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GIOBBE CONTESTA
Certamente Giobbe un merito davanti a Dio ce l'ha.
Non ha attribuito ad altri o al caso i propri guai.
È profondamente religioso e ha cercato nelle notti e nei giorni che ha meditato sulle proprie sventure un perché, ma sempre con riferimento a Dio.
Tra sé e sé discute con Dio come un uomo farebbe con un altro; quindi per lui Dio divenne un interrogativo costante e con forza ha invocato di poterlo incontrare alla pari per interrogarlo.
Al riguardo ho considerato il capitolo 9 del libro ove Giobbe risponde a Bildad il Suchita.
Giobbe sa perfettamente che un uomo non potrà mai avere ragione davanti a Dio che è sapiente e onnipotente quindi, conclude, non potrei che chiedergli altro che pietà.
Vede che in terra malfattori e buoni hanno la stessa sorte eppure Lui è il giudice!
"La terra è lasciata in balìa del malfattore: egli vela il volto dei giudici; chi, se non lui, può fare questo?" (Giobbe 9,24)
È una evidente accusa e presa d'atto dell'attività sulla terra di un malfattore e non di un giudice giusto!
Questa dichiarazione, stante la situazione presentata col libro di Giobbe, è cocente per il Signore che sa bene che la causa di tutto ciò è che nell'assemblea del più alto giudizio si è intromesso un traditore che deve essere smascherato!
E poi l'invocazione:
"Poiché non è uomo come me, al quale io possa replicare: Presentiamoci alla pari in giudizio." (Giobbe 9,32)
Questa invocazione è in definitiva l'invocazione di un popolo sofferente che crede nel Signore e attende la sua venuta, il suo Messia.
Sulla bocca di Giobbe si possono immaginiamo le parole del Salmo 143 che gli calzano perfettamente:
"Salmo. Di Davide. Signore, ascolta la mia preghiera! Per la tua fedeltà, porgi l'orecchio alle mie suppliche e per la tua giustizia rispondimi.
Non entrare in giudizio con il tuo servo:
davanti a te nessun vivente è giusto.
Il nemico mi perseguita, calpesta a terra la mia vita;
mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da gran tempo. In me viene meno il respiro, dentro di me si raggela il mio cuore.
Ricordo i giorni passati, ripenso a tutte le tue azioni, medito sulle opere delle tue mani. A te protendo le mie mani, sono davanti a te come terra assetata. Rispondimi presto, Signore: mi viene a mancare il respiro.
Non nascondermi il tuo volto: che io non sia come chi scende nella fossa. Al mattino fammi sentire il tuo amore, perché in te confido.
Fammi conoscere la strada da percorrere, perché a te s'innalza l'anima mia. Liberami dai miei nemici, Signore, in te mi rifugio.
Insegnami a fare la tua volontà, perché sei tu il mio Dio. Il tuo spirito buono mi guidi in una terra piana.
Per il tuo nome, Signore, fammi vivere; per la tua giustizia, liberami dall'angoscia. Per la tua fedeltà stermina i miei nemici, distruggi quelli che opprimono la mia vita, perché io sono tuo servo."
Di fatto, secondo il racconto del libro di Giobbe il Signore accondiscese a Satana, entrò in giudizio col suo servo, ci fu una richiesta di prove.
Era già chiaro che davanti al Signore nessun vivente è giusto e fu calpestata la sua vita dal nemico.
Eppure, nella sofferenza e prostrato, Giobbe meditò sulle opere del Signore era certo che il era giudice giusto.
Sono queste le sue parole:
"Io lo so che il mio Vendicatore è vivo
e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!
Dopo che questa mia pelle sarà distrutta,
senza la mia carne, vedrò Dio.
Io lo vedrò, io stesso,
e i miei occhi lo contempleranno non da straniero." (Giobbe 19,25-27)
Chi è questo vendicatore se non il Signore stesso?
Chiese di essere riabilitato e che Dio si facesse giudice del nemico che aveva oppresso la sua vita e così fu.
In appendice presenterò la decriptazione completa anche di tale capitolo 9 di Giobbe che presenta l'opera di redenzione in corso iniziata dagli apostoli in attesa della sua seconda venuta.