IL CUORE DELL'UOMO
di Alessandro Conti Puorger
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IL CUORE PER GLI EGIZI
Ecco che per le principali culture antiche - mesopotamica ed egizia - la sede delle emozioni e dell'intelletto era ritenuta non essere il cervello, ma il cuore, mentre la sede della vita era ritenuta essere nel sangue tanto che l'organo centrale della circolazione era considerato il fegato che ne provoca la formazione.
Pur tuttavia è detto nel papiro di Ebers (1550 a.C.) che "il cuore parla ai vasi di ogni membro", vale a dire era riconosciuto essere anche l'organo che pompa sangue a tutto il corpo e sapevano misurare il battito cardiaco dal polso.
È però opportuno comprendere il pensiero egizio sulle componenti spirituali dell'uomo che riassumo qui di seguito:
- L'"Ah" o aurea divina, tutta e solo spirituale, che tornava alla divinità alla morte dell'individuo ed era rappresentata da un "ibis".
- Il "
Ba" era la parte spirituale, riconducibile all'idea di anima della persona; questa usciva dal corpo del defunto e vi ritornava a mummificazione avvenuta. Era destinata a compiere il viaggio nell'aldilà e riceveva il premio o la punizione.
Era rappresentato da uno "jabiru", la grande cicogna africana, o da un uccello con testa umana preceduto da
una lampada accesa che si sarebbe poi aggiunta al complesso delle stelle e, infine, per i più "spirituali", da un ariete.
- Il "
Ka", invece, esprimeva "l'essere, la persona, l'individualità", la forza vitale di ciascun individuo, destinata a restare col corpo e a custodirlo nella tomba.
Per avere la vita dopo la morte il "Ka" aveva bisogno del corpo e per poterlo conservare gli egizi ricorrevano alla tecnica della mummificazione.
È rappresentato da due mani aperte.
Il simbolo del "Ka" con quelle due mani aperte, come in preghiera, fa trapelare l'idea che nell'uomo c'è la tensione insita a desiderare e a cercare il cielo.
Pare che il "Ka", infatti, rappresentasse la proiezione ideale pensata dagli dei per quel vivente, a cui deve tendere nella propria vita.
- "
Ib", il cuore, era la sede della coscienza che seguiva l'uomo nell'aldilà e sede anche della memoria del comportamento del bene e del male compiuto in vita, Il simbolo del cuore è un vaso
e come vedremo per gli egizi aveva una parte importante nel giudizio che doveva subire il defunto.
Dopo morto, il "Ba" usciva dalle narici e con forma di uccello con testa umana, volando, si allontanava sulle montagne della necropoli e restava in attesa di congiungersi alle altre parti del corpo dopo il giudizio.
Anche la "Shut", l'ombra, separata dal corpo, restava in attesa e s'aggirava di notte, arrecando terrore e danno, mentre l'"Ib", il cuore, doveva raggiungere il tribunale per essere giudicato.
L'uomo dell'antico Egitto, infatti, dopo la morte doveva affrontare con successo un giudizio per poter poi raggiungere i campi dei Giunchi o delle Canne, detti i campi Iaru, collocati nel cielo, a oriente appena sopra l'orizzonte terrestre, vicini alla porta da cui il sole saliva in cielo e iniziava il suo viaggio da oriente a occidente.
Il giudizio consisteva nella pesatura del cuore o "
psicostasia" descritta in una specie di guida del mondo dell'aldilà - il Libro dei Morti-, libro che veniva posto nelle tombe di personaggi importanti anche per suggerire al defunto le parole adatte da dire al giudici del tribunale di Osiride.
Nella propria vita sulla terra se l'uomo aveva percorso cammini per ricercare giustizia e verità e aveva rifuggito da ciò che provoca danno al prossimo, alle divinità e all'autorità terrena del faraone conservando il cuore non appesantito, ma leggero come una piuma della dea Maat, la dea della giustizia, della verità e dell'ordine universale che, appunto, nei geroglifici è rappresentata da una piuma di struzzo, superava positivamente il giudizio.
Tale dea idealizza l'ordine che s'oppone al caos col roteare ordinato delle stelle, delle stagioni, delle piene del Nilo e all'osservanza dei suoi principi era attribuito l'ordine millenario e giusto dell'Egitto, collaudato dalla saggezza del tempo e delle tradizioni.
I suoi principi - regola di Maat - dovevano essere presenti nel cuore degli uomini e in teoria dovevano essere il riferimento morale di tutti, dal faraone all'ultimo dei servi, tanto più se delegati a funzioni di comando, di responsabilità e di giustizia.
La più famosa rappresentazione di "psicostasia" è nella tomba del nobile Hennefer, sovrintendente del bestiame dei possedimenti di Sethy I, ma se ne trovano molte altre, anche nei libri dei Morti che i faraoni e i potenti d'Egitto si facevano scrivere e disegnare su papiri da portare nelle proprie tombe.
L'episodio in tali immagini di solito è "narrato" come in un film, ma tutto in una stessa unica immagine.
La psicostasia "tomba di Hennefer" sopra
e nel libro dei morti Museo di Torino sotto
In alto, nella psicostasia di Hennefer il defunto implora 14 giudici, 7 dei quali recano l'Ankh, il segno della vita, mentre in quella del Libro dei Morti di Torino i giudici sono 42 a cui il defunto doveva confessare la propria adesione ai 42 consigli di Maat, ma pare che avessero concluso bastasse essere innocente di almeno sette di quei quarantadue peccati per scongiurare la fine infausta.
Il defunto si discolpava con una confessione detta "negativa" basata sulla negazione d'aver commesso ingiustizie o atti malvagi.
I 42 precetti sono estratti dal Capitolo CXXV del Libro dei Morti nel papiro di Ani della XVIII dinastia dell'Antico Egitto il più conosciuto del Libro dei Morti; si trova nel British Museum.
Delle varie traduzioni di quei precetti riporto quella che mi sembra più' verosimile.
Non ho detto il falso; Non ho commesso razzie; Non ho rubato; Non ho ucciso uomini; Non ho commesso slealtà; Non ho sottratto le offerte al dio; Non ho detto bugie; Non ho sottratto cibo; Non ho disonorato la mia reputazione; Non ho commesso trasgressioni; Non ho ucciso tori sacri; Non ho commesso spergiuro; Non ho rubato il pane; Non ho origliato; Non ho parlato male di altri; Non ho litigato se non per cose giuste; Non ho commesso atti omosessuali; Non ho avuto comportamenti riprovevoli; Non ho spaventato nessuno; Non ho ceduto all'ira; Non sono stato sordo alle parole di verità; Non ho arrecato disturbo; Non ho compiuto inganni; Non ho avuto una condotta cattiva; Non mi sono accoppiato (con un ragazzo); Non sono stato negligente; Non sono stato litigioso; Non sono stato esageratamente attivo; Non sono stato impaziente; Non ho commesso affronti contro l'immagine di un dio; Non ho mancato alla mia parola; Non ho commesso cose malvagie; Non ho avuto visioni di demoni; Non ho congiurato contro il re; Non ho proceduto a stento nell'acqua; Non ho alzato la voce; Non ho ingiuriato dio; Non ho avuto dei privilegi a mio vantaggio; Non sono ricco se non grazie a ciò che mi appartiene; Non ho bestemmiato il nome del dio della città.
Occorre ora aprire una parentesi.
Per gli egizi il dio-sole del mattino è detto "Khepri", "Colui che viene al mondo", in quanto in egizio "kheper" significa nascere o divenire.
È questo segno del dio creatore e ordinatore Atum che dona la vita.
Era rappresentato dal simbolo dello scarabeo sacro, animale coprofago - "Scarabaeus sacer aegyptiorum" - che, appunto, si chiamava "kheperr".
Questo animale secondo il pensiero egizio opera nel mondo, in modo allegoricamente simile a quanto in grande fa il sole, perché da cose immonde come lo sterco trae la vita dei suoi figli, come fa il sole con il faraone che è nella carne che si putrefà l'Horo vivente, incarnazione del figlio di Osiride, onde lo scarabeo era considerato come segno del cuore magico del creatore, centro della forza divina.
Il cuore dell'uomo, che aspira al cielo e al mondo degli dei, centro della sua spiritualità, nella mummificazione non era conservato con gli altri organi interni nei vasi detti "canopi", ma era lasciato nel corpo mummificato.
Dalla XVIII dinastia apparve un amuleto, detto "lo scarabeo del cuore", che veniva posto sul petto della mummia perché donasse al morto il potere di proteggerlo dai pericoli del cammino notturno nel mondo dei morti verso i Campi di Iaru e soprattutto lo aiutasse nel momento del giudizio.
Scarabeo del cuore
La formula, recitata dai sacerdoti durante il rito funebre, bloccava il cuore che non poteva manifestare ostilità e gli impediva di testimoniare contro il defunto al cospetto di Osiride e delle 42 divinità nella "Sala delle due verità" durante la psicostasia.
Ecco che nella parte inferiore dell'amuleto posto sulla mummia, era inciso in geroglifici il testo detto "Formula dello scarabeo del cuore" simile alla seguente:
"
O mio cuore... non sorgere contro di me come testimonio, non creare opposizione contro di me nel tribunale, non essere contro di me al cospetto degli dei..."
Proseguendo con la descrizione delle psicostasie, il morto era condotto per mano da Anubi, dio dell'imbalsamazione, verso una bilancia.
Su un piatto è posto il cuore del defunto, il cui geroglifico è simile a un vaso e sull'altro c'è una "piuma", simbolo della verità e giustizia della dea Maat.
Il dio Thoth, rappresentato sotto forma di un uomo con la testa di un ibis, dio della scrittura, della parola e del pensiero, scriba sacro del regno terreno di Osiride, patrono degli scribi, dio del computo cronologico e guardiano del calendario, ne registra il risultato.
Se il cuore, era appesantito da colpe gravi la bilancia lo avrebbe dimostrato ed in tal caso la sorte era quella di essere divorato dalla dea Ammit.
Immagine della dea Ammit
Era questa Ammit un demone mostruoso, con testa di coccodrillo, corpo di giaguaro e parte posteriore di ippopotamo, preposta alla distruzione totale dello spirito del morto condannato ad essere annullato per l'eternità nel "duat" o regno degli inferi.