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SAN GIUSEPPE...

 
LA FOTOGRAFIA DELL'UOMO NUOVO

di Alessandro Conti Puorger
 
 

GESÙ E IL COMPIMENTO DELLA TORAH
Gesù di Nazaret sta portando a compimento le attese dei giudei come ha sostenuto col dire: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento." (Matteo 5,17)
Nelle attese dei giudei, infatti, era la venuta di un grande profeta (Deuteronomio 18,15-19), il Figlio da Dio generato (Salmo 2,7), l'auspicato Emmanuele il "Dio con noi" (Isaia 7,14) e sarebbe iniziata la fine dei tempi in cui ci sarebbe stata la lotta finale contro il male - Gog e Magog in profezie criptiche nel Libro di Ezechiele (38 e 39) che trovano eco nell'Apocalisse di Giovanni (20) e anche nel Corano (Sura XVIII Al-Kaft, La Caverna 93-97) - avrebbe instaurato il suo Regno e avrebbe portato la risurrezione dei morti e il giudizio finale.
C'è, tra l'altro, una profezia in Genesi 49,10 "Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli", per cui l'autorità dei giudei nell'amministrare la giustizia sarebbe terminata con l'arrivo del Messia che avrebbe istaurato il suo Regno.
Per i segni che faceva, infatti, segnala il Vangelo di Giovanni "...Gesù sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte lui da solo" (Giovanni 6,15) e memorizziamo quel "sul monte" di cui poi parleremo.
I Vangeli pongono in evidenza che Gesù ha portato a compimento proprio quanto prevedeva quella profezia.
Gesù, che parlava in aramaico e conosceva l'ebraico, ciò che traduciamo con Legge la chiamò certamente Torah , infatti, questo è il termine ebraico per "Legge" che letteralmente significa "Insegnamento", "Istruzione" o "Scrittura".
La Torah è il documento più importante dell'ebraismo, considerato in ogni parte parola ispirata da Dio e rivelata a Mosè ed è detta anche i "Cinque Libri di Mosè", "La Legge di Mosè" o "Pentateuco" "cinque rotoli", oppure "Chumash" dal numero 5.
Gesù poi, parla di Torah senza eccezioni, quindi, intende dire la Torah tutta intera di Mosè, e sapeva bene che oltre alla Torah scritta c'era la Torah orale, che la tradizione ebraica ritiene data simultaneamente da Dio sul Sinai a Mosè stesso e che era riportata a voce nelle varie generazioni grazie ai loro maestri, sacerdoti e profeti.
Al riguardo, in primo luogo le scuole rabbiniche fanno considerare sia che nel Pentateuco compare più volte il plurale di Torah, Torot, onde la stessa Torah scritta consente l'esistenza di altra Torah, quella orale, sia che nel testo biblico esiste una distinzione tra "Chuqqim" - parole incise e "Mishpatim", termine quest'ultimo che compare per la prima volta in Esodo 21,1 subito dopo le 10 Parole scritte sulle Tavole e contiene la radice di "safah", che significa lingua, labbro, favella, insomma con la bocca, onde pare suggerire anche di leggi trasmesse oralmente.
Accadde poi che "Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole ( diberei) del Signore e tutte le norme (mishpatim). Mosè scrisse tutte le parole - ( diberei) del Signore" (Esodo 24,3.4) ove è fatto un distinguo tra parole e norme e si può concludere che per iscritto Mosè mise solo le parole "diberei", ma non anche tutte le norme, per cui i "Mishpatim" tramandati a voce sarebbero la Torah orale.
Sono i "Rabbuni", i Maestri, allora, conclude la tradizione, che hanno il compito di gestire la Torah orale, stabilendo all'occorrenza anche nuovi precetti per tutelare l'osservanza della Legge.
L'istituzione di un sistema legislativo ed esecutivo a suo tempo costituito dal Gran Sinedrio nacque dal combinato disposto di questi due passi:
  • Levitico 18,30 sostiene: "Osserverete dunque i miei ordini e non imiterete nessuno di quei costumi abominevoli che sono stati praticati prima di voi, né vi contaminerete con essi. Io sono il Signore, il Dio vostro".
  • Deuteronomio 17,8-12: "Quando in una causa ti sarà troppo difficile decidere... andrai dai sacerdoti leviti e dal giudice in carica in quei giorni, li consulterai ed essi ti indicheranno la sentenza da pronunciare... Agirai in base alla legge che essi ti avranno insegnato e alla sentenza che ti avranno indicato, senza deviare..."
Quella grande tradizione che era la Torah orale poi dal II secolo d.C. fu messa per iscritto e formò il "Talmud" o Studio ("Mishna" e "Ghemarà"), succo delle discussioni avvenute tra i sapienti-"Chakhamim" e maestri-rabbanim su significati e applicazioni di passi della Torah, fissate per iscritto solo dopo la distruzione del Tempio nel timore che le basi religiose di Israele potessero sparire.

Tornando a Gesù e al suo insegnamento della Torah, nello stesso Vangelo di Matteo si trova, il detto di Gesù: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei..." (Matteo 23,2)
Erano, infatti, i loro capi che gestivano, autorizzati, la Torah orale.
"Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano, infatti, pesanti fardelli... ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini... Ma voi non fatevi chiamare rabbì, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli... non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo." (Matteo 23,3-10)
Gesù stesso da suoi seguaci, infatti, era chiamato "rabbunì", vale a dire grande, nostro maestro:
  • il cieco di Gerico supplica a lui: "Rabbunì, che io riabbia la vista!". (Marco 10,51)
  • Maria di Magdala a Gesù: "...voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: Rabbunì! che significa: Maestro!" (Giovanni 20,16)
Dai seguaci, nell'ambito del movimento che Gesù di fatto stava creando, era evidentemente considerato l'unico abilitato a dare norme di vita.
Quando Gesù, infatti, dopo una discussione con i giudei, domandò ai "Dodici: Forse anche voi volete andarvene?" San Pietro ebbe a dirgli: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna..." (Giovanni 6,68)


Sinagoga di Corazim - cattedra di Mosè


Con la precisazione, poi, che in Matteo 5,17 aggiunge alla Legge i Profeti, Gesù fa comprendere che con quei suoi insegnamenti porta a compimento anche tutto quanto scritto negli "Ha-Sefarim" (I Libri), i 24 libri della TaNaK o Bibbia ebraica, il cui canone era stato fissato alcuni secoli prima, libri detti "Miqra'", "lettura", appunto perché da essa s'estraevano brani da leggere ad uso dell'ufficio liturgico - sinagogale, oltre a tutto ciò insegnato dai "rabbunì" con la Torah orale.
Gesù li porta a compimento con i propri insegnamenti suffragati poi con la propria vicenda che comporta la nuova alleanza, il proprio corpo e il proprio sangue offerto per amore, e comprovati dall'evento della risurrezione.
Il tutto di quella materia, quindi, va riveduto, in base al suo insegnamento, al suo esempio e alle sue vicende.
Occorre però munire gli occhi della mente e del cuore della lente offerta dal contenuto del discorso che sta portando avanti in quel capitolo Matteo 5 e successivi, detto come vedremo il "Discorso della montagna", lente illuminata dal suo infinito amore; infatti, questo amore senza riserve incide nello specifico delle singole norme della Torah, come appare chiaro dal complesso articolato del testo.
Questo compimento, non coinvolge solo l'antico Israele, ma anche i Gentili, per formare il nuovo popolo di Dio in cui è auspicato incorporare l'intera umanità.
Vi è però la necessità del tempo residuale, fino alla fine del mondo, infatti, in Matteo 5,18 Gesù prosegue: "In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto."
È inoltre implicito che il compimento ha bisogno di un'opera, quella della Chiesa - la madre e i sui fratelli - e di un tempo, quello che occorrerà perché la Torah compiuta dal Cristo possa divenire universale cioè cattolica, vale a dire la sua conoscenza divenga proprietà dell'umanità tutta intera; infatti, "Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: 'Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre'". (Marco 3,34s)

Tra tutti gli insegnamenti di Gesù nei Vangeli spiccano come gemma preziosissima quelli di quel Discorso con cui il Signore, con autorità, tratteggia le caratteristiche essenziali del patto sponsale con la sua Chiesa, costituita per essere madre dell'uomo nuovo, naturale conseguenza dell'aderire appieno alla sua sequela e del divenire suoi discepoli col ricevere la sua linfa.
In quel discorso è tra l'altro compreso il brano detto delle "Beatitudini" e l'insegnamento del "Padre Nostro" e di come pregare.
Il brano delle Beatitudini, peraltro, da molti è detto la "Magna Charta" del Cristianesimo, cioè il suo manifesto, la Carta costituzionale del Regno.
L'intero "Discorso della montagna", molto articolato, com'è noto, si trova nei capitoli 5, 6 e 7 del Vangelo di Matteo, in complessivi 111 versetti (48+34+29) che vanno ascoltati proclamati tutti di seguito per prenderne il senso complessivo e poi è da meditare ogni passo in segreto e a lungo, chiedendo l'aiuto dello Spirito Santo per poterlo poi testimoniare nella propria vita.
Sono insegnamenti tutti positivi per la vita del Regno.
L'insieme tratteggia la fotografia di Lui, Gesù Cristo, e del suo amore per il Padre, nulla con questi è più un ostacolo insormontabile come lo erano i comandamenti della Torah prima della sua venuta.
Quelli, prima della riconciliazione procurata dal sacrificio del Cristo, erano avviso di pericolo di morte, che se intervenuta non v'era rimedio, quindi erano scogli insuperabili per l'uomo, peccatore sin dalle origini.
Ora, però, con la vicenda del Cristo tutti gli impedimenti per arrivare al Regno sono stati tolti per cui il trasgressore di "...uno solo di questi precetti, anche minimi" che "insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel Regno dei cieli", ma pur se minimo sarà, comunque, almeno non scacciato dal Regno; per contro se li "osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel Regno dei cieli." (Matteo 5,19)
Tenuto conto che Gesù stesso dice in altro Vangelo: "non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo" (Giovanni 12,47) gli insegnamenti nel discorso sono ora segnali di avviso affinché il fedele possa, confrontandosi con loro, se è fuori strada, quindi infelice, capire in che modo ravvedersi, e chiedere l'aiuto della sua grazia per addrizzare il tiro.
Il Discorso della montagna, infatti, è per chi vuole seguire Gesù!
Sulla scia di tale intenzione, allora, chi trasgredisce è da considerare un ferito nella guerra contro il male, ma non un perduto.
Del resto se il seguace intende seguire Gesù e si vuole inoltrare nel suo cammino, da buon discepolo reinterpreterà tutta la vita tenendo conto che "L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore." (Romani 13,10)

È detto "Discorso della montagna", perché il racconto dell'episodio in cui è dato il complesso dell'insegnamento inizia parlando di un monte.
"Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo..." (Matteo 5,1)
Dice "sul monte", come per dire, quel monte noto, quello che poi la tradizione indicherà come il monte delle "Beatitudini".


Discorso della montagna alla Domus Galilaeae


Sembra potersi poi cogliere che con quel "salì sul monte e si pose a sedere" il Vangelo vuol far ricordare anche un altro monte, pure ben noto agli ascoltatori, e un "assidersi" speciale.
Erano quelle allusioni ovviamente chiare per degli ebrei, che avrebbero pensato sia al Monte Sinai, da cui Dio diede le due tavole con le 10 Parole e la Torah, sia alla cattedra di Mosè, appunto, come dicono gli ebrei, "nostro maestro", "rabbunì", cattedra che era ricordata fisicamente in ogni sinagoga.
Poi, in quel Discorso che inizia con Matteo 5 vi sono chiari riferimenti alle 10 Parole delle Tavole date sul Sinai e ad alcuni precetti della Torah a cui Gesù da una lettura che pare più rigida, ma di fatto propone che di quel patto matrimoniale tra Dio e l'umanità sia rispettato lo spirito e non solo la forma:
  • Matteo 5,21 - "Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico..."
  • Matteo 5,27 - "Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico…"
  • Matteo 5,31 - "Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio; ma io vi dico..."
  • Matteo 5,38 - "Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico…"
  • Matteo 5,43 - "Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico..."
La situazione di Gesù sul monte che con autorità siede e proclama ciò che è riportato nel Vangelo come "Discorso della montagna", pare proprio voler richiamare l'atto della consegna delle Tavole della Testimonianza a Mosè.
Quindi Gesù ha un'autorità superiore allo stesso Mosè, perché è colui che proclama e consegna scrivendole nelle tavole dei cuori degli ascoltatori (2Corinzi 3,3) e non colui che riceve.
Il Discorso della Montagna termina, infatti, con la seguente sottolineatura che tende a insinuare proprio il concetto che ho espresso: "Quando Gesù ebbe finito questi discorsi, le folle restarono stupite del suo insegnamento: egli, infatti, insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi." (Matteo 7,28s), vale a dire non era una semplice voce come gli scribi che s'erano seduti sulla cattedra di Mosè.

Quel "Discorso della montagna", poi, da chi lo sente la prima volta, se non tiene conto che "nulla è impossibile a Dio" (Luca 1,37), è considerato un Mosè al quadrato, in quanto è vino nuovo che va posto in otri nuovi (Matteo 9,17), ma se non si è ancora toccati dalla grazia e non si è ancora un otre nuovo, pare molto più complicato poterlo rispettare delle norme del Pentateuco.

In parallelo a quanto esposto nella Torah di Mosè, che in Esodo inizia con le 10 Parole e poi con l'esposizione di tutte le norme, leggi e precetti, nel Vangelo di Matteo abbiamo le Beatitudini all'inizio del Discorso alla stregua delle10 Parole e poi la Torah compiuta nel prosieguo del Discorso della montagna.
È comunque da tentare d'avvicinare ogni singola beatitudine a uno dei 10 comandamenti, non è detto però nello stesso ordine di come elencati e suddivisi nella tradizione ebraica.
È, infatti, quella del Discorso, la Torah compiuta dallo sposo, posta come dote per la sposa, che le sarà d'aiuto nel seguirla.
La sposa potrà, infatti, gioire con lo sposo nel riconoscere che un figlio ne ha attuato qualche aspetto che gli sarebbe stato impossibile se non avesse potuto attingere alla comunione con il Risorto di cui certamente ha goduto.
Il Discorso della Montagna contiene gli essenziali valori della fede cristiana e le Beatitudine ne sono come il seme.
Al riguardo, sua Santità Paolo VI ebbe a dire: "Giorno benedetto è quello in cui la Chiesa fa riecheggiare ai nostri animi la sequenza squillante delle beatitudini evangeliche. Ancora prima di considerarne il senso, la voce che le ha proclamate ci sorprende, piena di forza e di poesia: è la voce del Maestro, che per noi le ha formulate e che ci appare nella sicurezza e nella maestà, semplice e sovrana, di chi sa parlare al mondo e guidare i destini dell'umanità. Gesù tiene cattedra sulla montagna: lo circondano i discepoli, futuri apostoli e docenti della terra; poi a circoli sempre più larghi nello spazio e nel tempo, uditori o no, gli uomini tutti: ultimi, oggi, noi stessi. È Cristo che annuncia il suo programma e condensa in sentenze limpide e scultoree tutto il Vangelo... Chi non ha ascoltato le beatitudini non conosce il Vangelo. Chi non le ha meditate non conosce Cristo."

L'intero Discorso della montagna si può dividere nelle seguenti 10 parti:
  • 5,1-12 - Beatitudini;
  • 5,13-16 - Sale della terra e luce del mondo;
  • 5,17-19 - Compimento della legge;
  • 5,20-48 - Nuova giustizia e amare i nemici;
  • 6,1-18 - Elemosina, pregare, digiunare in segreto e Padre Nostro;
  • 6,19-34 - Il tesoro e la provvidenza;
  • 7,1-6 - Non giudicare;
  • 7,7-14 - Efficacia della preghiera;
  • 7,15-20 - I falsi profeti;
  • 7,21-28 - I veri discepoli.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica tra l'altro dice delle "Beatitudini":

1718 - "Le beatitudini rispondono all'innato desiderio di felicità. Questo desiderio è di origine divina; Dio l'ha messo nel cuore dell'uomo per attirarlo a sé, perché egli solo lo può colmare. "tutti certamente bramiamo vivere felici, e tra gli uomini non c'è nessuno che neghi il proprio assenso a questa affermazione, anche prima che venga esposta in tutta la sua portata". (Sant'Agostino, "De moribus Ecclesiae catholicae") Come ti cerco, dunque, Signore? "Cercando te, Dio mio, io cerco la felicità. Ti cercherò perché l'anima mia viva. Il mio corpo vive della mia anima e la mia anima vive di te. (Sant'Agostino, "Confessiones") Dio solo sazia. (San Tommaso d'Aquino, In "Symbolum Apostolorum")"

Il Discorso della Montagna è nel complesso una rivisitazione con spirito nuovo dei Dieci Comandamenti che vengono resi "compiuti" da Gesù Cristo.
Le Beatitudini sono però in numero di 8, se si unificano le ultime due che sembrano simili, altrimenti sono 9 come le volte che nel testo Gesù dice "Beati", ma comunque non 10 come invece sono i comandamenti sulle tavole.
Le Beatitudine poi non enunciano ordini, ma sono da considerare condizioni per incontrare la felicità e mancano i comandamenti negativi, ma il tutto è solo positivo; perché?
È al riguardo da considerare quanto scrive San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi: "Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu sì e no, ma in lui c'è stato il sì. E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute sì." (2Corinzi 1,19s)
Se si vuol permanere nell'idea delle Beatitudini come semi trasformati delle 10 Parole del Decalogo, per il fatto che quei "Beati" nelle Beatitudini sono 9 e non 10, è da concludere che la prima Beatitudine non è lì esplicitata.
La prima Beatitudine, assoluta, tacita, ma da cui prendono valore tutte le altre, implicitamente è "Beati voi che credete in me!", perché "Io sono il Signore, tuo Dio" (Esodo 20,2), che corrisponde alla prima delle 10 parole del Decalogo.
Tutto ciò deriva da quel fatto, che colui che parla è lo stesso che parlò sul Sinai.
Gesù a San Tommaso che, vedendolo risorto, avendogli toccate le piaghe, ebbe a dire "Mio Signore e mio Dio!", Gesù rispose "Perché mi hai veduto, hai creduto: BEATI quelli che pur non avendo visto crederanno!".
Se poi si considera il testo delle dieci parole in Esodo 20, quello che è considerato il primo comandamento, in effetti, è una costatazione di cui è da prendere atto: "Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù." (Esodo 20,2)
Il primo Comandamento è, quindi, espresso come un dato di fatto, non come un vero e proprio precetto da compiere, ma è la premessa.
In definitiva prendere atto che il Signore è nostro Dio è il requisito essenziale che come conseguenza comporta l'osservanza dei successivi precetti.
Una legge, infatti, si rispetta solo se si riconosce l'autorità che la emana.
Una parabola rabbinica nella "Mekhilta" paragona Dio a un re che conquista un nuovo paese e prima di emanare le sue leggi chiede agli abitanti di accettare la sua sovranità.
Il messaggio dei Vangeli è indirizzato, infatti, a sigillare l'ascoltatore nella sequela di Gesù non come semplice maestro di sapienza, ma come il Messia, il Cristo, il Figlio di Dio incarnato che ha il potere di dare una natura nuova, infatti:
  • "Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio." (1Giovanni 4,15)
  • "...ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio" (1Giovanni 4,2)
Il Vangelo fa entrare nella nuova realtà della creazione finale e nel Regno, già a far tempo dal presente.
Il fedele può, ora, confessare che fa parte di coloro che hanno "...riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui." (1Giovanni 4,16)

Qualcosa di simile, ma molto più contenuto come ampiezza rispetto al "Discorso della montagna" si trova nel Vangelo di Luca, ma diviso in tre parti in 6,17-49: 11,1-12 e 12,22-31, in tutto 53 versetti, e in altre pericopi, ma senza una continuità discorsiva come in Matteo.

Il primo, il più lungo di quei brani di Luca è detto "Discorso della pianura", perché inizia con Gesù che "Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante..." (Luca 6,17) e vi si trovano "beatitudini e guai", nel secondo brano è trattato il Padre Nostro e il pregare e nel terzo l'abbandonarsi alla provvidenza, poi vi sono altri insegnamenti riferibili al Discorso in Matteo, precisamente, 4,32; 8,16 e 11,33 su essere luce; 12,33-34 sull'elemosina; 12,58-59 sul mettersi d'accordo con l'avversario;13,24 la porta stretta; 14,34-35 sull'essere sale: 16,13-17 questioni varie; 18,1-8 ancora sulla preghiera.

Il Vangelo di Matteo ha anche lui un lungo brano 23,13-32 in cui ripete per 7 volte le parole "Guai a voi", ma nei riguardi di "scribi e farisei ipocriti" che sono "guide cieche" in quanto guardano alla forma più che alla sostanza e che fanno tutto solo per apparire.
Tra i due racconti del "discorso" di Luca e Matteo non v'è contraddizione in quanto, almeno, in effetti, parlano della medesima località, solo che in Luca Gesù prima fa considerare che "...salì sul monte a pregare e passò la notte in orazione... quando fu giorno chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli.. disceso con loro... si fermò su un luogo pianeggiante." (Luca 6,12-17)
Quel "sul monte", come ho già accennato, sta a dire che era un luogo preciso e ben conosciuto dai lettori del tempo; fin le più antiche testimonianze della Chiesa primitiva identificavano quel luogo nell'altura che si eleva dietro a Cafarnao e a Tabgah e che degrada verso il lago di Tiberiade, le pendici interne di un antico vulcano, come testimonia la presenza di rocce basaltiche ed ignee.

Nel Vangelo di Marco, invece, non c'è un discorso completo ma solo alcuni versetti che lo fanno ricordare come 1,22; 4,24; 9,50; 10,11-12 sul ripudio della moglie e in 11,24-25.

Sorprende il fatto che i tre sinottici - Matteo, Marco e Luca - che in genere riportano per gli episodi e per i detti di Gesù gli stessi sviluppi, nel caso specifico trattano la questione in modo diverso.
È da considerare che i sinottici annunciano sì lo stesso messaggio, ma il modo con cui è presentato il singolo Vangelo è secondo l'intento e la statura teologico-letteraria dell'evangelista che peraltro sapeva a chi era indirizzato il messaggio che sta elaborando.
Nel caso specifico del Discorso il motivo della diversità nei vari Vangeli è in relazione al livello di conoscenza della Legge giudaica da parte dei fedeli cui quei testi erano destinati!
È al riguardo da premettere che i Vangeli hanno più funzioni, quali, essere un racconto degli episodi più importanti della vita di Gesù, dare un primo essenziale rudimento dei più importanti insegnamenti che lui propone, ma soprattutto mettere in evidenza, sia la sua passione e morte per amore e per la salvezza di tutti, sia la sua risurrezione che ne prova essere uomo-Dio, il Messia, il Cristo, l'unto atteso, il tutto per mettere in movimento il lettore ed aiutarlo ad aderire al cammino di iniziazione del battesimo nella Chiesa da Lui formata con l'invio del Suo Spirito sugli apostoli.
A questo punto è da distinguere i possibili tipi di ascoltatori e lettori dei Vangeli:
  • giudei residenti in Palestina, quindi conoscitori in genere della Torah;
  • giudei ellenizzati e proseliti in genere, meno profondi nelle questioni religiose;
  • pagani, che non conoscevano pressoché nulla del giudaismo.
Per i primi, nella prima predicazione si potevano fare più riferimenti all'Antico Testamento, mentre agli ultimi non era quello nei Vangeli, voluto momento d'annuncio meditato, il tempo opportuno o il caso di procedere a insegnamenti specifici più o meno profondi delle Sacre Scritture ebraiche, pur se necessari, perché ambito troppo vasto per essere lì affrontato in modo esauriente, ma i cui aspetti sarebbero potuto essere presentati a più livelli a tempo opportuno nel catecumenato.
Ecco che il Vangelo di Matteo si rivolge più ai giudei residenti, Luca ai primi e agli ellenizzati e Marco soprattutto ai pagani, perché riporta le catechesi di Pietro a Roma.
In questo modo è spiegabile la differente trattazione di precetti nei Vangeli sinottici.
Del pari di quello di Marco, il Vangelo di Giovanni non riporta il Discorso della montagna, ma per questo la motivazione è diversa.
Questo Vangelo, scritto almeno 30 anni dopo i sinottici, dà spesso per scontati gli episodi e i precedenti insegnamenti e apporta notizie mancanti o sottolinea eventi non noti o apporta interpretazioni teologiche che completano il quadro dei sinottici quali il Testamento di Gesù nei capitoli 14-17 che è un'altra perla per completare l'insegnamento alla Chiesa.

A questo punto viene spontaneo domandarsi, vi sono, e quali sono i fondamenti scritturistici delle "Beatitudini" nel Vangelo di Matteo?
Cercherò di sviluppare tale aspetto nel prosieguo di questo articolo.

Nel meditare le Beatitudini è comunque da tenere presente questo comando "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore…" (Deuteronomio 6,4-6) che latente e in modo invasivo permea tutto il Discorso della Montagna in quanto ogni antico comandamento implica una pienezza di accoglimento.

Come notizia, informo che nel Vangelo apocrifo di Tommaso vi sono tre versetti che riportano alle "Beatitudini", precisamente:
  • 54 - "Gesù disse, Beato il povero, perché suo è il regno dei cieli."
  • 68 - "Gesù disse, Beati voi, quando sarete odiati e perseguitati; e non resterà alcun luogo, dove sarete stati perseguitati."
  • 69 - "Gesù disse, Beati quelli che sono stati perseguitati nei cuori: sono loro quelli che sono arrivati a conoscere veramente il Padre. Beati coloro che sopportano la fame, così che lo stomaco del bisognoso possa essere riempito."
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