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ATTESA DEL MESSIA...

 
LA NOSTRA GIOIA

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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SULLA "GIOIA" »

LA SORGENTE DELLA GIOIA
Se si va ben a considerare, simili sono i sintomi e le motivazioni della gioia e dell'amore; del resto l'esperienza aiuta a capire che chi si sente amato e ama, prova e dà gioia.
Tutto quel che non si può definire gioia, pur se ha qualche aspetto che può farla così sembrare, rientra nella categorie delle emozioni effimere, dei sentimenti passeggeri, delle illusioni momentanee di felicità che ben presto svaniscono.
Gli effetti delle gioie vere invece sono duraturi e sanciscono momenti di svolta della vita.
Gioia e amore, insomma, sono strettamente legati.
L'una e l'altro sono beni che si comunicano.
Come l'amore vero non può sussistere senza un altro che lo corrisponda e lo ricambi, così la gioia non ce la possiamo dare da soli, ossia comporta sempre un sano rapportarsi con gli altri; infatti, non passa mai attraverso uno solo.
Come un figlio è un dono di comunione, come nel lavoro o nel superamento di un ostacolo occorre comunque un riconoscimento oggettivo da parte di almeno un altro che prende vantaggio del tuo operare e che attesti il risultato acquisito, così ogni gioia, anche la più intima, è sempre frutto di un atto in cui si è ricevuto o si è dato amore.
Amore e gioia hanno una stessa sorgente e accade che quando s'incontra uno si è certamente incontrato anche l'altro e nel proprio cuore chi li incontra, di fatto, ha provato che l'Esistenza l'ha amato.
È evidente che l'origine della gioia è la rivelazione delle rivelazioni, quella che fa toccare con tutto se stessi - corpo, anima e spirito - che Dio c'è.

Si trova qualcosa di simile in 1Giovanni 1,1-4: "Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò, noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena" e la gioia è piena se appunto, si comunica.

Questa è l'esperienza che offrono al mondo da 2000 anni le comunità cristiane che attingono gioia dalla sorgente di Cristo Risorto.
Da quella sorgente scaturisce la vita vera e la vita eterna che si manifesta con i suoi inscindibili compagni: l'amore e la gioia.
Le manifestazioni che accompagnano la vita di una comunità cristiana, in grado d'interrogare chi vi s'accosta, sono l'amore e l'unità, palesi doni dello Spirito Santo versato in essa a profusione.
Al proposito, quindi, è lecito arrivare alla conclusione che se il vivere nella verità implica "amore e gioia", e nella comunità cristiana c'è "amore ed unità" vuol dire che gioia e unità sono intimamente sorelle.

Del resto si trova in Galati 5,22s: "Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c'è Legge."

Ho trovato in rete questo discorso che di Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) gesuita e filosofo francese fece al matrimonio di una coppia amica e ne riporto alcuni passaggi, in quanto, evidenzia come l'unità porti alla felicità, quindi, alla gioia, infatti: "...non trovo niente di più adatto e di più prezioso da offrirvi che un elogio della Unità... qualità ben concreta... a cui tutti noi sogniamo di ricondurre le nostre opere e il mondo attorno a noi... Scienza, arte, politica, morale, pensiero, mistica: forme diverse di uno stesso sforzo di armonizzazione in cui si esprime, attraverso le nostre operazioni umane, il destino e l'essenza dell'universo. Felicità, potere, ricchezza, sapienza, santità: sinonimi di una vittoria sulla molteplicità. Nel fondo di ogni essere la creazione desidera un Principio che organizzerà un giorno i suoi tesori dispersi. Dio è unità. Ora, con quale gesto perseguire e raggiungere questa divina Unità? Sarà forse erigendo, ciascuno nel cuore del suo piccolo mondo, un centro esclusivo di dominio e di godimento? La nostra felicità consiste forse nel ricondurre tutto a noi stessi? Potremmo essere felici alla condizione di divenire noi stessi, ciascuno per sé, il nostro piccolo Dio? La vostra duplice presenza in questo luogo prova quanto sia lontana da voi questa egoistica illusione... la vostra felicità dipende dallo spazio che darete alle vostre speranze. Sarete felici... soltanto se le vostre due vite si uniranno e si svilupperanno avventurosamente affacciate verso l'avvenire, nella passione di Uno più grande di voi."

Per il credente cristiano, quindi, tutto è più semplice, in quanto, il fedele praticante crede a ciò che sostiene anche San Paolo: "Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi." (Romani 14,7-9) e "...nemmeno un capello del vostro capo perirà" (Luca 21,18)

Questa speranza era stata proclamata a pieni polmoni dal profeta Isaia quando ha affermato: "Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti. Eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto; la condizione disonorevole del suo popolo farà scomparire da tutto il paese, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse; questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza." (Isaia 25,7-9)

In definitiva, il profeta arriva alla conclusione che il rallegrarsi e l'esultare, insomma la "gioia", viene dal Signore "in cui abbiamo sperato", perché del reso solo Lui vince la morte e sono frutto della "sua salvezza".
Ora, in ebraico della "sua salvezza" è scritto "yishua'to" , lettere in cui appare il nome "Yeshua'", ossia Gesù.
Quel "sua salvezza" allora in pratica si può leggere come "Gesù che in croce si portò ", in quanto = + e = un bastone che allude al portare condurre.
Quel versetto Isaia 25,9 fornisce anche due importanti termini in ebraico "rallegriamoci" "nagilah" e "esultiamo" "nismechah" . Il primo, viene dal radicale usato oltre che per rallegrarsi per "allietarsi, godere, festeggiare, celebrare" e il secondo con significati simili anche come gioire e da cui viene "simecha" e "simechah" un modo per dire gioioso e gioia come ad esempio nel Salmo 100,2 che recita: "Acclamate il Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia , presentatevi a lui con esultanza".
C'è poi anche un altro modo per dire "gioia" che viene dal radicale che si usa per "rallegrarsi, gioire e godere" e come rafforzativo di gioia "per colmare... di gioia", ossia essere al vertice all'acme della gioia, e si ha anche "choedah" e "chadvat" per "gioia, festeggiamento", usato in:

  • Neemia 8,10 - "Poi Neemia disse loro: Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza."
  • 1Cronache 16,27 - "Maestà e onore sono davanti a lui, forza e gioia nella sua dimora."
  • Esdra 6,16 - "Gli Israeliti, i sacerdoti, i leviti e gli altri rimpatriati celebrarono con gioia la dedicazione di questo tempio di Dio..."
  • Giobbe 3,6 - nel testo ebraico c'è anche un "non si gioisca" come .
  • Esodo 18,9 - "Ietro si rallegrò..." pure come .
Al riguardo è da ricordare che il bi-letterale da solo sta per "acuto, aguzzo", quindi, per "apice o vertice" e che in Ezechiele 33,30 è usato come "'oechad" per "uno, uno solo, unico", vale a dire "inizia il vertice ", o "Uno al vertice ", quindi, uno solo.
Questo "'oechad" è l'aggettivo identificativo del Signore nella preghiera principale dell'ebraismo, quella detta dello "Shema'", tratta da Deuteronomio 6,4:

"Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore."



Ecco che il Signore IHWH è UNO e, dopo quanto detto possiamo aggiungere "IHWH origina il gioire ()", quindi, è proprio Lui la sorgente della gioia.
Di quel capitolo, Deuteronomio 6, che è una sintesi importante della spiritualità biblica connessa con l'autore della gioia, appunto il Signore, riporto in appendice la decriptazione dei versetti da 1 a 15 che offre una pagina di secondo livello sulle più profonde motivazioni dei quello scritto in base al grafismo delle lettere ebraiche usate nel testo stesso.

La Sacra Scrittura definisce il Signore Dio in questi modi:
  • Salmo 36,10 - "È in te la sorgente della vita..."
  • Giovanni 4,8 - "Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore." Salmo 51,10 fa "...sentire gioia e letizia, esulteranno le ossa..."
Conclusione: da Lui viene la triade inscindibile vita piena, amore e gioia.
Ora se mancano amore e gioia non è vita piena e vuol dire che allora qualcuno... ci ha messo lo zampino o la coda.
Il Signore secondo la fede cristiana, in relazione alla rivelazione dei Vangeli, ha preso la carne da una donna per mettere ordine e riparare al disastro combinato dall'umanità che ha seguito l'istino animale.
Dio stesso insomma si è "incarnato", è entrato come uomo nella storia degli uomini e ha portato all'uomo che crede alla Sua rivelazione la certezza che la meta della vita ha come previsione la pienezza della gioia.

Gesù Cristo nel Vangelo di Giovanni 17,1-13, infatti, dice al Padre: "Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie, e io sono glorificato in loro... io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi... ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia."

Gesù ha la pienezza della gioia che è del Padre e desidera che chi è alla sua sequela sia associato alla gioia della SS. Trinità.
Chiede, infatti, che siano con essa e tra loro appunto una cosa sola, con il che assevera ancora che unità e gioia sono interscambiabili nei risultati.

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