in Matteo 10,29-31 "Due passeri non si vendono forse per un soldo ? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!"; insomma, per chi ha fede, nulla avviene a caso, ma tutto solo secondo la volontà di Dio.

Ecco che, quando non si sa cosa fare, non è da disperare, ma è da considerare che a monte, comunque, c'è la volontà di Dio che sa quello che è opportuno per quella occasione e il fedele sa che solo a Lui è da rivolgersi con la preghiera per avere ispirazione.

Del resto si trova nel libro dei Proverbi 16,33: "Nel cavo della veste si getta la sorte, ma la decisione dipende tutta dal Signore."

Ed ecco che in tale spirito spesso nell'Antico Testamento si trova che viene tirato a sorte, come modo estremo per conoscere la volontà divina, infatti:

  • Urim e Tummim, era un "modus" divinatorio usato per interpretare il volere di Dio e facevano parte del pettorale del sommo sacerdote Esodo 28,30; Levitico 8,8; Deuteronomio 33,8 che li consultava alla bisogna come in Numeri 27,21; 1Samuele 28,6; Esdra 2,63; Neemia7,65.
  • Levitico 16,8 - per la scelta del capro espiatorio: "Aronne tirerà a sorte per vedere quale dei due debba essere del Signore e quale di Azazel."
  • Numeri 26,55s - "Ma la ripartizione del paese sarà gettata a sorte; essi riceveranno la rispettiva proprietà secondo i nomi delle loro tribù paterne. La ripartizione delle proprietà sarà gettata a sorte per tutte le tribù grandi o piccole."
  • Giosuè 7,11-22 - Dio comanda che il colpevole sia trovato tirando a sorte.
  • Giosuè 18,10 - "Giosuè gettò per loro la sorte a Silo, dinanzi al Signore, e lì Giosuè spartì la terra tra gli Israeliti, secondo le loro ripartizioni" e tutta la spartizione del paese fu tutta fatta a sorte.
  • 1Samuele 10,17-24 - il popolo di Israele chiese a Dio di scegliere un re per loro e Dio ordinò che fosse trovato a sorteggio e fu scelto Saul.
  • 1Samuele 14,42 - un sorteggio fu usato per determinare chi avesse rotto un giuramento.
  • Giona 1,7 - un'estrazione a sorte indica Giona quale causa della tempesta che smise quando fu gettato in mare.
  • Neemia 10,34 - con un sorteggio si decise per un servizio all'altare nel Tempio.
  • Neemia 11,1 - a sorte 1/10 dei capi dei reduci per restare a Gerusalemme.
Nel Nuovo Testamento si ha che:
  • Luca 1,9 - riferisce che a Zaccaria secondo consuetudine sacerdotale, gli toccò in sorte di entrare nel tempio del Signore per offrirvi il profumo.
  • Atti 1,21-22 - ci fu la decisione di scegliere il 12° apostolo: "Bisogna dunque che tra gli uomini che sono stati in nostra compagnia tutto il tempo che il Signore Gesù visse con noi, a cominciare dal battesimo di Giovanni fino al giorno che egli, tolto da noi, è stato elevato in cielo, uno diventi testimone con noi della sua risurrezione." Scelsero Mattia e prima della scelta pregarono: "Tu, Signore, che conosci i cuori di tutti, indicaci quale di questi due hai scelto".
In Levitico 16,8 per quella scelta del capro espiatorio si trova che "tirerà a sorte" poi anche, pur se non tradotto il testo ebraico riporta: "quale (per sorte ) di Azazel."

In Numeri 26,55s quel "riceveranno la rispettiva proprietà" è e le proprietà, in effetti, sono "eredità" e la "sorte" poi è ancora "goral" le cui lettere paiono proprio descrivere qualcosa con cui tirare la sorte "a correre si porta un corpo che guizza ", una specie di trottola con facce corrispondente a "pur" il nome della festa di "Purim", istituita a seguito di quanto è narrato nel libro di Ester (3,7 e 9,24-32) che prende il nome dal dado con cui si tira la sorte, a seconda di come si presenti la faccia che espone dopo tirata, "la faccia che porta il corpo ".


Un "sevivon" di Channukkah

Nella festa ebraica di "Channukkah", poi, gli osservanti giocano con una trottola, chiamata "dreidel" in Yiddish e in ebraico "sevivon" per ricordare i bambini che facevano finta di giocare con quella trottola con cui tiravano a sorte nella festa di Channukkah quando fossero venute le guardie di Antioco contrarie allo "Shabat".
(Vedi: il paragrafo "Le usanze ebraiche" in "La luce del Servo")

Il "sevivon" è una trottolina con 4 facce su cui sono impresse le lettere = N, = G, = H, = Sh, che formano l'acronimo - "Nes Gadol Hayah Sham" - "Un grande miracolo accadde là").

La sorte è strettamente legata all'eredità che in Israele poteva riguardare a volte anche beni mobili, ma principalmente le proprietà terriere.
Un appezzamento di terreno in terra di Canaan per l'ebreo dei tempi dell'Antico Testamento era il riconoscimento della elezione di erede della "Terra Promessa", quindi, era il segno che aveva una dignità nel popolo di Dio.

In ebraico vi sono ancora altri termini che la indicano, precisamente:
  • "cheloeq" che indica "porzione, lotto, eredità, appezzamento, campo, proprietà sorte, destino, luogo e posto" e le lettere paiono alludere a "un recinto che potenza riversa ".
  • "chevoel" il cui significato base è "fune, corda", qualcosa che "stringe dentro con potenza ", quindi, parte di terreno misurato con la corda, ossia "porzione, lotto, eredità", ossia "racchiude dentro potenza " e come traslato "sorte".
Nella lingua greca "klèros" "" aveva il significato originario di "sorte", mutato poi in "parte", quindi in "eredità", come in Matteo 27,35; Atti1,17 e 26,18.
Il "klèros", infatti, era il lotto di terra inalienabile che la città-stato concedeva a ciascun cittadino, quindi, poi trasmesso al primogenito e che in assenza di eredi tornava allo stato mentre gli altri figli, non avendo il "klèros", erano inferiori nel godimento dei diritti civili mentre "Epikleros", "", era un'ereditiera, figlia di uno senza eredi maschi.
Dal greco "klèros" "" - "sorte" e "manteia" indovinare viene il termine di "cleromanzia" o "sortilegio", dal latino "sortem" "sorte" e "lego" "lèggere", che è la divinazione con dadi, trottole, e simili.

Più tardi, il termine "clero" nel cristianesimo fu usato per indicare il corpo sacerdotale, in quanto, le prime comunità cristiane chiamarono "klèros" gli eletti incaricati al governo delle comunità stesse, confermati con l'imposizione delle mani direttamente dagli apostoli o vescovi anche se alcune volte scelti a sorte, ciò ricordava i Leviti che non ebbero parte alla spartizione del territorio della Terra Promessa e furono diffusi nel territorio per servire il Signore.
Il clero è oggi il complesso dei fedeli che ha fatto dei voti ecclesiastici - diaconi, presbiteri e vescovi - si divide in regolare se appartenenti alle congregazioni e agli ordini e secolare, ossia nel mondo, per i non soggetti a regola monastica.
Gli altri fedeli che non hanno fatto voti sono detti "laici" dal latino "laïkós" ovvero "del popolo" quindi che vive tra il popolo secolare non ecclesiastico che anticamente nelle chiese stava nelle navate separato da una balaustra dall'abside dove stava il celebrante col clero.
Col nome di "laici" si intende in definitiva l'insieme dei cristiani ad esclusione dei membri dell'ordine sacro e dello stato religioso sancito nella Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col battesimo e costituiti popolo di Dio, resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono nella Chiesa e nel mondo la missione propria di tutto il popolo cristiano.
Il termine "laico", pur se nato in tale ambito, oggi però è utilizzato per indicare un aconfessionale, agnostico o ateo, il che provoca confusioni.

La Chiesa di Cristo, "anima mundi", secondo la lettera a Diogneto (II secolo d.C.), formata da fedeli del clero e laici, in piena comunione, svolge il servizio o "diaconia", vale a dire, per mezzo di Gesù Cristo, il Servo per eccellenza, serve Dio nel mondo e ha la funzione di luce delle genti come le riconosce il Concilio Vaticano II con la costituzione dogmatica "Lumen Gentium".
La Chiesa, infatti, è sacramento di Cristo, disegno salvifico universale del Padre in cui tutti i fedeli sono investiti del sacerdozio comune, profeti e missionari di Cristo nel mondo chiamati alla santità.

Ogni cristiano può, quindi, ben ripetere a ragione quanto nel Salmo 16,5-6: "Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi: la mia eredità è stupenda."

In questi due versetti vi sono tutti i termini che abbiamo visto su eredità e sorte:
  • "mia parte di eredità" "menat cholqi";
  • "mio calice" "kosi" ;
  • "nelle tue mani è la mia vita", in effetti, sarebbe da tradurre come "impugni" "tomik" , "la mia sorte" "gorali" ";
  • "la sorte" "chavalim" ;
  • "la mia eredità" "nachalat" .
Questo versetto illumina il senso del "calice" di cui parla Gesù:
  • Matteo 26,27 e paralleli - "Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti...";
  • Marco 14,36 e paralleli - "Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu";
  • Giovanni 18,11 - "Gesù allora disse a Pietro: Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?".
Lo stesso calice, la stessa sua eredità è quella di chi partecipa alla sua eucarestia e beve al suo stesso calice.
Gesù, infatti, disse a chi gli chiedeva privilegi: "Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?"... e poi "Il mio calice, lo berrete..." (Matteo 20,20ss)

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